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MOTOBONDOËËËËËËËËË
il racconto
“C’E’ UN UNICORNO CHE SEMBRA PASSEGGIARE SOPRA I MIEI PENSIERI E POI SE
NE VA’ VIA...
LA MIA GIORNATA E’ SEMPRE A GROSSO RISCHIO SENTO IL SUO POTERE, HO IL SUO FIATO
ADDOSSO!
E’ UN ABITANTE CHE SEMPRE PIU’ TROVA LA PACE DENTRO ME…
MI DA
QUELL’ATTIMO DI MAGIA …MA IL SUO PIACERE E’ ANDARE VIA”
CIAO ESSERI
UMANI,
L’UNICORNO E’ IN REALTA’ LA MIA FANTASIA CHE GIORNO DOPO GIORNO SI RITAGLIA
SEMPRE UN ATTIMO PER SE’…
E IO VOLO:SONO UN MOMENTO SU UN’ISOLA DESERTA, UN MOMENTO DOPO SU UNA BARCA DI
PESCATORI RIATTATA(IO IMMAGINO DI AVERE UNA BARCA DI QUELLE CHE SOLITAMENTE SI
USANO PER LE USCITA DI PESCA SERALI, TUTTA IN MOGANO CON LA PRUA BIANCA E UNA
BANDIERA SICILIANA SVENTOLANTE, UNA CABINA DI COMANDO GIALLA E VERDE…).
E MI DIVERTO A CIRCUMNAVIGARE L’EUROPA: DA PALERMO “COAST TO COAST” FINO A
MONTECARLO ,POI BARCELLONA ,IL PORTOGALLO,L’INGHILTERRA, LA SCANDINAVIA LE FAR
OER…
E IL MIO
UNICORNO POI VIENE DIABOLICAMENTE CATTURATO DALLA FRENETICITA’ DELLA
VORACISSIMA QUOTIDIANITA’.
E ALLORA MI CI TUFFO’ DENTRO ,MIO MALGRADO, MA BASTA POCO PER RITORNARE CON IL
MIO AMICO…
FORSE NON
TROVERO’ MAI LA CHIAVE DELLA SERENITA’ MA CON IL PASSARE DEGLI ANNI STO’
CAPENDO UNA COSA: CHE LA VITA VA’ VISSUTA ISTANTE DOPO ISTANTE AL 100%, ANCHE
SBAGLIANDO, ANCHE E SOPRATTUTTO INCONTRANDO BURRONI, MA BISOGNA SEMPRE FARE!
L’UOMO DEVE SEMPRE FARE …
SEMPRE!!!
E ALLORA VI INVITO A QUESTO: IMPOSTATE LA VOSTRA VITA(FINO A QUANDO IL DESTINO
NON CI METTE LO ZAMPINO) A SCOPRIRE GLI UOMINI E IL MONDO, PERCHE’ UN’ALTRA
COSA CHE HO IMPARATO E’ LA SEGUENTE: CI SONO LE COSE BELLE E LE COSE BRUTTE E
VOI LO SAPETE TRANQUILLAMENTE QUELLE CHE SONO .
UNA BELLA PASSEGGIATA IN MOTO O IN MACCHINA, UN BOSCO, UN VIAGGIO …E’ UNA COSA
BELLA.
UNA GIORNATA DI TRAFFICO, UN CAPOUFFICIO, UNA MATERIA UNIVERSITARIA PESANTE…E’
UNA COSA BRUTTA.
INDIRIZATE I VOSTRI SFORZI NELLA PARTE CORRETTA!
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Una mattinata di
120 mila anni fa un gruppo di barbutissimi uomini mise piede in Sicilia.
Erano dei Paleolitici che senza colpo ferire si impadronirono di quell’isolotto
sperduto in mezzo al mare.
Dovette andare su per giù così: dopo giorni di “primitivissime” navigazioni
avvistarono finalmente terra. E si incamminarono speranzosi…
Speranzosi di non prendere qualche clavata una volta approdati.
Depositata la loro imbarcazione a riva, uno di loro, sicuramente il più
coraggioso, scese prima di tutti. Era il primo siciliano ed era un Homo
Sapiens, ma non Sapiens Sapiens.
Fatto sta che una volta arrivati, questi cavernicoli che gia sapevano accendere
il fuoco, catturare gli animali, seppellire i morti e disegnare le pareti delle
caverne dove abitavano, si dovettero togliere i pellicciotti di dosso. C’era
caldo !
”Incredibile” dovettero pensare. Era difatti il tempo della notissima
glaciazione di Wurm, e buona parte del mondo aveva un clima decisamente poco
turistico.
La Sicilia si presentava pressappoco così: una splendida foresta ricchissima di
alberi d’alto fusto e piante da frutto. Gli animali dovevano essere
numerosissimi e inquietanti durante le ore notturne. Alcuni roditori avevano
preso delle dimensioni preoccupanti: ghiri giganti e toponi dovevano fare un
certo ribrezzo. Poi c’erano felini con canini a uncino, Elefanti Nani e cavalli
zebrati (o zebre cavalline!).
I rumori della terra accompagnavano spesso le giornate dei neo abitanti, tra
terremoti e boati vulcanici. Ma l’abbondanza e la procacità della terra e del
mare di quell’isola dovevano fare da scudo ai pensieri di fuga dei cavernicoli.
Per di più tutto faceva supporre che l’isola fosse disabitata. E meglio di
così…
Tutto quanto vi ho appena detto sembra essere avvenuto 100 mila anni fa. Almeno
così dicono gli scienziati, perché in verità neanche loro lo sanno tanto. Un
esame al radiocarbonio di alcuni reperti trovati così fanno supporre. Ma io
obbietto!
Volendo iniziare questo mio libro con una scoperta scientifica e basandomi come
i precedenti scienziati su “niente o quasi”, decido da oggi che il primo uomo
in Sicilia vi mise piede 120 mila anni fa!
Detto , fatto…
Fino a quando un altro non mi smentisce con una sua nuova teoria del “niente o
quasi”, questo libro oltre a essere un diario di viaggio entra di diritto tra
le divulgazioni scientifiche.
Ma ritorniamo ai nostri Sapiens. Appena sbarcati e dopo essersi
guardati ben benino attorno, avanzarono lentamente verso l’interno della
foresta fin quando qualche grotta non gli desse ospitalità. E da queste parti
certamente non ne mancavano di ripari sicuri.
E così passavano le giornate tra caccia, rapporti sessuali e dormite. Peccato
che questi antenati che abitavano tutti assieme, o almeno tutti quegli che ci
entravano in una grotta, defecassero nella stessa stanza da letto!
Poi dopo qualche giorno, questi straordinari viaggiatori si mettevano in marcia
per cercare qualche altra grotta. Il nomadismo era alla base della loro vita,
un po’ per cercare nuove zone e soprattuto per evitare di dare punti di
riferimento a eventuali attacchi dall’esterno (e la paura era legata
soprattutto alle femmine del gruppo che erano oggetti preziosissimi per le
tribù erranti del passato).
Passano i millenni e aumentano gli abitanti dell’isola. Questi
uomini incominciano a fare discussioni, e scoprono l’agricoltura che sarà il
pilastro della nuova vita stantia. Nasce quindi l’esigenza di creare dei
villaggi che oltre ad avere una collocazione geografica che li ponesse su
alture o in ogni caso postazioni strategiche per eventuali attacchi nemici,
permettesse alla nuova comunità di praticare per l’appunto l’agricoltura.
E che ne sapevano questi Sapiens Sapiens che quella terra fertilissima avrebbe
basato su questa forma di industria il suo futuro economico.
La presenza dell’uomo era ormai un po’ dovunque e con questa
straordinaria invenzione che è il “riassunto”, balziamo al 10.000 Avanti
Cristo.
L’uomo aveva perfezionato la lavorazione della pietra e da li a poco avrebbe
scoperto i metalli che si rivelarono più efficaci dell’industria litica
soprattutto in tema guerriero.
E dato che il clima a quei tempi non era certo disteso, gli antichi abitanti
dell’isola usarono la pietra solo a scopo ornamentale e ferro, rame e bronzo a
scopo militare.
Altre tribù nel frattempo erano approdate e la vita scorreva tra un battibecco
e l’altro…
Successe che arrivati ad un certo punto della storia una flotta di
Greci si imbattè in Sicilia.
Era l’anno 734 A.C.
Questi tizi dopo un accurata perlustrazione via mare e a debita distanza,
dovettero pensare: “O qua non ci sta nessuno o appena sbarchiamo le buschiamo
di santa ragione !”
Ma dato che la stanchezza di giornate a navigare oramai aveva
abbattuto qualunque tipo di timor panico, decisero di approdare.
Uniti uniti e con gli occhi ben sgranati, questi ellenici di stirpe dorica si
intrufolarono tra le selve della fertilissima terra appena conosciuta.
Niente! Non c’era proprio anima viva.
Decisero allora di fondare una città proprio in riva al mare e la chiamarono
Naxos, niente sapendo che nel corso dei secoli quella loro colonia si sarebbe
trasformata in una vivacissima stazione turistica delle più rinomate.
Cammina oggi e cammina domani si imbatterono in primitivi abitanti della
regione che armati di tanta buona volontà (e quella non serve in questo genere
di cose) dissero pressappoco la seguente “ Bubu’ oba du ssuu! (“andatevene
subito brutti fetenti!).
I Greci, ben più organizzati e astuti, gli riempirono di sberle e i poveri
indigeni se la batterono frettolosamente.
Fu così che i discendenti di Omero si impadronirono della Sicilia
iniziando a formare le loro città-stato. Strana gente questa: illustrissimi
pensatori tanto quanto capricciosissimi viziosi. Con le parole facevano
miracoli, ingabbiando astutamente i loro interlocutori e dominandoli
letteralmente col verbo. Ma se c’era da organizzare un’orgia “schizzavano” da
tutte le parti i promotori. E non c’era distinzione di sesso !
Anche quando organizzavano voracissimi banchetti erano tutto un programma!
I loro simposi (mangiate con chiacchierata e spettacolini vari, brevemente)
avevano tutto un cerimoniale che a tutt’oggi apparirebbe anacronistico, ma che
a tutt’oggi, ne sono convinto, è invece il piacere di pochi eletti.
Immaginate questa tavolata che tra una pietanza e l’altra si allieta con una
chiacchierata di natura filosofico-umoristica o che si gusta una danza del
ventre o una suonata di violino…
Avevano eletto tale Zeus a somma divinità e in breve sintesi questo super eroe
era un indiscutibile donnaiolo anche un po’ amante del bere, che dall’alto del
suo stato privilegiato, dispensava consigli e inviti alle buone maniere ai suoi
tremendi fratelli e sorelle.
Ad uno di questi, Poseidone, Zeus regalò la Sicilia.
Quando i Greci costruivano le loro città stato, nei punti più alti sorgeva la
cosiddetta Acropoli, dove sontuosi templi ad onore degli Dei venivano eretti.
La città vera e propria si svolgeva in basso e a dire il vero questi furbi
intelletualoidi costruivano le case un po a casaccio.
Diciamo che mancava qualsiasi progetto urbanistico, l’igiene lasciava un po’ a
desiderare e i muri delle case erano così facili a perforare che a quanto pare
i ladri (che erano chiamati “foramura”) facevano prima a bucare le mura esterne
piuttosto che entrare dalla porta!
Ancora su questi tizi: indossavano una tunica di cotone che oltre che da abito
quotidiano serviva anche da camicia da notte.
Le donne non contavano niente se non quando si sposavano: allora diventavano le
padrone della casa. Ma il marito le poteva legalmente cornificare.
I Greci non conoscevano il sapone e per lavarsi si sfregavano il corpo con
sabbia e olio, mentre le donne si depilavano e usavano anche allora, creme di
bellezza!
Facevano colazione con pane bagnato in un bicchiere di vino e andavano pazzi
per un brodetto nero fatto di carne di maiale, sangue, aceto e sale.
Mangiavano rigorosamente con le mani…
Ma realizzarono grandiose opere a tutt’oggi visibili e donarono l’isola di
ricchezza,pace e prosperità per circa sette secoli.
Fu così che la storia fece incontrare Greci e Romani…
I Romani all’ennesimo tentativo scacciarono i Greci dall’isola e la definitiva
vittoria fu quando conquistarono Siracusa, la più gloriosa delle colonie
Greche.
Tutto questo nonostante un curioso siracusano, tale Archimede
inventore-scienziato dell’antichità, che non sapeva più che progettare per
allontanare l’insidia dei discendenti di Giulio Cesare.
Così quando i Romani assediarono Siracusa dal mare, questo talentuoso inventore
prima gli scacciò tirandoli enormi massi grazie alla catapulta e poi mentre i
poveri invasori si vedevano piovere pietre dal cielo, incendiò le loro navi
grazie ad un sistema di enormi lenti di ingrandimento che riflettendo i
riflessi dei raggi solari incendiava le navi dei malcapitati.
Ma tutto questo servì solo a ritardare l’inevitabile successo del nemico. Non
oso pensare la fine che fece il buon Archimede caduto in mano ai Romani.
Ed ecco i Romani.
Essi ridussero la Sicilia a Provincia romana il che significava a “granaio” di
Roma, il che significava che tutta la produzione agricola della regione
innanzitutto doveva soddisfare le esigenze dei conquistatori.
E fu così che in Sicilia arrivò il cristianesimo, religione che avrebbe segnato
in maniera potentissima la storia di questa parte di mondo (e per parte di
mondo intendo metà di mondo!)
Fu però questo un gran popolo che a confronto con i Greci aveva una gestione
politica più strategica e consapevole dei pericoli esterni.
I Greci sono crollati vittime dei loro stessi ozi e della sicurezza di anni al
potere.
I Romani costruirono imponenti strade e inventarono la giurisprudenza, pilastro
della società civile (o labirinto della verità).
Questi Romani nella loro folle corsa alla conquista dell’universo arrivati ad
un certo punto della storia dovettero fare i conti con la realtà: e si
sgretolarono.
A dare loro la mazzata definitiva fù il prorompente avanzamento
degli Arabi che facilmente si impadronirono dell’isola.
Questi tizi gia seguaci di Allah, portarono alla Sicilia lusso e benessere
nonostante oggi sembrano il simbolo del pericolo.
Ma probabilmente la loro società attuale e vittima del loro passato, un po’
come i siciliani: i primi schiavi dei loro ozi remoti i secondi della loro
identità continuamente in discussione.
Ma torniamo ai califfoni.
Essi oltre ad una tollerante politica sociale (permettavano il connubio delle
due religioni, musulmana e cristiana), donarono la Sicilia di un imponente e
funzionante sistema di irrigazione, abbellirono soprattutto Palermo con opere
architettoniche di indiscusso valore, importarono la coltura dell’arancio,
nobilitarono in generale la vita degli abitanti isolani.
Questi ci sapevano proprio fare. Erano degli strateghi invincibili del lusso e
del savoir-faire. I loro splendidi mosaici abbellirono diverse strutture
dell’isola.
Erano talmente deliziosi che il popolo che gli scacciò continuò la loro
politica e il loro modo di fare.
I Normanni (gente venuta dal nord europa) ricristianizzarono i
rimbecilliti abitanti che quindi, e siamo nel 1060, avevano ora dei nuovi
padroni.
Il più grande e importante dei Re Normanni, tale Ruggero II, fece erigere
monumentali strutture qua e la per l’isola.
E spesso si avvaleva dell’estro di artisti arabi.
Ma molti siciliani erano ormai di credenza musulmana. E il Re Ruggero II una
volte disse: “ Donne, andate in pace: ognuno preghi il Dio in cui crede”
Storia vuole che uno dei discendenti della stirpe normanna non aveva figli e
una sua sorela si sposò con uno svevo (tedeschi).
Inizia così la dominazione Sveva in Sicilia. Ci furono due Re,
padre e figlio.
Il padre era un gran figlio di buona donna e si chiamava Enrico VI: era cattivo
e crudele.
Forse fu cornificato, perché non si spiega come da tanta malignità nacque il suo
eccezionale figlio, Federico II di Svevia, che i suoi stessi contemporanei
chiamarono lo “stupor mundi” (la meraviglia del mondo) per la sua straordinaria
cultura linguistica, filosofica, scientifica e astrologica.
Questo specie di super uomo aveva fatto della sua corte palermitana un centro
di cultura internazionale, tanto che il sommo poeta italico, Dante Alighieri,
fregiò Palermo come culla della poesia e letteratura italiana.
Quando il grande Federico morì, e siamo nell’anno1266, la chiesa
cristiana governava i destini di questa parte di mondo e decise che la Sicilia
sarebbe stata governata dai Francesi (gli
Angioini).
Questi tizi governarono appena vent’anni perchè in neanche una
generazione riuscirono a far imbufalire gli isolani che gli scacciarono
brutalmente.
Il motivo di tanto odio è il solito: le donne!
I Francesi sottomisero l’isola con un regime abbastanza duro e per effettuare
controlli sulla popolazione usavano “palpare” le donzelle per appurarsi che non
portavano armi.
Questo ai siciliani non piaceva (capisco che qualcuno potrebbe approvare
quest’usanza transapina…).
Fu così che quando una giovane e prosperosa palermitana appena sposata uscì
dalla chiesa, una truppa di soldati francesi volle controllare se aveva armi
con se. Si vede che l’ufficiale in questione volle approfondire (e non si sa se
per scrupolo o altro) che quello che toccava non erano due bombe!
L’ufficiale in questione era il militare Drouet, e correva il 30 Marzo 1282: la
storia ricorda questa data come la “toccata della rivolta”.
Al grido di “Mora, mora” i siciliani iniziarono una spietatissima caccia ai
francesi.
Per riconoscerli quando incontravano un tipo sospetto, i siciliani gli facevano
dire “ciciru”(cece): e poiché i francesi pronunciavano sisiru o kikiru, in
quanto mancano della pronuncia palatale, li colpivano a morte.
Questo evento è ricordato nella tradizione popolare con il nome di “Vespri
siciliani” ed è l’unico esempio di ribellione di questo popolo continuamente
sottomesso.
Scorre il tempo ed ora i nuovi dominatori sono gli Aragonesi di
stirpe spagnola.
Essi introducono quella che forse è la più grande piaga della storia siciliana:
il feudalesimo.
Esso consiste brevemente, nella spartizione terriera del territorio, il feudo
per l’appunto, che altro non è che un grande appezzamento di terreno in cui il
proprietario gestisce attraverso la manovalanza di un gruppo di persone
sottopagate, un grosso potere economico e in questo caso, agricolo.
Il feudo ha una grossa casa principale, quella del padrone, attorno a cui
gravita un quartiere di povere case della gente che ci lavora.
Nel corso degli anni queste potenti famiglie che avevano oramai radicato il
concetto di prevaricazione sul popolo contadino non vollero più perdere questa
condizione di privilegio nonostante alcune leggi mitigavano il loro potere.
Ma il più era gia fatto: essi erano troppo forti per essere disturbati da
qualsivoglia legge. Ed erano anche troppo ricchi per farsi sottomettere. Così
chiunque anche a ragione volesse opporsi a queste soverchierie, era subito
azzittito da malviventi ingaggiati dagli stessi padroni. E’ forse qua da
ricercare l’origine del concetto mafioso che altro non è che una sorta di
tirannia comune a tutte le civiltà odierne!
Siamo gia nel 1700 e passa …
Dopo alcune insignificanti dominazioni, l’11 Maggio 1860,l’eroe
italico Giuseppe Garibaldi sbarca a Marsala con i suoi mille.
A questi mille (che in realtà erano poco più di settecento), si unirono 10.000
siciliani e tutti insieme conquistarono l’isola annettendola all’Italia.
E finalmente arriviamo noi!
2
La motocicletta e’ un mezzo di locomozione.
Anche l’aereo e’ un mezzo di locomozione.
Ma la moto e’ un mezzo di locomozione romantico.
In verita’, qualunque cosa dia spazio libero alla mente e’ una cosa romantica.
Anche l’aereo da spazio libero alla mente, perché la sopra o pensi a qualcosa o
sei fritto.
Io e Zigomì viaggiamo in moto e vorremmo farlo fino a quando i riflessi sono
più veloci del pensiero.
Zigomì è la mia stella cometa…
3
Arrivammo in Sicilia attraverso un’imbarcazione presa a Reggio
Calabria, ultimo lembo d’italia prima di approdare all’isola.
La cittadina di Messina è il punto d’approdo.
Attraversammo questo tratto di mare che in appena 3 chilometri unisce la
penisola italiana alla maggiore delle sue isole.
Questo breve tratto di mare è stato nel passato frutto di bellissime leggende,
come quella di Colapesce.
Era Cola, un vivace ragazzo messinese che era diventato famoso presso i suoi
concittadini perché si immergeva a mare e riusciva a stare diverse ore sott’acqua
a parlare con i pesci o a danzare con le sirene. Sua madre si preoccupava di
tutto questo e lo esortava a non stare tutto questo tempo sott’acqua.
Successe che un giorno si invaghì della figlia del Re Federico II, il più
illustre dei regnanti isolani di tutti i tempi. Ma lei neanche lo degnava di
uno sguardo. Un giorno il Re si trovava nel mare di Messina a bordo della sua
imbarcazione e c’era pure la bellissima figlia.
Suo padre il Re stava cercando un marito degno per lei, ma nonostante le
proposte di principi e nobili da molte parti del regno non aveva trovato
nessuno degno della propria figliuola. Nessuno che unisse oltre alla bellezza
il coraggio e le maniere gentili classiche dei prodi.
Quando Cola seppe che l’imbarcazione del Re era nello stretto di Messina si
buttò a mare e la raggiunse.
Quel bellissimo volto e quelle maniere gentili conquistarono subito la
curiosità del Re e della sua corte che già sapevano dei prodigi di cui era
capace. E allora disse il Re. “Ho sentito dire che tu parli con le sirene del
mare e che nuoti come un pesce. E’ vero?”
”Certamente – rispose Cola – Io passeggio nel fondo del mare come tu e la tua
corte passegiate per i vostri giardini. Io parlo con gli abitanti degli oceani
come la tua bellissima figlia fa con le sue dame!”
Un mormorio di stupore si levò dal battello.
”Orbene – disse il Re - , voglio metterti alla prova. Lancerò in mare questa
coppa d’oro massiccio e se me la riporterai ti farò ricco”. “Anch’io – aggiunse
la principessa che già si era intenerita alla vista di quel bellissimo viso –
voglio metterti alla prova. Lancerò in mare questa mia preziosissima cintura e
se me la riporterai …ti darò la mia mano da baciare!”
E detto ciò il Re e la principessa buttarono in mare le loro cose.
Cola con lo sguardo seguì il volo dei due oggetti e subito dopo si buttò a
mare.
Una gran folla di messinesi si era intanto riunita sulla spiaggia non molto
lontana e seguiva con trepidazione la vicenda.
Dopo poco tempo Cola emerse con i due oggetti e un urlo di approvazione si levò
tra la folla.
Il Re rimase allibito ma non pago e volle rimettere Cola alla prova.
E rigettò in mare las coppa tempestata d’oro e dal peso notevole e la
principessa una collana fatta d’oro e diamanti con la promessa che se gli
avrebbe riportati si sarebbe fatta abbracciare.
Cola si ributtò a mare.
La folla dopo un urlo di incoraggiamento stette in silenzio in trepida attesa.
Le acque incominciarono ad agitarsi ma di Cola nessuna traccia fino a
quando…emerse dal mare con i due oggetti ed un urlo di sollievo accompagnò il
suo ritorno.
Ma il Re Federico non si appagò e per la terza volta fece buttare la sua coppa
in mare, la dove gli abissi erano più profondi e il mare si incanalava in una
gola stretta e buia. La principessa a quel punto si tolse l’anello e disse: “O
Cola! Io getterò il mio anello di zaffiri e diamanti e se tu me lo riporterai –
disse arrossendo .- sarò tua sposa! “
Un grido di terrore si levò dalla folla:”O temerario! Non cercare la morte! Tu
non puoi superare questa prova le correnti sono troppo forti”.
Ma intanto l’anello e la coppa erano gia volati in mare.
Cola guardò intensamente il luogo dove erano affondati e si lanciò in mare.
Il silenzio avvolse gli istanti che seguirono.
Il tempo passò e si fece sera, ma di Cola non si vedeva nessuna traccia. Egli
non tornò più a galla.
Ma non perché non avesse trovato i due oggetti. Ma perché mentre negli abissi
gli cercava vide che le colonne su cui poggiava Messina erano sul punto
d’infrangersi. E allora vedendo che la sua terra poteva da un momento all’altro
crollare volle sorregerla col suo stesso peso. E quando qualche scossa sismica
fa la sua presenza, si dice che Colapesce ha avuto un attimo di stanchezza.
Evviva Cola!
4
Messina si presenta vivace e confusionaria.
Arriviamo alle 10 di mattina di una giornata assolata. Siamo a Ottobre è il
caldo da queste parti è una presenza costante e, in questo periodo, piacevole.
In verità lo è anche nei restanti periodi dell’anno.
La Sicilia è una terra che può essere visitata in moto sempre.
Dopo aver attraversato velocemente il centro cittadino ci dirigiamo verso
l’autostrada che unisce Messina a Catania direzione Taormina.
La quotidianità e quella tipica delle metropoli occidentali. Traffico, clacson,
commercianti e ambulanti sparsi per i sentieri della frenesia.
Io sogno una vita “disordinatamente ordinata” e il viaggio mi avvicina sempre a
questa sorta di paradiso utopistico.
Per disordine intendo una ribellione alle regole della società mentre per
ordine intendo una riappacificazione con i valori.
Vi farò sapere…
Siamo in Sicilia a cavallo della nostra moto, siamo in viaggio alla scoperta di
una terra che ha quanto pare ha nel suo passato e nei suoi colori un’innegabile
forza attrattiva. Ma tutti i posti nuovi ce l’hanno. E noi cerchiamo queste
emozioni ma con la ponderatezza di chi apprezza anche le sue cose, la sua casa,
il piacere di tornare.
Partire per il gusto di tornare, come dice un cantante isolano a proposito
della sua terra.
L’autostrada che da Messina porta a Taormina è un tratto incantevole di questa
terra.
I colori del cielo addolciti dai raggi del sole, fanno da splendida cornice
alla scena: il mare e la vegetazione, che è variegata come non ti aspetti.
E’ incredibile come l’aspetto cromatico di questa terra ti vince e ti
conquista.
La particolarità stà nell’immediatezza che la devi cogliere subito. Ti senti
affascinato e non capisci da cosa. Il nostro sguardo toglie il trono al verbo e
solo dopo capiamo che entrambi eravamo vinti dal paesaggio.
In verità questo capita in qualunque posto nuovo si visiti, ma questa
sensazione di rapimento continuo l’avremmo provata anche nei giorni seguenti.
Lunga vita ai viaggiatori…
5
Forza d’Agrò è un paesino arroccato sul litorale messinese
Un tratto di strada di 5 chilometri lo unisce al litorale sottostante.
Non perdetelo…
6
Ancora stento a credere alla bellezza del posto in cui siamo
capitati.
Ridiscendiamo da Forza d’Agrò e ci dirigiamo verso Taormina Nord.
Passiamo attraverso un litorale lussuoso e spettacolare: nei suoi strapiombi,
nelle sue case adornate di splendide ceramiche, di esterni in pietra lavica o
pietra bianca, nei suoi fiori e nel suo mare che sono un trionfo della natura
ma soprattutto dell’arte, quella più bella e inimitabile: l’arte del creato!
Da queste parti il popolo greco fondò la prima delle sue colonie in Sicilia. E
questo rafforza la mia idea sul fatto che gli ellenici oltre ad essere dei
validi navigatori erano anche dei lungimiranti e ludici conquistatori.
La salita a Taormina si svolge a passo da trotto, talmente è bella e da non
dimenticare. Anche la moto sembra rallegranersene(e qua sto forse esagerando!).
Taormina è una borgata lussuosissima. Un viavai di turisti mi fa capire che non
siamo i primi ad averla scoperta.
Questo leva qualcosa alla nostra vanità ma niente all’obiettività.
Abitata sin dai tempi preistorici fu poi, nel 392 A.C. conquistata da Dionigi
I, tiranno greco di Siracusa, e poi i
Romani, gli Arabi e i Normanni.
Taormina è ricca di zone archeologiche dove è possibile ammirare
il Teatro Greco (secondo in Sicilia per vastità dopo quello di Siracusa)
costruito in epoca ellenistica e poi ampliato dai Romani, i resti dell'Odeon,
costruzione romana di età imperiale e le Naumachie, un grandioso avanzo
di ingegneria idraulica dell'epoca romana.
Sono le 13,00 e decidiamo di fermarci ad un Bar per gustare una granita che
della Sicilia è un caposaldo.
La granita è un gelato freddo ma di consistenza quasi liquida tanto che in
alcune zone dell’isola si usa come dissetante mentre in altra la sua
consistenza più compatta sempre granulosa ma mai cremosa, ne fa la reginetta
delle colazioni siciliane, o dei pranzi delle ragazze in estate. Sempre
accompagnata da una Brioches o da un cornetto. Una sorte di latte e biscotti ma
fresca e dai mille gusti: cioccolatta, limone, fragola, caffè, gelsi, pesca,
mandorla…
In alcuni paesi della Sicilia Occidentale la fanno solo da bere ed
esclusivamente quella di limone. Durante il nostro viaggio avremmo fatto
incetta di questa dissetante e dolcissima bevanda.
A Taormina posteggiamo la moto al di fuori della zona pedonale e attraverso una
porta muraria che ricorda civiltà antiche ci immettiamo nel Corso Umberto I,
arteria pedonale del paesino. E’ una splendida passeggiata che trascorre tra
negozi lussuosi, piccole viuzze che si intersicano tra loro e ricordano uno
stile arabeggiante nel dedalo di cortiletti che si rincorrono tra loro, bar e
professionisti del marciapiede: uno di loro espone nella sua vetrina ambulante
una serie di paesaggi bellissimi siciliani, un altro fa ritratti-ricordo, un
altro ancora offre al passante splendidi monili in arte povera.
