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L'AMMINISTRATORE CONDOMINIALE PUO' ESSERE SOCIETA' DI CAPITALE
La Corte di Cassazione, sezione civile II , con la sentenza n. 22840 del 24 ottobre 2006 ha stabilito il principio di diritto secondo il quale una persona giuridica può essere nominata amministratore di un condominio.
Tale pronunzia ha cambiato il precedente orientamento giurisprudenziale che trovava fondamento nella sentenza n. 5608 del 9 giugno 1994 che aveva sancito il divieto per le persone giuridiche di assumere l’incarico di amministratore condominiale in quanto – a detta della Suprema Corte – la disciplina del condominio presuppone necessariamente la figura dell’amministratore come persona fisica in quanto, in caso irregolarità nella gestione del mandato, l’Autorità Giudiziaria potrebbe esercitare il controllo su comportamenti riferibili a persone fisiche mentre tale controllo non si potrebbe esercitare nei confronti di una persona giuridica infatti in quest’ultimo caso l’amministratore potrebbe trincerarsi dietro lo schermo societario sfuggendo di fatto alle proprie responsabilità.
La sentenza n. 22840/2006 della Suprema Corte ha ribaltato il precedente orientamento argomentando la decisione nel seguente modo.
Il nostro sistema non conosce disposizioni che limitano la capacità della persona giuridica né ha norme che individuino l’amministratore condominiale necessariamente in una persona fisica, anche in considerazione del fatto che l’istituto dell’amministratore di condominio si è evoluto nel tempo a tal punto che oggi gli incarichi vengono dati sempre più spesso a professionisti ed esperti in materia - e non più a pensionati e dopolavoristi - in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte all’amministratore dalle leggi speciali (in materia di edilizia, sicurezza, tributi, etc.); questo presuppone una complessa organizzazione di risorse (specialisti, contabili, tecnici etc.) tale da potere assolvere a tutti questi compiti che sicuramente possono essere assolti nel migliore dei modi da una società di servizi con una sua organizzazione interna.
Nel nostro sistema esistono norme che regolano l’attività delle società operanti nel campo immobiliare, in particolare, il D.Lgs n. 104 del 16 febbraio 1996 ha previsto l’affidamento a società specializzate della gestione degli immobili dismessi tramite cartolarizzazione dagli enti previdenziali; al contrario non esistono norme che vietino ad una persona giuridica di assumere l’incarico di amministratore condominiale, pertanto, sulla base dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato ed in particolare dell’art. 12 delle disp. preliminari del codice civile (“se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora in dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato”) e quindi della capacità generalizzata delle persone giuridiche, prevista dal nostro ordinamento, in difetto di precisi divieti se ne conclude che una persona giuridica può essere nominate amministratore di immobili.
Tale pronunzia rappresenta un’evoluzione particolarmente importante che comporterà sicuramente la nascita di sempre più numerose società di servizi in grado di dare risposte all’utenza avendo al loro interno tutte le professionalità necessarie.
Per un approfondimento della questione si segnalano le seguenti sentenze: Trib. Civ. Milano 1625/2004, Cass Civ. n. 5608/1994, Trib. Civ. 13198/2004).
Genova, 2 novembre 2006.
Avv. Matteo Campora
Vice Presidente del Centro Studi Immobiliari
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LA SANZIONE DEL CONDOMINIO
Osservazioni alla sentenza Cassazione Civile sent n. 10329/2008, dep. il 21.04.2008.
La massima:
La multa comminata dall’Amministratore di un condominio per il mutamento di destinazione dell’immobile in ambulatorio deve essere inflitta nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 70 disp att. cod. civ, anche se il regolamento di condomino prevede la possibilità di infliggere un importo maggiore della somma fino a Lire cento indicata nella norma, in quanto nel caso contrario la sanzione deve essere considerata nulla, poiché “contra legem”.
La fattispecie:
Un Condominio sito in Roma citava nanti il Tribunale in giudizio i proprietari di tre appartamenti per sentirli condannare: 1) al ripristino della originaria destinazione di abitazione degli appartamenti interni facenti parte della scala dello stabile in quanto gli stessi erano stati adibiti dal 1991 ad ambulatori medici, in violazione dell’art. 12 del regolamento condominiale; 2) al pagamento secondo le quote di proprietà e di godimento, della somma pari a Lire 100.000 al giorno per ognuno dei tre appartamenti oggetto del mutamento di destinazione di uso.
Il Tribunale sosteneva la derogabilità della norma di cui all’art. 70 disp. att. cod. civ. per cui l’Amministratore di un condominio poteva irrogare una sanzione maggiore rispetto a quella indicata all’art. 70 disp. att., ossia un importo superiore al limite massimo delle 100.000 Lire.
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi nella presente fattispecie, con questa pronuncia, ha confermato l’orientamento tradizionale sostenendo che: “L’art. 70 disp att. prevede una disciplina per le infrazioni al regolamento di Condominio con la possibilità per l’Amministratore dello stesso di irrogare, a titolo di sanzione, un importo massimo fino a Lire cento; pertanto stante la predetta disciplina , non possono essere previste delle sanzioni di importo maggiore.”
