PAG.34
Avvenimenti del 31 ed altro
Memoria sulla difesa della Piazza di Orte e sopra
i servigi resi dal capitano Alberti all’epoca della rivolta
Vedi Dizionario storico-ecclesiastico di Moroni Gaetano stampato a Venezia 1848 al vol. 49 pag. 188.
PAG.35
Appena si manifestò l’insurrezione delle Romagne, colla rapidità del lampo percorse le belle contrade della Marca, e dell’Umbria, ed avanzandosi verso le sponde del Tevere ne minacciava orgogliosa il passaggio.
Penetrato il Governo di Roma dal grave pericolo di tanto incendio, raccolte le poche truppe disponibili (mediante lo zelo instancabile, ed energica attività di S.E. il Sig. G.le Resta) le spedì prontamente in vari punti dello Stato superstite per preservarlo da si temuto disastro.
Quattro città si scelsero per la concentrazione dei Comandi Militari, onde dirigerne le operazioni ed i movimenti. Furono queste Rieti, Civita Castellana, Orte, e Viterbo.
Chiunque possegga le più limitate cognizioni geografiche, dovrà convenire, che Orte fra esse era senza dubbio il punto più importante,
1° Perché questa sola città era al contatto immediato dell’inimico, mentre le altre lo avevano a distanze assai considerevoli,
2° Perché essendo punto centrale nella linea di demarcazione fra lo stato ribelle, e fra quello rimasto fedele era tanto all’una, che all’altra parte interessantissimo per le comunicazioni, e per tutte le operazioni militari.
3° Perchè caduta questa piazza nelle mani dell’inimico, si apriva egli la via sicura non solo per la parte di Crocchiano, ma per quella della Montagna, onde senza ostacoli portarsi sulla strada corriera di Viterbo prendendo quindi le
PAG.36
Alture di Monterosi troncava a Civita, ed a Viterbo le comunicazioni colla capitale; in tal guisa i Corpi ivi residenti tagliati del tutto fuori, divenivano preda sicurissima dell’inimico.
4° Perché Civita poteva considerarsi il baluardo della capitale, finchè reggeva la piazza di Orte, ma, questa caduta, cessava di esserlo , giacchè l’inimico – aprendosi allora come si disse la via per la capitale senza incontrare ostacoli d’alcuna parte, poneva anzi Civita medesima in grave imbarazzo trovandosi col fuoco alle spalle dalla parte di Monte Rosi, e col fuoco di fronte dalla parte di Otricoli, ed a due fuochi difficilmente si resiste.
5° Perché il Tevere da longo tempo abbandonato a se stesso ha in modo dilatato il suo letto, che fino quasi al Ponte Felice, distante circa 14 miglia da Orte,è in molti punti guadabile, per cui facile essendone il passaggio, aveva bisogno – tutta la sponda – d’una sorveglianza rigorosa, cessando di essere uno ostacolo naturale.
Nulla ostante tuttociò a tant’orgasmo e trepidazione pare, che nei primi momenti non venisse ben calcolata l’importanza di questa Piazza, giacchè i provvedimenti furono troppo lenti, ed in gran parte insufficienti.
La gelosia di Comando sorgente mai sempre funesta di mille disastri fece si, che truppe a massa solamente furono colà spedite dai Comandi Superiori di Viterbo e di Civita ivi stabilire una centralità ed unità di Comando per dirigerle con prudenza e tattica militare, tanto più interessante rendergli quella centralità, ed unità di comando inquantoche l’immediata vicinanza coll’inimico non poteva soffrir dilazione alcuna nella risoluzione che d’un momento altro esigger potevano i movimenti, e i tentativi di esso.
I capi di quelle truppe a massa senza istruzioni , ad estranei la maggior parte al mestier della Guerra in un attrito continuo e quelle disgraziate popolazioni sentivano tutto il peso della loro presenza senza potervi fondare giammai le speranze d’unutile difesa, e sicurezza.
Sarebbe assai longo il dettaglio dei gravi inconvenienti, che da ciò ne derivarono, e basterà solo l’accennare, che la Popolazione siccome quasi tutte le truppe soggette al loro comando agir dovevano passando non già secondo i principi strategici ma secondo le loro viste capriccio ed interesse. Le popolazioni allorché sono armate, e non hanno un principio o una direzione di …….invariabile condotta esse debbono naturalmente, siccome licevasi quasi comunemente era minacciata dalle armi nemiche all’esterno, e costernata all’interno d’una quasi Anarchia Militare.
I buoni e savi Cittadini di Orte atterriti dagli esempi in tutti gli incontri, in cui si era temuto un attacco fecero sentire altamente le loro querele, che ascoltate finalmente, fu da Civita colà inviato un Capitano per assumere il Comando tanto della Piazza che dalle Forze ivi riunite e stabilire così la tanto necessaria centralità, e unità di Comando.
L’epoca cognizione topografica del Paese non avendo questi giammai percorso quelle contrade, e la deficienza forse d’istruzioni positive, parve, che assai poco facessero sentire al medesimo l’importanza della di lui missione. Difatti furono da esso trascurate per la maggior parte quelle visure, che nella difesa della Piazza suggerisce l’arte militare. Si omise di armare quelle posizioni, che siccome baluardi quasi insuperabili la natura donata a questa Città, ed i fatti avanzati furono in modo stabiliti, che non avendo la necessaria vicinanza colla Piazza per le comunicazioni, e per i pronti soccorsi, non solo erano inutili,
PAG.37
Ma anzi perniciosi in caso di attacco, non poter d’operare di concerto colla Piazza medesima non potendo essere da lei soccorsi non potendo infine aver in essa una pronta ritirata.
Di più ignoto alla Popolazione si tenne un pò troppo isolato da quei buoni cittadini, il di cui zelo sembrò che gli fosse sospetto, e così non poté acquistare quelle cognizioni locali che i soli indigeni del Paese possono suggerire all’Uomo che cerca meritarsi la loro confidenza ed affezione.
Il popolo timido per natura, e molto più in circostanze di grave pericolo non poteva avvicinarsi a chi mostrava aver su di esso dei sospetti, e dall’altro canto sinistramente interpretato questo contegno producevagli fare loro la più perniciosa diffidenza. Questo capitano adunque ne indusse erroneamente da ciò indizi d’interno pericolo e quivi restringendo la sua sorveglianza, ed azione militare poco, o nulla credette occuparsi dei mezzi per l’estrema difesa.
Questo conteggio timido, e riservato dal Popolo non fu bene interpretato dal medesimo, per il che credendo interno il pericolo, quasi restrinse la sua azione, e intanto rimase scoperta tutta la riva del Tevere minacciato dall’inimico - In mezzo a questa reciproca, e fatale diffidenza giunse da Civita il dispaccio manoscritto, cui fu data la più strana interpretazione.
Dicendosi in esso, che nel caso d’attacco con forze superiori per parte dell’inimico, tanto più se lo spirito publico si dichiarasse pel medesimo, dovesse Egli far la sua ritirata sopra Civita per la via di Crocchiano; quantunque nell’una, nell’altra di queste due circostanze si fossero presentate per obligarlo ad adottar questa misura, ch’esser deve l’estrema, abbandonò repentinamente la Piazza, ed accampassi ai Cappuccini posizione ne utile per la difesa, ne agevole per una ritirata.
Senza farne la descrizione, può ognuno idearsi l’orgasmo di quella buona popolazione abbandonata alla direzione dell’inimico.
Ordini intanto pressantissimi giunsero da Civita, e la Guarnigione dopo tre giorni entrò nella Piazza senza calmarne i timori, e l’orgasmo aumentati da tale inopportuna, e imprudente risoluzione.