Io sono sempre attratto da queste persone e spesso mi fermo a parlare con loro,
soprattutto quando il loro esporsi è dignitoso e frutto di una filosofia di
vita. Oramai glielo leggo negli occhi il loro desiderio di pace nel trascorrere
le giornate in questo modo. Questa forma di apparente pigrizia nasconde secondo
me una grandissima capacità di osservazione che parte proprio dalla lenta
organizzazione della quotidianità. Anch’io un giorno mi prometto di provare
questa splendida esperienza che è il vagabondaggio che, sia ben chiaro, non è
elemosina che invece è il lato oscuro di questa filosofia.
Io e Zigomì siamo particolarmente attratti dalla struttra arabeggiante di molte
delle case del Corso. Alcuni ingressi sono deliziosi: intarsiate porte in ferro
battuto ricoperte da coloratissimi vetri che nella vivacità dei loro colori
riescono a trovare una curiosa armonia.
Gli Arabi sono artisti in questo: nel rendere sobria l’eccentricità, nel dare
valore spirituale a qualunque aspetto della casa, in una sola parola,
nell’intraprendenza architettonica.
Nella clamorosa e confusa sovrapposizione dei loro stili e colori trovo sempre
una certa serenità visiva che mi riconcilia con il “bello”.
Il colore bianco delle pareti di alcuni cortili arricchiti da eleganti
composizioni floreali interrompe di tanto in tanto la vivacità del Corso.
Taormina è meta di tanti turisti e residenza di alcuni famosi artisti che qua
ha trovato la sua oasi di benessere.
Uno di questi è Jim Kerr, leader
storico di una delle più riuscite pop band degli anni ’80: i Simple Minds
(menti semplici).
Parlando con il barista della nostra famosa granita, lui ci aveva detto che
settimanalmente si vedevano per l’immancabile partita di calcetto, gioco per il
quale la rockstar andava matto.
Ma il fatto curioso fu quando scopriì che il cantante si era talmente
immedesimato nei panni del siciliano che la parola ricorrente con la quale
questo popolo intercala ogni sua discussione, e cioè “minchia”, lui non solo la
usava regolarmente ma aveva deciso che il prossimo disco del suo gruppo si
sarebbe chiamato in questa maniera!
Minchia (che da ora in avanti scriveremo senza virgolette), in
questa terra assume mille significati, dal pene maschile a…tutto il resto.
Così per esempio, i siciliani dicono: “Che minchia vuoi?” (che cosa vuoi),
“Minchia è una bella giornata” (Oh che bella giornata!), “ssu minchiate” (sono
fesserie)…
Minchiaaaaaaaa…
7
Se c’è una cosa
che in Sicilia non potete perdere è l’immancabile, per l’appunto, visita ai
suoi tesori archeologici.
Taormina è depositaria, come dicevo prima, di uno dei più bei teatri greci
dell’umanità, sede durante il periodo estivo di suggestive rappresentazioni
classiche.
Taormina sorge su una splendida altura quasi a strapiombo sul mare, il che
significava nel lontano passato una postazione strategica per l’avvistamento
del nemico. La Sicilia che è stata abitata assiduamente sin da 100 mila anni
fa, presenta in tutta la sua estensione diversi cocuzzoli che erano mete
privilegiate per la bellicosa società dell’antichità.
I Greci che grazie alla loro potenza militare avevano anche il tempo per unire
l’utile al dilettevole, non si fecero sfuggire questa magnificenza della
natura, ed eressero un proscenio per le loro rappresentazioni, il cui palco
rendeva più indimenticabile la rappresentazione grazie alla sua posizione
naturalistica, con il mare sullo sfondo!
Che meraviglia doveva essere assistere la sera alle tragedie di Eschilo!
”Giove signor di chi pregando viene, or con benigno ciglio riguardi noi, dalle
minute arene qua del Nilo approdanti. La divina terra a’ Siiri vicina, non
dannate ad esiglio per cruento delitto lasciammo, no; ma per fuggir le sozze
dei congiunti con noi figli d’Egitto abbominande nozze” (da: Le supplici).
Poi i Romani una volta al potere, ingrandirono il teatro per renderlo idoneo al
loro sport preferito: le lotte nelle arene tra gladiatori. I Romani prendevano
degli schiavi di buona corporatura e gli buttavano dentro questo sanguinoso
proscenio. La vita era la vittoria, la morte la sconfitta!
E queste brutalità erano all’ordine del giorno in quell’epoca in cui la vita
sembrava avere un valore minimo.
Oggi è sede di indimenticabili rappresentazioni classiche, nel periodo estivo.
Lasciammo il
teatro e ritornammo verso la moto che come sempre silenziosamente ci aspettava.
Essa è come un cagnolino fedele anche se a volte la troppa sicurezza dei padroni
viene punita dispettosamente.
Ma noi questo lo sappiamo e non scordiamo mai di curarcene.
8
L’arte greca ha avuto in Sicilia un’importante centro della sua
espressione.
E’ importante capire che questa terra fu molto probabilmente colonizzata da greci
scacciati dalla madre patria e che dopo appena una generazione si ritenevano
più siciliani che orientali.
Quindi molte di queste opere furono il frutto della genialità non solo di un
vecchio stile greco, ma anche dell’abilità di questi nuovi siciliani.
Le città erano costruite secondo il principio urbano di Ippodamo
da Mileto, che è il promotore della pianta a scacchiera secondo un modello
costituito da due assi: il cardo e il decumano maggiore, attorno a cui poi si
sviluppavano i minori.
All’interno di questa struttura sorgevano poi le varie e rinomate aree ed
edifici di stile greco:
- l’agorà, che rappresenta la piazza principale ed il centro della vita
pubblica, dove i filosofi immancabili chiacchieravano a ruota libera e gli
anziani sedevano come sempre all’ombra.
-il pritaneo, che alle spalle dell’agorà ospitava negozi di tutti i tipi e
mercanti per tutti i gusti.
-l’iekklesasterion, che è un edificio pubblico profano in cui si svolgono
riunioni popolari.
Sorgeva poi, in posizione dominante in modo che da tutte le parti della città
potesse essere visibile, l’Acropoli, dove sorgevano i templi ed il teatro.
Motivo questo, per cui tali strutture spesso si trovano in posizioni
panoramiche di magnificente splendore.
I templi, che erano la dimora degli dei e che spesso venivano
edificati anche da ricchi cittadini privati, in Sicilia sono stati un perfetto
esempio di ordine dorico, quello più sobrio, che aveva le colonne che
poggiavano direttamente sullo stilobate (basamento) e il capitello privo di
decorazioni scolpite.
Il tempio è costituito da una camera centrale dove solitamente era posta la
statua del dio in questione e che si chiama Naos
(cella). Davanti alla cella si trova il Pronaos
mentre, nella parte posteriore, l’opistodomos
che serve da camera del tesoro.
Tutto intorno si sviluppa il colonnato che spesso è esastilo (con 6 colonne).
Per la semplicità della sua struttura e la perfetta armonia delle sue
proporzioni l’architettura del tempio è considerata il prototipo della bellezza
ideale.
I teatri servivano per rappresentazioni che si svolgevano in
occasione di feste pubbliche, non come oggi che sono programmate secondo un
calendario non religioso.
Spesso le opere si svolgevano in occasione delle feste dionisiache (in onore
del dio del vino Dionisio. E quando c’era da bere i Greci non si tiravano
indietro!).
L’edificio comprende la cavea o tribuna,
l’orchestra circolare dove prendono il posto il coro e gli attori e un proscenio sullo sfondo che serviva da
scenario.
Gli attori erano esclusivamente uomini e avevano il volto coperto da maschere.
Erano di alta statura che per i greci era sinonimo di bellezza.
Dato che la mimica facciale era preclusa dalle maschere, spesso un coro
sottostante il palco, narrava gli accadimenti.
C’erano anche effetti speciali: la macchina per produrre fulmini, che altro non
era che un pannello nero su cui era riprodotta, in oro zecchino, una saetta
che, mostrata all’improvviso, riluceva al sole (ricordo che questi spettacoli
si tenevano all’aperto e di giorno).
Esilarante era l’invenzione della macchina del tuono, in cui il rombo era
ottenuto facendo rotolare grosse pietre in un recipiente in ottone o il
Mechanè.
Zeus docet…
9
Sono le 14,00 quando decidiamo di lasciare la splendida Taormina.
Ridiscendiamo verso il mare e una sequenza di splendide case siciliane in
pietra bianca con il solito Ficodindia a fare da contorno, e con il panorama
del Mediterraneo in basso a fare da
gocciolina, ci fa sorridere i cuori…
Le persone fanno il bagno allegramente, e il clima è dei più romantici.
Un leggero languorino si impossessa del nostro stomaco, ma noi non ci facciamo
sfuggire la regola che contraddistingue le nostre passeggiate terrestri: mai
mangiare a pranzo!
Preferiamo tenerci leggeri e vedere per poi divorare cibo e alcool nelle
spensierate ore notturne.
Attraversiamo Giardini Naxos (dove i Greci fondarono la prima colonia siciliana
ed oggi sede di frenetiche e giovanili notti estive, Calatabiano (dominata dal
magnifico castello Arabo) e la piccola frazione di Gaggi. Poi la strada si
immerge nelle campagne dell’Alcantara, mitico fiume di questa parte di Sicilia.
Di colpo siamo all’interno della regione e la curiosità dei nostri
sguardi e rivolta ai paesaggi di questo tratto di Sicilia.
In 10 chilometri è cambiato tutto…
Qua è un’alternanza di case basse e terreni agricoli, montagnole desolate,
rumori d’acqua, immancabili ficodindia e cibo per la solita riflessione: “Qua
ci vivrei tutta la mia vita!”.
L’Alcantara scorre alla nostra sinistra e da questa parte la vegetazione è
rigogliosa per la presenza dell’acqua del fiume. Una signora anziana coltiva il
suo giardino a strapiombo sul fiume. Agrumi, olivi e ortaggi sono le
coltivazioni privilegiate in questa valle dai caratteristici colori siciliani.
Un paesino abbarbicato su una montagna è il pretesto per una veloce visita.
Motta Camastra sembra essere stata costruita prima della montagna su cui è
abbracciata, talmente è millimetrica la distanza tra la sua piazza ed il
burrone sottostante. Una strettissima via principale accompagna la moto, unico
rumore di una mite quotidianità.
Riscendiamo dalla stessa strada e arriviamo all’ingresso delle Gole
dell’Alcantara.
Un pittoresco esercizio sulla strada provinciale attrae la nostra mente, che in
viaggio ha una soglia bassissima per la curiosità.
Questo posto è gestito da una tedesca che ha sposato un siciliano. Da buona
germanica la signora è una specie di tuttofare all’interno dell’azienda che
oltre a produrre invitanti salse e marmellate al gusto di pistacchio, noci,
olive…funge anche da ristoro per i passanti, grazie ad una serie di disordinati
tavolini in legno che altro non fanno che stuzzicare l’appetito dei viandanti.
Reggiamo l’urto della fame e acquistiamo un barattolo di crema al pistacchio,
ben decisi ad andare a vedere il fiume.
Il simpatico suocero siculo della tedesca ci fa posteggiare la moto dentro la
sua proprietà e, grati di tanta cortesia, ci dirigiamo verso l’ingresso comunale
delle gole (poco prima c’è un ingresso a pagamento, non fatevi fregare!).
La scalinata che scende alle gole del fiume Alcantara e ripida e suggestiva.
Affrontiamo i 226 gradini a strapiombo divertiti nonostante il gran caldo.
Man mano che scendiamo vediamo le genti che affollano il sito, ma non ce ne
preoccupiamo.
La storia dice che gli Arabi, nel periodo che regnarono nell’isola, provarono a
“coltivare” i coccodrilli da queste parti. Ma di questi rettili fortunatamente
non v’è più presenza.
Arrivati in fondo alla scala, Zigomì aveva il problema di mettersi il costume e
una casetta comunale sulla nostra destra nascondeva le grazie della mia
adorata.
A me bastò un attimo per mettermi in abbigliamento estivo.
Questo fiume nel corso dei millenni ha scavato dei solchi profondissimi tra le
rocce dell’ostinata pietra lavica.
Il bagno nelle sue gelide acque a 10 gradi non potevamo perderlo.
E mentre Zigomì congelava i suoi piedi in uno straziante pediluvio, io
addolorai il mio corpo con un tuffo che per poco non mi costò una fatale
congestione!
Ma se togli il brivido dell’esperienza ad un viaggio, togli quasi tutto!
Dopo esserci asciugati notammo un tizio che vendeva oggetti misti ad un angolo
delle sponde.
Due bambine lo aiutavano, tra un bagno e l’altro.
Era il solito venditore-vagabondo che in me scatena sempre una irrefrenabile
voglia di sapere.
”Ciao, molto belli i tuoi oggetti. Sei di qua?- chiesi.
”Sono del mondo- rispose-, ma comunque vivo a Castiglione di Sicilia, quando
non vado in India da Sai Baba. Molti di questi oggetti provengono da la…”
Io comprai un portachiavi che proveniva “da la” e che da quel
momento gratificai ad apripista della mia moto e Zigomì un cappellino che
immediatamente usò per coprirsi dalla calura.
Ripartimmo fretolosamente con il cielo che sembrava minacciare cattivo tempo.
Passammo da Francavilla di Sicilia e da la seguimmo le indicazioni per Novara
di Sicilia, percorrendo una strada lunga 27 chilometri e che si sarebbe
rivelata una delle più suggestive del viaggio: la Statale 185.
10
Il tempo in lontananza non lasciava prevedere nulla di buono. La
strada inizialmente scendeva a valle dove il fiume, che è un insignificante
affluente dell’Alcantara, in questo tratto ha un regime torrentizio. Siamo a
circa 300 metri sul livello del mare e la strada prima di arrivare a Novara di
Sicilia toccherà il suo punto più alto a Portella Mandrazzi a 1125 metri.
Il paesaggio incomincia a nobilitarsi man mano che si sale di quota e la valle
sottostante è un panorama struggente. Siamo nei Monti Peloritani uno dei
quattro grandi rilievi dell’isola, ma forse il meno turistico.
Una serie di curve sono la più classica delle indicazioni che ci stiamo
arrampicando in montagna. Un bosco di Eucalipts sulla nostra sinistra e un
ennesimo ponticello fanno da splendide comparse all’itinerario.
Il silenzio della zona e le minacciose nuvole preoccupano Zigomì mentre io “mi
parlo” con il registratorino utile arnese per le perdute memorie…
La vallata ai nostri fianchi è protetta in diversi tratti da filo spinato, e
qua e la qualche scaletta in legno permette il passaggio nella riserva.
Spesso la strada incontra, man mano che si sale, strapiombi particolarmente
suggestivi.
Qualche capretta, mucche e cavalli si godono la loro libertà.
Abbiamo percorso 12 chilometri dal bivio e le prime gocce d’acqua decidono che
è venuta l’ora: l’ora di bagnarci.
Un curioso gruppo di case abbandonate affacciate sulla valle potrebbero essere
il rifugio per un bivacco notturno. Chissà cosa ha fermato la loro costruzione…
Dopo appena un chilometro la salita finisce ed inizia il bosco.
Siamo abbastanza alti di quota e i paletti indicatori dell’altezza della neve
ce lo confermano. Da qua in poi la pioggia è resa meno fastidiosa dalle fronde
dei lussureggianti alberi: querce, pini, castagni che metro dopo metro si
infoltiscono sempre più.
Un’inquietante nebbia, che poi avremmo saputo che è una presenza costante in
queste zone, in verità mi fa ricordare al bosco di Peter Pan, ma di gnomi e
folletti neanche l’ombra.
La montagna ha un fascino immediato rispetto al mare e ancora oggi non so
rispondere a me stesso sulla preferenza di queste due zone di vita. Mi piace il
piacere del sole e la quiete della natura, mi piace pescare e ingozzarmi di
cibo e di vino in trattorie d’alta quota, mi piace indossare meno abiti
possibili e fumare un buon sigaro sulle “sponde” di un camino.
La donna mi piace in entrambe le situazioni…
Un’indicazione ci segnala che siamo sul punto più alto del
tragitto: “Portella Mandrazzi, quota 1125 mt sul livello del mare”.
Da qua in poi inizia la discesa verso Novara di Sicilia con il bosco che
continua a scortarci. C’e’ anche un’area attrezzata con tavolini e sedie in
legno pronte ad accogliere truppe di “picnisti”, ma visto che siamo sforniti di
panini e ciambelle proseguiamo allegramente sotto la pioggia che sfida il
nostro buon umore facendosi più forte: povera illusa che ne sa lei quanto
“tanto” ci vuole per rovinare la vacanza a chi non la programma!
11
Ed ecco che all’orizzonte, arrampicata come molti dei paesini
siculi ai fianchi della montagna, appare Novara di Sicilia. Sembra che da
queste parti abbiano una certa predisposizione per costruire le case in
equilibrio con le vertigini.
Ripeto che sembra più probabile che la montagna si sia formata dopo!
Ma questa è un’idiozia, sensazione che spesso accompagna i miei pensieri.
Le case hanno un’altra particolarità: alcuni enormi massi sono appoggiati sui
loro tetti. Il vento da queste parti non deve essere adatto a far volare gli
arcobaleni!
La Sicilia ci regalerà nel corso del viaggio una diversa cromaticità
architettonica da zona a zona.
Qua le abitazioni sono rivestite esternamente da una pietra bianca ma non
bianchissima (come sarà da altre parti).
Novara è un sogno, perché oltre ad essere obiettivamente gradevole così
romantica al confine tra i Nebrodi ed i Peloritani, e così sobria nelle sua
urbanistica, ha diverse “cose” che ricordano il passato.
E’ sempre delizioso il gusto antico, sempre quiescente nell’animo umano il
piacere del ricordo.
Entriamo in un bar che di moderno ha solo l’età del barista; molti di questi
Bar di paese sono datati e lo sguardo no sa dove andare prima. Il legno e gli
specchi sono sempre presenti in questi monili della nonna, insieme a qualche
immancabile insegna di liquori di 50 anni fa che non si sa come mai in questi
paesini non manca mai, quasi a pensare che gliele fanno apposta (idiozia…).
Il salottino non manca mai, sia semplice nella stessa sala principale o in una
stanza a vista vicina o, nei ristori più chic, in un soppalco. Qua è nella
stessa sala da caffè e le sedie sono in ferro con la seduta in fili di plastica
colorata. I tavolini sono anch’essi in ferro e sempre occupati da almeno un
vecchietto che fa di questa struttura o comunque di qualunque altra che sia
gratis, la sua seconda casa, ma in cui regna con la stessa astuzia.
Dietro il banconista, in un angolo delle mensole che espongono liquori o
bicchieri, un mazzo di carte siciliane non manca mai. Qualche audace espone
anche un mazzo di carte da poker, per i figli dei primi.
Il sapore di “un tempo che fu” si concretizza nell’immancabile saletta da gioco
a cui solitamente si accede da un’anonima ma frequentatissima porta.
Entriamo e non sfuggiamo lo sguardo simultaneo di tutti gli occupanti, signori
dalla mezza età in su che si sfidano in interminabili partite di carte il cui
premio finale è spesso l’onore. C’e’ spesso anche un calcetto (tavolo delle
dimensioni di 2 metri per 1 che simula il gioco del calcio.I giocatori sono 11
figuri di ferro per lato, mossi da due bacchette. Si inserisce una monetina che
fa uscire 10 palline da sotto. Se ne prende una per volta e chi fa più gol, non
perde…).
Prendiamo una granita ed usciamo allegramente con la pioggia che sembra
rallentare la sua forza, passeggiando per le vie di Novara di Sicilia.
Arriviamo in Piazza Duomo che nonostante l’altisonante nome è piccola e senza
presenza umana. Anzi, mi correggo, una anziana signora con la borsa in testa si
dirige verso un vicolo. Sorridiamo e una casa con una bellissima terrazza ricca
di fiori e di nobile aspetto accanto all’insegna di un’osteria sono l’unica
nota di un tranquillissimo pomeriggio siciliano.
Nei primi anni del 1900 Novara era il passaggio obbligato dei viandanti che
valicavano la dorsale Peloritana per dirigersi verso la costa._
Qua i Normanni eressero un castello che non c’è più e noi verso le 17 di un
pomeriggio di viaggio decidiamo che è il momento di ripartire.
12
La strada che esce da Novara e va verso il mare ci permette di
capire meglio l’ubicazione del sito appena lasciato. Una profonda valle incisa
dai Fiumi Mazzarà e Novara separa due monti. Così per raggiungere l’altra parte
della montagna bisogna fare il giro scendendo a valle. Il panorama dei paesini
dall’altro lato della dorsale accompagna questa nostra discesa tutta curve ma
di piacevole viabilità. Passiamo da Mazzarrà Sant’Andrea famosa per i suoi
vivai, intelligente specializzazione di un paesino altrimenti anonimo, e dopo
aver oltrepassato il ponte sul fiume asciugato, prendiamo il versante opposto a
quello dove eravamo prima.
La salita è come la discesa precedente solo che è al contrario e dall’altra
parte.
Passiamo da Basicò, altro paesino di poche anime e con pochi giovani e dopo una
serie di curve arriviamo a Montalbano Elicona in bellissima posizione a 920
metri sul livello del mare, dove il comune ci aveva messo a disposizione la
consulenza di un cultore del posto, tale vigile urbano Ruggeri.
A Montalbano arriviamo in ritardo rispetto all’orario preventivato e il nostro
cicerone dopo averci aspettato in Piazza dove avevamo appuntamento deve essersi
giustamente stufato e quindi non lo troviamo. Ma una signora uscita dal comune
situato su un lato della Piazza ci conforta dicendoci che da li a poco sarebbe
ritornato nella speranza di trovarci.
La Piazza è molto bella e molto grande: Piazza Umberto I oltre alla chiesa ed
al municipio presenta, tra queste due strutture, qualcosa che mi vince e verso
la quale ci dirigiamo.
Guardo attraverso le vetrate…
13
La “Società Operaia di Mutuo Soccorso” di Montalbano Elicona è un
circolo nato nel 1869 e che conserva una struttura nobiliare anni ’60, adatta
per una di quelle scene cinematografiche vecchio stampo.
Entriamo sfacciatamente. Un soppalco nasconde un “giocattolo” e non resisto,
chiedo di andarlo a vedere e mi viene acconsentito.
Attraverso una scalinata interna arrivo alla sala da biliardo con tanto di
minibar e romantico balconcino sulla sala sottostante.
Quando scendiamo un elegantissimo e profumatissimo signorotto di terza età si
avvicina a noi e si presenta: “ Buongiorno, Rapità Nicolò con l’accento sulla a
e sulla o. Sono il vicepresidente del circolo”
” Piacere, Giovanni Vallone e senza accento. Sto scrivendo un libro sulla
Sicilia e sono capitato da queste parti. Splendido questo posto”
” Prego, accomodatevi in segreteria. Vi illustro la nostra associazione”
La segreteria era una piccola stanza alle quale si accedeva passando dietro il
salotto dell’associazione che aveva un gigantesco e poco intonato televisore a
colori di fronte le poltrone. Ma il progresso non deve fermarsi…
Ci fornisce lo statuto della società del 1966 e quello più recente del ’99.
Recita l’art. 3: “la Società Operaia è
apolitica e non ha altra cura che il bene dei soci, per i quali si propone i
seguenti fini:
1) il buon impiego delle ore libere di lavoro
2) il perfezionamento intellettuale e professionale
3) la solidarietà morale e la concordia sociale
La società mira
a raggiungere i suoi fini con iniziative atte a suscitare nei soci la tendenza
al bene, l’amore per il lavoro, il culto della famiglia; in base poi al
principio che l’informa essa viene incontro con sussidi in danaro ai soci
bisognosi temporaneamente inabili al lavoro, come previsto in apposita parte
del presente statuto”.
“ Quando un socio muore noi abbassiamo le saracinesche a lutto e
qualunque attività ludica è temporaneamente sospesa” – ci dice il simpatico
vice presidente.
Poi ci mostra il libro soci con tutti gli iscritti dal primo giorno e mentre
sfoglia bisbiglia: “Questo è moroso, dobbiamo dissociarlo…”
Nel frattempo un signore sui quarant’anni fa il suo ingresso nella sala: “Posso
esservi utile in qualcosa?”, ci chiede.
“Il Signor Rapità ci sta illustrando…”
“Questa era una società di massoni - ci
interrompe subito il nuovo arrivato -
(Riporto la descrizione di un sito di questa organizzazione, la
massoneria per l’appunto:Siamo persone comuni, senza velleità
particolari, al di la di ciò che la convinzione collettiva vuole. Studiamo
l'uomo, i suoi difetti e i suoi pregi, cerchiamo di conoscere la Verità su ogni
argomento, difendiamo la verità e le pari opportunità, difendiamo sempre la
giustizia (quella vera) e "lavoriamo" sotto tre insegne: Libertà,
Uguaglianza e Fratellanza. Dalle nostre logge è bandito il classismo
(sub-cultura presente in molte altre istituzioni), che non fa certo parte delle
nostre logiche di miglioramento dell'Uomo, convinti anzi che lo offenda, sempre
e comunque. Ecco chi è il Massone)
”Questa associazione ha il precipuo compito di dopolavoro e di
assistenza alle famiglie dei lavoratori associati in caso di bisogno, anche se
oggi questo carattere solidale si è andato smarrendo”
”Capisco. In verità mi sembrava più un circolo nobiliare…”
”Lo è anche – continuo il nostro interlocutore - . Una volta gli uomini per
frequentarlo dovevano indossare i guanti bianchi e le donne l’abito lungo”
Nicola Palazzolo era fiero nel racconto delle vicende e devo dire anche
gradevole.
”Vorrei farmi socio se è possibile…”
E qua il simpatico vice-presidente riprese il sopravvento estraendo lentamente
dalla vetrina un modulo d’iscrizione e dopo averlo poggiato sul tavolo mi pregò
di compilarlo.
Il più giovane Palazzolo mi strizzò l’occhio dicendomi: “E’ una prassi a cui
tengono. Pigliano informazioni e…”
”Si capisco…d’altronde è giusto sia così”
Nicolo’ Rapità, il “biaccentato” dopo aver ripreso il modulo compilato e
firmato, levò lo sguardo verso di me e con un tono distensivo ed una pacca di
stima, mi disse: “Non si preoccupi. Andrà tutto bene!”
14
Vi devo raccontare una cosa, e cioè la mia esperienza con lo
specchio.
Ogni tanto mi capita di farla e ogni volta sfuggo la sua fine!
Mi guardo allo specchio profondamente e intimamente e poi succede una cosa
straordinaria: non mi riconosco più, e come se l’immagine di fronte a me si
materializzasse in un’altra persona che più guardo e più mi sembra minacciosa,
più scruto e più ne perdo il controllo fino a quando mi vince e mi costringe ad
abbassare lo sguardo!
Lentamente perdo il potere sull’obiettività, prevarica una sensazione
suggestiva che una volta che perde i contorni della logicità si trasforma in
una personalità ben forte e distinta.
Sono sicuro che in un determinato momento io agisco in maniera diversa rispetto
al mio riflesso!
Ma, fortunatamente, non ne sono sicurissimo.
15
All’uscita del circolo in piazza trovammo il vigile Ruggeri.
Riconoscere un turista è come distinguere un bue da una formica.
”Salve. Un po’ in ritardo…”
”Beh…il cattivo tempo, un po’ di sonnolenza…e non so più che stupidaggine
dire!”
Finì in una gran risata e salimmo a bordo della sua macchina per fare il giro
del cenntro storico di Montalbano Elicona.
Un po’ sopra la piazza la strada immette ad una porta d’ingresso dell’antica
cinta muraria che culmina nel prestigioso castello di età Aragonese (anno
1300).
È circondato da vicoli medievali, che aggrovigliandosi in continui
saliscendi danno un'atmosfera molto suggestiva.
A bordo della sua Panda Fiat ci destreggiavamo tra quei vicoli come cavalieri
medievali di rinomata fama.
Posteggiammo vicino ad una chiesa di quel labirinto trecentesco e ci
incamminammo a piedi seguendo il nostro amico che anche a corto di fiato tra
quelle degradanti viuzze, non rinunciava alla sua sigaretta.
Il posto è da 10 e lode.
Ancora una volta io e Zigomì abbiamo pensato di trasferirci in un nuovo posto.
Qua le case costavano veramente poco (circa 15.000 €) e il posto era dei più
rilassanti.
Giravamo da un angolo all’altro salutando questo e quello; mentre alcune
signore riconoscendo il vigile urbano, rimbrottarono quasi all’unisono: “Ci
deve dire al Sindaco che qua le fogne non funzionano…”
La passeggiata tra i vicoletti della vecchia città si rivelò
incantevole e culminò nel castello, dove di li a poco si sarebbe tenuta una
rappresentazione di non ricordo chi…
Artisti di una compagnia provavano le loro scene e i loro abiti mentre noi
passegiavamo tra la fortezza.
Ruggeri ci fece fare un giro della cinta muraria della fortezza a cui si accedeva
attraverso un passaggio “rischia-vita” !
Lo strapiombo non ci fermò ma il nostro amico ci assicurò che da li a poco il
comune avrebbe sistemato il passaggio.
Quindi ritornammo nella piazza del paese, salutandoci affettuosamente e con il
nostro cicerone che accese l’ennesima sigaretta.
Quella notte alloggiammo all’Hotel Roma, che oltre ad aver un bassissimo costo
era pure pulito e confortevole, anche se no aveva garage.
Scaricammo i bagagli dalla moto ed un signore che gia sapeva tutto di noi ci
assicurò che il nostro mezzo poteva tranquillamente restare posteggiato in
piazza e che nessuno lo avrebbe disturbato.
Questo è un posto tranquillo, amici…”
Dopo una salutare doccia, scendemmo dalla stanza ed andammo a cenare nel
ristorante confinante l’albergo e che fungeva anche da bar.
Era molto bello, ancor di più per il prezzo modico.
Fù una gran cena, come tutte quelle di cui ci deliziamo ogni volta che
partiamo.
Una giornata a scorribandare ci mette sempre un grande appetito.
Divoriamo tutto ed andiamo a letto mentre i teatranti ci rimpiazzano in una
simbolica staffetta di nuovi arrivati.
I vecchietti che chiacchieravano nella “zona delfino” dove batteva l’ombra alle
spalle della chiesa, erano gia a dormire.
Il balcone della camera da sulla piazza e mentre Zigomì si delizia tra il
morbido materasso, io siedo sul piccolo terrazzino, stanco ma ancora non sazio.
