Bruno Brillante

scrittore

MERIGGIO D'AGOSTO

 (racconto III classificato al Premio Dragut 2014)

     

 

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(foto del Premio Dragut 2014)

Non erano lontane da Vindicio le “spiaggette”, solo una manciata di chilometri, erano rimaste indisturbate per secoli, splendide ed isolate tra Gaeta e Sperlonga.
L’antica via Flacca che per buona parte del suo percorso serpeggiava a picco sul mare interrotta solo da torri guardiane arditamente arroccate a dominare orridi e riviere selvagge, è stata, sino alla fine degli anni cinquanta, l’unica via di collegamento verso sud tra Sperlonga e Gaeta. L’antica strada, percorribile a piedi o a dorso d’asino, si snodava tra un aspro paesaggio collinare e spiagge incontaminate. Non erano lontane dalla spiaggia formiana, familiare e sicura, eppure noi le scoprimmo solo agli inizi degli anni settanta. Da un anno all’altro il mare dove eravamo cresciuti, cambiò colore, perse la primitiva innocenza: qualcosa o qualcuno ruppe l’armonia. Allora guardammo a nuovi lidi e, a piccoli gruppi, migrammo verso nord.
A quel tempo le spiagge conservavano ancora qualcosa dell’antico splendore, pochi piedi avevano calpestato quella sabbia finissima che, in alcuni tratti, suonava. Come un fischio, un sibilo, unico suono insieme a quello delle onde, nel silenzio di quei luoghi ancora selvatici. Poche persone, spesso nascoste da rocce avanzate nel mare a delimitare piccole baie, insenature e grotte .
Un pomeriggio di un agosto assolato, ci contammo tre in quell’angolo di mondo.
Quando la luce acceca, il sole brucia e l’aria è ferma, a volte la percezione della realtà può essere alterata. Le cicale friniscono forsennate e d’improvviso tacciono, misteriosamente, tutte insieme, senza un apparente perché. È in queste magiche ore, sacre per gli antichi, che è pericoloso abbandonarsi al sonno in luoghi non protetti, come boschi, sorgenti o rive sconosciute. E’ la controra, il tempo in cui l’uomo vinto dal caldo e dalla fatica si concede sosta. E’ questo il momento della giornata in cui si credeva circolassero tra gli uomini demoni chiamati meridiani, che potevano essere pericolosi per chi per ventura o distrazione si fosse imbattuto in essi.  Si riteneva peraltro, che anche gli dei immortali, nel tempo del meriggio, si concedessero passeggiate terrene, a volte rivelandosi agli uomini.
 “Numen inest: “È passato un Nume”, si diceva, per definire la particolare emozione data dalla percezione del “numinoso”, appunto. Un fremito nell’aria, come di un batter d’ali, un guizzo di luce, un brivido che corre sulla schiena, lasciavano in uomini di epoche antiche, abituati a convivere con il miracoloso, un turbamento che essi attribuivano al passaggio di una divinità.
Rimanemmo in tre e non riuscivamo a venir via da quelle pietre incastonate nella sabbia.
Come naviganti o naufraghi, con i sensi obnubilati dal caldo e dalla bonaccia, credemmo di sentire il suono del Cosmo, come unica nota di un tono basso e profondo, e io vidi o credetti di vedere le rocce, gli scogli, che potevo toccare allungando il mio braccio destro, come rilevate, staccate dalla loro stessa materia quasi a voler volar  via, diventare leggere e impalpabili.
Non riuscivamo e forse non volevamo interrompere quello stato di comunione estatica tra noi e quel luogo dove forse qualche Nume ci aveva sfiorati, carezzandoci le fronti.

Napoli 31 agosto 2014

 

 

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