Mentre tutto ciò accadeva nel punto più importante alla difesa dello Stato superstite, il Capitano Alberti nativo di quella Città giunto da Roma in Civita con un Distaccamento di 40 fucilieri, fu colà invitato per dar la muta a quel Capitano, che sembrava non essersi ben penetrato della sua posizione secondo dicevagli da quel Comandante Superiore.
Partito adunque il Capitano Alberti da Civita, dovette prendersi qualche ora di riposo in Crocchiano, che la Natura sembra aver formato per essere insuperabile.
Poco momenti dopo il suo arrivo le grida degli Abitanti annunciavano l’avvicinamento dell’inimico.
Difatto dalla via di Ponte Felice un Corpo considerevole di armati marciava a quella volta.
Armossi tutta la Popolazione, ed in unione dei pochi Soldati di Linea da esso condotti si dispose ciascuno alla difesa delle mura. Senza molto sangue freddo i più gravi disastri sarebbero avvenuti, mentre quella Popolazione sopraffatta dal timore, già disponevasi a caricare il preteso nemico con un fuoco vivissimo ed anche con pietre, che avevano già disposte presso le mura, allorché in Capitano Alberti pose tutto in opera per frenare l’imprudente entusiasmo dei cittadini .
Spedì egli prontamente colle opportune cautele una ricognizione di Linea, per mezzo della quale fu informato aver la Compagnia di Galanti, che per la poca perizia del suo Comandante in tempo di guerra marciatasi senza farsi precedere da una avanguardia.Tranquillizzati allora i cittadini, attribuivano pieni di
Gratitudine, e riconoscenza alla moderazione e varia providenza di esso d’esser stati sottratti d’un’eccidio forse inevitabile imperoché senza la di lui presenza impegnandosi dalla parte dé cittadini, il fuoco per timore, e dall’altra dovendo interpetrarsi per ostile resistenza, si sarebbero per inganno massacrati sostenendo la causa medesima. Partì egli dopo ciò portando seco le benedizioni d’un Popolo riconoscente.
Informata intanto la popolazione di Orte dell’arrivo di un loro concittadino, che il Governo colà spediva per difenderli, accorse in gran folla fuori della Città per incontrarlo, ed il suo ingresso la sera del 9 Marzo 1831 fu il più commovente. La sicurezza, e la calma ritornò in tutti gli spiriti, ed il Capitano Alberti si vide la sera medesima attorniato da tutto il Clero, dalla Magistratura, e dalle Autorità locali, che per generosità tutti i loro poteri depositarono nelle sue mani con una illimitata fiducia.
Da ciò penetrato egli vivamente intese tutta la forza de’ suoi sacri doveri, e da quel momento non pensò, che ad adempirli rigorosamente.Presa sull’istante la consegna della Piazza, passò la notte in conferenze segrete colle Autorità civili, ed eclesiastiche, onde conoscere lo spirito publico, la situazione Militare della Piazza, e lo Stato affinché di tutto ciò, che poteva aver relazione al di Lui Officio, e Missione.
Appena comparve la luce, furono dal medesimo esaminate tutte le posizioni, e quindi stabiliti prontamente gli avamposti di difesa, ed osservazione in quei luoghi, che la natura medesima sembra avere a tale ogetto formati, ma che per poca perizia topografica fece subito eseguire nella Piazza medesima quelle fortificazioni, che nella deficienza de’ mezzi potevano conciliarsi coll’urgenza.
Passò il giorno stesso in rivista le poche truppe ivi accantonate, percorse quindi le rive del Tevere e avendo rinvenuto, che gli ordini Superiori erano stati imperitamente eseguiti, mentre molti battelli erano ancora galleggianti sull’onde, e le barche non erano, che apparentemente affondate, dette sull’istante gli ordini più precisi, affinché tanto i battelli, quanto le barche venissero tradotte al Porto di Orte, e consegnate alla custodia di una Guardia, che aveva immediata comunicazione colla Piazza.
Sena un tale provvedimento ognuno ben conosce quanto agevole sarebbe stato all’inimico il transito del Tevere, mentre abbandonate, e barche e battelli senza alcuna Guardia a grandi distanze della Piazza, sebbene in parte affondate, durante il corso della notte potevano dall’inimico con pochissimo travaglio restituirsi all’uso loro primitivo.
Difatti non smisero quindi di recarvisi vari Corpi nemici, ma dovettero convincersi, che il passaggio del Fiume non potevano più effettuarlo,
PAG.39
che guardandolo nei luoghi più agevoli.
Di più obligato a mantenere un battello nel Porto situato presso la Piazza medesima ?? pel transito de’ Fisici Professori, e di Parrochi onde somministrare nell’opposta riva gli Infermi Ortani e soccorsi dell’arte, e della Religione oltre ancora il bisogno per spingere le ricognizioni, e gli esploratori, fissò Egli il Regolamento che al somm.o N. 2 può osservarsi, mediante il quale la Piazza non aveva più a temere nulla per la sua sicurezza, e difesa. Informato quindi, che tutte le popolazioni limitrofe al Tevere, e soggette al Comando M.re della Piazza di Orte avevano formato delle masse, cui davano il nome di Guardie civiche senza alcuna regolarità tanto dell’organizzazione, che nel servizio, dirà mo’ sull’istante ordini, ed istruzioni a tutti, e singoli i loro Comandanti richiamandoli ad una centralità di Comando, e di direzione unico mezzo per render proficua l’opera delle medesime.
Rese inoltre a tutti questi Comandanti unitamente a Governatori, e Podestà locali responsabili del buon ordine e della sicurezza de’ Paesi, e nulla preferì certamente per distruggere i semi dell’Anarchia, ch’erasi formata quasi generalmente, e per stabilire nella unità del Comando sopra tutt’ì rami del Governo politico e militare una azione uniforme, regolare e centrale .
Può intanto osservarsi il di lui carteggio, onde convingersi, che allo zelo della difesa, procurò congiungervi una prudente politica. Disposizioni ben ponderate furono date prontamente affinché uno zelo troppo ardente, ed entusiastico non compromettesse la Provincia con intraprese mal calcolate, e peggio eseguite. Produssero queste un ottimo effetto, mentre l’inimico, che cercava pretesti, onde giustificare il suo attacco, trovò un ostacolo insormontabile nella prudenza, e moderazione, che con apposite istruzioni eransi prescritte per la massima costante, ed invariabile.
Aprì immediatamente carteggio con tutte le Autorità della Provincia, e da ognuna esigendo rapporti giornalieri, poté conoscere lo spirito publico, e dirigerlo con quei savi provvedimenti, che le circostanze richiedevano.
Sopra tutta la linea del Tevere fece stabilire dalle Civiche dei picchetti di difesa, ed osservazione, e li obligò ad essere in stretta relazione frà loro onde soccorrersi, ed avvertirsi a vicenda.
Prescrisse con appositi regolamenti il modo non solo di riunione delle forse civiche in caso di avvicinamento dell’inimico, per opporgli una vigorosa resistenza.
Di più furono tali le misure adottate, che non solo i movimenti, ma eziam dio le intenzioni quasi dell’inimico si conoscevano perfettamente dal Comamdo della Piazza di Orte.
Aveva inoltre adottate precauzioni sicure ond’essere in grado di prestare soccorso, e sorveglianza assidua sopra ciascun punto, -sebbene tanto vasta ed estesa fosse la linea affidata al di Lui comando, essendo questa dal confine di Castiglione per fino al Ponte Felice - del territorio soggetto al suo Comandante Militare sebene fosse tanto vasto ed esteso.
