La linea ferroviaria Castelvetrano – San Carlo – Burgio
 
  La ferrovia Castelvetrano – San Carlo – Burgio era una linea delle Ferrovie dello Stato a scartamento ridotto della Sicilia che collegava la stazione di Castelvetrano alla linea a scartamento ridotto proveniente da Palermo nella stazione di San Carlo e da questa arrivava fino a Burgio.   Concepita al servizio della valle del Belice ne ha seguito tutte le vicissitudini fino alla chiusura definitiva, conseguente al terremoto del 1968 che causò lo sconvolgimento sociale ed economico del tessuto urbano dei paesi della zona. L’origine di questa ferrovia è comune a molte altre della Sicilia e va ricercata nelle leggi emanate tra il 1902 ed il 1906 che stabilivano la creazione di una rete a scartamento ridotto, costruita a cura dello Stato e gestita dalle Ferrovie dello Stato. L’utilità del servizio ferroviario è dimostrata dalle quattro coppie di treni presenti nel primo orario, che se oggi appaiono poche all’epoca erano il doppio di quelle presenti sulla maggior parte delle linee secondarie. Progettata per collegare i comuni della Valle del Belice, fu realizzata fra il 1910 ed il 1931 con estrema lentezza.  
 
L’idea originaria era di costruire una linea circolare, che da Castelvetrano andasse verso San Carlo, Burgio, Sant’Anna e Magazzolo per poi tornare a Castelvetrano via Sciacca e Menfi.
Di questa linea non fu realizzato il tratto da Burgio a Magazzolo, accantonato quando fu evidente l’inadeguatezza delle ferrovie a scartamento ridotto. Un altro obiettivo era collegare Castelvetrano con le località servite dalla linea, allora privata, Palermo S. Erasmo - Corleone - San Carlo, che con il medesimo scartamento avrebbe consentito l’interscambio dei carri merci. Benché nata tra le prime ferrovie a scartamento ridotto delle Ferrovie dello Stato, trascorsero molti anni per il completamento della linea.
A causa della previsione nel progetto iniziale di un lungo tratto con esercizio a dentiera, per evitare le eccessive soggezioni all'esercizio derivanti da questa scelta, si decise di spostare il tracciato inizialmente previsto.
 
 
 Alla determinazione di rivedere il progetto contribuirono anche la franosità dei terreni da attraversare e la necessità di avvicinarsi a Salaparuta, punto d’innesto della prevista linea per Monreale - Palermo Lolli. Il primo tratto aperto è stato quello tra Castelvetrano e Partanna, inaugurato il 20 giugno 1910 insieme con l’altra linea per Selinunte, poi prolungata fino a Porto Empedocle. Da Partanna i treni proseguirono per Santa Ninfa dal 28 marzo 1914, e per Gibellina il 28 febbraio 1917. Dopo l’apertura del tratto Gibellina - Salaparuta Poggioreale, il 20 luglio 1922, fu aperta sul versante opposto la San Carlo - Santa Margherita Belice, il 28 ottobre 1928 e tre anni dopo la linea fu interamente percorribile, con l’inaugurazione della S. Margherita Belice - Salaparuta e l’aggiunta della San Carlo - Burgio.