In particolare, nella presente fattispecie, era proprio il regolamento di condominio, all’art. 23, a prevedere la possibilità per l’Amministratore di applicare una sanzione superiore alla misura massima stabilita dall’art. 70 disp. att. cod.civ.
In questo caso la sanzione deve essere, secondo la Cassazione, considerata radicalmente nulla in quanto l’art. 23 del regolamento condominiale si poneva “contra legem”.
La predetta sentenza conferma, come già evidenziato, l’orientamento della giurisprudenza su questo tema.
In particolare, Cass. 26.01.1995, n. 948, in Foro It., 1995, I, 1846, aveva già dichiarato nulle le disposizione del regolamento di condominio che prevedessero della sanzioni di importo maggiore rispetto a quello dettato dall’art. 70. cit.
I limiti posti all’Amministratore nell’irrogazione della sanzione:
La pronuncia conduce ad una riflessione più articolata e avente ad oggetto i limiti posti a carico dell’Amministratore di condominio nella irrogazione di sanzioni a carico di chi viola, con il suo comportamento, il regolamento condominiale, cagionando danni al condominio con un comportamento di abuso nell’utilizzo della cosa comune.
Si consideri infatti l’obbligo posto a carico dell’Amministratore di Condominio di curare l’osservanza del regolamento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1130, comma 1, n. 1, cod. civ.
In questi casi, parte della giurisprudenza di legittimità ha ammesso la possibilità per l’Amministratore di agire in giudizio per ottenere la cessazione degli abusi posti in essere dai condomini senza che sia necessaria una specifica delibera assembleare ed inoltre anche che l’Amministratore ha facoltà di irrogare una sanzione pecuniaria al condomino, purchè vi sia una espressa previsione in questo senso nel regolamento di condominio (si veda Cass. 26.06.2006 .n. 14735; nella fattispecie in oggetto i condomini non avevano rispettato gli orari previsti per lo scuotimento della tovaglie e la battitura dei tappeti dalla finestre).
Un diverso orientamento ha invece espresso altra parte della giurisprudenza di Cassazione, la quale, pur ribadendo il principio in base al quale l’Amministratore di un condominio deve curare l’osservanza del regolamento di condominio ha tuttavia evidenziato che lo stesso Amministratore non può essere ritenuto responsabile dei danni cagionati dall’abuso dei condomini per l’uso della cosa comune, in quanto l’Amministratore non è dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei condomini, né ha un obbligo di promuovere un’azione giudiziaria contro i condomini in mancanza di una disposizione espressa del condominio o di una delibera assembleare.
Esaminando i predetti due contrapposti orientamenti rimane pertanto da svolgere una riflessione sui limiti del potere dell’Amministratore in questi casi: parrebbe che in virtù del disposto di cui all’art. 1130, comma 1, n. 1, cod civ., l’Amministratore debba intervenire per far osservare il regolamento di condominio e al fine di far cessare gli abusi nell’utilizzo della cosa comune da parte dei singoli condomini; bisogna infatti considerare anche che lo stesso Amministratore può essere ritenuto responsabile per i danni cagionati, oltre che dalla sua negligenza, e dal cattivo uso dei suoi poteri, anche da qualsiasi inadempimento degli obblighi che gli derivano dalla legge o dal regolamento condominiale; pertanto in presenza di una espressa disposizione che preveda l’irrogazione della sanzione a carico del condomino lo stesso può intervenire con l’irrogazione di una sanzione a carico del Condomino.
La limitazione che ha posto la giurisprudenza di Cassazione sul limite massimo previsto per la irrogazione della sanzione trova la sua ratio nella natura della sanzione pecuniaria, in quanto trattasi di una “pena privata “ irrogata dall’Amministratore nei confronti dei singoli condomini; la norma di cui all’art. 70, disp .att. cod. civ. ha pertanto natura eccezionale e non può essere oggetto di deroga contra legem, in quanto, in questo caso, verrebbero muniti gli Amministratori di una potestà punitiva e disciplinare svincolata da qualsiasi limite di legge e legata ad una scelta discrezionale dell’Amministratore.
I soggetti nei confronti dei quali può essere irrogata la sanzione:
Un altro spunto di riflessione che ci fornisce la sentenza in esame riguarda i soggetti nei confronti dei quali può essere irrogata, se prevista dal regolamento, la sanzione pecuniaria: i proprietari degli immobili o i conduttori degli stessi? I nudi proprietari o gli usufruttuari dell’immobile?
In altri termini, la sanzione va irrogata a chi ha il godimento dell’immobile quale conduttore o a chi partecipa dell’organizzazione del condominio?
La Cassazione con alcune pronunce ha precisato che: l’art. 70 disp. att. cod. civ. ha un applicazione destinata ai condomini e pertanto non può trovare applicazione nei confronti dei conduttori degli alloggi condominiali in quanto gli stessi sono estranei all’organizzazione condominiale, anche se godono delle parti comuni dell’edificio (Cass., 17.10.1005, n. 10837, in Giust. civ. 1996, I, 1738).
avv. Gabriella Fregonese - Foro di Genova