Può comprovarsi con documenti, non prestandosi fede all’assertiva che prima, che il nemico giungesse sopra alcuno dei punti della linea di demarcazione, n’era Egli avvertito
PAG.40
E semmai questi si avvicinava alla Piazza di Orte almeno tre ore prima ne riceveva l’annuncio, con quelle precauzioni potè sempre trovarsi pronto alla difesa, e con un ordine del giorno dette popolazione prescrizioni, atte ad impedire la confusione in caso di attacco somm.o N.3. Avvedutosi inoltre, che il zelo non poco troppo smoderato di alcuni riuscir poteva pernicioso, si affrettò di frenarlo, e dirigerlo al suo vero scopo colla notificazione riportata nel Somm.o N.4.Il dì 13 Marzo non appena eransi riuniti circa 500 rivoltosi, siccome resta comprovato da vari Rapporti, e documenti al di la dal Tevere per tentarne il passaggio nelle vicinanze d’Attigliano, che istruitone co’ mezzi di sopra indicati, il Comandante della Piazza di Orte, potè sull’istante spedire un Distaccamento di Linea, ed abbassar gli ordini ai Com.ti delle Civiche, per cui quando apparve il nemico ritrovando tutto pronto per respingerlo dovette deporre il pensiero, ed altrove diriger la sua marcia.Con questi mezzi medesimi fu in grado d’impedire, che un Distaccamento di Linea Pontificia sotto gli ordini del Caporale Giorgi spedito senza istruzioni da Viterbo, non cadesse nelle mani dell’inimico.Invitato Egli insidiosamente dagli aderenti dell’inimico ad impossessarsi di Giove, era in procinto di marciavi, ignorando, che un Corpo di Costituzionali aveva fatto un movimento alle sue spalle mediante, il quale tagliato fuori, e privato di qualunque ritirata non avrebbe potuto evitare di arrendersi a discrezione.
Fu però salvato dal Comandante della Piazza di Orte che sospettando simile insidia, si affrettò con ordini pressanti dall’impedir l’imprudente marcia verso quel paese Somm.o N.5.
Inumerevoli altri fatti potrebbero citarsi per comprovare la somma utilità delle comunicazioni stabilite di Paese in Paese, se la brevità, che ci siamo prefissa non ci astringesse a preferirli.
Col mezzo intanto di queste communicazioni facili, e pronte poté il Capitano Alberti aver sempre presente il quadro politico, e militare di tutto il territorio soggetto al suo Comando, ed essere in grado di darne i più minuti dettagli al Comando Superiore di Civita.
Scarso troppo però era il numero delle Truppe ad esso soggette, mentre appena giungevano a 200 teste, ed al suo arrivo erasi diminuito il numero per fino dei Guardiani a cavallo che non furono mai piu di sette, e che subito si ridussero a quattro semplicemente, sebbene il servizio di essi era il più importante sopra una linea cotanto vasta, ed estesa.
In vano Egli cumulò istanze sopra istanze per ottenerne l’aumento, giacché da Civita non aveva che risposte negative basate sopra l’asserta impossibilità di smembrarle dal Quartier generale di detta Città.
Che se una qualche rarissima volta ottenne rinforsi, questi furono troppo deboli, e momentanei per ritrarne utili risultati.
PAG. 41
Implorò egli almeno replicate volte armi, e munizioni da guerra per armare la Civica tanto di Orte, che dei paesi vicini non avendo, che pochissimi fucili da caccia.Anche in questo però restò Egli defraudato, non essendosi mai potuto ottenere armamento di sorta alcuna, per cui l’opera della Civica riducevasi ad una semplice, ed inutile personalità.
Più di 400 Cittadini eransi nella sola Città di Orte arruolati, ma tutto il loro armamento non consisteva, che in quattro fucili militari del tutto inservibili, ed appena in una dozzina da caccia.Non appena batteva il tamburo, che gli Ufficiali non solo col loro Capitano alla testa Sig. Domenico Manni, ma tutta quasi la popolazione complessivamente a questi Ecclesiastici, il di cui zelo veramente evangelico ed attività instancabile fu, ed è superiore ad ogni eloggio.
Tale poi era il loro zelo, ed attaccamento alla persona stessa del Comandante, che ognuno si studiava di interpetrare direi quasi le sue intenzioni, per cui i suoi ordini appena proferiti erano moltissimi eseguiti colla celerità del lampo.
Ma quali soccorsi potevano essi prestare senza gli istromenti della difesa?
Il nemico intanto aumentava giornalmente le forze al di la’ del Tevere, e ad tutti i lati affacciandosi, faceva temere un sollecito attacco.In questa trista posizione il Capitano Alberti anziché infievolire il suo coraggio, ed attività, cercò in se stesso quelle risorse, che l’imperiosità forse delle circostanze impediva ai suoi Superiori di somministrargli.
Ricorse Egli allora all’artificio, e spargendo destramente la voce in ogni giorno, che nel dì seguente nuovi rinforzi dovevano giungergli da Civita, faceva nel silenzio della notte uscire dalla Piazza gran parte della Guarnigione, che con qualche cambiamento nel vestiario obligava a rientrare al giorno avanzato, ed il Popolo realmente credeva queste truppe i rinforzi annunciati.
Questo strattaggemma ripetuto per molti giorno negli erronei calcoli del volgo, fece credere di tanto aumentata la Guarnigione, che si ebbe la stoltezza per fino di farla ascendere a migliaia.
Siccome poi vari erano i Posti avanzati, così lo scarso numero d’armati, che scorgevasi nella Piazza si attribuiva o all’aumento di forza nei medesimi inaccessibili ai Borghesi o alla diramazione longo la linea del Tevere, ove piccolo Corpi volanti facevano per i Paesi le stesse teatrali comparse.
Questo movimento continuo di Truppe illuse in modo quelle buone Popolazioni, che credendole veramente numerose, sembravano aver perduta l’idea dei pericolo gravissimi, ai quali erano esposti.
La fama di si grande aumento di forze oltrepassò anche il Tevere, ed atterrì in modo l’inimico, che appena osava più affacciarsi, onde obbedire agli ordini imperiosi del Quartier G.nle di Terni, e sull’istante si ritirava all’aspetto delle poche Truppe Pontificie che gli venivano opposte, credendo sempre o vanguardie, o piccoli corpi di esplorazione
PAG. 42
Di fatti si asserì da persone, che esaminò il carteggio dei Costituzionali in Spoleto, che in questo era chiaramente contestata una tale illusione per parte dei medesimi, e che se Orte non fu realmente attaccato, devesi attribuire dovegli a questo strattaggemma, nonché alle tante altre precauzioni, e misure di difesa, che fecero credere nel Comandante della Piazza tutta quella abilità, e destrezza Militare, ch’è capace d’imporre all’inimico.
Se meritevole dunque si reputò mai sempre di lode, e di premio quell’Ufficiale, che con forze uguali, e superiori sostenne un attacco quanto più ragionevolmente dovrà reputarsene colui, che con pochissime Truppe seppe farsi tanto rispettare dall’inimico da non avere il coraggio d’attaccarlo?
Ne solo al Territorio affidato al di Lui Comando si limitarono le operazioni del Capitano Alberti, ma in quello dell’inimico portò Egli la più diligente, e scrupolosa sorveglianza in esecuzione degli ordini ricevuti.