Scendo nuovamente al ristoro e compro due granite al limone ed una bottiglia
d’acqua mentre i teatranti divorano bicchieri d’alcool ai tavolini del bar.
Ancora lunga vita ai viaggiatori…
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Di buon’ora
riprendemmo la nostra marcia.
Sono le 10 di un mattino ancora nebuloso.
Dopo aver fatto un’abbondante colazione partimmo alla volta di Randazzo.
Questo centro costruito quasi interamente in pietra lavica, ha conservato in
gran parte il suo aspetto medievale, essendo stato sempre risparmiato dal
vulcano pur essendo il centro più vicino al cratere (15 km).
Avevamo un appuntamento con la Signora Vagliasindi, discendente di una nobile
famiglia del luogo.
La trovammo all’ingresso del Museo Etnografico “Vagliasindi” in onore di un suo
antenato che mentre probabilmente stava piantando agrumi o viti nel suo terreno
scoprì un tesoro archeologico di notevoli proporzioni.
Alba Vagliasindi era una donna che in età giovanile deve avere frantumato
diversi cuori. Mario, il suo compagno, è un illustre vulcanologo del luogo.
I due sembrano sempre sul punto di beccarsi ma fortunatamente questo non
avviene in nostra presenza.
La signora è deliziosa nella descrizione della storia della sua famiglia e
del museo. Il suo compagno ci rammenta
che i Vagliasindi erano una stirpe di matti e che nel loro castello furono
ritrovate prigioni in cui i poveri condannati entravano inarcati, talmente
erano basse.
La signora smentisce e fortunatamente la diatriba finisce li.
Ritorniamo al punto di partenza: siamo al museo “Vagliasindi” dove l’antenato
della simpatica Alba mentre faceva non si sa che nel suo immenso giardino, si
ritrovò a portare alla luce splendidi oggetti dell’età neolitica ed oltre..
Tra questi spicca un oinochoe , vaso attico a figure rosse del V° sec.
A.c. raffigurante il mito di Fineo liberao dalle Arpie (femmine malvagie) per
opera dei Boreadi.
Le altre stanze del museo conservano splendidi ritrovamenti dei tempi antichi.
La curiosità sta nel fatto che a quanto pare questi ritrovamenti furono
saccheggiati e ritrovati per ben due volte!
Vi è pure una raccolta di monete in bronzo e oro dal periodo greco a quello medievale.
Andammo via da
Randazzo e ci dirigemmo verso Floresta passando da Santa Domenica di Vittoria
paesino in cui la pace, tanto ricercata nelle metropoli, da queste parti
rischiava di diventare una maledizione.
La statale 116 in questo tratto è una linea immaginaria che divide i Peloritani
a destra dai Nebrodi a sinistra. Una volta queste due catene montuose andavano
sotto lo stesso nome di Nebrodici.
Ventuno sono i comuni ricadenti nel parco di cui alcuni a ridosso del mare, e
sempre tra i 25 e i 1175 metri di altitudine.
I viaggiatori che hanno scritto della Sicilia sono quasi sempre passati in
treno da queste parti, noi in moto, nel futuro sulle “razzomacchine”?
Fauna e flora nobilitano questo splendido polmone verde siciliano.
Con l’altitudine si succedono diversi tipi di vegetazione: mentre nelle zone
costiere abbondano le classiche specie mediterranee (agrumi), nelle zone
collinari compaiono olivi, viti e noccioli.
Nelle zone d’alta quota è un rincorrersi di boschi tra cui primeggia quasi
sempre il bellissimo faggio e poi querce, lecci, tassi a cui fanno da contorno
le sottoboschive roverelle, agrifogli e rose canine. Il tutto da un senso di
quiete che sicuramente dovevano avere anche riscontrato i vari popoli che qua
si sono succeduti a partire dai Neolitici che tra queste selve trovarono riparo
e selvaggina.
Siamo immersi sino all’ultimo sospiro nella quiete del bosco. Ampie vallate
ospitano splendidi cavalli dala criniera nera e grossi ovini che sembrano
oziare dalla mattina alla sera. Siamo costantemente sopra i mille metri di
altezza e le maniche corte sono un lontano ricordo.
La montagna soprattutto quando è silenziosa come in questo caso, è per me
sempre il preludio di qualche tuffo al cuore: penso ai rumori delle nostre
città, alle corse affannose per un centesimo in più, agli uomini che si credono
superiori ad altri uomini, al dolore dell’emigrazione che ha ferito la dignità
di quest’isola nel recente passato. E qua trovo la risposta a queste mie
inquietudine.
Ma so anche che in questa sorta di irrequietezza trionfa il mio “io”.
2
Una delle
caratteristiche del popolo siciliano e il suo bivaccare nelle piazze o in
generale fuori casa.
Verso le prime ore del pomeriggio chi non ha niente di meglio da fare, esce per
la strada e così la regione si trasforma in un immenso palcoscenico teatrale.
Le donne stanno per lo più appena fuori dall’uscio con le loro sedie a parlare
con le “comari” (amiche di quartiere).
Gli uomini si riversano in piazza in compagnia degli altri uomini.
E chiacchierano al crepuscolo di uno splendido tramonto che da queste parti è
un momento da vivere.
Sembra come se avessero bisogno l’un l’altro per farsi forza.
E’ proprio nei paesi dell’entroterra che si ha un quadro completo di questa popolo:
soporifero ma sempre in allerta.
Tale Cicerone, illustre parlatore del I secolo A.C., aveva perfettamente
individuato i caratteri distintivi di questo popolo che come allora oggi sono:
l’intelligenza, la difidenza e l’umorismo.
Il siciliano è fervido, pronto alla dialettica e incisivo e profondo tanto
quanto basta per assurgerlo alla dignità di intelligenza.
Ha imparato cromosomicamente a non fidarsi, vittima di promesse non mantenute
iniziate con i Normanni (anno 1.000) e proseguite con l’annessione al regno
italico.
Ha unito questi due lati caratteriali e ne ha forgiato l’umorismo, stile
comportamentale attraverso il quale conduce le sue giornate.
E’ un popolo latente ma mai disteso…
E’ il siciliano un personaggio capace di tutto nel bene e nel male. L’eccesso è
il filo conduttore della sua essenza.
Ma anch’egli ha il suo punto debole: la persuasione lo vince facilmente.
E’ credulone ma non stupido e si contenta di subire piuttosto che ferire.
Ma non costringetelo ad uscire gli artigli…
Odia essere spalle al muro!
3
Attraverso i
lussureggianti Nebrodi e poco dopo un simpatico ristorante montanaro, arrivammo a Floresta dove avremmo
dovuto passar la notte e dove era in corso una festa di paese.
Floresta, con i suoi 1260 metri sul livello del mare, è il comune più alto
della Sicilia.
I nasi rossi e la pelle rattrappita degli abitanti conferma il tutto.
Tra le bancarelle di venditori vari arrivammo al tabacchino dei fratelli
Gorgone, nostri affittuari di casa, e dopo un saluto di breve commiato, ci
dirigemmo ad Ucria per visitare il Museo Etnografico.
Ucria era in
tormento per una curiosa moria di Vacche a causa di una mosca proveniente
dall’Africa.
E da queste parti l’allevamento è una cosa molto seria.
Al museo etnografico ci aspetta una gentile ragazza che sembrava avere un
registratore incorporato in gola, talmente era perfetta e senza sensazioni la
sua descrizione delle antiche usanze siciliane.
Ci dice “ i proverbi erano la saggezzza di “allora” che se oggi uno li mettesse
in un libro…”
Poi: “ ai tempi le persone avevano una manualità particolare grazie alla quale
facevano tutto…”
Ancora: “queste lavandaie prima dovevano fare il sapone con il grasso del
maiale e poi…”
Inoltre: “non potete fare foto…”
E senza fine: “le donne prima di andare alla sorgente per lavare i panni li
cospargevano di cenere e così, dopo averli lavati, gli indumenti diventavano
bianchi…”
Quindi scappammo!
Ritornammo a
Floresta verso le 6 di pomeriggio.
Alloggiavamo presso una stanza dei fratelli Gorgone, proprietari di un
tabaccaio del paese come detto poc’anzi.
Entrambi i nostri amici erano bene in carne e di modi veloci, ma io so bene che
per entrare nei cuori dei siciliani basta semplicemente un po di
considerazione.
La diffidenza è l’arma più comune che la gente di questa isola usa con lo
straniero.
Ma è fittizia e si squaglia come neve al sole.
Quindi mi basta buttare un po di calore…
Il quadretto che si viene a creare è di quegli che a me piacciono sempre, ed in
cui la mia personalità conferma il suo aspetto contrastante, così schiva nella
consuetudine tanto quanto invadente nella “novità”!
E questo il percorso da seguire in Sicilia: l’invadenza è sempre premiata in
questa terra, perché è il viatico della considerazione. La discrezione, questo
popolo, ancora la deve capire…
Vi spiego meglio dove ci troviamo: in una via del corso principale di un paese
di pochissime anime c’è’ un tabaccaio dei fratelli Gorgone. Questo esercizio è
dentro la loro casa nel piano più basso ed attaccato al salotto-cucina della
casa.
Al secondo piano ci sono tre stanze che fungono da abitazione dei 2 fratelli
mentre al terzo piano le stesse camere servono per ospitalità turistica.
La cifra del pernotto è irrisoria: appena 10 euro a persona!
Dopo aver preso possesso della camera e mentre Zigomì dava “ascolto” ai giusti
preparativi femminili, scesi al pian terreno, altrimenti da me ribattezzato:
“tabacchino-salotto-cucina”.
Mi accomodai in quella stanza che faceva della semplicità il suo elemento
trainante. Un tavolino con 6 sedie, un televisore su uno scarno mobiletto di
fronte a noi, giornali in un angolo a casaccio, una credenza con qualche
bicchiere e su cui erano appoggiate bottiglie di alcolici.
Appoggiato ad un lato della stanza,c’era un divano che più che per l’ospite
sembrava per l’indesiderato, tanto era avulso e sproporzionato rispetto non
solo agli altri mobili, ma in generale in un criterio di geometria
architettonica.
L’essenziale queste persone lo usano però non solo nell’arredamento che per i
cittadini è invece spesso un criterio vanitoso più che oggettivamente di
comodità personale.
Parlare con loro mi ha immediatamente abbattuto quella sorta di muro di “sfida”
che spesso contraddistingue gli incontri di uomini che hanno “letto il giornale
una volta nella vita” !
Iniziò così una chiacchierata con i miei nuovi amici…
Parlammo di come passavano le giornate nel loro paese e chiaramente non era una
gran festa soprattutto per due giovani come loro.
Mi dissero però che in appena quaranta minuti erano a Taormina e in neanche 1
ora a Catania. E questo mi disarma e mi fa ricordare la famosa teoria di
Einstein che più che scientifica (che non l’ha capita nessuno!) e filosofica e
condiziona le giornate del mondo intero.
E’ veramente tutto relativo!
D’altronde un catanese per raggiungere Taormina impiega 10 minuti in meno. Ed
hai vogliadi fargli notare che non sono i pochi minuti in meno la differenza ma
un certa vivacità paesaggistica che ti accompagna più velocemente verso la
meta.
” Ma vuoi mettere il traffico! Qua arriviamo e torniamo senza incontrare una
macchina!”
A quel punto rischio di passare giustamente per deficiente, e saggiamente
decido di annuire.
”Abbiamo una gran fame…Dove potremmo andare a mangiare?”
”Ci sono delle trattorie un po più avanti a base di cose genuine…Ma beviamoci
un po di vino …che per la verità è la fine della bottiglia e forse ci sono un
po di reisidui…Ma è buono in ugual maniera. Se vuoi, comunque apriamo una
bottiglia nuova.”, disse il nostro padrone di casa mentre in quel momento il
fratello appena giunto si unì alla tavola.
Bevemmo quel residuo e metà della nuova bottiglia.
Sentivo chiaramente che la diffidenza con la quale eravamo stati accolti si
stava trasformando in genuina compagnia.
E come se si materializzasse una conquista e quindi questa nuova situazione da
piacere.
Questa terra regala continuamente questi momenti struggenti.
Scende anche Zigomì che inosservata non passa mai!
Ma i miei amici guardano la “femmina” con finto distacco.
Abbiamo una chiarissima fame.
I fratelli Gorgone si propongono per accompagnarci e riprenderci all’uscita del
ristorante.
Oramai la loro diffidenza si era trasformata in accoglienza.
Pago del successo gli salutai e andai con la mia dolce compagna alla volta del
“cibo”, che si materializzò in un invitante ristorante a 3 chilometri
dall’alloggio.
Salvatore Gorgone prima di andarcene disse: “là mangiate sola roba
genuina…diciamo… maccheroni al ragù, castrato, maiale…”
Mangiammo alla “Baracca Rocca San Marco” 3-4 chilometri dopo il nostro alloggio
e sempre sulla stessa strada direzione Ucria.
Per arrivarci dovemmo uscire dal paese e camminare al buio tra i monti di un
posto sconosciuto ma rassicurante.
In piena curva si presentava il nostro ristoro che anche al cospetto delle
tenebre notturne, lasciava immaginare la bellezza del parco in cui era
inserito.
Il proprietario di cui maledettamente non ricordo il nome si dimostrò gentile e
chiacchierano tanto quanto il garzone che si propose per farci vedere il suo paesino,
Ucria, il giorno seguente se l’avessimo voluto.
Fu una cena da gran evento.
E lo fu anche la notte…
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Dormimmo benissimo grazie anche alla nostra “droga” serale:
l’incenso, che accendiamo quasi sempre prima di prender sonno. Questo era al
muschio verde.
Un leggero mal di testa mi ricorda le baldorie della notte precedente: roba da
ragazzini indemoniati!
Dopo avere riposato il computer portatile nella sua custodia, avanzo di un
misero tentativo di lavoro, e dopo essermi sciacquato la faccia e lavato i
denti nell’arco dei miei soliti 3 minuti, ero gia pronto e sorridente ad
affrontare la mia amica mattina.
Zigomì dice che dovrei dedicare maggior tempo alla cura del mio corpo. Il mio
corpo non risponde…anzi rispondo io per lui: “Scendo sotto. Faccio un giretto e
ti aspetto per la colazione”. Il suo sorriso di risposta mi allietò
ulteriormente.
Appena sceso dalle scale uscii di casa passando dal tabacchino dei
nostri affittuari che mi dissero: “Tutto bene, ieri?”
”Ho si…tutto bene. Forse anche troppo. Abbiamo fatto un po di baldoria
rientrando…spero non avervi svegliato”
”Ohh! Fa niente. Doveva esserci qualcosa che vi ha fatto molto ridere…”, disse
scherzosamente Franco Gorgone. E siccome avevamo decisamente alzato il volume
della voce durante la notte, diceva pure il vero. Ma il modo ed il garbo con il
quale mi rimproverò, me lo fece stare ancora più simpatico.
Uscii quindi per fare una passeggiata in paese.
Floresta fu fondato dagli Spagnoli nel 1600 circa ed è un piccolo centro di
neanche 800 anime!
Mi bastarono 20 minuti per girarlo praticamente tutto.
Vidi delle persone che lavoravano le pietre che lastricavano una via laterale,
una signora che seminava l’orto, una donna anziana che saliva lentamente con la
busta della spesa attraverso la ripida via di casa. Vidi una bettola con
esposto un “Cavadduzzu”, formaggio del tipo caciocavallo con il tipico aspetto
di cavallino.
Questo paesino che d’inverno “ospita” la neve, è comunque un laborioso centro
di pecorai, tagliatori di legna e agricoltori.
Le case non hanno un bell’aspetto: eternit e cemento grezzo sono il materiale
piu usato.
Solo alcune case presentano portali e stemmi in pietra arricchiti da
rappresentazioni floreali e animali. Poco ferro battuto…
Ragazzi avvistati: 2!
Quando Zigomì scese, andammo a fare colazione in un bar che aveva
già finito tutta la pasticceria del mattino. Ed erano appena le 9,30!
Andammo quindi alla delegazione dei Nebrodi dove acquistai un
libro, dei fascicoli illustrativi, una cartina della montagna ed una maglietta
souvenir.
Ora eravamo pronti…
2
Salutati i nostri amici lasciammo il paese in direzione di Ucria e
dopo neanche 2 chilometri trovammo un’indicazione sulla sinistra in legno,
indicante: “Portella Femmina Morta”. Era la nostra meta.
Questa è una strada che taglia in 2 i Nebrodi e che passa da diversi punti
escursionistici: la prima parte della cosiddetta “Grande Dorsale dei Nebrodi”.
A quell’ora è frequentata, se così si può dire, dai pecorai Tortoriciani, che
qua sono considerati quasi una setta
La tappa dell’escursione era il Lago Biviere di Cesarò a 20 chilometri circa,
di cui i primi 7 erano a fondo stradale e i rimanenti su strada carrareccia. Ma
l’esperienza era da fare.
Quando la strada asfaltata finisce, la solita indicazione “Portella Femmina
Morta”, ci segnala che è giunta l’ora di stringere i denti.
Il percorso fu uno dei più bei ricordi che ci portiamo ancor oggi nelle memorie
della nostra testolina.
Siamo a Porta Dagara a 1.430 m s.l.m. e incomincia una ripida salita che ci
porta a Serra Pignataro a 1.610 m s.l.m..
Le braccia mi stanno cadendo a terra e decidiamo di fermarci a fumare una
sigaretta. Ed io la mattina non fumo!
Questo amici miei è un posto dove nascondersi tutta la vita. Zigomì avvista un
roditore che è troppo veloce per i miei riflessi.
”Sarebbe stato meglio a cavallo…”, gia se quel buon figlio…non si fosse
ammalato!
Chiaramente ridiamo e sappiamo che ci stiamo divertendo da morire.
Penso alla cena di stasera e all’appetito che avremo dopo una giornata come questa.
Riprendiamo la marcia e ci addentriamo in un bosco che oscura il nostro passo
come se fosse gia sera, mentre lontano da quelle fronde che si divorano il sole
crescendo rigogliosissime, c’è una giornata da spiaggia.
Il Bosco di Mangalaviti (1.518 m s.l.m.) è una splendida faggeta che arrivati
ad un certo punto regala emozionanti panorami sul mar Tirreno, dove in questo
momento sta succedendo qualcosa che noi riusciamo a immaginare, ma chi è la
sotto non può il contrario (delirante pensiero del momento).
Proseguiamo con la radura che ha preso il posto del bosco, ricca di Agrifoglie,
rovi e rose canine.
Poi ancora il Bosco, la Faggeta di Scavioli e quindi la discesa fino al Biviere
di Cesarò (1.278 m s.l.m.).
Ci sdraiamo in un prato a ridosso del Lago: all’orizzonte degli occhi i Faggi,
ai tropici della mente i sogni!
Ci addormentiamo un attimo, almeno crediamo.
Si sentono i rumori della natura, che sono un assordante silenzio per l’animo.
In lontananza dei cavalli si abbeverano al lago, mentre noi nudi ci tuffiamo
nelle confortanti acque lacustri.
Prendo il portatile e scrivo quanto avete letto in questo paragrafo…
3
Ritornammo dalla stessa strada e verso la fine deviammo per
Tortorici, prendendo una carrozzabile che era si asfaltata ma che per circa 8
chilometri andava a strapiombo, era senza recinzione laterale ed era
strettissima!
Tortorici fù una liberazione.
Adesso ci aspettava il mare che incontrammo scendendo a Brolo.
Da Brolo dovevamo andare a Tindari e questo lo realizzammo preferendo
all’autostrada, la provinciale che costeggiava il mare.
Uh! Che meraviglia quella strada che lambiva il mare, così siciliana, così
diversa da dove eravamo poco prima.
Stretta tra i declivi dei Peloritani a Sud ed il Mare limpido a Nord, i colori
dei fiori delle case e l’azzurro cielo. E quale indelebile ricordo questa
provinciale che ogni tanto si alza creando inaspettati precipizi mentre il
panorama indica che c’è una prossima montagna da aggirare.
Ecco che ora siamo stretti tra le pareti di una cima e la piacevole melodia
delle docili onde che giungono a riva.
Camminiamo come se fossimo in un carillon!
Giungiamo a un piccolo agglomerato di case, ed un’indicazione ci
segnala: Tindari.
4
Tindari era una colonia greca fondata nel 396 a.c. da Dionisio I.
Oggi è una frazione a 280 m s.l.m. con circa 300 abitanti.
E’ un posto stupendo e meta turistica
privilegiata, perché all’interno di questa piccola borgata ci sono: un
bellissimo santuario, un panorama mozzafiato, un teatro greco-romano a
strapiombo sul mare, una vista sulle Eolie da cartolina, bar e ristoranti,
viuzze e ambulanti!
In verità siamo qua per il Santuario che sorge sul punto più alto del sito,
quella che forse anticamente doveva essere l’acropoli della città greca.
In questo santuario, ondate di pellegrini da mezza Europa, fanno il loro tour
cristiano.
La particolarità sta nel fatto che la Madonna è nera!
Un po’ come trovare Manitù con gli occhi a mandorla…
Recita un opuscolo informativo: “…è un imponente edificio a croce latina con
transetto e abside, e cupola impostata su alto tamburo all’incrocio dei
bracci.”. L’opuscolo sarà informativo ma…
Più semplicemente, ma un’altra cosa rispetto alla precedente, io direi: “
Magnifica dimora di Dio cristiano, a tre navate divisa da colonne ottagonali in
marmo. Sull’altare una statua della Madonna nera e dietro (la zona
presbiterale) i mosaici raffiguranti la storia del santuario.
E questi mosaici sono da non perdere perché passo passo spiegano tutto, e cioè:
nell’800 circa un gruppo di pescatori vede una cassa che arriva verso riva. Non
appena il misterioso involucro giunge, lo aprono. E che ti trovano? La Madonna
Nera! Senza batter ciglio addottarono la famosa teoria “Io intanto ci credo!”,
e la venerarono. Qualcuno dovette obiettare sul colore della pelle, ma fu preso
per cretino. Sette secoli dopo, nel 1544, Adriano Barbarossa saccheggiò Tindari
ma risparmio l’immagine della madonnina (anche lui rimase di stucco!). E così
la bruna Madonnina protegge i buoni cristiani a tutt’oggi”
Uscendo dal santuario ci affacciammo all’enorme balcone della
Piazza. I cosiddetti laghetti di Tindari (insenature della spiaggia che ha
formato dei recinti di acqua salata) rendono ancora più affascinante il tutto.
A volte sembra proprio che la natura sa dove presentarsi!
Entriamo ad un bar, turisti tra turisti, e prendiamo una granita al limone.
Sono le 4 di pomeriggio e siamo stanchissimi. Visitiamo velocemente il teatro,
che è una fotocopia di quello di Taormina e cioè, bellissimo.
In verità credo che sia molto diverso ma la stanchezza mi fa vedere le cose
nella maniera più immediata:con lo sguardo, che è sicuramente sincero, ma quasi
mai obiettivo.
Riprendemmo la bellissima statale 113, una delle più belle strade che abbia mai
percorso.
Costeggiammo il mare per tutta la durata del tragitto, entrando a Capo
d’Orlando, sempre via mare e seguendo il suo litorale con la montagna che ogni
tanto ci stringeva all’acqua.
Dopo circa 50 chilometri rispetto al santuario prendemmo una deviazione per San
Marco d’Alunzio dove avevo preso uno strano appuntamento…
5
San Marco d’Alunzio sorge su un acrocoro roccioso a 548 m s.l.m. e
nel corso dei secoli è stato un vivace centro d’arte.
Di probabile età pre-ellenica fu comunque abitata dai discendenti di Omero
tanto che all’ingresso del paese e subito visibile il “Tempio di Ercole”,
piccolo santuario in onore del mito greco.
Ma noi avevamo fretta di arrivare all’alloggio, quantomeno per pulirci.
Quella notte l’avremmo passata in convento da Padre Emilio, il quale, avevo
letto da qualche parte, offriva
ospitalità conventuale (a pagamento, s’intende).
Arrivammo ma lui non c’era. Ne approfittammo per girare il paesino.
La sorpresa fu piacevolissima perché inaspettata.
Con il suo aspetto tipicamente medievale aggraziato da una particolare pietra
bianca, il centro di questo borgo di 2.000 anime, si sviluppa in un’intricata
sequela di viuzze e saliscendi deliziosamente conservate.
Siamo in un picco di montagna esposto alla vallata, e le pietre anti-vento sui
tetti delle case ce lo confermano.
Ne approfitto per tagliarmi i capelli in un salone del posto, mentre Zigomì
sfoglia una rivista di queste da taglia capelli…
Il buon umore ritorna e prende il posto della stanchezza.
Entriamo in un negozietto dove una ragazza fa dal vivo lavorazioni in tela con
la tessitrice. Io mi diverto a guardare questa operazione per noi curiosa ma
per lei monotona.
Ci racconta che la moglie dell’ex sindaco aveva creato questa attività per la
quale il paese stava diventando famoso.
La salutammo e proseguimmo.
Entrammo in una delle tantissime chiese di questo paese dove il solito prete
pederasta recitava l’omelia.
Penso che se a questi servitori di Dio dessero l’opportunità di dare libero
sfogo ai loro umani istinti, la finirebbero di molestare i ragazzini e
potrebbero svolgere con meno remore il loro compito.
Ora è possibile che alle soglie della macchina che ci farà passeggiare nello
spazio si ci sia rimbecilliti a tal punto da mantenere in piedi un’istituzione
che segna la storia dell’umanità in maniera così palesemente violenta?
Si dice: per colpa di qualcuno ci vanno di mezzo tutti. Ma qua è esattamente il
contrario: per merito di qualcuno ci stanno fregando tutti!
E’ invece questa dottrina, che splendide pagine della cultura e della poesia ha
scritto (insieme a tante atrocità e brutture), macchiata da una spregevole
omertà, che se in Sicilia è il braccio armato della mafia e, per i dipendenti
del papa, il braccio armato della finta pace!
Poca vita a questo schifo…
6
Padre Emilio è un simpaticone.
Ha una risatina perforante, direi acuta, che crea subito un clima di armonia,
da buon servitore di Dio cristiano.
” Le ho portato questo-, gli dico porgendogli il barattolo di crema di
pistacchio preso alle gole dell’alcantara.
” Grazie. Cosè marmellata?”
”Non proprio, padre. E’ un condimento per pasta…pistacchio di Bronte…”
” Oh! Grazie…-con annessa risatina. “ Questa sera lo proverò di certo,”
E dopo averci recitato una specie di omelia riguardante i giovani e l’attività
della chiesa bla bla bla…ci accompagnò alla nostra camera.
Era pulita e alla porta oltre al numero aveva una scritta
profetica che adesso non ricordo.
La fame ci aveva ridotti all’abbrutimento e dopo una veloce pulizia eravamo di
nuovo in moto, lupi tra gli esseri umani…
Mangiammo al ristorante “Il Cavallino”, animale di cui la macchina
Ferrari ne ha fatto lo stemma e di cui la padrona andava matta.
Il marito, un omone la cui apparenza incuteva rispetto, fu ridotto a agnellino
non appena confessò che il locale era tutto opera di sua moglie.
La trattoria aveva foto do corridori e modellini di macchinette un po ovunque e
il colore rosso appariva qua e la!
La signora era cordiale e ci disse che la mattina lavorava a casa la tela, come
tante altre donne del paese, per il negozio che avevamo visto oggi.
Ordinammo, dietro prezioso suggerimento della proprietaria: “caserecci
salsiccia e funghi”, “pasta al tegamino”, “arrosti misti di carne”, vino.
Mangiammo divinamente, anche se vista la nostra soglia di appetito non potremmo
giudicare.
Ma vi prego di credermi. Andate a mangiare da questi simpatici amici, siciliani
pigroni!
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Svegliarsi in un
monastero è una sensazione piacevole.
Sai che la fuori tutto scorre sereno.
Il convento ospita una simpatica truppa di boy-scout che sin dalle prime ore
del mattino intonava i suoi canti corali accompagnati da un’impercettibile
chitarra.
Esco come al solito prima di Zigomì e passeggio tra i bei giardini del
convento.
Poi mi intrufolo tra i suoi corridoi e sento odori di mensa, che non so
spiegare…direi cibo sempre uguale…
Salgo da un lato scendo dall’altro, sento persone parlare ma non vedo nessuno.
Mi piace aggirarmi misterioso tra queste grandi e serene strutture.
So gia cosa dirò se mi dovesse incrociare qualcuno: “Descriverò questo posto
nel mio libro. E’ incantevole!”.
Entro nella biblioteca della struttura, così semplice nella sua sala di lettura
composta da metallici banchi scolastici.
Rubo due libri!
In uno c’è scritto: “Quando il silenzio parla la vita si trasforma…”
Giustifico il malfatto promettendo una conversione.
Ma forse ho solo sognato!
Ce ne andiamo
dopo aver lasciato un’offerta irrisoria al gentile Padre Emilio.
Cerchiamo una banca per prelevare denaro, ma San Marco d’Alunzio non ha di
questi servizi (nota per il viaggiatore)
Facciamo colazione in un Bar del paesino e ripartiamo riprendendo la bellissima
statale 113 direzione Cefalù.
La moto va che è una meraviglia.
Passiamo da Santo Stefano di Camastra, meta obbligata per i compratori di pezzi
in ceramica.
Oltre a delle gradevoli composizioni in ceramica nelle strade del paesino,
incontriamo dei negozi di questa pietra lungo la statale e ci fermiamo ad uno
di essi.
I Siciliani sono dei maestri in questo tipo di lavorazione un po’ come lo erano
i loro antichissimi abitanti.
Colorate e stilizzate opere di questo tipo sono facile preda di avventori
isolani e non.
Ce ne sono di tutte le forme e di tutti i tipi.
Dalle piccole mattonelle ideali per una parete o un tappeto, a quelle più
grandi da pavimento.
Raffinati porta vivande e sontuose fioriere.
Tutte così vivacemente colorate e lavorate a mano opera di nobili artisti.
Il giallo, il verdino e l’azzurro mi sembrano i colori più usati.
Dei turisti tedeschi comprano delle tazzine di caffè interamente decorate. Una
trinacria, mostro mitologico simbolo dell’isola, è il piacere di una coppia di
francesi.
Noi siamo attratti da un bellissimo tavolo rotondo che porta come disegno una
scena dell’opera dei pupi e che poggia su un’intarsiata bse in ferro battuto.
Ma in moto…
Un po’ dovunque si lavora e si vende quest’arte.