inaugurazione della stazione di Sambuca, 1928


Dopo di allora la più grossa novità fu l’avvento delle automotrici, che negli anni ’50 consentirono un collegamento diretto con Palermo via Corleone, oltre a quello con coincidenza a Santa Ninfa e Salemi, utilizzando il breve tratto di raccordo. La diffusione dell’auto privata e del trasporto merci su gomma provocò in quegli anni il crollo del traffico sulle linee ferroviarie secondarie, e così il 31 gennaio 1959 l’ultimo treno circolò sulla parte di linea tra Burgio, San Carlo e Salaparuta. Invece sulla restante tratta fino a Castelvetrano, grazie alla rapidità delle automotrici ed alla presenza di popolosi paesi, il servizio poté continuare. La catastrofe sismica del 15 gennaio 1968 provocò purtroppo danni irreparabili anche alla linea e da quella tragica mattina il servizio ebbe definitivamente termine. Da tale data la linea che pur presentava ancora un discreto traffico viaggiatori rimase sospesa; non vennero fatte ne ricostruzioni ne semplici riparazioni. Ogni speranza di ricostruzione della linea si perse quattro anni dopo, quando la linea fu eliminata dall’elenco ufficiale delle ferrovie dello stato e venne chiusa definitivamente all'esercizio il 15 gennaio 1972. Passando da Gibellina tuttavia si nota la contrapposizione tra il paese, sbriciolatosi durante l’evento sismico ed il vicino viadotto ferroviario, apparentemente integro. L’esercizio in questa prima fase fu assicurato dalle locotender gruppo 20, poi classificate R 401, costruite in Germania dalla Berliner Maschinenbau AG, meglio conosciuta come Schwartzkopff. Con il loro rodiggio 0-4-0 (D) si rivelarono subito aggressive nei confronti del binario, provocando deragliamenti già nella fase di pre-esercizio prima dell’apertura della linea. Così quando nel 1912 furono disponibili le R 301 vennero sostituite da queste ultime e mandate nella Cirenaica (Libia), appena conquistata. Da allora l’esercizio a vapore fu pertinenza di queste più recenti vaporiere, insieme con le derivate R 302; a partire dal 1950 furono affiancate dalle automotrici RALn 60, che le sostituirono nel servizio passeggeri negli anni sessanta. Le nuove automotrici RALn 60 consentirono una consistente diminuzione della percorrenza; ciò aveva provocato un immediato aumento dei viaggiatori, sia per il maggiore comfort che per la maggiore velocità al punto che il raffronto con l'anno successivo mostrava un sostanziale aumento dei viaggiatori, ma a questo non fece seguito purtroppo alcun ammodernamento del percorso . Sulla linea prestò servizio a partire dal 1928, e per alcuni anni, una automotrice sperimentale, da 45 posti a sedere, costruita dalle Officine FS di Firenze con motore MAN da 150 CV che ricevette la classificazione RNE 8501 a partire dal 1929.
La ferrovia aveva origine dalla Stazione di Castelvetrano della linea ferroviaria Castelvetrano-Porto Empedocle. All’uscita della stazione di Castelvetrano si fiancheggiava il deposito locomotive, ricco all’epoca di vaporiere a scartamento ordinario e ridotto, per immettersi subito dopo in una ferace campagna verso la valle del Modione. Lasciato l'abitato di Castelvetrano la linea iniziava presto ad arrampicarsi con curve e controcurve sulle propaggini collinari verso Partanna, posta sul crinale che separa la valle del Modione da quella del Belice, e scendeva a valle per poi risalire verso Santa Ninfa fra rigogliose coltivazioni di viti ed ulivi. Varcato il fiume ed iniziata la risalita il paesaggio si faceva più aspro, assumendo le caratteristiche tipiche dell’interno della Sicilia, con monotone colline spesso brulle. La zona era comunque abbastanza popolata, anche se più che case sparse vi erano grossi borghi o paesi. Al primo di questi, Partanna, la ferrovia si avvicinava notevolmente, mentre le stazioni di alcuni dei paesi successivi (come Santa Ninfa o Santa Margherita) erano assai distanti dai centri abitati. Dopo Partanna il panorama si fa più aspro, tra coltivazioni a vigneto ed ulivi, anch’esse poi sconvolte dalla violenza del terremoto. Da Santa Ninfa, verso il 1930, venne costruito un breve tratto di 10 km per Salemi che nelle intenzioni di progetto doveva arrivare direttamente fino a Trapani ma che non fu più realizzato e rimase come collegamento tra le due cittadine fino al 1954. Da Santa Ninfa il tracciato continuava con alterne pendenze fino a Gibellina e Salaparuta e superato il fiume Belice, si accostava alla S.S. 624 Palermo-Sciacca, nel tratto fra Poggioreale e la stazione di Santa Margherita di Belice. Dopo la stazione di Cusumano, oggi scomparsa in quanto attorno a quel luogo sorge la nuova Salaparuta, si valicava il Belice in mezzo ad una campagna deserta e nei pressi di Santa Margherita le colline si addolciscono. Subito dopo Sambuca una brevissima galleria sottopassava la strada nazionale ed il caratteristico ponte canale dell’antichissimo acquedotto proseguendo poi per San Giacomo di Sicilia .


stazione di Sambuca



stazione San Giacomo, oggi

Girato uno sperone, si percorrevano profonde vallate, in un paesaggio molto suggestivo con notevoli pendenze fino a San Carlo, stazione di diramazione per Palermo, terminando la sua corsa a Burgio. La linea era armata con rotaie da 27 kg/m montate su traversine di legno distanti 0,82 m l'una dall'altra. Tale tipo di costruzione, molto in economia, permetteva solo basse velocità di linea non superiori a 30 km/h per i treni a vapore e, in seguito, di 50 km/h per le automotrici. L'ascesa massima non superava il 30 per mille in alcuni tratti. Non venne mai fatto alcun ammodernamento degli impianti fino alla chiusura. La circolazione dei treni sulla linea veniva regolata mediante l'impiego della Dirigenza unica. Le stazioni erano affidate a degli incaricati, detti assuntori, che però non avevano competenze di circolazione. A queste provvedeva il personale dei treni, Capotreno e Macchinista, collegandosi telefonicamente con il Dirigente unico. Il segnalamento era del tutto assente nelle stazioni.   Le possibilità di recupero appaiono realisticamente nulle, anche perché alcuni dei centri serviti (Gibellina, Salaparuta, Poggioreale), rasi al suolo dal sisma del 1968, sono stati ricostruiti in zone lontane dal tracciato della ferrovia. Esiste però un valido progetto di recupero del tracciato come pista ciclabile, che se realizzato come su altre tratte dell'ex rete FS a scartamento ridotto può costituire un interessante esempio di archeologia industriale mostrando le opere di ingegneria (ponti, canalette di scolo, muraglioni di sostegno) che in cinquant'anni di abbandono sono stati ricoperti da coltivazioni o smottamenti.