Tutt’i movimenti, e può dirsi ancora i proggetti dell’inimico furono da esso sindacati, e fede ne fanno i Rapporti periodicamente inoltrati al Civita Castellana, e riscontrati con lettere d’officio, dei quali egli ne conserva gelosamente le Copie, e gli Originali.
Eppure tutte queste scoperte, tutte queste utili operazioni, che sembreranno forse l’opera assai costosa d’un forte spionaggio, non importarono che solo 14 scudi, siccome può verificarsi dai conteggi esibiti, mentre gli altri portarono su tale ogetto spese le più enormi, e considerevoli.Deve inoltre riflettersi, che in questa redicola somma di spionaggio restano ben altre cumulate tutte le altre spese per le scoperte, ed operazioni, di cui terrassi in progresso proposito. Uno dei più utili, ed importanti servigi resi da Esso al Governo, e specialmente al Comando Superiore di Civita, fu certamente lo stabilimento d’un posto d’osservazione alla distanza di circa 4 miglia da Orte verso la direzione di Roma chiamato Poggio Pelato.
Era questo in una collina molto elevata, e quasi inaccessibile all’inimico per la parte della strada Romana, che solo poteva tenersi dal medesimo per investirlo.
Da questo Posto quasi ad occhio nudo scorgevasi un buon tratto della via, che da Narni conduce ad Otricoli, e da Otricoli per fino al Ponte Felice.
Tutti i rinforzi adunque, ch’entravano in Otricoli, tutte le Truppe, che ne uscivano per la porta Romana o per quella che conduce a Narni erano quasi numerativamente contrassegnati nel suddetto Posto, indicandosi ancora il N.o delle bandiere, il luogo dove giungevano, le manovre, ch’eseguivano, e tutt’altro, per cui con questo mezzo il Comando Superiore di Civita era giornalmente istrutto della situazione, movimenti, e dirò quasi intenzioni dell’inimico.
Appena però osservato da esso, che posto in allarme gravissimo tentò più volte di attaccarlo, e specialmente nella notte del 22 Marzo, ma conosciuta l’impossibilità di prenderlo, e più ancora di mantenervisi, dovette deporne il pensiero.
I Rapporti spediti superiormente possono contestare la vera importanza, di questo Posto d’osservazione ove furono affisse istruzioni le più precise per le attribuzioni del Capo-Posto e servigi del Distaccamento quanto per la sue sicurezza, e ritirata in caso di attacco. Somm.o N.6.
Si è più volte indicato, che Orte assai da vicino fu minacciato d’attacco con molta perizia Militare per parte dell’inimico, mentre da vari punti lo tentava affine d’impedire alla Guarnigione la riconcentrazione delle forze in un sol punto, e diminuire così l’energia della difesa, dovendo questa in varie parti dividersi per respingerlo.
Null'ostante però con provide misure, e con strataggemmi riuscì a preservare la Piazza.Da quanto ora si esporrà non potrà a meno di non convenirsi, che il dì 21 Marzo fu salvata la Piazza, e la Guarnigione dal proprio Comandante mediante quel sangue freddo, ed antiveggenza ch’esser debbano le doti principali di colui, che si dedica al mestiere della guerra. (da posizionare)
La sera del 20 vari fuochi in tre punti diversi fecero ragionevolmente sospettare al medesimo l’avvicinamento di forze nemiche, onde tentare nel dì seguente un attacco generale.
Apparivano questi di fronte per la via d’Amelia, sulla dritta di quella di Narni, e sulla sinistra per l’altra di Giove. Spediti gli esploratori ritornarono a notte avanzata annunciando realmente, che truppe nemiche erano in quei punti acccampate.Non poté allora più dubitarsi del pericolo per il giorno seguente tanto più, che alcuni viandanti, fra i quali alcuni Religiosi il dì innanzi avevano annunciato d’aver rinvenuto in queste tre contrade dei bastoni indicanti diverse direzioni verso la Piazza di Orte.
Tutto allora si dispose per la difesa, e spedito a spron battuto un espresso a Civita con dettagliato Rapporto s’implorò sollecito rinforzo, ma inutilmente; giacché si ebbe il solito riscontro negativo.
Comparve finalmente il giorno, e ad ogn’istante si attendevano i segnali della marcia nemica.
Avanzò nulla ostante il giorno, e da niuna parte si scorgevano armati,
Circa il mezzo dì vedendo tutto tranquillo, le forze riunite per la difesa rientrarono nelle rispettive caserme, e lo stesso Comandante si ritirò nella propria abitazione.
Dopo brevi istanti si udirono dai posti avanzati i consueti segnali d’avvicinamento di forze verso la Piazza, e quindi i Guardiani a spron battuto ne recarono la certa notizia.
Il Tamburro batté allora la Generale, ed in pochi minuti tutto fu pronto di nuovo per la difesa.
Scarso però era il numero dei nemici, che dai tre punti indicati marciavano verso la Piazza, per cui si giudicarono semplici vanguardie.
Si approssimarono arditamente, ed accampandosi senza fare alcun tentativo nel passaggio del Tevere, sembrava, che invitassero la Guarnigione ad attaccarli.
Di fatti trascorse più ore senza che alcun Corpo li seguisse, si eccitò nella Truppa Pontificia un entusiasmo vivissimo, chiedendo unanimemente di tragittare il Fiume mediante le Barche riunite nel Porto, ed investirli tenendo sicura la vittoria sopra un nemico cotanto debole di forze.
Sospettò però il Comandante, che un’insidia in ciò si occultasse, e si oppose costantemente ai loro nobili desideri.
Senza aumento, o diminuzione di forze restò l’inimico accampato tutta la notte,
E postò ancora le sentinelle avanzate. All’alba era ancora nelle stesse posizioni, e non fece la sua ritirata che due ore in circa dopo il giorno.
Furono allora spediti degli Esploratori sopra i tre punti indicati, e questi riportarono la notizia sicura, che due Corpi considerevoli fatta avevano una imboscata al di dietro di questi distaccamenti sulle due strade di Amelia e Narni, mentre un altro non meno forte, aveva sotto Bassano guadato il Tevere.
Se il Comandante adunque avesse ceduto all’entusiasmo daltronte lodevole delle sue Truppe traggittando il Tevere ed attacando l’inimico, mentre lo avrebbe inseguito nella sua fuga, sarebbe stato al certo investito, e preso di mezzo dai due Corpi nemici imboscati sulle due vie d’Amelia, e di Narni, mentre quello che aveva tragittato il Tevere sotto Bassano impossessandosi senza ostacolo alcuno della barche, e della riva opposta, gli avrebbe tolti tutti i mezzi di ritirata sulla Piazza, e per imprudenza avrebbe sacrificato se stesso, la Guarnigione, la Piazza, e forse ancora Civita, e la Capitale.
Andato a vuoto questo nuovo tentativo dell’inimico, il dì 22, e 23 rivolse la sua marcia verso Mugnano e Bomarzo. Prontissimo ne fu l’avviso, e spedito un Distaccamento verso quella parte, la sola sua apparizione fu sufficiente a fargli battere la ritirata, temendo forse, che un Corpo considerevole marciasse al seguito del medesimo. Nella notte del 24, gli stessi fuochi annunciarono l’avvicinamento dell’inimico, e di nuovo s’implorarono inutilmente soccorsi da Civita, che anzi in risposta si ebbe l’ordine di spedire un Distaccamento in Bomarzo Somm.o N. , per cui il povero Comandante della Piazza si trovò nella più terribile posizione, vedendosi diminuire le forze, mentre aveva bisogno d’aumento in faccia all’inimico, che da vicino lo minacciava.