Alcune case presentano balconi le cui pareti sono interamente rivestite di
ceramiche tutte diverse tra loro. E’ un gioco di colori e riflessi, perché
queste lavorazioni sembrano emanare un luccichio perenne.
Una splendida “spaghettiera” (come chiamano da queste parti un contenitore per
pasta), e finemente disegnata: un bordo arancione fa da sfondo ad un giardino
fiorato color azzurro con al centro due uccellini in amore.
Posto che vai, maestri che trovi...
2
Tra ammalianti
paesaggi che fendono questo tratto di Sicilia e con le Madonie a fare da
contraltare al mare, giungiamo a Cefalù, una delle più rinomate località
turistiche siciliane.
E ne ha motivo la bella cittadina.
E’ dominata da un’imponente roccia abitata anch’essa sin dai tempi preistorici.
Cefalù è adagiata sulle pendici occidentali di uno splendido promontorio.
Quanta gente in costume da bagno affolla le sue strade in questa splendida
giornata di ottobre!
Posteggiamo la moto e passeggiamo tra le strette vie del paese che in qualche
maniera ricordano la “kasbaah” degli arabi.
Un infinità di negozi per tutti i gusti rendono ancora più arabeggiante la
struttura.
Un viaggiatore francese che si trovò da queste parti durante il suo viaggio fu
turbato dalla visione di un giovane che nascondeva nello sguardo un aspetto
maldestro. Era un brigante che di colpo si dileguò tra i monti…
Oggi vediamo solo tanta gente che giocosamente affolla le vie di questa città.
Siamo nel palermitano e l’accento tipico è inconfondibile.
Attraversando il Corso Ruggero arriviamo improvvisamente in Piazza Duomo, dove
si staglia la cattedrale in posizione eccentrica con il magnifico fondale della
scalinata e la facciata che si staglia sulla rocca!
Qual visione per il nostro viaggio!
Abbiamo fame e mangiamo un panino diviso in due per non rovinare il decantato
momento serale.
Stiamo seduti sui marciapiedi a guardare passeggiare la gente, quindi
ripartiamo alla volta della montagna.
Appena usciti da Cefalù seguiamo l’indicazione per il Santuario di Gibilmanna,
apripista delle Madonie.
Arriviamo in un baleno a 800 m s.l.m..
C’è una vista fantastica in quest’altra casa di Dio ma il preposto è vittima
dell’isteria (che Freud diceva era mancanza di sesso, come mi disse un amico
prete), e dice che non ci può ospitare.
Sono le 17,00 e vogliamo arrivare prima che imbrunisca all’alloggio.
Passiamo da Scillato e ci dirigiamo verso Polizzi Generosa dove arriviamo alle
18,00.
Tutto questo mentre fendiamo il Parco delle Madonie, immaginaria prosecuzione
Occidentale dei Monti Nebrodi.
Zigomì si abbraccia al mio corpo, e questo a me mi basta per proseguire
allegro.
Di colpo ci ritroviamo immersi nella seraficità di un paesino di montagna.
Anche Polizzi Generosa è arroccata su un’altura arcigna e determinata.
Una circonvallazione ci fa aggirare il monto per poi immetterci nel centro
abitato, sobrio ed elegante, tanto quanto piccolo e vivibile.
In un attimo è tutto cambiato.
Il mare e la mondanità lasciano il testimone alla natura e alla riflessione.
E’ un pò come il passaggio tra il vecchio e il nuovo.
E a noi cosa piace...?
3
Le Madonie sono
l’altra grande riserva naturale della Sicilia.
Da queste parti rispetto ai Nebrodi, cambia l’ubicazione geografica che è un
po’ più palermitana.
La sensazione che abbiamo diversa rispetto all’altra catena montuosa.
Le Madonie sembrano meno isolate, più, come dire…omogenee.
Ma forse è solo una stupidissima impressione.
Camminiamo in moto però, nella stessa lussureggiante vegetazione dei Nebrodi.
Il Parco delle Madonie ospita 15 comuni . E’ un immensa finestra sul Tirreno
dove l’attività dei suoi abitanti è esclusivamente agricola.
Mentre passeggio mi viene in mente un bellissimo pensiero di Marcel Proust
dedicato ai viaggiatori:”Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare
nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Avverto questa piacevole curiosità nei miei spostamenti, anche quando due posti
appaiono simili.
Due guardie forestali a cavallo ci sorridono e noi le salutiamo.
Salutiamo anche un gruppo di persone, uomini e donne, che riempiono bottiglie
d’acqua presso una simpatica vasca in pietra ai lati della strada.
Un vecchietto si fa lentamente trasportare dal suo mulo ai bordi della
carreggiata e continuiamo a passare tra i boschi intervallati da aree aperte
che scoprono visioni lontane di montagna.
Passiamo da Piano Battaglia a 1.600 m s.l.m. che prende il nome da una furiosa
scazzottata che ci fu tra Arabi e Normanni da queste parti.
E’ questa una piccola stazione sciistica immersa nel verde del parco.
L’aria incomincia a diventare sempre più fresca, ma noi continuiamo a sfidare
la seriche tra poco incombe e che da queste parti può fare “paurina”!
Quanto è bella la natura…
4
Petralia Soprana
è il comune più alto delle Madonie con i suoi 1.147 m s.l.m..
Da queste parti abitarono i Sicani (1.000 a.c.), quindi i Cartaginesi, i
Romani, gli Arabi e i Normanni.
La struttura medievale del borgo è inconfondibile.
Arriviamo velocemente nella piazzetta principale del paese, Piazza del Popolo,
che a quell’ora ospita i ragazzi che appena pettinati escono in cerca di nuove
conquiste, uomini di mezza età dall’aspetto elegante, vigili urbani e
vecchietti seduti !
Le strette viuzze medievali sono arricchite da fioriere nei balconi.
Non ci aspettavamo tanta bellezza. Fu per noi una piacevole sorpresa.
Un bar della piazza affittava camere e ci dirigiamo fiduciosi.
Il proprietario fumava dietro il bancone.
”Salve avete stanze libere ?”
”Chiamo mia moglie. Aspettate un attimo”, rispose con aria burbera.
Aspettammo giocando a calcetto dietro la stanza principale del bar. Zigomì
vince 5 a 4, segnando su astuto contropiede il gol del tripudio!
La signora arrivò trafelatissima mentre il marito si rimise dietro il bancone
accendendo l’ennesima sigaretta.
Ci diriggemmo al pernotto.
In quel bellissimo contesto di vicoli ed eleganti case siamo riusciti a beccare
la più triste di loro.
”E’ l’unica che mi è rimasta…”
Una strettissima scala portava al piano superiore di una struttura con due
stanze di cui una era affittata non so a chi.
Delusi, rinunciammo.
Andammo a rivolgerci al convento delle suore che affittavano stanze.
Un’arcigna “sorella” di Dio, dopo averci esaminato con quell’espressione di
merda tipica delle zitelle o degli uomini che hanno raggiunto la promozione in
ufficio l’ultimo anno prima della pensione, ci portò ai nostri appartamenti!
La stanza era pulita e grande.
Il prezzo era disonesto ma “grande”!
Iniziai un volontario e provocatorio siparietto con la “sposa” del Signore,
contrattando sul prezzo.
”Sorella lei che è buona sicuramente ci farà uno sconto. Altrimenti non ci
bastano più i soldi per le vacanze…”
”Non posso…assolutamente. D’altronde le spese ci sono…”
”Ma la signora del bar ci aveva fatto un prezzo più basso…”
”E perché non se ne va la…”, aggiunse giustamente la finta-fessa.
”Perché non ci piaceva. E comunque l’altra sera abbiamo dormito in convento e
il pagamento era un’offerta libera…Mi sembra onesta quella proposta”
”Senta…Non può essere. Io mi sono informata con gli altri conventi e tutti
fanno questo prezzo. 15 euro a persona!”
Sti’ fetenti si sono organizzati!
5
Come al solito
vinse la chiesa.
Accettammo la proposta ma quantomeno la brutta cattivona ci concesse di tornare
mezzora oltre la mezzanotte.
Dopo una fresca doccia ci incamminammo per le vie della bella Petralia, la cui
illuminazione notturna con i suoi romantici lampioncini in ferro battuto
sembrava riportarla ai tempi dei Normanni.
Le strade in pietra e la serenità del suo popolo che in questo periodo triplica
per la presenza di tantissimi turisti isolani in prevalenza, ci accompagnarono
al ristorante.
Mangiammo alla romana e tornammo volutamente all’una.
”Vi avevo detto a mezzanotte…”, disse colei per la quale ho, unica volta nella
mia vita, avuto l’istinto di uccidere!
”A noi piace vivere, sorella. E la smetta di bere veleno. Fa male!”
A volte mi faccio una simpatia pazzesca!
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Sveglia alle 9,
giornata di sole, cielo azzurro, umore alto, pagamento a denti stretti alla
signora in bianco, colazione al bar della Piazza e partenza.
Tagliammo la Sicilia occidentale ed arrivammo attraversando agricoli paesaggi e
passando Alia, Lercara Friddi e Prizzi, a Corleone.
E’ questo un paese a 542 m s.l.m. circondato da curiose rocce calcaree color
giallo-verdastro.
Disorientati da una caotica e brutale edilizia di stampo moderno che spesso
deturpa il valore del centro stesso, raggiungiamo la stupenda Villa Comunale
proseguendo per la via Bentivegna. Arriviamo così al cospetto dell’imponente
mole della Chiesa Madre. Ma di preti ne abbiamo a sufficienza!
Prendiamo la solita granita al limone e la gente da queste parti sembra avere
molto da fare. Prendo la guida e leggo che gli abitanti sono 11.000.
I Siciliani conservano sempre all’interno della loro giornata momenti d’ozio.
Credo che sia il troppo caldo che quasi geneticamente è entrato nei cromosomi
di questa popolazione, rendendola spesso poco operosa da un punto di vista
meramente lavorativo, ma sicuramente prolifica da un punto di vista
intellettuale.
I Corleonesi sono come molti loro conterranei, concentrati nel loro piccolo
mondo e così poco attenti al resto delle cose.
Dal piazzale antistante la chiesa si ha una splendida veduta della città, con
sullo sfondo un curioso monolito di proporzioni gigantesche.
A Corleone, non
ne so il perché, ma mi viene in mente un accadimento che fino agli inizi di
questo secolo ha appassionato l’immaginario collettivo: la cosiddetta “Opra dei
Pupi”.
2
Quando la
giornata era al volgere, i cittadini di siciliani si raggruppavano attorno al
teatrino, che per la maggior parte delle volte era una modestissima costruzione
popolare, ad assistere alla rappresentazione delle lotte dei paladini.
E all’interno si tifava per uno di quei pupazzi di ferro mossi attraverso dei
fili dalle abili mano dei pupari, artigiani e voci teatrali dei pupazzi di
ferro.
Principi e Re, antichi paladini, donzelle, maghi e diavoli erano i protagonisti
delle storie.
Orlando e Rinaldo, il danese Uggieri, Guerino il meschino e le donne Berta e
Beatrice, Alda la bella e Angelica bella fra tutte le belle.
Ma la vera star, per la quale grandi e piccini fanno follie è Carlo, il gran
servo della croce pazzo d’amore per la bella Angelica ed il cui senno è stato
rubato da Astolfo. La sua bella barba bianca ondeggia al vento. Egli piange e
sospira, sempre attraversato dalla sorte, e a Dio si raccomanda. E quando i
suoi prodi vincono bandisce giostre e tornei.
L'opra
dei Pupi è un aspetto della tradizione e della cultura siciliane ed è
degnamente ricordata come un mezzo di esaltazione della rivolta del povero e
della trasmissione di comportamenti spavaldi in difesa dell'onore.
Anche
se attualmente tale espressione artistica ha perso parte del suo fasto a causa
della concorrenza di altre forme culturali d'intrattenimento come il cinema e
la televisione, evento che ha portato i Pupari a chiudere alcuni teatri (in
verità tutti, solo alcune rappresentazioni turistiche fanno rivivere lo
spettacolo)
Una sorta di salvaguardia di
questo patrimonio artistico isolano è dato, ad esempio, dal Museo
Internazionale della Marionetta presente a Palermo - esso raccoglie circa
tremila pezzi tra pupi, marionette e ombre sceniche, alcune delle quali
rappresentano degnamente l'Opra dei Pupi palermitana e catanese.
Storicamente l'Opra dei Pupi
come rappresentazione degli scontri medievali tra i Cavalieri e i Mori nasce,
nella forma in cui la conosciamo oggi, attorno alla seconda metà del 1800,
quando le marionette cavalleresche dalle quali i Pupi derivano incontrarono il
favore del pubblico ed iniziarono a rappresentare la sete di giustizia di una
classe sociale.
La diffusione di tale forma
espressiva, inoltre, fu agevolata dai "Cantàri", dai
"Cantastorie" e dai "Contastorie", da ricordare per il
merito di divulgare le avventure cavalleresche con il suo "Cuntu"
(=racconto). In effetti, tali artisti eseguivano a puntate le varie avventure
degli eroi cavallereschi, schema che poi sarà riprodotto dall'Opra, ed è
provato che già a partire dall'inizio del 1800 il loro repertorio comprendeva anche
"I Reali" e una "Storia di Orlando e Rinaldo".
Nell'Opra dei Pupi si ha la
trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini che hanno
interessato il popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso
dell'onore, la lotta per la giustizia e la fede, gli intrecci amorosi e la
brama di primeggiare.
Tale forma teatrale, pur nella sua semplicità, ha permesso in un certo senso la
divulgazione dell'epopea.
Tra le principali tematiche
trattate dall'Opra occorre ricordare che quella prevalente è la trattazione di
soggetti cavallereschi.
Il Ciclo di Carlo Magno
prevede una sua particolare suddivisione: "La storia di Ettore e dei suoi
discendenti", "I Reali di Francia da Costantino a Carlo Magno",
"Storia dei Paladini di Francia", "Guido Santo e i discendenti
di Carlo Magno".
Questo ciclo, insieme a "La storia dell'Imperatore Trabazio" e
"Il Guerin Meschino", sono stati rappresentati in tutta la Sicilia.
Ci sono, inoltre, anche altre
tematiche che hanno avuto uno sviluppo semplicemente locale, come le vicende di
Uzeda. Catania è la patria di questo particolare Pupo nato dal genio dei due
eccellenti artisti Don Raffaele Trombetta e Sebastiano Zappalà. I due si
ispirarono a Don Giovanni Francesco Paceco duca di Uzeda, viceré di Sicilia
verso la fine del 1600. L'eroe in questione si innamora della bella figlia del
re, Galatea. Malauguratamente la fortuna non è dalla sua parte: per disgrazia
egli uccide il proprio figlio Osvaldo e muore tra le braccia dell'amata.
Molto spesso, inoltre, alcuni episodi dei cicli appena citati erano
rappresentati come spettacoli unici da eseguire in una sola sera.
Un ulteriore tema presente
nell'Opra siciliana è quello banditesco.
Molto spesso, nelle storie narrate dai Pupi, compare il ladrone, il cattivo di
turno destinato in origine ad attirarsi le antipatie del pubblico e di esser
rappresentato come un personaggio sporco, dalla faccia poco aggraziata ed atto
solamente alle azioni più spregevoli come rapinare i malcapitati viandanti che
malauguratamente incappano nella sua strada. Dopo il 1860 la rappresentazione
di tale personaggio cambia: Rinaldo, ad esempio, rappresenta il prototipo
dell'uomo forte che ha il coraggio di opporsi allo schema sociale e politico
costituito. In tal caso ed in un simile contesto il "bandito" assume
il ruolo sociale di rivendicare giustizia.
Un esempio di quanto detto è
il lavoro teatrale "Rinaldo Furioso" di Vincenzo Di Maria. In tale
lavoro Rinaldo rappresenta le attese egalitarie ed il desiderio di liberare le
masse. Così egli intraprende una lotta contro Carlo, ma i sogni di gloria sono
destinati ad infrangersi.
Assistere ad uno spettacolo
dei Pupi vuol dire assistere a degli eventi specifici come i Consigli e le
Battaglie. I primi sono delle riunioni di più personaggi e possono avere un
carattere privato o solenne.
I Consigli hanno anche il merito di chiarire il carattere dei personaggi, cioè
se essi sono "amici" o "nemici", traditori o meno, i
rapporti che intercorrono tra fra loro, i comportamenti che essi assumono ed i
valori che essi rappresentano.
Le "Battaglie" hanno il merito di saper coinvolgere il pubblico e
rappresentano certamente il momento centrale dell'Opra dei Pupi. Esse
includono, come momento culminante, la morte di alcuni personaggi.
Riprendendo le fila della
"Storia dei Paladini" e sempre parlando delle varie tematiche
trattate nell'Opra dei Pupi, la rappresentazione consta anche di altri elementi
importanti, a partire dalla messa in scena di alcuni eventi importanti come il
tradimento, i rapporti tra Re e Vassalli e le varie contrapposizioni tra Bene e
Male come l'opposizione lealtà-slealtà, il rispetto o meno delle regole
sociali, l'opposizione classica tra Cristiani e Saraceni ed anche di alcune
tematiche importanti come quelle riguardanti la sfera politica, quella amorosa,
quella familiare e quella sovrannaturale.
Il Pupo trovò nell'isola
terreno fertile grazie a delle celebri dinastie di Pupari.
Il Puparo è l'artista-artigiano vero fulcro dell'Opra dei Pupi. Alle sue
dipendenze lavorano almeno due aiutanti-apprendisti e richiede la
collaborazione del fabbro-ferraio (per la realizzazione delle armature dei
pupi), del pittore (per la realizzazione dell'indispensabile cartellone
suddiviso in riquadri ed avente lo scopo di rappresentare gli avvenimenti
principali dello spettacolo; il lavoro del pittore, inoltre, è indispensabile
per decorare il teatro) e dello scrittore di dispense (dal suo lavoro il puparo
trarrà i suoi copioni).
Molto spesso i componenti
della famiglia aiutano il Puparo nello svolgimento del suo
"mestiere", come avveniva spessissimo a Palermo negli anni passati.
Ogni Puparo ha i suoi trucchi
e tecniche sceniche ed il proprio repertorio .
Durante gli spettacoli il
Puparo usa spesso un linguaggio letterario particolare arricchito da alcune
frasi dialettali ed i suoi spettacoli sono arricchiti dalla musica
originariamente data dai musicanti e successivamente da un organetto.
Esser un bravo Puparo non
significa solo esser un bravo artigiano, ma anche esser un bravo attore visto
che egli ha il compito di animare i Pupi e di dar loro la voce.
La particolarità di uno
spettacolo dei Pupi è che spesso la recitazione dei maestri pupari è a
soggetto, sempre nel rispetto della "sceneggiatura" collegata alla
tradizione, e che la rappresentazione può anche durare alcune ore.
Il pubblico spesso interviene
non solo a parole, ma testimonia le proprie antipatie nei confronti di alcuni
personaggi poco graditi lanciando contro di essi oggetti vari e, più in
generale, attraverso i commenti dialettali che essi davano durante l'intervallo.
Specialmente agli inizi, questa forma di intrattenimento era seguita in special
modo da ragazzi ed uomini del ceto popolare.
I personaggi spesso cambiavano aspetto.
Tra le varie innovazioni si può ricordare, ad esempio, l'introduzione di un fil
di ferro nel braccio per poter controllarne meglio il movimento quando si deve
estrarre la spada.
Un'altra evoluzione nella struttura del Pupo fu dettata dalla necessità di
aumentarne la resistenza durante il combattimento, necessità che impose di
sostituire il materiale originario costituente l'armatura, cioè il cartone, con
la latta.
La struttura interna del Pupo è sempre realizzata con il legno.
Tale struttura prevede, inoltre, che la mano destra sia parzialmente chiusa in
modo da poter tenere la spada mentre l'altra è aperta in modo da potervi legare
lo scudo. Tutte le parti che costituiscono il corpo sono legate fra loro con
del fil di ferro.
Per realizzare la corazza occorre una lastra di rame sulla quale si puntellano
i disegni precedentemente realizzati sul cartone.
Anche la realizzazione del
palcoscenico dell'Opra prevede una elaborata preparazione. Innanzitutto esso è
coperto da vari teloni (una prima tela dai colori vivaci che contiene anche il
simbolo della Sicilia, la Trinacria, il sipario raffigurante scene di battaglia
dietro il quale si ha, poi, il pannone maestro).
Alle quinte può esser applicato il "fondino", cioè il siparietto, una
particolarità del teatro dei pupi palermitano. La struttura prevede, inoltre, otto
quinte ed una pedana.
I teatri, in genere, si
preparano all'interno di magazzini o scuderie ed hanno alcune piccole
differenze in base al fatto se essi sono presenti a Catania o a Palermo.
In effetti, data la differenza sostanziale tra i due pupi delle due città, nei
teatri dell'area palermitana le sale avevano un'ampiezza inferiore rispetto a
quelle dei teatri catanesi.
Anche nel modo di preparare i
cartelli si notano alcune differenze tra le due diverse scuole. Il comune scopo
di annunciare al pubblico lo spettacolo che sarà attuato la sera e l'esatto
punto in cui esso è arrivato è effettuato in modo differente: il cartellone
palermitano prevede una suddivisione almeno in otto riquadri - detti
"scacchi" - raffiguranti differenti scene delle varie serate del
ciclo, quello catanese hanno una sola scena.
Dei Pupi in particolare hanno
un ruolo prestabilito: un primo Pupo ha il compito di annunziare il titolo
dello spettacolo che sarà rappresentato; altri due hanno il compito di
scambiarsi delle battute prima che lo spettacolo inizi con il compito di creare
l'atmosfera e l'interesse attorno allo stesso spettacolo; infine si ha il Pupo
che svolge il compito di preannunziare un piccolo riassunto per lo spettacolo
successivo (è denominato "Perdomani").
Tra i vari personaggi di tale
forma espressiva occorre ricordare i Pupi armati cristiani come "Morando
di Riviera", i Pupi armati pagani come Bramante, i Magonzesi, i Giganti,
dei soldati e ragazzi vari, maghe e maghi, donne di paggio.
Fra essi spiccano Rinaldo di
Montalbano (lo spirito ribelle che ebbe il coraggio di fuggire dal seminario,
di dedicarsi alle avventure amorose con donne pagane, il simbolo dell'uomo
scaltro), Orlando (capitano dei paladini, noto anche per il suo strabismo, il
prototipo dell'uomo fedele e leale e che ha poca fortuna con le donne), Gano di
Maganza (appartenente al gruppo dei Magonzesi, il cattivo, il traditore per
eccellenza del quale non ci si può certamente fidare, rappresentato sempre con
un volto barbuto, claudicante nel camminare e dall'aspetto sgraziato, tanto da
esaltare ancora di più la differenza tra bene e male).
Maledetto progresso…
3
Piana degli
Albanesi non si chiama così a caso, ma deve il suo nome al fatto che nel 1490
alcuni gruppi di profughi provenienti dall’Albania in seguito all’invasione dei
turchi in quel paese, chiesero ospitalità al Re di Spagna che gli permise di
stabilirsi in quella parte di Sicilia che ai tempi era totalmente disabitate.
Concesse loro anche di continuare a praticare il loro culto religioso.
La curiosità sta nel fatto che a tutt’oggi la popolazione parla un dialetto
albanese e professa il culto ortodosso.
Anche durante le feste gli abiti della gente sono di chiaro stampo albanese.
Alcune usanze si scostano drasticamente rispetto al resto della Sicilia.
Il matrimonio di una ragazza è sfarzoso, con un abito nuziale riccamente
colorato.
L’Epifania e la Pasqua sono festeggiate con rito bizantino e molto sentite
dalla popolazione che partecipa in massa. Spesso onde di turisti attratte
curiosamente da questi riti, distraggono il popolo dalle loro funzioni
liturgiche.
Attraversiamo la via Giorgio Kastriota (eroe nazionale albanese) e ci fermiamo
alla chiesa madre di San Demetrio.
Entriamo…
La pianta è a croce greca e l’interno ha tre navate. Un affresco di Pietro
Novelli ritrae il Padreterno, Cristo risorto e i 4 Padri della Chiesa Greca.
Mi piace. Passe un prete con una lunga barba nera e alcune donne pregano
inchinate vicino all’altare.
Certo che le chiese sono sempre molto affascinanti e conturbanti.
Usciamo e decidiamo di mangiare un’istituzione dello spuntino palermitano: il
panino con le panelle, cibo del quale faremo incetta nei gorni successivi tanto
quanto la ormai mitica granita.
Le panelle sono una farina di ceci fritta e delle dimensioni di un cerchio
fatto con i pollici e gli indici delle due mani.
Il venditore ha il suo esercizio nel vano posteriore di un piccolo furgoncino
adibito a cucina ambulante. Su un pentolone alimentato da una fiammella immerge
le panelle e dopo pochi minuti sono gia pronte. Apre un panino che prende da
una grande cesta e lo imbottisce buttandovi un pizzico di sale. Ci chiede se
vogliamo del limone e…ce lo pappiamo.
4
Un alto e
lugubre ponte a “U” ci immette nella statale 624 direzione Palermo.
Inizia così una lunga discesa che da circa 1000 m s.l.m. in cui ci troviamo, ci
porterà a Palermo.
La ricorderò come una delle più belle passeggiate fatte in questa terra.
Siamo nella “Conca d’Oro”, un avvallamento coltivato ad Aranceto (il frutto
importato dagli Arabi) e alla cui fine sboccia Palermo.
La strada corre tra due monti, scendendo continuamente tra un ponte e l’altro.
La cartina confermerà in seguito la conformazione del posto che stiamo
attraversando. L’arteria è su un fondo chiaro (la conca) tra due fondi scuri (i
monti). A mare i rilievi degradano e il capoluogo palermitano si estende per
tutta la pianura possibile.
In moto oltre alla normale ottica paesaggistica si avverte una certa simbiosi
con la strada che non si percepisce con la macchina ad esempio.
E così un dislivello, un ponte, un precipizio diventano emotivamente più forti.
La Sicilia continua ad offrire questi panorami. Questa terra è clamorosamente
come non te la immagini: un andirivieni di cocuzzoli, mare, monti, valli, pianure
e il tutto, senza una logica consequenziale!
I contadini isolani lavorano e combattono per i loro agrumi e buona parte
dell’attività della regione è basata sulla vendita di questi frutti, anche se
la concorrenza spagnola è sempre più devastante.
Ma questa terra è ancora troppo ricca (fortunatamente) di verde, di aperta
campagna, di oasi di pace.
Il passaggio tra un centro abitato e l’altro, soprattutto all’interno, deve
fare i conti con le distanze chilometriche.
E così si passeggia tra le sementi della terra…
Ricorderò a lungo quell’affascinante discesa verso l’antica Panormus.
5
Palermo è il
capoluogo della Sicilia.
E’ una delle città più belle del mondo, elegante e particolare in ogni suo
angolo.
Diventò capitale della Sicilia al tempo degli Arabi, quando i califfoni
destituirono Siracusa dell’onorato titolo (anno 1.000).
A quei tempi la città era una magia di giardini e fontane (elementi decorativi
per i quali ancor oggi il popolo di Maometto accentra le sue invenzioni
architettoniche).
Palermo oggi è una metropoli di quasi un milione di abitanti che deve fare i
conti con un traffico asfissiante. Noi con la moto ci divincoliamo facilmente
ma neanche tanto.
Alloggiamo in un’anonima pensione del centro e dopo i rituali di consegna della
camera andiamo a fare il nostro giro turistico.
Passammo dallo sfarzoso Viale Libertà che tra i viali alberati arrivava in
Piazza Politeama dove il barocco dei palazzi significava un glorioso passato.
Si respira un’aria da film in questa città: pellicola d’altri tempi.
I venditori di panelle si confondono con il passaggio di lussuose macchine,
alcune figure di baffuti anziani con la coppola stridono con gli assordanti
motorini dei giovani palermitani.
Arrivammo verso le tre del pomeriggio al Convento dei Cappuccini meta che non
volevo perdere.
Questo “albergo dei seguaci di Cristo” era noto soprattutto per le “Catacombe”,
un cimitero sotterraneo dove sono stati conservati in lunghi corridoi i
cadaveri di ricchi palermitani, dal 1600 al 1881!
Che sorpresa
lugubre!
8000 corpi, i più mummificati quasi tutti allo stato di scheletro, “vivevano”
lungo i funerei corridoi sotterranei del convento.
Alcuni in piedi, altri seduti, chi ancora in casse o dietro una vetrata, in una interminabile passeggiata nel regno
delle tenebre!
Sono sicuro che qualcuno mi stava osservando…la suggestione oramai si era
impadronita di me!
Ecco quello parla!
Acceleriamo il passo, sembra non esserci più l’uscita!
Un altro sembra ridere, sento la sua voce!
Tutti la, tutti “vivi”!
Per una buona
mezz’ora successiva non parlammo ognuno immerso nei suoi pensieri resi più
fertili da quell’inedita escursione.
Ma Palermo era troppo vivace per dare spazio al pensiero.
Andammo così verso la Cappella Palatina il capolavoro indiscusso dell’arte
normanno-araba in Sicilia.
6
La Cappella
Palatina conserva nelle sontuose decorazioni del soffitto l’arte islamica, nei
pavimenti con intarsi di pietra l’arte bizantina e la sua costruzione a queste
due fusioni artistiche, arte nella quale i Normanni erano maestri.
Non vi racconterò delle altre passeggiate alla ricerca dell’arte, ma di Palermo
oggi.
Città deliziosa e pomposa. I suoi abitanti lo sanno e sembrano mostrare il loro
lato peggiore, che è la boria. Ma chiaramente questo è un atteggiamento di
pochi stupidi.
I palermitani sono continuamente combattuti tra la nobiltà dei tempi antichi e
che ancor oggi è presente in numerose famiglie e modi di essere. Cos’ il
“portierato” ormai in disuso, qua diventa un appiglio alle antiche virtù.
Addirittura alcune eleganti costruzioni impongono la livrea al custode del
palazzo.
I tipici carretti siciliani trasportano turisti in giro per la città: così
anacronistici in questi tempi moderni ma volutamente naif in questa metropoli.
Palermo, che dalla dominazione Araba ebbe il suo periodo di massimo splendore
tanto da assurgere secondo taluni viaggiatori del II secolo, a meraviglia del
mondo. I suoi giardini, le sue moschee e i suoi palazzi, erano rinomati nel
globo.
