Da qualche anno va meglio, se ne trovano poche per strada,
prevalentemente in zone poco frequentate. Sino a qualche anno
fa, invece, il giorno prima di percorrere, insieme ai
partecipanti alla passeggiata domenicale, le stradine e le
scalinate incassate nel tufo, di quelli che originariamente
erano impluvi, mi recavo in perlustrazione per verificare la
praticabilità e la eventuale pericolosità di quei luoghi,
ridotti a ricettacolo di siringhe e, spesso, a rifugio
temporaneo di disperati. Scale e scalinate, cupe e
cavoni, che collegavano la Città Alta con il Centro Antico
ed il mare, si erano progressivamente svuotati di chi, per
pigrizia o per timore, le percorreva quotidianamente per
necessità o per diletto.
Era la "Città in discesa", che viveva di una sua vita autonoma,
libera dal rumore e dai gas di scarico delle autovetture che,
anno dopo anno, avevano ricoperto di un manto di lamiere piazze
e strade. Erano sentieri antichi, ricavati da vie scavate dalle acque
meteoriche che scendevano a valle, o create a bella posta dagli
uomini che, con ingegno ed arte, sfruttando la conformazione
delle colline, erano riusciti a realizzare percorsi rapidi e
sicuri. Erano luoghi vivi queste scorciatoie; non solo vie di
comunicazione ma anche occasioni di incontri e di scambi. Lungo
una di queste, il "Canalone", lunga ferita nel tufo giallo di
Posillipo, che collegava, e ancora collega, con ripida discesa,
la collina con le rive di Marechiaro, i contadini e i pescatori
si incontravano a mezz'altezza, per barattare frutta e verdure
di stagione con pesci e frutti di mare appena pescati.
Dunque, sino ai primi anni di questo nuovo secolo, alcune di
queste strade erano divenute pericolose, e, talvolta,
impraticabili per il numero impressionante di siringhe, spesso
sporche di sangue, che le ricoprivano. Le nostre escursioni avvenivano la mattina, e, in quelle ore,
era molto difficile trovare qualcuno che si stesse "bucando", ma
le tracce di quanto era accaduto la sera prima, erano lì, sparse
disordinatamente sul terreno, inquietanti segnali di morte,
pronte a colpire ancora. Altri luoghi, divenuti bivacco
permanente di tossici senza dimora e luogo di spaccio, ci erano
preclusi anche durante il giorno. Ignorati dalle istituzioni, ed
evitati dalla gente comune, a guardarli da distanze discrete,
sarebbero potute essere il set di un film di Claudio Caligari. Rivedendo il suo film " L'amore tossico", riflettevo su come il
gesto, l'azione, del "bucarsi", aldilà dei tanti possibili
giudizi, opinioni e considerazioni, sia contronatura. Altri
eccessi, pur deprecabili, come l'alcoolismo o il fumo, sebbene
nocivi e letali, esasperano comunque una funzione fisiologica.
L'infiggersi un ago nel braccio, sul collo, o altrove, di per sé
è una violenza contro se stessi, un gesto che non appartiene
alla normale economia del vivere, al di là della sostanza
contenuta nella siringa. Allora, procedendo con cautela tra siringhe e altri rifiuti
negligentemente non rimossi, ricordavo, a me e a chi mi seguiva,
gli anni della giovinezza, quando queste strade, altre dal resto
della Città, sebbene non più percorso privilegiato di uomini e
animali, erano meta e rifugio per giovani coppie, in tempi in
cui pochi potevano permettersi un'auto o addirittura una casa. E così, al passante poteva accadere di imbattersi in altro tipo
di oggetti abbandonati sul selciato. Negligenza di chi
imbrattava le strade e di chi non ne curava la pulizia. Quegli
oggetti, accessori di amori frettolosi, però, erano segni di
vita. Era bello pensare che quei sentieri, quelle scalinate
sopravvissute allo scempio edilizio degli anni delle aggressioni
edilizie folli e indiscriminate (gli anni indagati da Claudio
Caligari nei suoi realistici films), seppur vuoti degli uomini e
delle donne che per anni e anni li avevano riempiti di passi e
di canti, di asini e muli, capre e galline, ceste di uova e
frutta di stagione, di gerle colme d'erba profumata, fossero
ancora frequentati da coppie di innamorati attratti
dall'intimità dei luoghi e da una forza misteriosa che il Poeta
riusciva a cogliere e a tradurre in scritti e melodie.
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