Nell’istante però col coraggio, e cogli artifici, gli riuscì ancora in questa circostanza d’illuderlo, e liberarsi della sua presenza.
Quest’ultimo tentativo però dell’inimico sembra, che avesse un secreto, e tenebroso concerto, di cui non è mai riuscito di rintracciarne le fila, il dì 24 precedente alla comparsa dell’inimico, un pericolo interno di sommo rilievo fece temere le più funeste, e tragiche conseguenze. In una delle Centurie di Guarnigione nella Piazza vi era un N° considerevole di Frascatani, mentre un altra nella maggior parte era composta di così detti Ciociari.
Uno dei primi punito giustamente per rissa dal Sig. S. tenente Bedogni, fu il pomo della discordia fra loro, la quale prese un’aspetto, ed imponente. Si formò un complotto di diserzione e tre capi della medesima, ingannando con falsi pretesti la guardia della Porta di S. Agostino, si sottrassero dalla Piazza.
Quasi tutto il resto della Centuria voleva seguirne l’esempio, e forzava la Guardia per uscire, allorchè avvertito il Comando della Piazza vi accorse precipitosamente, e gli riuscì a gran stento di ricondurli alla Caserma.
Ad impedire l’esecuzione delle atroci minacce, che si facevano fra loro, gl’Individui delle due Centurie, non trovò altro espediente, che spedire sull’istante i più esaltati dell’una di esse in perlustrazione verso Bomarzo, ed intanto fatti raggiungere i profughi dai Guardiani, arrestati furono ricondotti nella Piazza.
Confessarono essi il concerto d’un tradimento il più orribile, mentre trattavasi di uccidere il Comandante della Piazza, ed i Comandanti delle Centurie all’avvicinarsi dell’inimico, per darsi quindi liberamente in balia del medesimo.
Difatti Forze Costituzionali lo stesso giorno si presentarono nelle vicinanze della Piazza, ma le providenze adottate avendo sconvolto le file dell’orribile trama, resero inutili i loro sforzi, e tentativi. Un dettagliato Rapporto sopra un fatto di tanta entità con tutte le pezze all’appoggio fu spedito in Civita, reclamandosi tutto in vigore delle leggi, ma non sò per quale causa ignota si credette sopprimerlo adottandosi misure economiche, che rilevasi dal Somm.o N.8 quantunque non sia nelle facoltà di alcuno d’interrompere il Corpo alla giustizia specialmente per delitti d’alto tradimento tanto più quando sussiste formale querela.
La trama di si nero attentato, di smembrare le forze col l’unico Ufficiale esistente nella Guarnigione, la comparsa contemporanea dell’inimico la premura di sopprimere il corpo ad una legale procedura, che condur poteva ad importanti scoperte danno luogo a tanti dubbi e sospetti, che sembrerebbe opportuno anche da oggi un accurato esame fiscale giacche questo è a mio credere un intrico che racchiude oggetti della maggior importanza, e può mettere il Governo al chiaro di scoperte rilevantissime.
Metre il Capinato Alberti in tal guisa provedeva alla sicurezza interna, ed esterna della Piazza affidata al suo Comando, non ometteva di prestarsi al servizio del Governo con gravissimo suo rischio anche sul territorio nemico.
La ben cognita notificazione di S.E. il Sig. Gen.le Resta a favore dei Defezionati, che ritornar bramassero sotto le Bandiere Pontificie con qual altro mezzo fu sparsa sul Territorio nemico ed affissa per la Città, e Paesi di esso, se non per opera del medesimo, che vi spedì alcuni religiosi ? Il Trattato di S. E.mza Rma il Sig. Cardinal Benvenuti con quale altro mezzo giunse in Civita, e dalla Capitale, se non col suo, che prima poté ottenerlo sul territorio nemico? Molte altre operazioni di tal natura si eseguirono dal medesimo, le quali per brevità si omettono, e che, come si disse non costarono al Governo per parte del medesimo, che la somma meschinissima di Scudi 14. Il dì 29 alcuni Esploratori recarono la notizia, che un grosso Corpo di rivoltosi erasi riunito in Amelia, e che minacciava marciare sulla Piazza di Orte.
Tale notizia fu subito inoltrata al Comando Sup.e di Civita. Bisogna credere che l’espresso, che portava questo Rapporto, giungesse dopo la partenza di un altro del Sig. Col.lo Lazzarini, il quale recava al Cap.no Alberti l’ordine d’immediato abbandono della Piazza, Somm.o N°9.
Non potendosi mai supporre che nella prudenza, e perizia Militare, d’un Militare tanto istruito, e prode nell’arte della Guerra siccome il Sig. Com.te Coll.o Lazzarini potesse commettersi l’errore gravissimo d’ordinare l’abbandono d’una Piazza, che il nemico minacciava con forze poderose di prossimo attacco e la di cui occupazione decideva forse della sorte di Roma.
Persuaso dell’equivoco il Cap.no Alberti, e convinto del grave pericolo, che sovrastava ritardò per quanto gli fu possibile la marcia, e questo ritardo fu tanto proficuo, che dopo breve camino colla colonna, trovò altro espresso portante l’ordine di retrocedere, e di rioccupare la Piazza nello stesso stato di Guerra rioccupava la Piazza Somm.o N°10.
Arrestata allora la Colonna dopo essersi assicurato, che in Orte era tutto tranquillo, e fatti prima occupare i Posti avanzati, vi si restituì colle benedizioni, ed applausi di quella costernata Popolazione, che colle lacrime agli occhi, e colle grida della disperazione aveva veduto partire i suoi difensori.
Senza alcun dubbio il Rapporto spedito in Civita, di cui si è di sopra parlato determinò quel Comandante Sup.re a revocare un ordine cotanto inopportuno. Di fatti il giorno stesso alcuni esploratori recarono la notizia che i Costituzionali riuniti in Amelia appena furono informati della partenza delle Truppe Pontificie da Orte, si riproposero alla marcia per occuparlo con intenzione , secondo dicevano gli esploratori ...........di abandonarsi al saccheggio. Saputo però il loro ritorno sospesero la marcia. Orte anche in tale incontro attribuì al suo Concittadino la propria salvezza.
Siccome poi nel citato ordine di retromarcia facevasi intendere doversi tener pronto per la partenza, che riservatamente si faceva intendere prossima, cosi il Comandante della Piazza bene istrutto, che ancora in Amelia susstisteva il Corpo dei Costituzionali, di cui si è parlato, vidde tutto il pericolo, che sovrastava a quelle disgraziate Popolazioni, se si fosse abandonata la Piazza di Orte prima, che questo Corpo fosse disciolto, ovvero avesse ripiegato verso la Piazza di Terni.
Imperocché dandosi esecuzione ai movimenti delle Truppe Pontificie nel modo concertato, cioè che il Sig. Ten.e Coll.o Barbieri dalla parte di Orvieto colla sua Colonna dovesse marciare verso Amelia, mentre il Sig. Coll.o Lazzarini farebbe il suo movimento verso Otricoli, le Truppe Costituzionali d’Amelia, minacciate alle spalle dai Tedeschi, ed investite nei lati dalle due Colonne Pontificie d’Orvieto, e di Civita, dovevano naturalmente precipitarsi sul fronte, ch’era appunto la Piazza di Orte, perchè questa sola gli presentava uno scampo quando fosse stata sguarnita di Truppa, siccom’erasi disposto.
In tal caso ognuno può imaginarsi a quali orrori erano riservate quelle disgraziate Popolazioni, che avevano fino a quel momento opposto un argine insormontabile al torrente dell’insurrezione.