Palermo diventa capitale della Sicilia proprio in quel periodo, togliendo lo
scettro ad un oramai decadente Siracusa.
Il monte Pellegrino domina la città, così sobrio e così superbo.
Lussuosi negozi si alternano a folkloristici venditori di panelle e di
“stigghiola” (interiora di animali).
Una fiorente università giustifica questa sproporzionata presenza di ragazzi.
Ogni angolo della città sembra vivere una dimensione assolutamente diversa del
quartiere vicino, classico dei grandi centri.
Quella sera andammo a cenare a Mondello, litorale estivo e lussuoso del
capoluogo siculo.
Mancava ancora un’ora all’imbrunire.
Passammo da Piazza Leone dove appresso ad essa, una porta in pietra (la porta
Leoni) introduceva al grandioso parco della “Favorita, così chiamato perché era
il giardino che Re Ferdinando III di Borbone omaggiò alla sua donna (la
favorita, per l’appunto), e che è un’impareggiabile polmone verde che unisce la
città al paesino di Mondello.
Alle falde del Monte Pellegrino si estende quello che forse è il giardino
pubblico più grande del mondo. Perché originariamente faceva parte del
complesso Reale e non era un’arteria cittadina.
Che bel ricordo di quella passeggiata ai piedi del Monte Pellegrino.
Alto 606 metri fù definito da Goethe “il più bel promontorio del mondo”. Nella
parte alta del monte, i palermitani hanno eretto il Santuario della patrona
cittadina “Santa Rosalia”. La grotta ed il convento seicentesco sono in uno
scenario di particolare suggestione.
Entriamo nella grotta dove la Santa pregava. E’ profonda una trentina di metri
e dalle sue pareti gocciola acqua ritenuta miracolosa dai fedeli.
Queste storie di fede nascondono sempre un grande carisma.
L’oscurità sta prendendo il testimone dalla luce e velocemente saliamo alla
cima del monte dove un panorama grandioso lascia intravedere l’Etna!
Vedete amici, la Sicilia è un continente!
E credo che Palermo sia una delle più belle metropoli del mondo perché in un
raggio non eccessivamente grandissimo, presenta meraviglie uniche.
Riscendemmo ai
piedi del parco e ci dirigemmo verso Mondello dove tra lussuose ville e moderni
alberghi una costruzione attrasse la nostra attenzione: un ristorante, che poi
avremmo saputo essere dei più rinomati, su una palafitta in mezzo al mare.
Mondello è sfarzosa. Alcune baracche in prossimità della piazza vendono pesce
da asporto. Vediamo alcuni ragazzi ordinare del polipo; il venditore affetta il
mollusco ancora fumante e lo serve su un imbuto di carta, dopo aver messo sale,
pepe e limone. E la gente passeggia “sgranocchiando” per il corso, come se
avessero un pacco di noccioline!
Una di queste caratteristiche baracche presenta alcuni tavolini nell’umile
retro. Decidiamo di cenare là…
Prendiamo dei ricci di mare che accompagnati dal pane sono favolosi, del polipo
ed una pepata di cozze. Accompagniamo la cena con del locale vino bianco, quanto
basta per inebriarci.
La piazza nel frattempo si anima di gente della diversa età.
Ci intrufoliamo tra loro e consumiamo, seduti al dolce tepore dei nostri
pensieri, un gustoso cono gelato, io al gusto di fragola e Zigomì al gusto di
nocciola.
Buonanotte…
7
La giornata
seguente la passammo andando a vedere le Grotte dell’Addaura, itinerario che
non volevamo perdere.
In queste Grotte, che si trovano sempre sul Monte Pellegrino, furono scoperte
incisioni parietali risalenti al periodo paleolitico.
Addaura in dialetto significa alloro, pianta aromatica che da queste parti
cresce rigogliosamente.
Uno di questi disegni è veramente curioso: raffigura figure umane con maschere
a becco d’uccello, che eseguono una danza a circolo attorno a due personaggi,
che a prima vista felici non sembrano! Probabilmente si trattava di un
sacrificio umano a favore degli Dei.
A tal proposito mi viene in mente che Palermo, l’antica Panormus, è stata
colonia fenicia e che questi tizi usavano sacrificare giovani fanciulli in
feste religiose.
Quando i Greci gli sconfissero in
battaglia, fecero promettere loro di smetterla con queste atrocità!
Comunque il nostro amico “genere umano”, continua a inventare e a progredire.
Si sforza a cercare la pace. Ma per far questo deve passare attraverso le
guerre!
Il pomeriggio
andammo ai Giardini Inglesi dove Zigomì progettava colori per le pareti della
nostra nuova casa e io mi divertivo a sentire le registrazioni vocali di questi
giorni di viaggio…
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Dopo
un’abbondante colazione a base di cornetti e caffè ci dirigemmo verso Monreale.
Salendo da Corso Calatafimi raggiungemmo il paesino che oramai era diventata
una frazione periferica di Palermo.
Libri di viaggiatori dell’isola parlano di questo sito e della bellezza della
strada che vi arrivava.
Lo è ancora oggi, almeno nell’immaginazione, perché il caos della sottostante
metropoli ha fatto vittima la piccola Monreale.
Uno scrittore francese, tale Gastone Vuiller autore di quello che a mio avviso
è il più bello scritto di viaggio su questa terra, ricorda che per salire a Monreale
impiegò un’ora abbondante seduto in carrozza. E che da quelle parti si
aggiravano briganti, per cui un senso di paura lo accompagnò per il tragitto!
Ma il fine ‘900 erano decisamente altri tempi.
Peccato non potere aver visto la Sicilia in quegli anni. Questo terra così
ricca di tradizioni sembra averle tutte smarrite ai giorni d’oggi. Qua più che
altrove si avverte questa maledizione del progresso: perché ancora si respira
la bella sensazione del passato…
Rispetto al nostro amico francese è tutto diverso.
Solo i fichidindia sembrano sfidare i tempi. E naturalmente anche la
suggestione del panorama in questa salita verso Monreale.
In questo paesello caotico c’è una magnificente cattedrale: il Duomo normanno
(1.100 dopo cristo), una delle più alte creazioni del medioevo italiano.
La sontuosità di quest’opera architettonica la rimando al vostro viaggio in
Sicilia.
Ma dei suoi mosaici all’interno vi parlerò di seguito…
Per una
incredibile superficie di 6340 metri, le pareti delle navate sono tutte rivestite
di mosaici a fondo d’oro creati dalle sapienti maestranze arabe e veneziane.
Raffigurano il ciclo dell’antico e nuovo Testamento (libro religioso
cristiano).
Stiamo una buona mezz’ora a testa in su a guardare il capolavoro artigiano di
questa sapiente arte.
Usciamo passando dal chiostro dei benedettini, un miracolo di architettura e di
policromia. Anche qua alcuni mosaici attirano la nostra mente.
C’è poco da fare: ci credi o non ci credi i seguaci di un Dio hanno sempre
fatto grandi opere: come aiutati da una mano divina…
2
Lasciammo
Palermo in direzione di Segesta o Alcamo, più semplicemente.
Passammo un piccolo centro, Pioppo, quindi Alcamo e arrampicati alla montagna
raggiungemmo Alcamo.
Il mare perso per un istante rifece la sua improvvisa comparsa in un golfo di
incomparabile bellezza.
Per l’ennesima volta ci trovammo a “sentire” l’interno dell’isola, così
solitario e mistico per quindi ritornare vicino al Mediterraneo dove la vita
scorre diversamente.
Alcuni
personaggi e la brutalità dei suoi monti, richiamano in mente la dolente nota
della regione: la mafia.
3
Non so proprio
da dove iniziare…
E probabilmente lo faccio nella maniera meno grata per farmi capire.
La mafia è per i
Siciliani, come gli hooligans per gli inglesi, la follia violenta degli
americani, gli israeliani per gli arabi!
Ma a differenza di quelle altre piaghe, questa la puoi evitare.
E’ difatti uno stato nello stato interessato solo alle grandi e illegali
questioni: è quello che quindi c’è laddove ci sono interessi economici. La
cancrena che domina lo scenario politico di tutto il mondo. Probabilmente
questo “stato nello stato” nasce in Sicilia o probabilmente questa forma di
ribellione, certamente violenta e ingiusta, trova nella miseria passata di
questo popolo la sua forza.
Ma certamente non giustifica uno dei preconcetti più idioti che io abbia mai
sentito in vita mia: che il siciliano è mafioso!
Oh! Quanto stupido può essere il genere umano!
In questa terra non ci sono ne briganti ne violenti: abbiatene fiducia!
La storia del
processo mafioso potremmo sintetizzarla così: la Sicilia è stat uno dei centri
fondamentali per lo sviluppo della cultura e del progresso umano. Lo fu al
tempo dei Greci, lo fu al tempo degli Arabi e al tempo dei Normanni.
Lo fu quindi fino al 1200 dopo cristo. Poi tutto svanì, quando questa terra fu
usata più come colonia che come regina del mediterraneo. Per 700 anni
quest’isola è stata letteralmente prigioniera dell’avidità! Ricche famiglie
erano proprietarie di enormi appezzamenti di terreni (i feudi), in mano a
potenti padroni (i feudatari) che miseramente retribuivano il lavoro di onesti
braccianti.
E a nulla valevano le loro lamentele: erano subito azzittiti da malavitosi
compaesani assoldati dai feudatari che con la persuasione della violenza gli
assoggettavano e gli “consigliavano” di non dire niente ai poteri statali, che
comunque sapevano tutto ma erano anch’essi schiavi dell’enorme potere economico
e politico dei feudatari. E il povero popolo “preferiva” tacere i soprusi.
Ecco cos’è l’omertà, braccio armato della mafia.
E d’altronde naturale, che una terra così rigogliosa e fertile finisse per fare
questa fine. Serva d’insegnamento all’umanità, e da onore agli antichi Greci (e
Arabi e Normanni in questo caso), le cui società privilegiavano il “bello”
innanzi a tutto.
I primi mafiosi siciliani si chiamano:
Ma la Sicilia
non ha niente a che fare con questo vile passato!
Diceva Einstein: “ La bomba atomica ha cambiato tutto, tranne il nostro modo di
pensare”.
Smentiamolo!
4
Da Alcamo scendemmo
verso Castellammare del Golfo, costeggiando il Monte Inici che raggiunge la non
irrilevante quota di 1.064 m s.l.m.
Un ufficio
informazioni turistiche era chiuso quando sarebbe dovuto essere aperto. Male
minore…
Siamo sulla statale 187 che scorre altissima rispetto al mare appena sotto. E’
chiaramente di grande impatto scenico, con il Monte alla nostra sinistra e il
mare a precipizio sulla nostra destra.
Una roulette è posteggiata su un punto panoramico e vende cibo.
Mangiamo l’ennesimo pane e panelle, equamente diviso.
Una deviazione della statale ci conduce a Scodello, passando tra vivacissime
spiagge di incommensurabile bellezza.
Spesso la montagna si bacia col mare in questa terra…
5
Scopello è una
fiaba.
Arroccata un po’ sopra il mare ha la sua entrata attraverso una porta in pietra
che sembra richiamare un quadro settecentesco.
Il cortile di un baglio è la Piazza del paese.
Due rigogliosi cani riposano all’ombra dell’infuocato sole odierno.
Fermiamo la moto e restiamo esterrefatti alla visione di tale borgata.
Uno dei cani esegue un rito che ci fa comprendere della familiarità che per lui
ha questo posto: si alza e lentamente si dirige verso la splendida vasca in
pietra della piazza. Quindi con un balzo si immerge a cercar refrigerio tra le
sue acque. Rimane qualche istante a mollo, quindi dopo una bella scrollata,
riprende sonno vicino al suo compagno!
Andate a Scopello amici. L’indifferenza con la quale viene trattato
turisticamente questo paesino rafforza il mio incitamento.
E’ questa una delle più belle zone del paesaggio siciliano.
C’è tutto: il monte, arido e fertile alla stessa maniera; il panorama,
mozzafiato e profondo; l’architettura, siciliana e di antichi ricordi; il mare,
meraviglioso e limpido, mare di Sicilia!
6
Da queste parti
c’e’ la Riserva dello Zingaro, uno dei capisaldi dell’itinerario naturalistico
siciliano.
Un biglietto di pochi euro è l’apripista per la visita.
Ci porta attraverso un sentiero scosceso, sulle rive di una magnifica spiaggia.
Ci facciamo un bagno e ritorniamo.
Abbiamo dedicato poco tempo a questo parco, ma quanto basta per consigliarlo a
chi ci verrà…
E io non vi tradisco, amici…
6
Sono le 2 di
pomeriggio e dobbiamo fare un bel po’ di strada.
Un’arteria interna poco dopo un
agglomerato di case (Case de Franchis) in cui si vendono alimentari e cibo
vario, sale per i monti del posto.
Ci inerpichiamo soavemente e il panorama del Golfo fa da colonna sonora alla
nostra passeggiata, fin quando lo perdiamo di vista addentrandoci all’interno.
No siamo neanche a 300 metri d’altezza che comunque abbiamo raggiunto in una
ripida salita.
Tra un tornante e l’altro vediamo in lontananza un piccolo agglomerato di case.
Posteggiamo la moto.
Vi dico quello che vediamo: a sinistra alcune villette vivacizzano l’arido
monte e in fronte ad esse una cinta muraria di un vecchio castello distrutto
immetteva attraverso quello che doveva essere il vecchio ingresso principale,
ad un cortile dove una serie di piccole case era ricavato dai vecchi vani della
stessa fortezza.
Magico luogo!
Una campana che si poteva suonare attraverso una corda, scendeva a mano d’uomo
dal portale d’ingresso del maniero.
Entrammo attraverso la porta in pietra e gustammo le 4 abitazioni di quel
solitario posto.
Una di esse era in vendita!
Non capisco a tutt’oggi come il vecchio Castello di Baida possa essere finito
diviso tra alcune famiglie di agricoltori del posto!
Che fortuna!
Una signora esce dalla casetta del cortile e ci invita a vedere i suoi pomodori
al sole.
E da queste parti questa è una specialità molto apprezzata.
I pomodori vengono fatti essiccare al sole ed una volta secchi, vengono messi
in un barattolo conditi con olio e sale.
Ne acquistiamo un barattolo che ci viene consegnato dal figlio sedicenne che da
queste parti non poteva certo ricordarsi la sua giovinezza.
Prendiamo anche dei biscotti ai fichi.
Questo piccolo feudo abitato da poche famiglie è veramente pittoresco.
7
Siamo nella
parte occidentale dell’isola.
Da queste parti l’Africa è piu vicina e un leggero vento di scirocco pizzica
l’aria.
Le mie braccia abbronzate sono distese sullo sterzo mentre una curva e l’altra
ci accompagnano nuovamente a mare.
Una valle coltivata ad Olivi attrae il mio sguardo: questa pianta da frutto
spesso e simbolo della paceper la religione cristiana spesso è di particolare
bellezza. Certamente è splendida in un contesto abitativo come questo, tra il
sle ed il mare…
Siamo a Scurati dove avevo letto di un posto strano…
Poco distante
dal paese di Custonaci c’è questa piccola frazione chiamata per l’appunto
Scurati.
E’ un piccolo quartiere rsidenziale molto elegante amio avviso. Il monte Cofano
alto 656 metri impedisce da queste parti di vedere il Capo San Vito ,estremo del
golfo di Castellammare. La monteagna è spaccata a metà per l’estrazione del
marmo. Non avevo mai visto niente di simile. Enormi macchinari incidono il
monte che praticamente tra pochi anni non esisterà più da queste parti ma
sparso tra i muri e gli abbellimenti di qualche casa!
Sotto la montagna una enorme riparo naturale scavato nella dura pietra (la
grotta di scurati), ospita una serie di casette di piccole dimensioni!
Una strada lastricata conduce al riparo che, udite udite, fino a qualche anno
fa era abitato.
Da queste parti non pioveva mai sicuramente, ma voi ve la sentireste di vivere
con una montagna sulla testa?!
Oggi un suggestivo presepe è il richiamo di molti turisti durante le feste
natalizie. E meglio di questa grotta non poteva trovare la famigliola di Gesù
Cristo.
8
Decidiamo di
farci un bagno a mare. Ci convince la tranquilità di questa zona e il gran
caldo di questa giornata ottobrina.
Scendiamo nella vicinissima frazione di Cornino che anche durante l’estate, ci
dice il proprietario del chiosco a riva, è poco frequentata. Beata abbondanza!
Il lungomare di questo piccolo centro non riportato in alcune cartine, è
semplicemente: pulito, con la splendida montagna a delimitarlo in un golfo, pulito
ed elegante con le sue basse case a schiera.
La riva è strana. Appena a pelo d’acqua una sinuosa roccia accompagna il mare
per un bel po di metri.
E’ strana questa parte di mare. La sabbia e fine ma non appena giunge a
contatto con l’acqua sembra trasformarsi in pietra!
Un chiosco accanto a noi ci permette di prendere un caffè e cambiarci in
toilette.
Salutiamo e riprendiamo la marcia.
Cerchietto rosso…
9
Costeggiamo il
Golfo di Bonagia fino ad arrivare a Valderice dove una splendida casa in stile
siciliano barocco dominava la via principale di questo paesino.
Ma la nostra meta era Erice a cui si arrivava serpentineggiando tra la strada a
strapiombo del Monte San Giuliano, con un panorama mozzafiato che compare una
curva si (quella esposta) e una no (quella rientrata ), tra ginestre ed olivi a
colorare il quadro di quest’ennesimo cocuzzolo siculo.
E la sopra, lei, bella tra le belle!
10
Questo delizioso paradiso terrestre diventò famoso per il suo tempio ove i
Fenici adoravano Astarte, i Greci Afrodite ed i Romani Venere, che per tutti e
tre era la dea della fecondità.
In poche parole il Monte Erice si trasformava spesso in una gigantesca casa
d’appuntamento, dimore per la cui costruzione e conduzione gli antiche erano
maestri.
Un faro posto sulla cima del monte serviva da bussola per gli smarriti
navigatori che così oltre a trovare la via del ritorno passavano delle orette
lontano dalla moglie!
A quei tempi il sesso era una gran festa, accompagnata da vino e danze, e
giochi erotici da Serie A!
Uomini e donne promiscuamente copulavano in mitiche orgie ed in onore di
qualche dio o dea.
Popolo saggio e furbo quello ellenico.
D’altronde l’esempio glielo dava proprio il super eroe Zeus capo degli Dei, che
ebbe 12 mogli tra cui le sue due sorelle (Era e Demetra. A quanto pare la sua
terza sorella,Estia, doveva essere proprio orribile!) e circa 10 amanti per
ogni moglie.
Insomma fin quando l’impero greco resisteva al potere, Zeus se l’è spassata
alla grande. Ma il tipo era anche buono, mitigando sempre qualunque
discussione.
Tutti gli volevano bene e il migliore moderatore di tutti i tempi, svolazzava
qua e la.
L’omosessualità era comunente praticata. La chiesa cristiana è stata la vera
rovina per gli omosessuali che a tutt’oggi sono vittime del paradosso: la
chiesa, che è l’istituzione con la più alta percentuale di omosessualità di
tutti i tempi, se dovesse essere “razzista” lo sarebbe proprio nei confronti
dei pederasti!
Mah!
11
Sulla cima del
Monte San Giuliano a 700 metri d’altezza si staglia Erice con la sua
particolare forma triangolare.
La cosa più bella da fare in questo posto, è passeggiare e godere dei suoi
vicoli medievali, particolarmente silenziosi e ben conservati.
Al fascino della posizione va aggiunto quello delle stradine lastricate e
tortuose, e con i tipici cortili fioriti, ingresso di splendide abitazioni.
Ecco che arrivati ad un certo punto l’insegna di un antico cinema appare
improvvisa seminascosta dai gerani pendenti di un balconcino.
Godiamo di questi silenziosi momenti e dell’arietta frizzante ericina.
Scattiamo delle foto e continuando a camminare arriviamo nella piazza
principale.
Prendiamo un vicolo sulla sinistra e in salita.
E’ una sfilata di caratteristici negozietti. Acquisto la solita maglietta
souvenir, genere per il quale vado
“goloso”.
Oramai quando mi vesto assomigliò sempre più ad un atlante!
Poi compriamo una conserva di marmellata d’arancia e ritorniamo dal corso
principale verso la moto.
Due turisti tedeschi sono appena sopraggiunti.
”Nice?(bello?),- ci chiedono.
”Very nice.- rispondiamo.
12
Ad Erice si ci
può arrivare da due parti. E così anche ad andarsene.
Scendiamo dalla parte opposta rispetto all’andata, quella che unisce il monte a
Trapani.
E’ un’altra bella panoramica discesa dai ripidi pendii verso il mare.
Sorvoliamo Trapani (nel senso che lambiamo velocemente la periferia) e ci
dirigiamo a Salemi che raggiungiamo in un’oretta.
Sono già le 8 di sera.
L’araba Salem (pace, salute) compare su uno sperone roccioso di 446 metri nella
Valle del Belice.
Chiediamo della frazione di San Vito e le indicazioni dei passanti ci portano
in periferia in una lussuosa contrada dove mia zia Bianca che da queste parti
ha una casa, ci avrebbe ospitato.
Lei non c’era ma aveva dato disposizione ai massari.
Arrivammo attraverso una ripida discesa che costeggiava la chiesa della borgata
di San Vito ed un cancello automatico aperto immetteva in questa splendida
villa dominante la vallata.
Giuseppe e Anna ci accolsero gentilmente.
Sapevano del nostro arrivo e non dimenticheremo mai la loro ospitalità.
Insieme ai cognati stavano arrostendo carne e bruschette di pane alla brace
approntata nel cortile della grande casa.
Ci diedero le chiavi della struttura padronale che era tutta a nostra
disposizione!
Dopo una gran doccia di quelle che ti rimettono in corsa scendemmo in cortile a
chiacchierare con la coppia di sposini che aveva due maschietti di neanche 8
anni che non nascondevano l’energia che avvolge le creature a quell’età.
Carne arrosto e vino fu la nostra cena.
Giuseppe mi raccontò un sacco di cose con quel suo atteggiamento rustico e
sorridente. Sua moglie Anna si premurò che non ci mancasse niente avvolta nella
sua maglietta firmata.
”Cca’ nautro t’annicchia è u tempu da vendemmia” (tra un po si vendemmia), “Ppi
cam’ora semo in vacanza” (ora siamo ancora in vacanza).
”Qua è tuto tranquillo…”, dissi quasi inebetito.
”Diciamo ca nun c’iavemo tutto ma non ni manca nenti!” (non abbiamo tutto, ma
non ci manca niente).
”Certo un giorno anch’io mi ritirerò in campagna…”
” Viri docu (vedi là), -disse Giuseppe indicandomi un lungo corridoio che si
apriva tra una fila d’alberi. “To Ziu Pippu quanno vene, arriva finu a
d’assutta cca machina e si fa na taliata. Appoi gira e torna arrere” (tuo zio
Pippo quando arriva si fa il viale e controlla la campagna.Poi gira e torna
indietro).
”Buono questo vino…Anche fortino, vero?”
”Sirici gradi ! (sedici gradi!).
”Minchia!. – risposi.
La nostra
camera era al piano di sopra.
Mia zia mi fece trovare un biglietto sul tavolo dela cucina:” Ciao
Giovannello Spero che tu ti diverta
tanto. Ti prego di chiudere sempre la porta della cucina per evitare che
entrino topi e gatti. Le chiavi tienile con te, perché non ce ne sono altre e
rischi di restare fuori casa. Quando ti allontani portale con te! La pasta la
trovi nell’armadio della lavanderia. Mi spiace di non averti potuto ricevere…ma
ci sarà tempo e occasione.
Baci anche da parte dello Zio Pippo.
Zia bianca”
Quella notte l’inquietudine che solitamente mi accompagna quando arrivo in un
nuovo posto non fece la sua apparizione.
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 13
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1
Buongiorno cari lettori.
Viva la mattina apripista della gioia e compagna del sorriso.
Uscimmo alle 9 ed andammo a fare colazione poco fuori San Vito, dove un
agglomerato di esercizi ravvivava la campagna attorno a noi.
Questa periferia di Salemi è allietata da belle ville e quiete.
Comprammo un giornale e la venditrice era una suora anziana che poi ci
spiegarono era “svestita” (cioè non era più una suora), ma che si vestiva così
ugualmente!
Quindi dopo la solita colazione partimmo alla volta di Marsala.
Avevamo deciso di far quartiere generale per qualche giorno a casa di mia zia.
Arrivammo a Marsala passando le campagne di quel tratto di Sicilia e che in
questo periodo erano coltivate oltre a vite da vino, anche a meloni (tipici di
questa zona).
Fondata nel 397 a.c. dai fenici diventò gloriosa al tempo degli Arabi che la
chiamarono “Marsah el Ali” (il porto di Dio).
Adagiata attorno al capo occidentale dell’isola (Capo Lilibeo), questo paesino
è famoso per un suo tipico vino dolciastro, tipicamente da dessert: il Marsala
per l’appunto.
Ci dirigiamo subito verso il mare e seguiamo la riva in moto. Arriviamo a
Piazza della Vittoria dove c’è un busto marmoreo di Garibaldi l’eroe italico
che qui fece il suo sbarco con i mille (che poi non erano nenache 900) a cui si
unirono 10.000 siciliani al grido di “Viva l’Italia”.
Conquistata che fù l’Isola dai prodi eroi i siciliani si pentirono di
quest’unione col regno italico ben presto. Ma oramai era troppo tardi… Questo
avvenne l’11 Maggio 1860.
In Piazza Vittoria una porta della citta antica(Porta Nuova), è il pretesto per
una veloce passeggiata a piedi.
La brezza marina domina l’aria del grande paese così vivace e prolifico come
molti centri marini.
Un curioso fatto storico accadde in questo paese: nel lontano 444 il vescovo
marsalese Pescasino stabilì la data della Pasqua su precisa richiesta del Papa
Leone (che vedeva in questo ecclesiasta capacità matematiche).
Il calcolo è a tutt’oggi incomprensibile a molti!
2
Un’abbondante pietra bianca riveste le case del litorale. Arrivati
ad un certo punto l’acqua diventa bassissima. Ce ne accorgiamo perché vediamo
persone camminare con il bacino abbondantemente scoperto a centinaia di metri
dalla riva!
Cumuli di montagnole bianche appaiono qua e la in bracci di terra penetranti
nel mare. E’ il sale che da queste parti si produce e che un tempo non molto
lontano costituiva un elemento di lusso nelle tavole siciliane.
Oggi è facilmente e economicamente reperibile, motivo, forse, per il quale i
siciliani danno libero sfogo ai loro cibi che sono decisamente saporitissimi.
Le saline in questa zona hanno potuto svilupparsi facilmente dato che in questo
stagnone, come viene chiamato, l’acqua ristagna ed è notevolmente salata.
Si possono notare i vari bacini quadrati costruiti l’uno di seguito all’altro
dove man mano l’acqua evapora ed il salgemma emerge compatto e cristallino.
Ogni recipiente di questi ha una salinità diversa e botole sommerse permettono
il passaggio da un posto all’altro.
Di fronte a noi vediamo un isolotto: Mozia la prima colonia fenicia.
Immersa nello stagnone si raggiunge grazie ad un piccolo battello che in meno
di 5 minuti approda all’isolotto, oggi proprietà privata e museo archeologico.
Il marinaio che lo guida è simpatico e chiacchierone; veste di tutto punto come
il capitano di un transatlantico!
L’acqua putrida lascia intravedere il suo fondale dato che non raggiunge
neanche il metro di profondità.
Una strada ormai sommersa era un tempo attraversata dai carretti che portavano
all’isola.
Oggi è ancora percorribile a piedi ma bisogna conoscerla.
Scendiamo e ci avviamo all’isolotto
sfuggendo il pagamento dato che il bigliettaio era completamente assente.
Percorriamo l’intero perimetro dell’isolotto in un’oretta.
Cerchiamo un posto dove avere un bagno che sia pulito e non ricoperto di alghe
come la maggior parte della riva.
Quando ne troviamo uno l’acqua calda e maleodorante ci scoraggia al primo piede
bagnato!
Mozia significa “filanda” perché ai tempi c’erano impianti per la lavorazione
della lana.
Le tracce del sito fenicio sono visibili in tutto il tratto del percorso.
Ci sono anche delle coltivazioni agricole, opera degli abitanti attuali: che
sono solo una famiglia, quella dei custodi!
Dapprima mi pareva bellissimo abitare qua tutta la vita, ma dovetti ricredermi:
non era questa l’isola misteriosa che stavo cercando!
3
Una terra così abitata e contesa non poteva non dare i natali a
personaggi illustri!
Ecco alcuni di loro, buoni per tutti i gusti:
1.Ciclopi, Lestrigoni e Lotofagi: ai tempi dei tempi, quel li
della fantasia, la Sicilia era abitata soprattutto nella sua parte orientale da
queste tre comunità di genti. I Ciclopi erano appostati nei pressi delle
caverne dell’Etna ed avevano un occhio solo centrale. Erano tremendi e gli
piacevano le belle figliole umane. Uno di questi si innamorò di una ninfa, tale
Galatea che invece era perdutamente invaghita del pastorello Aci. Quando il
gigante Polifemo se ne accorse fece piombere un macigno sulla testa di Aci che,
dura quanto volete, capitolò alla prima botta!
Gli dei, mossi dalla solita compassione, trasformarono Aci in fiume e Galatea
in spuma di foce.
Così quando il pastorello sfocia a riva incontra in uno spumeggiante abbraccio
la sua bella adorata.
Lo stesso Polifemo una volta mentre era nella sua caverna si
imbattè in una truppa di marinai Greci. Questi tizi capitanati da Ulisse furono
successivamente ricordati alla storia come la più sconquassata comitiva di
viaggiatori. Per andare dalla Turchia in Grecia fecero una specie di giro del
mondo, superando incredibili disavventure,che gli portò anche in Sicilia.
Storditi dalla stanchezza decisero di approdare e si addentrarono tra i boschi
del vulcano. E siccome fortunati non si potevano certo ritenere, si imbatterono
nella grotta di Polifemo che momentaneamente era uscito e che quindi sembrava
disabitata. Certo, si chiesero “ Come mai il tavolo è alto 5 metri ed il letto
4?”
Quando il gigante ritornò se ne mangiò alcuni per poi essere strategicamente
accecato grazie ad una furberia di Ulisse, che se continuamente metteva nei
guai i suoi amici almeno , e dopo la perdita di qualche sfigato, gli liberava.
Il monocolo per giunta cieco fece come un pazzo, ma i nostri eroi scapparono
per continuare a circumnavigare il globo alla ricerca della loro casa ad
Itaca(Grecia).
I Lestrigoni abitavano dalle parti di Lentini ed erano anch’essi
dei giganti, sempre brutti e cattivi.
I Lotofagi, le cui dimensioni corporali si sconoscono, erano un gruppo di
rimbecilliti che mangiavano il loto. Era questo un frutto dell’oblio. E passavano
le giornate completamente “persi”…
2.Falaride di Agrigento: era costui decisamente un gran fetente.
Tiranno della potentissima colonia Greca nel 570 a.c. Ne combinò tante e tali da meritarsi l’appellativo di “mostro”!
Forse perché perse in tenera età i genitori o più probabilmente perché era
proprio un cornutaccio, una volta al potere combinò quanto segue: a) un giorno
istitui un torneo ginnico con bevuta di vino finale presso la sua città. I
concittadini che non si facevano perdere queste libagioni accorsero tutti in
massa. E mentre erano in gara, Falaride fece requisire dai suoi soldati, tutte
le armi nelle loro case momentaneamente disabitate. Chi protestò fu torturato e
ucciso. B) ogni tanto si mangiava lattanti! C) si interessava di torture. Un
certo ”torturologo” tale Perillo costruì un toro di bronzo dove poteva
infilarsi un essere umano. Quindi disse che se si fosse acceso un fuoco sotto
la pancia, il tizio la dentro ne avrebbe visto di tutti i colori. Falaride gli
strinse la mano e lo infilò la dentro per provarlo. Era una buona invenzione ma
non glielo potè mai dire!
Morì di morte violenta, lapidato dai suoi stessi concittadini.
3. Archimede: e’ diventato famoso grazie a “Topolino”!, dove fa
l’inventore di Paperopoli. Nacque a Siracusa e fece impazzire i Romani che per
conquistare un’ormai decrepita città dovettero fare i conti con le sue
invenzioni. Una catapulta che lanciava enormi massi a distanze rilevanti ed una
mega lente con cui rifletteva i raggi solari e incendiava le navi degli arrabbiatissimi
romani.
Un giorno mentre si faceva il bagno notò che un corpo solido perde in peso
specifico immerso nell’acqua in rapporto al suo volume(principio di Archimede).
Fatta la scoperta corse tutto completamente nudo per strada gridando la sua famosa
frase “L’ho trovatoooo!!!. Inizialmente gli increduli passanti pensarono
un’altra cosa…
Fece validissimi studi geometrici, studiati a tutt’oggi.
Era un cervellone e se ne era convinto. Un giorno disse, forse in preda ad un
eccessivo protagonismo, l’altra sua famosa frase: “Datemi un punto d’appoggio e
solleverò il mondo!”
Il successo rimbecillisce…
4. Federico II di Svevia, ovvero: non è vero che se tuo padre è un
idiota devi esserlo anche tu! Figlio del re Enrico VI che peggio di come aveva
regnato non poteva, tra dissolutezze e scellerate e malsane idee, Federico II
per la sua straordinaria brillantezza, cultura e saggezza è stato unitamente
ricordato come “lo stupor mundi” (la meraviglia del mondo).
Fu il primo sovrano “moderno” nel XIII secolo per il concetto nuovo che egli
ebbe dello stato, per l’alto senso della legge e per gli interessi culturali
che avevano trasformato la sua corte palermitana in centro della poesia
mondiale.
Era un secchione…
5. Giufà: e la maschera siciliana che rappresenta il “citrolo”, lo
svampito, il combina guai. E le storie su di lui sono a bizzeffe…
Un giorno la mamma di Giufà uscendo per andare a messa chiamò Giufà e gli
disse” Giufà, sto andando in chiesa, appena esco tirati la porta”.
Giufà, appena uscita, si avvicina alla porta di casa e tira, tira, con tutte le
sue forze, fin quando non si scardina e viene giù. Allora se la carica addosso,
e arrancando a fatica per la lunga strada giunge alla chiesa:”Ecco, qua c’è la
porta; ma che fatica…”
6. La vecchia dell’aceto: nel 1800 c’era a Palermo una signora
anziana che mentre era dal farmacista sentii che un bambino stava muorendo
perché aveva bevuto dell’aceto per pidocchi che se non fosse intervenuto
immediatamente il medico per farglielo rigurgitare, non avrebbe avuto scampo.
Iniziò così una particolare carriera di giustiziatrice a pagamento, avvelenando
i pveri malcapitati
Quando il governatore l’arrestò, alla domanda: “ Perché avete fatto tutto
questo”
”L’haiu fattu a fin di bene”, rispose
la vecchietta.
Risate nell’aula…
”Quando una donna tradisce il marito, se questo se ne accorge uccide lei poi
l’amante e poi lu stesso viene condannato a morte dalla giustizia. Uccidendo
solo lui, la moglie si può maritare con l’amante e così il morto è solo uno!”
Forse aveva ragione…
7. Luigi Pirandello: scrittore agrigentino premio nobel per la
letteratura nel ventesimo secolo. E’ quello che a mio avviso sintetizza più di
tutti gli altri il pensiero e la filosofia del popolo siciliano.
8. Vincenzo Bellini: compositore catanese morto a poco più di 30
anni. La sua “Norma” è un capolavoro di statura divina!
4
Un pomeriggio di sole, al solito.
Ci dirigiamo a Selinunte, magia di grecia in sicilia.
Visitiamo i magnifici templi dorici della colonia la cui acropoli sorge
magnifica a picco sul mare.
Io penso che questi posti oggi estremamente brulli vanno visitati con uno
spirito ben preciso: il piacere dell’immaginazione.
Io a volte sento ancora i passi delle civiltà antiche. Magnifici nella loro
sobrietà questi templi di dio.
Zeus gradiva…
Visitati i templi scendiamo nel paesino a mare.
Marinella di Selinunte è una piccola borgata in riva al mediterraneo che
d’estate si popola all’inverosimile.
Prendiamo un caffè al bar che in verità è un pretesto per metterci il costume
in bagno.
Un lercissimo giovane proprietario ascolta musica araba.
Scendiamo dalla limitrofa scala a riva.
L’acqua è limpida e fresca. Da queste parti il mare è aperto…
Alcuni ragazzi giocano con le racchettine e la pallina.
La prossima volta le porto anch’io…
Torniamo a Salemi e sbagliamo strada.
Per evitare di prendere l’autostrada a Castelvetrano (amo sempre scorrere tra
le provinciali), mi intrufolo in una campagna convinto di tagliare il percorso.
Noto che il laghetto che dovevamo passare da quelle parti è alla mia destra
mentre dovrebbe essere alla mia sinistra. Non me ne curo credendo di fare la
parallela. Sbaglio.
Una lunghissima e strettissima strada di pianura ci porta in una contrada
vicino a Mazara e in una maniera e nell’altra (alcune incomprensibili indicazioni
in dialetto stretto…) raggiungiamo casa in piena oscurità alle nove di sera.
Mi sono sentito un pò Ulisse!
Dopo una breve lavata andammo urgentemente a cenare.
Continuiamo ad abbuffarci la sera e mantenerci digiuni durante il giorno.
Il ristorante “Eclipsi” nella vicina contrada San Vito, ci ingozza divinamente.
Un leggero sorriso di pienezza ci accompagna a letto.
’Notte…
5
Il giorno seguente lo passammo oziando in campagna.
Una breve visita mattutina a Salemi per la colazione, ci fece scoprire questo
simpatico paesino i cui quartieri arabeggianti si sviluppano al disotto del
castello.
La gente assolve i suoi compiti quotidiani con frenetica spigliatezza.
Torniamo a casa e chiacchieramo con Anna e Giuseppe, così gentili
e così cortesi.
Ci parlano di tante belle e semplici cose.
La proprietà invita alle piacevoli riflessioni e all’accidia!
Giuseppe ci dona una forma di formaggio del posto ed un litro di vino: “Mi
raccomando non ci fare prendere aria che è genuino e si po ittare (buttare)”
Grazie amico mio…
Il pomeriggio passa tra una passeggiata con sosta (un albero di mandorle mi
scatena una frenetica caccia al frutto!), una lettura, ed un paio d’ore di
partita a carte,le cui continue sconfitte mi perseguitano!
Ceniamo a base di carne e affettati. Il formaggio che ci aveva dato Giuseppe
era il più delizioso che avessimo mai mangiato.
E noi ne capiamo di caseati. Anna ci porta una frittata fatta da lei e dei
peperoni sottìolio appena arrostiti.
I piccoli marmocchi della simpatica famiglia corrono con la bicicletta e
salgono sulla moto dopo avermi chiesto il permesso.
Non capisco perché non gli ho fatto fare un giretto.
Buonanotte bella gente…e tanta fortuna.
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Capitolo 13
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1
Buongiorno cari
lettori.
La partenza vide i nostri amici con annessa prole, in posizione di commiato.
Lo specchietto gli vide salutare all’infinito anche oltre l’orizzonte visivo!
La Valle del
Belice è diventata tristemente famosa per il terribile terremoto che sconvolse
l’intera area tra il 14 ed il 15 Gennaio del 1968 e che raggiunse alle 3 e 01
di notte il IX grado della scala Mercalli gettando nel panico e nella miseria
migliaia di persone.
Il clamore di quell’evento fu soprattutto il trentennale periodo che ci volle
per ricostruire l’area tra ruberie e sconcertanti storie di politica italiana (
e siciliana).
La Valle del Belice è uno spettacolo da non perdere. Questi paesini sono stati
ricostruiti alcuni sul sito originario altri poco distanti.
Il primo che incontriamo è Gibellina Nuova, qualche chilometro oltre l’antico
centro.
Una scultura in ferro che rappresenta una stella (la cosiddetta “Stella del
Belice”) domina la provinciale appena fuori il paese.
A Gibellina numerosi artisti astrattisti hanno realizzato opere varie per lo
più di insignificante e stupido gusto. Gibellina è chiaramente tutta rifatta da
case basse in un tessuto viario a
scacchiera.
Gli alberi sono ancora quasi tutti piccoli.
Il sole batte dovunque in questa tristezza di desolazione.
Le opere di cui prima, tra cui il giardino pubblico, sono incorniciate da
ciuffi di erba incolta che nessuno a quanto pare accudisce.
In queste lunghe strade senza ombra, abita una famiglia ogni 5 case, evento che
rende ancor più triste il paesaggio.
Sembra lo scenario ideale per un film di fantascienza…
Usciamo e
proseguiamo.
La cartina segnala “Ruderi di Gibellina” e ci dirigiamo in quel senso.
La vallata è fittamente coltivata a vite e ortaggi.
Camminiamo tra i docili monti del Belice in un area di silenzio e tranquillità.
Incontriamo pochissime macchine.
Sorvoliamo Santa Ninfa che con la coda dell’occhio mi da l’impressione di
spopolamento avuta a Gibellina.
Una serie di tornanti e curve ci portano alla vista di uno scenario
incredibile.
Siamo a Gibellina Vecchia, quella distrutta dal terremoto, e una parte del
paese che originariamente degradava dai pendii del monticello, è stata
ricoperta di cemento lasciando intatto il sistema viario. Mi spiego meglio; noi
vediamo la seguente: un’enorme gettata di cemento che riempie una parte di
montagna e che copre le antiche abitazioni distrutte; e dei tunnel che
rappresentano le strade del paese crollato.
In pratica un’enorme tomba!
Zigomì si suggestiona, sente gridare i poveri bambini sepolti!
Ce ne andiamo, passando tra le rovine delle case distrutte 30 anni fa e
lasciate sul posto per “non dimenticare” (chissà poi perché!).
Proseguiamo per un paio di chilometri
tra la campagna e di nuovo: un insieme di rovine, di tristezza, di terrore!
E’ la vecchia Salaparuta.
Un chilometro oltre è stato costruito il nuovo paese.
Qua non ci sono opere d’arte ma all’ingresso del paese, nel solito scenario di
desolazione e mancanza d’ombra c’è un bar dove non c’è nessuno dentro.
Entriamo e consumiamo non ricordo neanche cosa.
Parlo col proprietario, testimone di quella lugubre esperienza.
”Certo che ricordo quei momenti! La mia era una famiglia agiata di Salaparuta.
Avevamo una casa, di quelle antiche padronali, di 20 vani. Cortile, baronato…
Ora ha distanza di anni ci hanno dato un misero contributo di pochi spiccioli.
Ho fatto quest’attività e la mia casa sopra. Che brutta cosa!Avevo 36 anni!-
dice ridendo amaramente-.
”Tutte queste case sono in gran parte disabitate…-dico al simpatico
interlocutore.
”La gente ha avuto da qualche anno queste case, dopo 35 anni di sofferenze.
Molti di loro vivono da diverso tempo fuori. Forse qualcuno neanche lo sa che
ora ha una casa qua! I più stupidi siamo rimasti noi che siamo ancora qua!
Pensi che su 5.000 abitazioni solo poco più di mille sono abitate! Il resto è
tutto vuoto, disabitato da decenni! Il sindaco l’anno passato ha dato
ospitalità gratuita a chiunque avesse bisogno di una casa. Ma qua la gente non
viene neanche con l’alloggio gratis! “
Andiamo via, e passeggiamo come marziani tra le nuove costruzioni di
Salaparuta. Come a Gibellina abbiamo anche qua un senso di vuoto. Non c’è una
zona di maggiore densità. Non ci sono ragazzi riuniti a festa (oggi è
Domenica)..
In compenso notiamo un palazzo a due piani completamente disabitato e con i
vetri e qualche finestra di casa scardinata, testimone di totale abbandono.
E’ pazzesco passeggiare in una città fantasma!
Saliamo a
Poggioreale: stessa cosa! Ancora un desolato impianto a scacchiera.
Andiamo ai
ruderi di Poggioreale, un paio di chilometri oltre la nuova città.
Qua lo spettacolo assume contorni macabri ma intensi.
Attraverso una porta d’ingresso si entra nell’antico paese perfettamente
conservato nella totalità dei suoi ruderi.
Entriamo e la sensazione è agghiacciante. Arriviamo sino alle rovine di quella
che fu la piazza principale dove il campanile della chiesa ancora regge,
quantomeno nella forma. Tutto conservato il paesino che spesso è giustamente
usato per riprese cinematografiche illustranti tragedie varie.
Abbiamo paura e fuggiamo via, risalendo in moto e con il panorama della città
abbandonata che ci scruta col suo violento silenzio!
Serpeggiando tra
la Valle del Belice arriviamo a Santa Margherita, paese che è stato ricostruito
sui suoi stessi ruderi, anche se all’entrata del paese ci sono i resti di
quello che fu un quartiere dell’antica città.
E subito dopo un’opera di inestimabile bellezza tra le rovine del passato: la
chiesa madre ancora ferita nella sua splendida affacciata, una delle
realizzazioni architettoniche più imponenti viste in questo viaggio, per la sua
mole e i suoi colori.
A più di cento chilometri da Agrigento,
sulle colline adornate dalle colture di viti e grano e contornate dai fiumi
Belice, Carboi e Senore, sorge Santa Margherita di Belice.
La città ha il suo centro nella Piazza
Matteotti dove si trovano, compromessi dal sisma, il Palazzo Filangeri, che fu
la residenza di campagna dell'autore del Gattopardo, Giuseppe Tomasi di
Lampedusa (1896-1957), l'originale Palazzata del '700 e la magnifica Chiesa
Madre. La chiesa, dedicata a Santa Rosalia, fu costruita nel '600 e
ristrutturata apportando delle modifiche sostanziali nel '700.
L'interno del tempio conserva ancora, nonostante il terremoto, tutto lo
splendore dell'opera d'arte qual è la Chiesa Madre. L'architettura mostra i
resti di una parete laterale, mentre domina la scena l'entusiasmante altare
maggiore composto dalla tavola, o mensa, sostenuta da una base, o stipite.A
destra dell'altare sorgeva ilcorno del Vangelo mentre alla sinistra vi era il
corno dell'Epistola, così detti perchè di fronte a essi il sacerdote leggeva
rispettivamente la lezione del Vangelo e dell'Epistola. L'edificio si compiace
delle sue eleganti decorazioni: ornamenti eseguiti mediante intagli, intarsi,
motivi floreali, sculture raffiguranti piccoli bambini, corone di fiori e
frutta. Le pareti accolgono preziosi e originali affreschi, mentre le colonne,
dal fusto scanalato, sono elegantemente arricchite da capitelli ornati da
foglie d'acanto.
Ma la desolazione della quotidianità ci costringe ad andarcene, vittime del
bello!
2
Eccoci a Sambuca di Sicilia dove gustiamo una
granita al limone di ottima fattura ed in un bel bar.
Quindi visitiamo il paese la cui struttura araba dei suoi vicoli era la più
rinomata della Sicilia.
Entriamo nel dedalo di viuzze che hanno nomi consoni al paesaggio: “Vicolo dei
Saraceni”, Cortile dei mosaici”…
L’unione degli odori penetranti dalle vicine finestre delle case ha la
caratteristica essenza acre che caratterizza gli harem orientali, così fitti e
intricati.
Passeggiamo tra le vanedde (vicoli ciechi) e d’improvviso una simpatica bimba
siciliana ci tranquillizza. Noi così grandi e così macchiati di fobie, sindrome
dei nostri tempi!
Saliamo sulla parte più alta del sito, dove due colonne testimoniano i fasti
che furono. A strapiombo sulla valle facciamo un autoscatto…
3
La visione del mare ci ripiomba nella normalità.
Macchine e rumori animano il tragitto della statale 115 direzione Agrigento.
Una deviazione sulla destra indica “Eraclea Minoa”. Andiamo.
Qua c’è un altro spettacolo della rinomata collaborazione natura-mare.
Bianche scogliere a strapiombo sul mare proteggono il bellissimo sito di
Eraclea.
Questa candida scogliera , brulla nella sua parte di monte, conserva una
lussureggiante vegetazione nella sottostante striscia di terra viavai di
vacanzieri.
In tempi passati una possente frana distrusse questa zona. Ma parliamo di
migliaia di anni fa.
Nella parte alta c’è un sito archeologico.
Ma noi siamo gia sotto e soprattutto in costume.
Quella notte dormimmo a mare di fronte al ristorante dove consumammo una cena a
base di pesce.
La proprietaria ci guardava curiosamente…
Eterni barboni col computer…
4
La Valle dei Templi di Agrigento è la più grandiosa
testimonianza greca in Sicilia.
Questa terra conserva, come è ben noto, i più importanti ritorvamenti
archeologici di quel periodo.
Tra alberi di mandorlo, cespugli di selvaggi fichidindia e melanconiche case
abusive si arriva alla Valle dei Templi, scenario struggente e completo che non
ha bisogno dei rituali sforzi immaginativi.
La Valle dei Templi rappresenta, tutt'oggi, la
testimonianza più sublime della civiltà greca in Sicilia. Tra le campagne colme
di mandorli in fiore, lo sguardo si poggia sui meravigliosi ruderi dei templi
che nel tempo hanno conservato intatta la loro imponenza architettonica.
La Valle dei Templi sorge nella parte più a sud sulle vestigia dell'antica
città e comprende numerosi templi edificati nel V secolo a.C.. Essi furono
costruiti con tufi calcarei locali in stile dorico e rivolti verso est, per
rispettare così il principio secondo cui la statua raffigurante la divinità,
posta all'interno della cella d'ingresso, venisse illuminata dal sole nascente.
La Valle è stata istituita a zona archeologica che si estende su una vasta area
su cui si trovano, quasi allineati, i templi classificati con i nomi greci
delle divinità. Percorrendo l'itinerario consigliato troviamo:
Il tempio di Zeus Olimpio (Giove), che venne edificato per ringraziare il dio
Zeus, in occasione della vittoria del 480 a.C. degli agrigentini sui
Cartaginesi. In origine il tempio, che fu uno dei più maestosi dell'antichità,
era lungo 113 metri e largo 56 metri. Esso presentava una trabeazione sostenuta
da colonne alte ben 20 metri alle quali si alternavano i cosiddetti Telamoni,
cioè delle gigantesche statue con sembianze umane. Molti dei blocchi tufacei
presentano tutt'oggi particolari incisioni a forma di U che servivano a
contenere la corda con cui veniva sollevato e sistemato il blocco di pietra.
Il tempio di Castore e Polluce (Dioscuri), che venne eretto nel V secolo a.C.,
fu attribuito ai due gemelli nati dalla dea Leda e dal dio Zeus. Il tempio, che
rappresenta il simbolo della città di Agrigento, conserva solo quattro colonne
e una parte della trabeazione. Poco distanti da esso sono stati rinvenuti due
altari sacrificali, uno quadrato e uno circolare, appartenenti probabilmente ad
un originario santuario dedicato alle divinità infernali.
Il tempio di Eracle (Ercole), che è il più antico e di cui oggi sono visibili
ben otto colonne rastremate (assottigliate verso l'alto per apparire più alte).
Guardando verso sud si trova la Tomba di Terone, grandioso monumento di pietra
tufacea e di forma piramidale, che venne edificato per ricordare i soldati
morti nella seconda guerra punica.
Il tempio della Concordia, che è l'unico giunto a noi nella sua integrità.
Edificato nel 430 a.C., nel VI secolo a.C. esso fu trasformato in un edificio
sacro, di cui sono ancora visibili le arcate inserite nelle mura della cella
centrale. In esso sono presente imponenti colonne rastremate e la parte del
fregio risulta decorata da triglifi e metope. Il nome Concordia deriva
da un'iscrizione latina ritrovata nelle vicinanze del tempio stesso.
Il tempio di Hera Lacinia (Giunone), che venne edificato intorno al V secolo
a.C. e incendiato dai Cartaginesi nel 406 a.C.. Esso fu attribuito a Giunone,
dea protettrice del matrimonio e del parto, e ha mantenuto inalterato nel tempo
il colonnato (solo in parte restaurato nel 1900) della cella d'ingresso.
Uscendo dal tempio verso est si trova ancora l'altare del tempio.
5
Del tonno non si
butta via nulla ed ancor oggi negli stabilimenti delle tonnare i tonnarotti
lavorano artigianalmente le uova che diventano, dopo essere state salate e
pressate innumerevoli volte in modo da essiccarsi, un piatto prelibato che
viene consumato nei ristoranti locali. Infatti per tradizione le interiora del
tonno spettano ai tonnarotti.
Un altro
prodotto prelibatissimo è il cuore di tonno, la cui lavorazione è simile a
quella delle bottarghe. Entrambi i prodotti vengono molto usati negli
antipasti, spesso conditi con un poco d'olio. Il sapore è deciso e non
necessita quindi di altri condimenti. “
Fine!
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1
Piazza Armerina
sorge in posizione amena a 697 m s.l.m. e al centro del triangolo isolano.
Spunta d’improvviso tra le colture di questa zona isolana dedita
all’agricoltura ed alla pastorizia.
Poco fuori il centro abitato c’è la più bella casa romana a noi giunta di tutti
i tempi!
La Villa Romana
del casale apparteneva a tale Massimiliano Erculeo collega di Diocleziano nella
gestione dell’impero romanoin Sicilia.
Era vicina alla “Phiolosophiana”, arteria che univa questa parte di sicilia a
Catania (i Romani erano maestri nella costruzione di strade e ponti a
differenza dei Greci che non dedicavano un minuto a queste cose, fautori di
grandi citta’-stato ma mai di grandi unici imperi come i Romani).
E’ qualcosa di indescrivibile la magnificienza e il clamore della sua opulenza
che si materializza in 3500 metri quadrati di mosaici che abbellivano i suoi
pavimenti.
In queste opere si possono ammirare
scene tratte da lavori di Omero, scene mitologiche e anche immagini di vita
quotidiana, sempre realizzate in maniera molto vivida.
In camera da letto c’è chiaramente il mosaico di un sedere femminile
avvinghiato alle bracce di un uomo!
In via del tutto
eccezionale decidemmo di pranzare anche se fugacemente.
La trattoria “Pepito” stuzzicò il nostro appetito.
Era il proprietario un tizio che aveva girato il mondo e che dopo tanto
emigrare aveva aperto questo ristorantino paesano.
Il turismo derivante dalla Villa Romana sosteneva l’azienda.
Finito il pranzo passeggiammo per le vie di Piazza Armerina, fin sopra la
chiesa con la sua splendida verde cupola bizantina.
2
Qualche chilometro
oltre Piazza Armerina sorge il centro archeologico di Morgantina che fu abitata
sin dai tempi dei tempi e poi ellenizzata.
Ammetto che a me piace tanto vagare per queste rovine…
3
Camminammo per
le fertili campagne siciliane passando da Caltagirone centro della ceramica di
internazionale fama. Proseguimmo passando tra gli aranceti che dominano questo
tratto di Sicilia fino a giungere,
immersi tra la solitudine delle campagna ad una rocchicella anonima segnalata
da ricerche al computer ma non dalle cartine geografiche: la rocchicella di
Palikè, antico sito dei Siculi.
Questo sperone di roccia ricoperto da brulli ficodindia mostra nelle sue pareti
una schiera di buchi che altro non sono che antiche necropoli di questo popolo
pre-greco.
Di fronte l’altura sorgevano due laghetti le cui esalazioni di anidride
carbonica gli facevano gorgogliare: i primitivi abitanti diedero immediatamente
poteri divini a questi specchi d’acqua, denominati i fratelli Palici.
Presso questi laghetti che oggi non sono visibili perché coperti da un
capannone che sfrutta i suoi bollori per l’estrazione dell’anidride carbonica,
un tempo erano la sede di un santuario.
In questo tempietto i poveri oppressi si rivolgevano in cerca di aiuto.
Erano una sorte di tribunale divino gestito da furbi stregoni.
Così quando c’era una disputa i contendenti dovevano scrivere la loro verità su
una pietra data preventivamente dai sacerdoti del luogo.
Se dicevano il vero la pietra rimaneva a galla, altrimenti affondava.
Chiaramente i custodi del tempo stabilivano a loro piacimento la vittoria di
questo o di quello, dando enormi macigni che non potevano far altro che
affondare, a chi doveva essere sconfitto. Mentre il vincitore scriveva la sua
verità su inaffondabili pietre porose.
Da cui l’antico detto siculo: “La verità viene sempre a galla”…
4
Lasciammo questo
desolato e a torto sconosciuto posto per dirigerci oltre.
Passammo velocemente da Grammichele curiosamente nota per la sua struttura
urbana che ricorda un perfetto esagono. Nella sua struttura viaria e nella sua
piazza principale, composta di 6 lati perfettamente uguali ma sempre ricca di
oziosi vecchietti al passo…
Tra silenzi e campagne arrivammo a Vizzini verso le 6 di pomeriggio.
Paesino arroccato della provincia catanese, presenta un pittoresco quartiere
abbandonato: “La Cunziria” (la conceria), antico borgo dove si lavorava la
pelle ormai in disuso.
Qua la Sicilia è racchiusa in un quadro…
Valli, uomini con la coppola, donne riservate e fichidindia…
Che adorabile giornata questa, a cavallodi questa terra, penetrandola
ferocemente nella sua essenza.
Questa voracità di cammino in verità avrebbe lasciato un ricordo profondo nel
nostro animo.
Sempre in moto ad ammirare e a cercare di capire.
Tra l’immensità delle sue campagne e l’improvvisa vivacità dei suoi paesini!
Non perdete una giornata di questa in Sicilia.
Veloce, frenetica, confusa, tanto quanto ammaliante, suggestiva e sentimentale.
Diversi spaccati di questa terra sono capiti meglio.
Non ti da mai il tempo di oziare questa stimolante terra.
Che delizia…
5
Salimmo sino a
Monte Lauro a circa 1000 m s.l.m.
Il freddo feriva l’aria ma noi eravamo ben protetti. La cima di queto monte era
ricopeta di imponenti antenne televisive. La discesa fu la seguente traccia del
nostro cammino.
Passammo da Giarratana e tra strette strade di campagna, arrivammo a Ragusa, in
splendida posizione arroccata su un cocuzzolo.
La moto si
arrampicò tra i declivi iblei, i monti di questa zona, e finalmente spuntò la
città, elegante e fervida.
Una parte più antica suggestivamente illuminata da luci giallastre “viveva”
sotto la parte nuova di Ragusa.
Il nostro albergo si trovava all’ingresso della parte moderna in via
Risorgimento, elegante corso cittadino.
L’hotel Ionio ci era una struttura anni 50 dal gusto antico. Sembrava di essere
in un film in biancoenero.
Armando, il portiere, sembrava uno di quei burberacci pronti sempre a mordere.
Scoprimmo lentamente la sua dolcezza e affabilità. Uno specchio divideva la
reception dal piccolo bar. Il portiere faceva da guardiano della hall e da
barista. Delle tende blu nascondevano ingressi retrostanti.
Il salottino sul lato sinistro della hall era di modeste pretese. Due porte
altissime e a vetrata tipiche di 50 anni fa, immettevano al ristorantino chiuso
dell’Hotel. Salimmo alla stanza che era piccola ma confortevole. Il freddo
dell’acqua presa durante il viaggio fu stemperato da una doccia bollente.
Scendemmo
nuovamente all’ingresso iniziando l’ennesima partita a carte che per me, eterno
sconfitto, tanto rilassante non lo è mai.
Il nostro baffuto portiere chiacchierava animatamente con due personaggi uno
dei quali dopo aver “studiato” Zigomì ci chiese come stavamo giocando.
Misi in moto tutta la mia scontrosità…
Altre persone
entravano e parlavano sempre di problemi e sempre col portiere , in una sorte
di “circolo della sparlata varia”.
L’ingresso del
direttore rimise un po’ d’ordine tra quei tizi che qualche stupidaggine devono
averla commessa tanto da far scattare il distinto rettore d’albergo: “Una cosa
vi avevo detto di fare e …Io ho due mani, due piedi e 24 ore ha disposizione!”.
Ma era un pacato rimbrotto.
Poi con la coda dell’occhio notò la
nostrra presenza e si avvicinò garbatamente.
”Salve, appena arrivati?”