Pare adunque, che secondo tutti i sani principi di Strategia prima di far abandonare il fronte che formava il punto più importante di resistenza, dovesse attendersi o lo scioglimento, o la retrocessione del suddetto Corpo, ovvero adottare un metodo diverso nel movimento delle Colonne.
Imperocché se le Truppe Costituzionali restavano permanenti in Amelia, facendosi i movimenti indicati dalla parte di Orvieto, e di Otricoli, o doveva lasciarsi coperto il fronte, ovvero obligare la Colonna di Orte a marciare sul fronte medesimo per prendere in mezzo il nemico, ma non mai far prendere alla guarnigione di Orte la direzione del lato destro di Civita per seguire il movimento della Colonna quivi stanziata, perchè in questo caso, come si disse, restando al nemico scoperto il fronte, aveva egli aperta la via per sottrarsi alle Colonne, che pretendevano di prenderlo in mezzo ed aveva tutto l’aggio possibile per darsi in preda a tutti gli orrori d’una estrema disperazione. Di più
PAG. 47
Deve notarsi, che siccome tutte le Truppe marciavano verso la direzione indicata con una illimitata sicurezza così niun Corpo erasi lasciato in addietro delle Truppe marcianti.
Non fa duopo d’una grande penetrazione per approvare, che con quella tattica ignota affatto alla scienza Strategica il Corpo dei Costituzionali d’Amelia non solo aveva uno scampo, non solo aveva la libertà di darsi in preda a tutti gli eccessi dell’odio, della vendetta, e della disperazione, m’aveva ancora un campo liberissimo per marciare sulla Capitale ed occuparla non avendo questa Truppe da opporgli.
Quale sarebbero state le funeste conseguenze dell’occupazione di Roma per quanto esser potesse momentanea, ognuno è in grado d’immaginarle. Di più queste Truppe ree doppiamente al cospetto d’un Governo vittorioso, e protetto da una Armata Straniera, non poteva più sperare alcuna amnistia, ed in conseguenza il timore, e la disperazione doveva spingerle a cercare un asilo nelle Campagne, ed ecco che si sarebbero rinnovati quei tempi funesti, in cui un formidabile brigantaggio avrebbe dapertutto sparso il terrore ed il lutto.
Penetrato pertanto il Cap.no Alberti da così triste riflessioni, si affrettò di spedire in Civita Castellana una Deputazione di Ecclesiastici con Dispacci di tutte le Autorità locali, onde sottoporli alla savia considerazione di quel Comando Superiore.
Era troppo ragionevole la rimostranza per rimuoverlo da si strana risoluzione e cosi furono salvate quelle popolazioni e forse ancora la capitale da tanti orribili disastri giacché l’abbandono della Piazza di Orte non ebbe effetto che dopo essere le Truppe Costituzionali partite d’Amelia, e d’essere state disarmate in Terni, e spinte verso Spoleto ed Ancona.Il giubilo però della Città di Orte pel ritorno della Guarnigione di di breve durata, mentre la Compagnia di Galante, composta la maggior parte d’individui carichi di delitti, che dapertutto portava seco il terrore, e lo spavento, ad onta che il loro Capo ponesse in opera molto vigore per tenerli in dovere, comparsa appena in Orte, lo stesso giorno tutti Cittadini si chiusero nelle loro abitazioni, quasi che il nemico fosse penetrato nelle mura della città.
Tornava questa d’una spedizione militare diretta d’un certo Sig. Venci, e giunto in Orte, pretendeva passare il Tevere per recarsi in Amelia a cambiare il Governo perchè sapeva, che non vi erano nemici da combattere, ma svariati infelici da spogliare.Gl’individui, che componevano questa Compagnia assuefatti al sangue minacciavano sul territorio ribelle stragi, rapine, e saccheggi.D’altronde sicuri Rapporti informato avevano il Comandante della Piazza di Orte, che in Amelia non solo, ma dapertutto non si attendeva, che lo scioglimento totale delle Truppe Costituzionali per ritornare spontaneamente sotto il paterno regime della S. Sede.Avrebbe egli creduto di rendersi delli delitti, ch’essi meditavano, se avesse condisceso ai pravi loro desideri.Si oppose perciò energicamente, e vedendo la loro ostinazione, fu costretto adottare un contegno imperioso, e deciso ordinando sotto la responsabilità tanto del Sig. Venci che del loro Capo Galante distaccare immediatamente la marcia verso Civita.
Dopo una longa, e seria opposizione, non senza grave pericolo dello stesso Comandante della piazza, che fu costretto di mettersi sulle difese con tutta la Guarnigione.
Orte con la loro partenza
PAG. 48
Prima ricuperò la sua tranquillità, benedicendo, com’essi dicevano l’autore, che li aveva liberati da si temuto flagello.
Il flagello però era riserbato per Amelia, e gli altri limitrofi Paesi, che dovettero senza ostentazione la loro salvezza a chi seppe con intrepidezza e coraggio farsi rispettare, ed obbedire, da una orda di fuorusciti.
Intanto fu dal medesimo spedito in Amelia un Religioso con istruzione di spargere destramente la voce, che la Guarnigione di Orte si disponeva a marciare a quella volta, e che non trovando cambiato il Governo, il Comandante sarebbe stato obligato ad adottare misure di rigore, e di coazione. Questo bastò perchè sull’istante si gettasse la Coccarda Tricolore, si riprendesse la Pontificia e si rialzassero gli stemmi pontifici.
Fra le azioni virtuose, che più sodisfacevano il cuore umano, quella di risparmiare ad una intera Popolazione lo spargimento del sangue, e gli orrori della guerra, è certamente la più bella e gloriosa .
Il Cap.no Alberti può di questa vantarsi coll’essersi opposto alla marcia della Compagnia Galanti, ed alla gloria d’aver con pochi paoli, e poche parole fatta una operazione di gravissima entità.
La notizia del cambiamento di Governo al di la del Tevere fu dal medesimo portata a cognizione del Comado Sup.re di Civita, quando neppure quando si osava forse sperarlo.
Ne qui può omettersi, che in mezzo alle angustie gravissime, che tanto lo amareggiavano dai Professori (?) di Orte ricevette ancora dei Rapporti allarmanti co’quali si annunciava la morte di più individui con sintomi manifesti di mal contagioso. Varie vertenze coll’autorità ecclesiastiche per l’autopsia dei cadaveri lo infastidirono, e imbarazzarono non poco ed egli si trovò nella difficile posizione di dover trattar materie d’ecclesiastica giurisdizione, e di dover prescrivere misure sanitarie in mezzo ai pericoli della guerra.
Ebbe però la soddisfazione di veder proficua la sua mediazione fra le parti contendenti, e colle misure sanitarie da esso prescritte, arrestarsi nel suo nascere il morbo terribile, come possono far fede i documenti presso di esso esistenti.
Non può neppure passarsi sotto silenzio il contegno da esso tenuto con tutti coloro, che di liberali opinione tenevano.
Mostrandosi egli ignaro d’é loro sentimenti, cercò sempre avvicinarli con familiarità, ed amorevolezza persuaso, che non già il rigore, ma bensì la dolcezza può aver una influenza utile sulle opinioni.
Di fatti sia per gratitudine, sia per un sentimento di stima, sembrò, che ancor questi cambiassero il loro opinare, e formando una sola famiglia con tutti buoni Cittadini concorsero sempre ancor Essi nei momenti più difficili a coadiuvarlo e furono non di rado gl’ìstrumenti della salvezza di Orte.