”Piacere direttore si siamo appena arrivati. Abbiamo preso un po’ d’acqua…siamo
in moto, sa…”
”Oh che bella avventura…Siete da queste parti per vedere Hibla? L’antica e
barocca Ragusa…opera anche dell’illustre Gagliardi, architetto siciliano dei
più estrosi. Io dico: ma i siciliani si rendono conto della grandiosità di
questa terra!!! Gli scavi Morgantina non gli conosce nessuno ad esempio: tutti
a Taormina a vedere il teatro greco! E la villa Romana di Piazza Armerina? Uno
su cento c’è stato! Guardate amici che la Sicilia è infinita…”
E continuò a parlare, in maniera piacevole ed appassionata, con verbo forbito e
movimenti eleganti questo signorotto di 50 anni dai modi gentili…
Lo salutammo con
la promessa di rivederci più tardi o domattina.
Eran gia le 9 di sera e la fame ci stava mangiando lo
stomaco!
Uscimmo per andare a mangiare alla trattoria di fronte che ci consigliò Armando
il quale saputo che stavo realizzando un libro mi disse:” Non dimentichi:
Armando dell’Hotel Ionio”( portiere chiacchierone) !
6
Mangiammo e
bevemmo a più non posso, uscendo barcolanti dal ristoro.
Ci vollero 15 minuti di passeggiata per rimetterci in sesto e risalire sulla
moto alla volta della parte vecchia di Ragusa (che è anche più grande della
nuova): Ragusa Hibla.
Questa zona si trovava più in basso rispetto alla zona nuova e scendemmo da un
pianoro che lasciava spesso intravedere delle enormi conche tra le due parti.
In una di queste fenditure potemmo osservare che le due zone di Ragusa (quella
antica e quella moderna) sono unite in alcuni tratti da ponti lunghi qualche
decina di metri ma profondi un
centinaio!
Essi sono tre e dal nostro punto di osservazione sono molto suggestivi: la
montagna arida e ripida con sulla cima le abitazioni iblee e i ponti che
uniscono queste due parti di città che comunque sono talmente vicine come detto
poc’anzi, che nella parte sottostante formano una specie di canyon. Il tutto
reso magico dalle luci della notte.
Arriviamo ad
Hibla ed un viavai rigoglioso digiovani e meno giovani rende vivo il barocco
gia di per se sontuoso, della spettacolare Hibla.
Senza scendere dalla moto ma ogni tanto sostando per ammirare qualche bel
balcone siciliano o alcune splendide affacciate dai colori di questa terra:
giallo, rosa…percorriamo i vicoli della antica cittadina.
Dai giardini iblei e prendendo per la via del Mercato ci introduciamo inPiazza
della Repubblica, cerniera tra le due città, dove un decorato portale in stile
barocco impreziosisce la facciata della chiesa del Purgatorio.
Le luci giallasre e la pomposità dell’arte barocca fanno rivivere
splendidamente il Medioevo (era di genialità e crudeltà).
Scendiamo dalla moto e consumiamo una birra ad un pub: qua i ragazzi mi
sembrano onesti e puliti. C’è il giusto clima di festa, senza improponibili
figli dei fiori ma con svolazzanti gonne al passo…
Prendiamo la Via
Mazzini che tra una serie di tornanti e l’altro unisce i due tronconi di
Ragusa. Continua la passeggiata tra arzigogolate strutture barocche.
Poi il Corso Italia e la Via Roma che ha un aspetto elegante e moderno e, dopo
un semaforo passiamo per uno dei tre altissimi ponti che unisce le due rocce
iblee.
Qua almeno una volta l’anno qualcuno si butta di sotto consumando
drammaticamente la sua triste esistenza!
Io non la farei mai finita con un balzo nel vuoto di 200 metri.
Saliamo in camera e scrivo quanto avete letto …
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Antipatica
mattinata piovosa.
Indossiamo le tute antipioggia e sfidiamo l’acqua.
La strada che unisce Ragusa a Modica presenta, in prossimità di quest’ultima,
tre lunghi e rabbrividenti ponti.
Il primoè addirittura il più alto d’Europa con i suoi 168 metri!
La sottostante Valle del Fiume Irminio è così paurosamente superata e…ecco
Modica, proprio la sotto, dentro la valle.
Aspettiamo un po’ prima di scendere causa una improvvisa burrasca a cui
troviamo riparo sostando presso il bar di un’area di servizio. Ma in Sicilia le
precipitazioni hanno spesso il carattere di violenti acquazzoni che si
sciolgono come neve al sole dopo pochi istanti.
In questo caso la neve doveva essere un po’ più dura!
Comunque dopo una mezz’oretta abbondante siamo in grado di ripartire.
Modica…
Bellissimo il suo barocco sfavillante che rende naif il trafficatissimo Corso
Umberto. Qua ci fermiamo in una pasticceria che attira la nostra gola!
2
Se l’obiettivo
della vostra vacanza è mangiare, allora siete capitati nel posto giusto.
In questa terra le donne e molti uomini sono dei valenti cuochi.
Uno degli innumerevoli cavalli di battaglia della cucina siciliana sono i suoi
magnifici dolci e la sua saporita “tavola calda”(arancine, pizzette, sfoglie…).
Una torta da non
perdere è la “Cassata Siciliana” a basedi una glasse di zucchero e con ricotta
e pan di spagna. I Siciliani ne vanno matti tanto quanto il più rinomato dei
suoi dolci: il cannolo, sfoglia ricoperta da ricotta, cream o cioccolata.
Il Babà è un dolce a base di rum e panna: a me non è piaciuto…
Un altro dolce dalle mille calorie sono i
“Ricci al cioccolato”, bombe sferiche che annienterebbero un diabetico
al primo morso.
Quando si entra in una pasticceria non si può non essere attratti dai mignon,
micro riproduzioni dolciarie.
E poi tantissime composizioni alla frutta.
Il gelato da
queste parti è un’istituzione. Un libro diceva che il prelibato “riempicono”
fosse stato inventato a Catania. Ma ogni regione ne rivendica l’idea
originaria.
Una pasticceria aveva anche i gusti al prezzemolo, alla rosa e a qualche altra
cosa strana!
La tavola calda
è consumata continuamente nell’arco di una giornata motivo per il quale la
produzione giornaliera è continua. In parole povere arancine, pizzette e soci,
sono sempre freschi (nel senso di caldi!)
3
Sotto un cielo
cupo e nuvoloso proseguiamo il nostro tour.
Arriviamo ad Ispica dove le millenarie erosioni di corsi d’acqua ha facilmente
eroso la pietra calcarea degli Iblei, formando profonde e spesso lussureggianti
gole, dette “cave”.
Cava d’Ispica ne è l’esempio più illustre per la sua grandezza (queste vallate
sotterranee uniscono Modica ad Ispica) ma soprattutto per essere stata abitata
continuamente nel corso dei secoli.
Pensate un po’ che l’antica contrada di Ispica sorgeva in questa zona fino al
terrificante terremoto del 1693 che sconquassò mezza Sicilia.
Viaggiatori, poeti, scrittori hanno descritto quest’area di strabiliante
impatto emotivo e paesaggistico.
Dei preposti a quest’area ci vengono incontro al nostro arrivo: sono un ragazzo
annoiato ed una pimpante ragazza robustella.
Il ragazzo si sforza di elargire consigli ed ogni tanto viene scavalcato nel parlare
dalla ragazza. Ma fa finta di niente e continua.
Poi ci da consigli su l’itinerario da fare mentre la solita impicciona
periodicamente lo contraddice. Arrivati ad un certo punto l’uomo non ce la fa
più e le grida: “Stai un po’ zitta, per favore!”.
Colleghi di lavoro…
4
Dedichiamo due
ore di passeggio alla cava.
Vediamo la Ladreria, catacombe del V secolo avanti cristo, poi risalendo tra le
gole incontriamo un gruppo di case di antichi abitanti del posto che avevano la
vicino la più importante risorsa di quei tempi: l’acqua.
Vediamo una chiesetta rupestre di età bizantina, la grotta di San Nicola, e poi
come in uno spaccato, resti di abitacoli sovrapposti intercomunicanti grazie a
scale e buche scavate nella parete calcarea.
In questo labirinto di emozioni giungiamo, coinvolti col corpo e con lo
spirito, allo sperone opposto della cava detto “salinitru” tra caverne e
panorami suggestivi.
Quando andiamo
via penso l’emozione che provarono quei viaggiatori passati a vedere abitati
questi “marziani” posti!
5
Un cielo meno
minaccioso ma ancora non del tutto rilassato ci fece compagnia fino a
Portopalo, caratteristica borgata di pescatori e altro vertice del triangolo
isolano.
Un isolotto davanti alla casetta che avevamo affittato da un marinaio del posto
nascondeva il sole che da queste parti tramonta a mare in uno spettacolare
gioco di luci e ombre.
Sentiamo il rumore delle onde che sono agitate ma che non scoraggiano il duro
lavoro dei pescatori.
Le loro lampare splendono tra le vetrate del ristorantino sulla battigia dove
consumiamo la nostra giornata.
Il mare mi mette addosso sempre una
piacevole irrequietezza che mi sprona a “fare” ad esserci a elaborare…
Diversamente dalla montagna che sveglia il mio lato poltrone e filosofico…
Io sento che mi piace più la prima sensazione. Ma probabilmente, perché conosco
l’altra.
6
Natale in Sicilia
La festività del Natale ha un ruolo importante nella religione cristiana
e può esser vista sotto vari punti di vista, da quello religioso, storico, folcloristico
a spunto per espressioni artistiche di alto valore.
La data del Natale è stata fissata dalla Chiesa il 25 dicembre, in
coincidenza con altre feste pagane quali quella dedicata al dies natalis
Solis Invicti - il dio Invincibile - ed i Saturnalia, perchè nei
Vangeli canonici, contrariamente con quello che avviene per la Pasqua, cioè il
fulcro della Cristianità visto che rappresenta la Passione, non si hanno
indicazioni certe sulla data di nascita di Gesù Cristo.
A tali ricorrenze pagane che ancor oggi lasciano trasparire alcune
reminescenze nella festa cristiana - ci si riferisce, ad esempio, allo scambio
dei doni ed alla decorazione degli edifici, aspetti simili ad elementi
costitutivi dei Saturnalia - si aggiunge il legame della data natalizia
prescelta con altre ricorrenze, a partire dal solstizio d'inverno in prossimità
del Natale e la similitudine con altre ricorrenze religiose come la nascita di
San Giovanni Battista il 24 di giugno - data del solstizio estivo - e la data
dell'Annunciazione che ricorre il 25 marzo.
Tra i primi documenti che attestano le celebrazioni natalizie effettuate
il 25 dicembre occorre citare un calendario redatto a Roma nel 336 che fa
ricadere la nascita di Gesù Cristo proprio in questa data.
IL PRESEPE
Il Natale è sempre stato un tema ricorrente nelle varie rappresentazi
artistiche come la pittura. In effetti, la Natività è stata rappresentata, ad
esempio, in alcuni esemplari di pittura sul vetro presenti in collezioni
private.
I diffusori di questa
tradizione in Sicilia furono i Gesuiti.
Tra i personaggi preponderanti del Presepe ci sono, ovviamente, i genitori
terreni di Gesù Bambino. La loro rappresentazione ha subito variazioni nel
corso dei secoli visto che originariamente la Vergine era rappresentata in modo
disteso accanto alla mangiatoia che accoglieva Gesù Bambino; successivamente i
genitori terreni di Gesù sono stati rappresentati in maniera eretta,
Nonostante tali cambiamenti rappresentativi, spesso legati a questioni
strettamente teologiche spesso riferibili a Concili, la Sacra Famiglia resta
sempre il fulcro di questa rappresentazione.
Anche il bue e l'asino hanno un ruolo rilevante nel Presepe: essi simboleggiano
lo stretto legame d'amicizia tra il Redentore ed il mondo animale.
I PRESEPI DI SICILIA
Il Presepe ha sempre occupato un posto d'onore nelle rappresentazioni
sacre in Sicilia. Nell'isola tale rappresentazione si discosta in parte da
quella tradizionale; ha tra i suoi elementi costitutivi un forte senso del
drammatico e presenta delle caratteristiche tipiche come le decorazioni che
sfruttano rami d'arancio e di mandarino e fichi d'india.
Parlare della presenza del Presepe in Sicilia vuol dire anche ricordare
l'antica usanza di realizzare vari "Bambinelli" sfruttando la
duttilissima cera. L'usanza di utilizzare questo matreriale iniziò nel XIV
secolo e successivamente i "Cirari" si specializzarono nelle
produzioni tipicamente natalizie, a partire soprattutto dai già citati
"Bambinelli" in cera .
Tra gli esempi più rappresentativi dei vari Presepi custoditi in Sicilia
si possono citare quelli presenti, ad esempio, nella provincia ragusana, a
partire dalla lunetta cuspidiata realizzata utilizzando il calcare duro e
presente nella parete esterna sinistra della Chiesa intitolata a Santa Maria di
Batlem a Modica. Essa risale al XV-XVI secolo, è denominata "La Lunetta
del Berlon" e rappresenta in maniera molto semplice e popolare la
Natività. Da citare, inoltre, altri due bassorilievi realizzati in stucco,
risalenti al XVIII secolo e visibili nella Chiesa della Santissima Annunziata
ad Ispica.
Anche Catania e la sua provincia offrono la possibilità di ammirare
innumerevoli Presepi che meritano d'esser ammirati.
Primo esempio del Presepe catanese da ricordare è quello d'origine
settecentesca di proprietà del barone Scamacca. I personaggi che lo compongono
sono realizzati utilizzando un particolare impasto, "la pastiglia", e
rifiniti con coloranti resinosi. I vari personaggi che lo compongono e che si
dirigono verso la santa grotta sono suddivisibili in due gruppi distinti: il
gruppo di personaggi di colore che provengono dall'Oriente e quelli d'origine
locale, cioè i contadini ed i pastori.
Altro esempio suggestivo della Natività è rappresentato dal presepe
settecentesco costituito da una trentina di personaggi presente ad Acireale,
sempre in provincia.
Tale rappresentazione è accolta in un ingrottamento lavico al quale è legata
una storia particolare. In un giorno di fine estate del 1741 il sacerdote Don
Mariano Valerio, di ritorno da un pellegrinaggio, fu costretto a ripararsi in
un anfratto lavico a causa di un violento temporale. Qui ebbe l'idea di
realizzare nello stesso luogo una grotta simile a quella presente a Betlem. A
distanza di circa dieci anni, esattamente per la notte della vigilia del 1752,
si poteva ammirare il tempio "Sancta Maria ad Praesepe". Tra i
successori del canonico fondatore che continuarono la sua opera si deve
ricordare Don Pasquale Abete Pennisi perchè ebbe il merito di ampliare la
Chiesa, di far edificare la facciata e di far realizzare la volta in pietra
pomice. Inoltre, egli commissionò a cartoplasti locali la realizzazione di
nuovi personaggi per arricchire il Presepe.
Anche la città di Caltagirone è coinvolta a pieno titolo nelle
manifestazioni natalizie. Qui, nell'incanto aristocratico barocco della città
della ceramica, si possono ammirare vari Presepi, a partire da quello
monumentale posto nella cripta dei Cappuccini e quello che si realizza lungo la
scala di Santa Maria del Monte.
La realizzazione dei vari
personaggi del Presepe è diventata per i celebri ceramisti della città una vera
e propria tradizione.
Trapani conta una lunga tradizione per la realizzazione dei Presepi. Tra
i materiali più usati in questa provincia per queste rappresentazioni sacre
rientra il corallo.
LE NOVENE, LE
RAPPRESENTAZIONI DRAMMATICHE
E LE TRADIZIONI DEL NATALE IN SICILIA
Tra le altre tradizioni natalizie non si può fare a meno di parlare
delle tradizioni canore e musicali e le rappresentazioni drammatico-musicali
che hanno il compito di celebrare al meglio la Festività. Le tradizioni
musicali e drammatiche passate legate al Natale riguardano temi sacri come
l'Annunciazione, la Nascita e la Fuga in Egitto e vanno a ricollegarsi a
tradizioni popolari spesso inglobate in strutture ufficiali dalla Chiesa. Tra
le rappresentazioni più antiche e note si può ricordare, ad esempio, la vicenda
dei cantori ambulanti siciliani che furono riuniti in congregazione
dall'intervento ecclesiastico per diffondere il culto religioso tra il popolo.
Attualmente in Sicilia, per il periodo natalizio, si possono assistere a
varie novene, spesso commissionate da committenti privati ed eseguite
all'interno delle loro abitazioni in prossimità del Presepe oppure all'esterno
nei pressi di edicole votive.
Tra le novene natalizie siciliane più caratteristiche occorre ricordare
quella che si effettua a Longi, in provincia di Messina, che prevede
l'esecuzione di caratteristici canti dialettali natalizi.
Anche altre città isolane prevedono particolari manifestazioni musicali
natalizie come Monreale - Pa - dove svolgono la loro attività gli zampognari -
cantori richiesti per un periodo natalizio allargato che va dall'Immacolata
alla ricorrenza dell'Epifania.
Il Natale ha anche altre tradizioni popolari. In passato, il posto
d'onore delle decorazioni natalizie non era affidato all'attuale abete il cui
uso ci è stato tramandato da lontane tradizioni nordiche, ma ad altre piante, a
partire dai ramoscelli di mirto a quelli dell'albero del nocciolo che, per
tradizione, ha avuto l'onore di cullare Gesù Bambino.
Probabilmente la pianta che più di ogni altra è presente nelle case in
occasione delle festività natalizie per le varie decorazioni è il vischio.
Da citare l'abitudine popolare di prevedere il clima che si succederà
durante l'anno che sta per arrivare attraverso le "candelore di
Natale": ai 12 giorni che precedono il Natale, esattamente dal 13 al 24, è
affidato il ruolo di rappresentare un mese dell'anno, così il clima che si ha
quel determinato giorno sarà quello del mese da esso rappresentato.
LA GASTRONOMIA DI NATALE
Rientra a pieno titolo nelle caratteristiche tradizioni popolari
natalizie della Sicilia anche la secolare tradizione culinaria.
Tra i dolci tipici natalizi realizzati in Sicilia non si può fare a meno di
citare la "cobaita" prodotta con l'utilizzo principale del miele al
quale possono esser aggiunti semi di sesamo, noci oppure mandorle, i
"Nucatoli" - dei biscotti contenenti un impasto costituito da
mandorle e pistacchi tritati uniti alla cannella - altri tipici biscotti come i
"Cosi Chini", contenenti un ripieno di fichi secchi e mandorle, il
"buccellato", altro tipico dolce natalizio siciliano contenente un
ripieno composto da fichi secchi, uva passa, mandorle, noci, pinoli, bucce
d'arancia candite e zucchero ed il classico torrone.
Tra gli altri piatti tipici del periodo natalizio non si può non citare
lo "sfincione", una sorta di pasta di pane condita con sarda,
cipolla, fomaggio ed olio; questa ricetta è tipica della zona del palermitano.
I FESTEGGIAMENTI NELLE PROVINCE
SICILIANE
Un aspetto interessante del Natale che merita un certo approfondimento
riguarda i vari festeggiamenti che si attuano in tutta la Sicilia. La
religiosità isolana è una delle caratteristiche preponderanti che difficilmente
passano inosservate all'occhio del visitatore attento. La festa è sempre stata
e sempre sarà l'occasione per allontanarsi dalle consuetudini, per abbandonare
le fatiche quotidiane e dedicarsi allo straordinario, per avvicinarsi al Santo
in cerca di conforto e di possibili guarigioni.
La religiosità popolare, inoltre, lega il sacro al profano, come si nota
nell'unione tra il culto a manifestazioni profane come giochi pirotecnici e
spettacoli vari come la presenza di bande musicali e decorazioni sfarzose.
Alcune delle manifestazioni più esagerate del passato oggi sono state
ridimensionate ed altre eliminate, come alcune processioni notturne che molto
spesso erano più un'occasione di divertimento e non di devozione, per non
perdere il reale valore della festa.
Il Natale è la festa per eccellenza perchè è in grado di riunire le
persone, perchè è la festa adatta a riconciliarsie per riscoprire i sentimenti
della pace e dell'armonia.
Quasi tuti i paesi rientranti nella provincia di Agrigento sono in
fermento durante il periodo natalizio per commemorare degnamente la nascita di
Gesù Cristo. I festeggiamenti che si attuano in queste zone sono suddividibili
in due momenti distinti. Le Novene si effettuano dal sedici al ventiquattro
dicembre e prevedono il coinvolgimento diretto delle presone che si riuniscono
presso la casa di colui che ha commissionato la novena, nonchè la
partecipazione degli zampognari citati in precedenza che intonano i canti
tipici natalizi.
Il secondo evento è la "Pastorale", una rappresentazione comica che
prevede la partecipazione di tre personaggi, Nardu e Mirtiddru, due pastori
pigroni, e "U Curaduru", il padrone del gregge, nonchè titolare dei
due pastori appena citati. La rappresentazione si conclude con l'avvistamento
di una luce misteriosa da parte dei due pastori, luce che li condurrà presso la
grotta dove assisteranno alla nascita di Gesù Cristo.
In provincia di Messina, ed esattamente nel cuore dei Nebrodi, il Natale
si celebra con la tipica processione dei pastori che, nel cuore della notte
della Vigilia, attraversano i boschi e le vie di montagna muniti di torce
accese e cantando inni per giungere presso la Casa della Natività. Il tutto si
svolge subendo delle temperature proibitive, ma sempre con la stessa alta
intensità della fede.
A Custonaci, in provincia di Trapani, il Natale e' festeggiato con un
evento molto suggestivo e seguito: la realizzazione di un Presepe vivente
presso la grotta Mangiapane di Scurati. L'evento prevede l'allestimento di vari
ambienti come quello in cui si raccolgono i pastori e le loro pecore, quello in
cui si puo' assistere alla preparazione dei formaggi locali, quello che
raccoglie esempi dell'allevamento dei maiali e quelli che raccolgono varie
botteghe artigiane come quella del falegname.
Tra gli eventi effettuati durante il periodo natalizio in questa citta' occor
re ricordare innanzitutto che l'allestimento del presepe prevede una
processione dei vari personaggi che cosi' raggiungono contemporaneamente il
loro posto e la fiaccolata effettuata la notte della vigilia da parte dei
giovani locali che indossano abiti d'epoca, processione che parte dal santuario
cittadino e va in direzione della grotta del presepe; la Madonna e' impersonata
da una giovane locale ed effettua tale processioni in groppa ad una mula.
Dal 23 al 26 dicembre, nell'antico rione "Panzera" presente a
Motta S. Anastasia - Ct - si puo' ammirare il Presepe Vivente. Qui sono
presenti vati personaggi umili, a partire dal pecoraio, dal pescivendolo e dal
salumiere. Il momento piu' suggestivo di tutta la manifestazione e' l'arrivo
dei tre Re Magi che portano il loro dono a Gesu' Bambino scortati da un corteo
di pastori.
Altro esempio del Presepe vivente si ha a Giarratana - Rg -. La sua
preparazione raccoglie circa trenta ambienti che riproducono il tipico clima
lavorativo e casalingo della zona risalente ad un periodo storico che va dalla
fine del 1800 all'inizio del secolo successivo. Il percorso prestabilito
permette di ammirare alcune caratteristiche botteghe come, ad esempio, quella
della pastaia, dello scalpellino, alcuni ambienti come il mercato e la masseria
e di assaporare, cosi', il gusto delle antiche tradizioni.
La citta' di Erice(Tp) vive il Natale con estrema partecipazione e
coinvolgimento. Come ogni anno, e nel rispetto della tradizione, si ha la manifestazione
"La Zampogna d'Oro", un evento che coinvolge numerosi zampognari
provenienti da tutta Italia. La manifestazione, dal chiaro sapore antico che
tramanda l'attento lavoro degli artigiani del legno e della pelle, ha un
evidente richiamo turistico.
L'EPIFANIA
E' quasi inutile ricordare
che le feste natalizie abbracciano un arco di tempo di circa venti giorni,
iniziano nove giorni prima il 25 dicembre per concludersi il sei gennaio, il
giorno dedicato all'Epifania. Dal punto di vista strettamente religioso, tale
ricorrenza commemora l'adorazione dei tre Re Magi a Gesù Bambino, ma il senso
della festa si è allargato ed ha assunto anche dei significati più profani.
Degna esemplificazione di questi aspetti profani è "La Festa della
Vecchia", della Befana, evento che si attua ogni anno non proprio per il
sei gennaio ma per la notte di San Silvestro a Gratteri, in provincia di
Palermo.
In questa città è allestita la così chiamata "Vanniata di festi di
l'annu", un processo immaginario che si attua ai vari eventi sociali,
storici e di cronaca che si sono verificati durante l'anno. Così si ha la
sfilata dei vari personaggi-imputati che hanno animato la società non solo
locale. Il processo si attua dopo l'uscita della Vecchia dalla grotta Grattara,
la parte più antica della città. Essa esce coperta da un lenzuolo bianco,
percorre le vie cittadine che la portano alla piazza principale dove si
svolgerà il processo accompagnata da un corteo di ragazzi vestiti con i tipici
costumi siciliani che reggono una torcia e dei campanacci.
Durante il percorso la Befana distribuisce dolciumi vari .
L'Epifania ha un significato diverso un base al rito religioso: mentre
per quello latino essa commemora l'adorazione effettuata dai tre Re Magi
Melchiorre, Baldassarre e Gaspere al Divin Bambino, per il rito bizantino essa
simboleggia e ricorda Cristo mentre riceve il battesimo nel fiume Giordano.
Nei vari paesi del palermitano come Contessa Entellina, Mezzojuso e
Piana degli Albanesi che raccolgono persone d'origine albanese i festeggiamenti
hanno forme similari e si susseguono in due giorni distinti. In effetti, la
sera del 5 si celebra una funzione religiosa presso la Chiesa Matrice d'origine
greca, il giorno seguente i festeggiamenti si svolgono nei pressi della piazza
della fontana, struttura tipica presenti in tutti questi paesi. In Chiesa, nei
pressi dell'altare maggiore, si costruisce un palco per ospitare una vasca
piena d'acqua alla quale è legata una cordicella. Nella piazza una seconda
vasca è posizionata sotto la fontana ed in questo caso la cordicella è legata
alla finestra più alta del palazzo che si trova in prossimità della fontana
stessa.
Il Celebrante ha il compito di immergere per tre volte una croce nella vasca ed
alla terza immersione il sagrista ha il compito di liberare una colomba che
così può effettuare il suo volo seguendo la direzione obbligata della
cordicella [ai piedi dell'animale è stato posto un tubo di canna dal quale
passa la cordicella che lega le due vasche]. Dal punto di vista strettamente
religioso, il volo della colomba simboleggia la discesa dello Spirito Santo.
Alla fine delle celebrazioni i fedeli raccolgono l'acqua benedetta.
Sempre il sei gennaio, l'Epifania è festeggiata anche a
Mussomeli, in provincia di Caltanissetta. La mattina della festa si può
assistere all'arrivo dei tre Magi, interpretati da tre baldi giovani della
città. Dopo tale arrivo e la celebrazione della Messa, si ha un pranzo della
solidarietà per i bambini bisognosi. Durante il pomeriggio, infine, si attua la
processione della statua di Gesù Bambino.
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
C’era una volta
un Re che si chiamava Minosse e regnava su Cnosso(nell’attuale isola greca di
Creta).
Sua moglie si chiamava Pasifae e una sua figlia, quella carina, Arianna.
In quel periodo il mediterraneo era infestato di pirati e il re con il suo
esercito gli sconfisse tutti.
Fece allora una gran festa e il Dio Poseidone gli regalò un toro facendogli
promettere di sacrificarlo in suo onore.
Minosse se lo scordò e Poseidone (che tra parentesi è un fratello di Zeus e al
quale il sommo governatore dell’Olimpo regalò la Sicilia!) si arrabbiò a tal
punto che fece innamorare la moglie del toro tanto da rimanere pure incinta. Dalla
riluttante unione nacque il “Minotauro” , mezzo uomo (dalla parte falica) e
mezzo toro (in faccia)!
Minasse allora dopo ripetute ma vane scuse al Dio, chiamò un famoso architetto
dei tempi: Dedalo.
Gli commissionò un labirinto dove poter rinchiudere il toro.
Dedalo si portò con se il giovane figlio-fesso Icaro nel tentativo di
insegnarli il mestiere.Comunque sia, fece un gran bel lavoro.
Il toro fù rinchiuso la dentro ed ogni anno gli si portava da mangiare dodici
lattanti maschi ed altrettante femmine.
Tale Perseo seppe di questa brutalità e decise di entrare nel labirinto per
uccidere il toro.
La bella Arianna, figlia del crudele Minasse, si invaghì di tanto coraggio e
gli diede un filo grazie al quale, a vendetta consumata, l’eroe potesse trovare
la via del ritorno.
Andò tutto liscio e Perseo fuggì con Arianna che abbandonò in riva al mare dopo
essersela…
Nel frattempo Minosse rinchiuse Dedalo ed Icaro nel labirinto che fuggirono
grazie ad una invenzione del glorioso papà: delle ali di cera per spiccare il
volo attraverso l’oceano.
Dedalo disse ad Icaro, che un pò deficiente c’era:” Mi raccomando, Ico. Non
volare vicino al sole che le ali si squagliano”.
Da buon demente Icaro volò vicino al sole e precipitò come un sasso nel mare in
tempesta!
Pieno di dolore, Papà Icaro volò fin quando stremato toccò terra e svenne.
Atterrò in Sicilia e fu raccolto dai soldati del Re Sicano imperatore di Camico
(l’odierna Sant’Angelo Muxaro).
Minasse arrivò con la sua truppa per riaverlo ed il Re Sicano gli disse:” Perché
prima che te lo consegni non ti fai un bel bagnetto?”
Minosse si convinse alla vista delle bellissime figlie del Re che armate di
spugna e sapone promettevano scintille.
Il Greco “desnudo” fu avvelenato tra le dolci braccia delle belle pupe!
E Dedalo si salvò’.
Paraponziponzipò!
2
Siamo in
provincia di Siracusa, costeggiamo il mare ma sempre a fianco dei Monti Iblei.
Qua è tutto bianco come la pietra della montagna.
Da queste parti c’è Cavagrande del Cassibile un altro capolavoro della natura e
sempre formato dall’erosione dei corsi d’acqua che ha prodotto le solite Cave
in uno scenario da Paradiso terrestre.