Quelli però, che una prava inclinazione rese ostinati, rinvennero in esso non più il Padre benefico, e l’amico sincero, ma bensì il giudice, e il vindice della giustizia
PAG. 49
Sovrana. Testimoni ne siano i Rapporti da esso inviati in Civita, ed i molti soggetti ,che furono da esso abbandonati al rigor delle leggi.
E qui cade in acconcio di far breve mensione di tre soggetti rispettabili, che lo coadiuvarono in modo che gran parte dei felici risultati, si deve al loro zelo, ed alla loro energia instancabile.
Furono questi il Sig. Vicario Valeriani, il Vice Governatore Sig. Angelo Rosci, ed il Gonfaloniere fratello del Comandante medesimo Conte Nicola Alberti.
Quest’ultimo anzi non solo affrontò pericoli, e disaggi per la salvezza della sua Patria, ma incontrò spese gravissime, divenuta la sua Casa il ricetto di tutti coloro, che con una qualche rappresentanza colà si recarono.
Dall’esposto pertanto ognuno può giudicare di qual’entità siano stati i servigi prestati dal Cap.no Alberti alla Santa Sede, mentr’Egli protesta esser pronto a contestare con documenti ineccezionabili ogni motto della presente istoria.
Potranno intanto osservarsi i documenti rilasciati dalle Autorità Ecclesiastiche, e civili comprovanti quanto si è esposto. Somm.o N.11-12 13- 14.
Che se non ci fossimo limitati alla semplice narrazione dei servigi resi dal suddetto Cap.no all’epoca della di lui partenza da Roma, avressimo potuto mostrare, che non poca parte prese ancor Egli per comprimere i torbidi della Capitale, essendosi trovato a tutto presente.
Di più lunga sarebbe l’istoria dei mezzi prudenti, e pronti dal medesimo adottati per impedire che la rivoluzione si manifestasse il Giovedì di Carnevale al Festino d’Aliberti, ov’Egli era di Guardia, e dove il Governo aveva i più fondati sospetti, che potesse svilupparsi.
Senza entrare nel minuto dettaglio sopra i mezzi da esso adottati per impedirla, dal non essere avvenuta, siccome si temeva, può ognuno da se stesso arguirli, imperocché le rivoluzioni non si impediscano quando sono state premeditate, le prevenivano i sospetti del Governo senza molta presenza di spirito, ne senza una loggica condotta niuno potrà impugnare che avendo Egli la personale responsabilità sulla quiete e buon ordine siccome .........di tutta la forza ivi riunita nel modo stesso, ch’egli avrebbe potuto meritare l’indignazione del Governo accadendo, così pure, che meritar potesse tutta la benigna di lui considerazione non essendo accaduta, giacche il merito, o il demerito è sempre nei risultati.
Eppure in mezzo a tante promozioni, ed onorificenze largite dalla clemenza Sovrana, Egli solo fu intieramente dimenticato, e ciò non può attribuirsi certamente alla magnanimità del Governo, che ne ha dato prove luminose, ma bensì all’interesse, e smodata ambizione di qualcuno, che appropriandosi il merito delle di Lui operazioni, inalzò l’edificio della sua grandezza sull’umiliazione d’un Militare onorato, d’un suddito fedele, e di un zelante Cittadino.
Di fatti Egli fu il solo preferito nel tanto celebre opuscolo delle 42 giornate di Civita, (*) quantunque il di lui nome prima di ogni altro affacciar si doveva alla mente dell’Istoriografo, perchè più di ogni altro fece Egli parte della difesa dello Stato superstite.
(*) Del Cav. Giovanni Lazzarini in data di Terni 4 Aprile 1831 stampato in Ancona tipografia Sartori.
PAG. 50
Questa stessa preterizione non è la prova convingentissima, che gelosia, privato interesse, e smodata ambizione combinarono, ed eseguirono il di lui sagrificio?
Che se niun fatto d’Arme poté distinguerlo in si triste vicende, non deve attribuirsi che alla sola di lui destrezza, e coraggio nell’affrontare tutt’ì rischi possibili per prevenirli e nel provvedervi prontamente, di che possono far fede tutte quelle Popolazioni, che lo ebbero a guida, e Duce.
Che s’Egli seppe preservare il terreno senza macchiarlo di sangue, questo terreno medesimo dai buoni, e dai savii, sarà riguardato come campo della sua vera gloria.
Amelia intanto, Calvi, e Magliano munite di Guarnigione Pontificia, cedettero al solo apparire dell’inimico, Somm.o N.1, ed i loro Comandanti furono pure promossi per un tratto generoso di Sovrana clemenza, ed ebbero anche onorificenze, e distinzioni.
Il solo Cap.no Alberti, che fino agli estremi conservò alla Santa Sede in tutto il territorio affidato al di lui comando, dimenticato forse invidiosamente nei Rapporti superiormente inoltrati, resta tutt’ora negletto, ed abbandonato a fronte ancora di quelli, che sotto il ribelle vessillo marciarono contro di esso, che difendeva il proprio Sovrano.
E’ incontrastabile, che in tutto ciò Egli altro non fece, che adempiere al suo sacro dovere, e senza alcun dubbio, essendo questo un obligo positivo non può affacciarsi siccome un merito. Quando però la clemenza Sovrana siccome tale lo riconosce in alcuni, tutti coloro che si trovano nella stessa posizione, pare, che possano lusingarsene, ed Egli ben se ne lusinga in oggi che l’istoria dei suoi servigi finora occultata e giunta ai piedi del Trono alla di cui difesa ha Egli la gloria d’aver esposta la vita.Se Viterbo, se Civita, se Rieti intimidì l’inimico, e ne arrestò la sua marcia, avevano queste Città Guarnigioni assai considerevoli, sufficiente Artiglieria, e la sola strada corriera da difendere. Il cap.no Alberti però con soli 200 uomini, e non di rado anche con numero minore senza Artiglieria, e con un solo Ufficiale difese, e preservò al Governo una linea di circa 70 miglia.Chi è dunque più meritevole considerandosi ancora con un calcolo algebrico di proporzione quello peresempio con 100 uomini difende 10 palmi di terreno o quello, che con 10 uomini soli ne difende almeno un centinaio? L’istoria imparziale attribuisce certamente maggior gloria ai 300 Spartani sulle Termopili, che ad Alessandro alla testa delle sue terribili Falangi
PAG. 51
allorché accompagnato dalla vittoria macchiava di sangue le belle contrade dell’Asia? La difesa intanto di Civita fruttò al Sig. Coll.o Lazzarini il grado di Coll.o ed il Comado Superiore delle Marche, al Capitano Rinaldi quello di Maggiore, ed il Comando della Piazza di Rimini. Per la difesa di Rieti ugual sorte incontrarono il Sig. ten. Coll.o Bentivoglio, e Cap.no Wels, e per fino l’inoperosità in Ancona elevò al grado di ten. Coll.o il Sig. Magg. Ruspoli.
Furono ancora promossi a Magg.ri sebbene non ebbero giammai un comando isolato i Cap.ni Cremona e Caetani.
Con quell’amarezza ch’é la più viva nell’Uomo d’onore vide in tal grado preferirsi ancora i Cap.ni Seloni, e De Gregorii, che non presero alcuna parte attiva in quei sconvolgimenti, e per fino coloro che non avevano giammai servito sulla linea, siccome a Maggiore di Piazza il Sig. Conte Mavescotti, e per fino un Prussiano, e molti altri di cui la rimembranza è una ferita ben grave per un’anima delicata alla sua reputazione e sensibilità.