I laghetti di questa zona protetta sono un’inaspettata oasi di vegetazione tra
gli aridi monti.
Lunga 10 chilometri e profonda circa 250 metri, Cavagrande del Cassibile è una
delle più imponenti cave di quest’altipiano.
Lungo le nudi pareti rocciose sono scavate le circa 80.000 tombe della
necropoli del cassibile!
Splendidi platani orientali rendono ancora più magica quest’oasi di storia e
natura.
Che bella sorpresa! Quanto sempre struggente è la natura…
3
Andare in
Sicilia e non vedere Noto è come andare in Groenlandia e non vedere un igloo!
Noto è la capitale del barocco siciliano.
Il barocco è una forma d’arte basata in ogni caso sull’eccesso, la pomposità,
gli “sprechi” decorativi.
Noto è maestosa nell’espressione di quest’arte .
Situato in collina, questo paese conserva la magnificenza di quest’arte in
quasi tutta la sua estensione. Ed è proprio questa la particolarità. Diverse
città in Sicilia sono testimoni di questo stile ma nessuna raggiunge la
completezza di Noto.
Balconi pomposi, giardini decorati, facciate imperiose, chiese con affreschi
pregevolissimi…
Lo splendido barocco delle sue architetture trova il trionfo nel contrasto con
la bianca pietra calcarea.
Il corso Vittorio Emanuele raffigura in maniera significativa questa cittadina.
Un’eccezionale sequenza di edifici monumentali stordiscono di piacere gli occhi
umani!
Tra pensieri di passati fasti scorriamo le vie di Noto, sempre così
clamorosamente regali.
Zigomì ha bisogno del bagno e ci fermiamo in una vineria che a quest’ora ospita
impiegati in pausa.
Guardo la gente intorno a me, sento gli odori del pranzo, penso il nostro
viaggio!
Sono felice…
3
Siracusa fu la
più importante città greca dell’antichità al pari di Atene.
Fu capitale dell’isola fino al 1000 quando gli Arabi trasferirono il titolo a
Palermo.
La città oggi si presenta trafficata e vivace.
La Sicilia regala costantemente questi squarci.
Questi itinerari tra passato e presente. E parlo di abitudini…
La silente pace dell’entroterra è ravvivata nelle metropoli.
Noi siamo viaggiatori e guardiamo il mondo con lo zucchero nel cuore.
Dionisio il
vecchio fu il più illustre e magnanimo governatore di Siracusa. Chissà perché i
Greci scelsero questo posto per conclamare la loro egemonia sull’isola.
Sicuramente la sua vicinanza al mare agevolò quest’idea.
Visitammo “l’orecchio di Dionisio”, una grotta artificiale lunga 65 metri,
larga da 5 a 10 metri e alta 23. Si chiama così perché il suo aspetto esterno
ricorda un gigantesco timpano.
E siccome la natura spesso si diverte a giocare con se stessa ecco che le
sonorità all’interno del grosso orecchio echeggiano nell’aria!
Visitammo anche le rovine dell’età greca…
4
Chissà cosa mi
riserverà il cammino della mia vita.
Il viaggio più importante della mia esistenza lo sto affontando nudo, come un
vagabondo della strada. Inerme e incurante, a braccia aperte al cospetto della
volontà divina.
Spesso mi curo degli altri ma più spesso mi curo solo di me stesso e sicuro
nuoto nel mare dell’egoismo!
Le onde non spaventano il capitano ebbro paladino di mille imprese!
5
L’altra notte ho
sognato di essere solo nel deserto e grossi serpenti mi inseguivano.
A volte mio metto a letto sapendo di sognare. E me ne compiaccio…
Sono felice comne se stessi andando al cinema.
Curioso questo desiderio di sognare.
Io mi diverto un mondo al cospetto di questa realtà virtuale. Spero di sognare
tutta una vita.
Ad occhi chiusi e, soprattutto, aperti!
6
Quella sera
andammo a cenare ad Ortigia, splendida striscia di terra attaccata a Siracusa.
Un’isola nell’isola.
Mangiammo una specialità del posto: pizza con la panna!
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Lasciammo
Siracusa verso le 12 del mattino perché prima visitammo il Museo Archeologico
Regionale “Paolo Orsi”, forse il più importante della Sicilia con i suoi
straordinari reperti del passato.
E’ diviso in tre sale: la sala A
raccoglie ritrovamenti litici della preistoria e della protostoria e due
plastici di Elefanti Nani, specie che abitò la Sicilia nel Paleolitico. Poi la
ceramica e diversi corredi funerari provenienti da Pantalica, Thapsos,
Castelluccio…E ancora fibule, coltelli, rasoi e altro in metallo.
Nel settore B si passa alla invasione Greca con particolare attenzione ai
ritrovamenti nelle colonie di Megara e Siracusa. Splendide ceramiche dipinte,
ricostruzioni in plastico delle città-stato, corredi militari, raffigurazioni
mitologiche…
Il settore C è dedicato alle colonie di Siracusa e cioè, Akrai, Kasmenay e
Camarina.
Un bel tuffo nel passato…
Usciti dal
museo, uno smagliante sole ci accompagnò verso l’interno della provincia di
Siracusa in direzione di Palazzolo Acreide.
La strada fendeva le calcaree montagne bianche e le solite ville in pietra con
giardini in stile tropicale sembravano farci essere in Africa.
Piante tipicamente tropicali spesso svettano tra file di agrumi in questa
terra.
Ritornammo a “ferire” gli Iblei, e il loro riapparire ci mise di buon umore,
come quando si rivede un amico che non avresti voluto perdere.
Questa valle di indiscutibile forza e pace, richiama continuamente alla mente
situazioni passate.
Da queste parti è l’Anapo il fiume che ha inciso in maniera profonda la
vallata.
Arriviamo a Palazzolo Acreide verso le 13,00 e le mamme riaccompagnano i bimbi
a casa dopo una giornata di scuola, altre si affrettano a comprare le cose
scordate, molte cucinano a casa e gli odori del pranzo riempiono l’aria,
creando un’atmosfera di serena quotidianità, mentre noi vagabondi del luogo,
cerchiamo pace in quel che sarà. Nostalgia del futuro…
Queste zone sono state abitate sin dai tempi della preistoria e successivamente
altre popolazioni si insediarono sugli antichi siti paleolitici.
A Palazzolo i Siracusani fondarono la loro prima colonia, Akrai per l’appunto,
che era una strategica via per il controllo della costa meridionale dell’isola.
Poi vennero i Romani e infine gli Arabi che la distrussero.
Ricostruita lentamente fu distrutta nuovamente dal terremoto del 1693.
Poco distante dal centro abitato si trovano gli scavi dell’antica Akrai su un
pianoro di circa 35 ettari. Sono visibili i resti del teatro che poteva
contenere circa 600 spettatori e dietro ad esso le due latomie dette
“Intagliata” e “Intagliatella”, cave di pietra di età greca.
2
Pantalica è
raggiungibile da Ferla o da Sortino.
Noi arriviamo da Sortino.
Una anonima strada di campagna ci porta nella valle del passato.
E’ una bellissima passeggiata tra le tombe scavate nella roccia dalla dura
fatica dell’uomo neolitico.
Qua una civiltà preistorica scappò dalle coste per il sopravvenuto pericolo
greco, e fondò una colonia su queste lussureggianti e impervie vallate.
Questo popolo visse a strapiombo sulla sottostante “cava”.
Le necropoli scavate nella roccia son migliaia.
Il percorso aggira la vallata in un viaggio di notevole suggestione.
Il rumore delle acque del fiume arrivano fin qua sopra.
Camminiamo solitari tra gli echi del passato.
Superiamo il precipizio aggirando la montagna e le tombe a forno si fanno
sempre più numerose.
E’ incredibile come tutto sia rimasto intatto a distanza di millenni. E pure
questo è un posto unico dove abitare.
Il lussureggiante fiume fa, come al solito, da contorno all’aridità delle
soprastanti cime.
Un senso di paura ci invade.
Appurai in seguito che molti siciliani sconoscevano questo sito.
Follie della vita, pensai…
Scendemmo quindi
alla Valle dell’Anapo sempre nel territorio di Sortino.
Un'altra grande magia.
Il sentiero di questo canyon è ricavato da quella che fino a qualche anno fa
era la ferrovia che univa la zona interna a Siracusa.
Che splendida tratta ferroviaria doveva essere!
Ora è stata sterrata per un percorso a piedi di incomparabile bellezza.
Passiamo da ex gallerie e camminiamo all’ombra del Fiume, con la brulla
montagna calcarea ai fianchi. Vediamo in lontananza le tombe scavate nella
roccia di Pantalica.
Ogni tanto delle scalette in pietra scendono verso l’Anapo.
Ne prendiamo una a caso e lo scenario è dei più insoliti.
L’aspetto desertico della soprastante zona lascia come d’incanto spazio ad una
rigogliosa foresta di incantevole serenità.
Ci bagnamo felici, ritornati allo stato più congeniale al genere umano.
Ci riappacifichiamo con la natura che oramai rimane un miraggio per noi, veloci
e crudeli giocatori del presente.
3
Arrivammo a
Catania verso le 10 di un mattino splendido.
La pietra bianca che caratterizzava la provincia siracusana lascia spazio alla
nera pietra lavica che da queste parti adorna le strutture pubbliche e private.
Preziosissima e costosa, la lava dell’Etna una volta raffreddata viene lavorata
da abili artigiani e forgiata nelle maniere più disperate.
Cordoli stradali, affacciate, portoni sontuosi, fanno di Catania una città
nera!
Anche la strada su cui camminiamo è rivestita della dura pietra del vulcano.
Siracusa è unita dal litorale al capoluogo etneo e attraverso la cosiddetta
“Playa”, lungomare sabbioso ricco di lidi e centro vacanziero popolare della
città in estate, giungiamo direttamente una volta superato il porto, in Piazza
Duomo, che di questa zona è il centro.
Posteggiamo la moto e ammiriamo la sontuosa Cattedrale alla nostra sinistra, il
municipio barocco dai decorati balconi e al centro, su un obelisco che domina
la scena, l’elefante, qua chiamato “u liotru”, simbolo della cittadina.
Siamo attirati da una viuzza che a quanto pare richiama un viavai di persone
che entrano ed escono da quel lato.
Una fontana è posta al centro dell’ingresso: la sorgente dell’amenano, fiume
sotterraneo di Catania che sfocia in pieno centro cittadino.
”Chissà si chiama Acqua lenzolo - ci
dice un signore con coppola e bastone, - comu putiti virili”
Ed effettivamente il fiume emerge attraverso una cascatella il cui gettito
assomiglia a quello di un lenzuolo.
Ringraziamo il nostro improvvisato Cicerone (e questa regione è piena di
simpatici chiacchieroni), e scendiamo le scale che immediatamente dopo la
fontana immettono nel mercato del pesce cittadino.
L’odore tipico del mare fa è attenuato dalla numerosa calca di gente che
affolla il mercato.
I venditori gridano la loro merce: “Pisci friscuuuu! Fozza, ssu l’ultimiii!”
Signorotti dal portamento elegante si aggirano gomito a gomito con lerci
ragazzini e signore dalla corpulente corporatura riempite di buste di plastica
all’inverosimile.
Facciamo delle foto a quel particolare
spaccato quotidiano.
I siciliani sono dei gran mangioni. Ad un’abbondante pranzo fanno solitamente
seguire un’altrettanto sontuosa cena. E non si fanno mancare lo spuntino
pomeridiano, così come d’estate la colazione con brioches e granita, o durante
tutto l’anno a base di cornetti e caffè.
Un grottesco film italiano di qualche anno fa e di cui non ricordo il titolo,
rappresentava gli abitanti palermitani sempre robusti e che mangiavano
continuamente.
Comunque questo è un po’ vero: almeno ogni 10 persone che incontri una sta
mangiando!
E qua se lo possono permettere con tutte le buone cose che cucinano.
Il mangiare, la tavola ricca, è come un simbolo di potere e che non può mai
mancare nelle case siciliane.
I frigoriferi sono sempre trasbordanti di cibo ed il pane è l’alimento che
accompagna obbligatoriamente tutti i pasti.
Così i mercati sono un vero business per chi ci lavora. Questo popolo può farsi
mancare tutto tranne la dispensa piena!
Ritorniamo in
Piazza e ci sediamo all’ombra della proboscide. Mi vengono in mente i due
personaggi mito della storia catanese: Sant’Agata ed Eliodoro…
4
dal mio precedente scritto “Arance e limoni”
Sant’Agata e’ la
patrona della cittadina etnea. Scrive il Pitrè (il più romantico ed
ossessionato etnologo siciliano): “Non v’è leggendario di Santi che non si
intrattenga in Sant’Agata”. E c’è de crederci…
Tale Agata era una bella ragazza nata a Catania nel 300 dopo cristo. Il
governatore Quinziano, che a quei tempi governava la città per conto
dell’impero romano, se ne invaghì. Ma la “splendida” non ne voleve sapere
niente…
Allora il romanaccio, dopo ripetuti tentativi miseramente falliti, si imbufalì!
E la fece rinchiudere in carcere finche ella non si fosse concessa. Ma niente
da fare, Agata non mollava.
Allora le fece recidere le mammelle…Ma il Signore (che quando si impuntava
faceva miracoli) le fece ricrescere.
Quinziano, che era un tipo che non si dava facilmente per vinto, la fece
bruciare nuda! Ma anche in questo caso il buon Dio intervenì: e quello che
doveva essere fuoco si trasformò in acqua!
La stupidaggine è questa: non è vero che tutte le donne si possono conquistare!
La morale è, invece: l’amore non può essere comprato. Mai, fortunatamente!
E passiamo
all’altro eroe leggendario (questi personaggi sono entrambi sicuramente
esistiti, ma la loro storia è certamente stata colorata dalla fantasia
popolare), il curioso Eliodoro.
Il simbolo della città Etnea è quindi l’Elefante.
Lo splendido animale dalle zanne d’avorio fu “elefantato” (nel senso di
cavalcato) da un tizio, che tra leggenda e storia entrò in maniera indelebile
nei racconti dei postumi: Eliodoro (da cui “liotru”, elefante in dialetto
locale). Questi era un mago che, fatto patto col diavolo, aspirava a divenire nel
728 dopo cristo quando la Sicilia era in mano ai bizantini, vescovo e signore
della città.
Per farla breve, le sue stregonerie non lo portarono al successo, ma le sue
burle decisamente si. Era sua usanza fare scherzi e dispetti continui alla
popolazione che ne era praticamente avvinta e divertita.
Tutta la cittadina simpatizzava per il mattacchione che preso da un impeto di
eccessivo protagonismo alzò fatalmente il tiro quando provò a sbeffeggiare in
pubblica piazza il Vescovo Catanese Monsignor Leone, che lo punì eternamente!
Ma “liotru” rimase nei secoli…
5
Questa cittadina
figlia dell’Etna vive in simbiosi col vulcano e i capricci che ogni tanto la
montagna fa.
Da pochi giorni il vulcano ha iniziato la sua fase eruttiva minacciando alcuni
paesini pedemontani.
Un’improvvisa pioggia di cenere nera, riempie la cittadina di terra vulcanic in
poco meno di un’ora.
Ne siamo sbalorditi, ma tranquillizzati
dagli stessi cittadini catanesi che aprono gli ombrelli come la più stupida
delle burrasche!
L’Etna sembra indifferente a questa comunità isolana.
Continuiamo a passeggiare cercando di mantenere un atteggiamento indifferente
alla grande quantità di cenere e zolfo che riempie l’aria. Anche una leggera
foschia mette inquietudine al nostro animo.
Ma gli altri passeggiano serenamente e ci immergiamo nella mentalità del posto.
E’ la cosa che più mi sforzo di fare e cerco quando viaggio: fondermi, se non
culturalmente, quantomeno spiritualmente con i miei padroni di casa.
Quella sera andammo al cenare al centro storico di Catania, dove una serie di
pub e trattorie allietano la notte.
Tra il barocco delle sue piazze e la pietra lavica delle sue viuzze, ci uniamo
alla truppa di giovani che goliardicamente animano le serate di Catania.
Città universitaria e commerciale questa. Una vera metropoli a dimensione
“turistica”.
La lussureggiante Via Etnea è percorso obbligato.
La Villa Bellini, intitolata al grande maestro musicale, scomparso in
giovanissima età, è il giardino pubblico etneo.
Sfarzosi giardini la colmano. E’ un’oasi di benessere dove spesso la gente si
rifugia.
Scende la sera e in lontananza un’apparizione: terrificanti gettiti di lava si
alzano dalla cima dell’Etna, ben visibile anche a questa distanza!
Sembra la fine del mondo, in realtà è l’ennesima eruzione del vulcano!
Ma qua siamo lontani e lo sono anche i paesini ai suoi piedi.
Mi rendo conto che rimaniamo ben più di quanto pensassimo ad ammirare il cielo
infuocato in lontananza…
Un vecchietto si avvicina e ci dice: “Quanno ietta è buon segno. Sfua!”( quando
erutta non c’è pericolo. Si sta sfogando!)
Scendendo dalla
Via Etnea, costeggiata da ambo i lati da negozi e architetture fastose,
arriviamo in questo nostro percorso pedonale alla via di Sangiuliano.
Ripidissima e lunga, durante la festa della Santa Patrona (Sant’Agata), i
devoti trascinano un pesantissimo carro con la statua della Santa, su per
questa via e tutto d’un fiato, che se qualcuno dovesse cascare viene pestato da
quegli dietro!
Poco prima la
Piazza Crociferi nascondeva un sotterraneo dove si dice un giorno di tantissimi
anni fa, una scolaresca si perse e non fu più trovata.
Perché sotto la città ce ne è una sommersa!
Che magnificenza
questa arteria ricca di vita!
4
Quella sera
“pascolammo” al Pub “I Munzignari”, uno dei mille, che ci aveva attratto per la
giocosità di alcuni ragazzi al bancone.
Mangiammo pasta ai peperoni e scaloppine al limone.
Alessandro, Giuseppe e Ivana erano i proprietari e si dimostrarono ospitali e
cortesi.
Alessandro aveva un negozio di computer ed una macchina fotografica digitale.
Ci fece delle foto e ce le regalò su cd. Era un tuttofare che non faceva
niente!
Ma era dolce. E Stefania la sua donna gli sorrideva teneramente.
Peppe e Ivana si erano appena sposati. Erano i classici “Dio li fa e poi li
accoppia”. Belli e gentili, onesti e fedeli.
La sorella di Peppe, tale Silvana, stava alla cassa. Aveva un aspetto
misterioso…
Zigomì riflesse la sua immagine in quella donna.
E ne ebbe amore…
Ave.
Capitolo 1
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Capitolo 2
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Capitolo 3
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Capitolo 4
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Capitolo 5
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Capitolo 6
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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Capitolo 9
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Capitolo 10
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Capitolo 11
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Capitolo 12
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Capitolo 13
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1
Rimanemmo a
Catania per un’altra giornata.
Gustammo la solitissima granita e giocammo a Beach Volley con Alessandro e
Stefania all’Associazione Sportiva Karmel.
Fabio ed Enrico erano i due gestori. Tanto chiacchierone e indaffarato il
primo, quanto sornione e pacato il secondo.
Vincemmo noi sul filo di lana di una noiosissima partita.
Prendemmo da
bere un dissetante all’ombra del bel giardino del Club e decimo amicizia col
sopraggiunto proprietari mentre i nostri duellanti ci avevano gia lasciato.
Luigi aveva i capelli rossi ed un aspetto da vichingo.
Era un medico che curava, però, le arance del suo grande appezzamento terriero
a Lentini, paesino agrumicolo della Piana catanese.
Arrivò anche sua moglie Letizia che fece subito un gran parlare con Zigomì.
Quella sera ci invitarono ad una festa da Roberto, detto Mimì, socio del pel di
carota.
Era questo un gentilissimo scapolo.
Playboy nostalgico o, forse, saggio dannato!
Bevemmo e mangiammo da non poterne più.
Gustammo quell’allegra compagnia.
Conoscemmo Antonio ed Anna e la loro neonata fanciulla: Valentina.
Poi la serata finì con un gran bagno in piscina tutti in mutande.
Zigomì evitò di essere buttata in acqua.
Ma non potè niente contro i miei e i suoi ardori notturni!
2
Ci aspettava un
gran giorno. Un giorno di scoperte dopo due giorni di baldoria.
Lasciammo
Catania verso le 10 di un mattino ritornato splendido.
Non c’era più traccia di pioggia nera. La nuvola di zolfo doveva essere stata
portata dal vento in un’altra zona.
Passammo dalla frazione di Ognina, ricca di pescatori e suggestioni. Qua Ulisse
e i suoi globetrotter approdò durante la sua snervante Odissea!
Venditori
ambulanti e pescherecci animano il piccolo centro.
Prendemmo la statale 114, bella litoranea che unisce Catania a Messina.
Arrivammo alle due Aci: Castello e Trezza. Gli splendidi faraglioni (enormi
monoliti lavici immersi emergenti dal mare) accompagnavano il nostro viaggio.
Entrammo nella piccola borgata di Acitrezza. Meravigliosi i suoi colori.
Questo tratto di statale è denominato la “Riviera dei Ciclopi”.
Cammina vicino al mare tra una sequela di splendide ville e ristoranti.
Poi d’improvviso
la statale si impenna ed il mare che poco prima lambiva quasi le nostre ruote,
ora è lo scenario di un immenso precipizio!
E’ la cosiddetta Timpa, sperone roccioso di 200 metri alla cui sommità è
adagiata Acireale.
Arriviamo ad un semaforo che è messo come apposta su un belvedere di questo
strapiombo ai confini di Acireale. Scorgiamo l’insegna di un locale
“Bellavista”! (nota per i viaggiatori). Vediamo una stradina a destra che
sembra scendere a mare.
E così è!
Quale bellezza quella discesa per la Timpa!
Tra splendide case, ripidi panorami di mare e coltivazioni di Limoni arriviamo
in quello che rimane una delle più belle strade siciliane ai fianchi del mare.
Passiamo le borgate di Santa Tecla, Stazzo e Pozzillo, sempre con lo sperone
roccioso a stringerci, come in un abbraccio, al mare!
Non possiamo non fermare la moto e tuffarci.
Anche per un solo attimo…
3
Proseguimmo il
cammino sempre non perdendo di vista la riva, tra enormi latifondi di agrumi di
questa “Riviera dei limoni”.
Noto una cosa curiosa. Le palme, anche solo una, sono sempre presenti nei
giardini siciliani.
Passiamo da
Giarre e arriviamo a Sant’Alfio.
Una svettante chiesa in pietra domina la piazzetta. E’ particolare ed aperta.
Entriamo…
Un’inginocchiata fedele prega ad un lato dell’altare.
Questi tempi di Dio sono sempre emozionanti. Ci credi o no ci credi, non si può
rimanere insensibili a qualsiasi forma di misticismo.
Gli odori di queste strutture mi mettono sempre una certa elettricità!
Mi piacciono, mi ricordano film del quattrocento quando ingobbiti sacerdoti
vagavano oscuramente tra le stanze dei conventi.
Mi attira questa sacralità, anche se a ben pensarci è proprio su quest’effetto
scenico che la chiesa sfrutta l’onestà di tanti disperati.
Viva la fede, abbasso i suoi venditori!
Uscimmo e non
potemmo esimirci dal gustare un cornetto alle nocciole offertoci dal
proprietario di un bar di Sant’Alfio. Ottimo, ma pesantissimo!
Arrivammo ad una
piccola contrada poco fuori del paese dove il comune attraverso un’infinita
serie di indicazioni turistiche, aveva creato un sito turistico, fornito di
area attrezzata e ristori, in onore di un gigantesco albero che si trovava da
quelle parti: “Il castagno dei 100 cavalli”.
La leggenda dice che durante una burrasca, non ricordo quale regina, trovò
riparo con i suoi cento cavalieri sotto le fronde del bestione millenario (un
giorno dovrò capire come fanno alcuni alberi a vivere così a lungo!).
Nel corso dei secoli la leggenda è stata volgarizzata, dicendo che la sovrana
se la spassò pure, nell’attesa del buon tempo, con la sua scorta al completo!
L’albero è
veramente pazzesco!
La castagna cresce dentro un involucro spinato. Durante il periodo fruttifero,
fare una foto alla suocera sotto questo bestione potrebbe essere prova di
tentato omicidio!
Il pomeriggio
stava per consegnare le chiavi al tramonto quando arrivammo a Milo.
Siamo a 700 m s.l.m. a i boati della montagna in eruzione sono forti e nitidi.
Ogni 10 secondi un terrificante rumore scandisce il tempo.
Alcuni sono più potenti e fanno vibrare le finestre delle case!
Man mano che il crepuscolo scende il fuoco che esce dalla bocca assume i suoi
contorni.
L’Etna è meravigliosa, e ci regala questo ricordo indelebile!
3
Il nostro
alloggio era a Linera, piccola frazione di Santa Venerina.
Era una stanza di una magnifica casa dominante il panorama del vulcano.
I proprietri, Giorgio e Lavinia erano due distinti signorotti etnei.
Anna era la dolce ragazza loro figlia. Faceva il medico a Londra ed amava i
cani e i gatti di quella bella casa.
Mi ricordò la mia amata sorella, così dolce e così caotica…
La pietra lavica della facciata, era aggrazziata dal colore rosa dei muri.
Mattonelle in coppo siciliano coprivano il tetto di un gazebo rialzato
nell’atrio.
Un ficodindia centenario, come mai ne avevo visti fin’ora, giganteggiava al
centro di questo spaccato siciliano.
La casa era romantica e confortevole.
Andammo a cenare a Zafferana Etnea, paesino alle falde dell’Etna.
Una leggera scossa di terremoto fù il naturale e pacifico segno dell’eruzione
in corso.
Il vulcano continuava a rombare ed a colorare di rosso il cielo dalle sue
parti.
Fù emozionante.
La serata era limpida. Mangiammo al Ristorante Orchidea e poi andammo in Piazza
ad assaggiare dei biscotti al cioccolatto che qua chiamano “sciatori”.
C’era pace in quel paesino da cerchietto rosso.
La convulsa giornata era stata mitigata dai poteri rilassanti di una gran
mangiata.
Andammo a dormire sognando mostri e belve, tutti uccisi, però, dal Gigante Etna
che ci salvò la pellaccia!
4
Il mattino seguente nell’attesa di fare la nostra passeggiata sul
vulcano più alto d’Europa mi capitò tra le mani un libro sulla Medicina
Popolare Siciliana.
Ecco alcuni rimedi antichi in mancanza di ospedali!
Mal di denti: ungere la parte dolorante con un po della propria urina; o,
masticare del garofano.
Morsi di ragni: mettere sopra la ferita il ragno ucciso. Fare una bella
preghiera a San Vito.
Scottature: mettere in aceto la parte bruciata o coprirla di neve. Spalmare la
parte bruciata con olio vecchio e poi metterci di sopra una fetta di patata
cruda.
Calli: per rammollire la parte lesa mettere sopra una fettina di carne cruda o
una fetta di limone arrostita.
Mal di stomaco: masticare indivia o finocchio dolce rigettandone il tufo.
Inghiottire una castagna cruda.
Stitichezza: stelo di prezzemolo unto d’olio ed introdotto nell’ano.
Diarrea: bere del brodo fatto con ginocchio di bue.
Insonnia: un bel bicchiere di infuso di papavero.
Mal di testa: sbattere un uovo con il pepe e applicarlo in testa. Prendere un
pulcino vivo, spaccarlo in due e metterlo sulla fronte.
Minchia!
5
Gianrico Vasquez era un naturalista catanese appassionato di natura e
Sicilia.
Ci portò a passeggiare sull’Etna.
Disse che non c’era pericolo alcuno per l’eruzione in corso, anche se quando
superammo furbescamente un posto di blocco della guardia forestale, incominciai
a pensare di essere nelle mani di un pazzo.
Ma sapete il sesto senso…mi rasserenava il suo aspetto un po’ mattacchione ma
sincero.
Facemmo un sentiero tra la nebbia, i boati del vulcano e i precipizi!
Salimmo per un’oretta abbonadante ed in alcuni punti la pendenza era del 35 per
cento.
Passamo una faggetta, poi un meleto, e funghi giganteschi dal sapore pessimo (i
cosiddetti (“fungi i cane”).
La nebbia aumentava e il sentiero obbligato ci permise di non perderci.
Arrivammo alla cima del Monte Zoccolaro a 1739 metri. Un piccolo santuario era
stato posto sul punto più alto di questo sentiero.
Lungo il tragitto ci divertivamo a lanciare dell pietre dal precipizio per
sentire la profondità della sottostante vallata.
Qua in cima il rumore del sasso lanciato, in alcuni punti neanche si sentiva.
Arrivati ad un certo punto la nebbia si diradò e fui testimone dello spettacolo
più bello del mondo.
La Valle del Bove, enorme serbatoio lavico testimone di migliaia di eruzioni,
era un fiume di lava bolente.
Ebbi un sussulto di paura mentre Gianrico rimaneva entusiasta e felice che la
nebbia andata via ci permise di portare con noi questo ricordo.
Il magma passava e distruggeva qualunque cosa incontrasse. Alcuni alberi
urlavano al passaggio del fluido!
Mio cugino Fabio che di professione fa l’architetto a Londra o il viaggiatore
nel mondo (ancora deve deciderlo facendo un anno una cosa e l’altro anno
l’altra!), era stato da queste parti e mi aveva parlato della magnificienza del
vulcano.
Lui era salito fin su in cima!
Sapeva della mia visita siciliana e si invidiò del nostro incontrò con il
magma.
Abbiamo promesso di incontrarci in India l’anno prossimo.
6
Quella notte brindammo con l’allegra famigliola alla nostra partenza
che sarebbe avvenuta il giorno seguente.
Andai a dormire in stato confusionale.
E’ sempre così l’ultimo giorno…
Sento che andrò a riappropriarmi delle mie cose, della mia casa, delle mie
abitudini. E questo pensiero mi piace.
Ma deve fare i conti col mio animo vagabondo che trova pace solo quando sogna,
fantastica, elabora clamorose avventure.
Lui che così bene mi conosce ma che difficilmente si fa capire da me.
E lo cerco continuamente tra i sentieri del mondo.
Axe.
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