Egli adunque eguale nel Comando, e superiore nella responsabilità non tanto ai Cap.ni Rinaldi, e Wels che furono sempre soggetti, ma ai due Colonnelli Lazzarini, e Bentivoglio, che siccome Esso comandarono isolatamente una Piazza, Egli solo, dico, non ritrasse altro frutto, che la ruina d’é suoi interessi, e l’umiliazione del confronto nelle ricompense.
Che se tutto ciò fosse stato subordinato alla savia, ed imparziale considerazione del Governo, ognun vede, che questo tanto provvido, tanto giusto, e tanto generoso, non l’avrebbe certamente dimenticato siccome lo fu anche nelle decorazione largite per fino all’Ordinanze. Ne qui si arrestarono i servigi prestati dal medesimo, mentre seguito il movimento delle Truppe nei primi d’Aprile in Spoleto dovette assumere il comando di tutt’ì Defezionati, che quivi si affollavano, e non venga senza rischi gravissimi, dovett’essere l’istromento del loro scioglimento. Di più mentre il Sig. Coll.o Lazzarini, ed altri molti Ufficiali marciavano verso Ancona, ove la presenza delle Truppe Austriache rimuoveva il timore di qualunque pericolo, il cap.no Alberti col Sig. maggiore Rinaldi, ed altri due Ufficiali senz’altra Truppa, che le loro Ordinanze, ebbero il coraggio di recarsi in Fermo, ove un Corpo considerevole di Truppe defezionate colà accantonato, non presentava certamente la Città l’aspetto d’un ingresso brillante, siccome quello di Macerata ed Ancona.
Furono essi che organizzarono quelle Masse, che stabilirono i Comandi di Piazza, e non senza gravissimo rischio dettero esecuzione agli Ordini Superiori, degradando tutt’i bassi Uff.li a semplici comuni.
Non fu il cap.no Alberti , che solo nel Num. Dei fedeli, e senza alcun Ufficiale ebbe, mi sia lecito il dirlo, l’arditezza di mettersi alla testa d’una Massa di queste Truppe defezionati, e marciare sopra Ascoli, ove regnava fra i partiti il più fiero accanimento.
I pericoli, ch’Egli corse longo la via avrebbero avuto le più triste conseguenze, se non avesse rinvenuto nel suo spirito le riserve per conciliarsi la stima,
PAG. 52
Ed affezzione d’una Truppa che non poteva per esso sentirla certamente attesa la diversità del partito da loro seguito.
Nel guadare un fiume non poco profondo alla testa della Massa che marciava in colonna, trasportato di gia dalla corrente ebbe la fortuna di salvare la vita al Tamburo e questo tratto di coraggio gli conciliò la stima e rispetto di tutti.
Usando quindi all’opportunità dolcezza, e rigore, vide operarli nei loro spiriti quel cambiamento di opinione, che ben di rado succede in materia politica, per cui dalle canzoni patriottiche, passarono a festeggiare il nome del Pontefice.
Al Porto d’Ascoli, ricevette l’annuncio, che immensa Popolazione scesa ancora dalla Montagna con bande, ed istrumenti musicali era venuta ad incontrarlo. Istruito però dall’esperienza, che queste riunioni popolari dopo sconvolgimenti politici hanno non di rado triste conseguenze, tanto più, ch’essendo giorno festivo, in cui il volgo più del solito si lascia sopraffare dal vino, credette Egli di sacrificare al bene publico lo stesso suo amor proprio rifiutandosi prudentemente ad un ingresso ch’eseguito di giorno sarebbe stato il più seducente, e quasi un trionfo.
Obligò la Colonna ad un lungo riposo, e così a notte assai inoltrata giunse in Ascoli, mentre il Popolo stanco di attenderlo, ritirato nelle proprie abitazioni, non ebbe agio di darsi in preda a quegli eccessi di gioia che nell’ebrietà e nell’esaltamento di passioni lungamente compresse pur troppo avrebbero avuto un tragico fine.Appena ivi giunto s’impossessò dei Posti armati della Città, ed al levarsi i cittadini, ritrovarono la Piazza nelle mani della Truppa di Linea Pontificia.
Nei pochi giorni di dimora colà fatti dal med.o tutto il suo studio si rivolse nel calmare i partiti, nel conciliarli fra loro, e nel far sentire ad ognuno per quanto da esso dipendeva gli effetti benefici del nuovo Regime paterno convincendoli coll’esperienza del loro inganno, ed errore.Riuscì si bene in tale impresa, che partendo da questa Città, un Popolo immenso composto d’ambo i partiti, venne ad accompagnarlo a distanze considerevoli.Il documento N. 16 potrà contestare la soddisfazione dell’Autorità Governativa.La Truppa da esso guidata fu in modo ricondotta allo spirito di fedeltà, e di disciplina che appena giunta in Ancona, servì per formare il Quadro di più compagnie.Finalmente dopo breve dimora in detta Città, assunto il comando di altra compagnia, fu destinato al comando della Piazza di Fermo, ove rimase pel corso di 3 Mesi, quale fosse il suo contegno, e la sua condotta Militare, e politica, potrà vedersi dai Documenti riportati in Som.o N.i 17-18-19 e 20. Per far dimenticare, e
PAG. 53
Ricredere i traviati dai loro errori politici non seppe conoscere miglio espediente, che mostrare egli stesso, o d’ignorarli, o daverli dimenticati, comprovando così, che il perdono del Governo essendo sincero, e generoso, esiggeva il pentimento almeno della gratitudine.
Tanto utile fu un tale contegno che nella sua permanenza sembrarono distrutti tutt’i semi del fatale loro traviamento, ed in tutto questo tempo può gloriarsi, che neppure il più leggero inconveniente turbò la publica quiete non solo della Città, ma neppure d’alcun paese della provincia.
L’interesse del Governo è certamente d’affezzionarsi tutt’i suoi amministrati.
Quando adunque un Impiegato d’esso giunge a questo diffide scopo, mostra il vero attaccamento verso il suoi Sovrano, e meglio d’ogni altro serve al proprio dovere.
Si passano intanto sotto silenzio le gravissime occupazioni per il Reclutamento quivi eseguito sotto l’immediata di lui responsabilità non che l’organizzazione, e direzione del Cordone Sanitario, di cui si ebbe il comando da Civita nuova per finoal Tronto confine col Regno di Napoli – Som.o N.21.
Da Fermo richiamato in Ancona la sua Compagnia, servì a formare il Quadro del 7° Battaglione, il che non può negarsi onorifico per la persona, che ne aveva avuto il comando. Nel momento adunque di questo suo nuovo impianto, ed organizzazione, Egli vi fu destinato a comandarlo, e sembrò al medesimo di corrispondere alla fiducia Superiore nell’averglielo affidato, tosto che giammai il più picciolo rilievo si è fatto sulla di lui gestione.
Nell’accordarsi ad esso il permesso per la dominante(?) nel mese di 7mbre 1831 gli fu ingiunto di seco portarsi tutto il suo equipaggio, dovendo avere altra destinazione.
Questa destinazione non fu che il comando d’un'altra Comp.a, e neppure fu alla 2° classe, la quale fin da quell’epoca gli spettava per diritto incontestabile.
Di più può asserirsi con franchezza che non v’è nel militare alcuna specie di torto, durezza ed umiliazione, di cui ben lunga ne sarebbe l’istoria, che non abbia Egli sofferta da quella epoca fatale in compenso della sua fedeltà, zelo, e servigi importanti. Diventa sorda ed immobile la giustizia a suo riguardo, egli si consola con quei versi mirabili di Virgilio “durate, et vosmet rebus servate fecondis forsitam et hec olim, meminisse juabit”