La materia oscura della porta accanto

Di dark matter sembra essercene più del previsto, qui dalle nostre parti. È quanto suggerisce un nuovo metodo, basato sull’osservazione di migliaia di stelle nane arancioni, messo a punto da un gruppo di astronomi guidato da Silvia Garbari, dell’Università di Zurigo. È ancora latitante, l’inafferrabile materia oscura, ma almeno sembra che per stanarla non occorra andare poi così lontano. Già qui nel Sistema solare dovrebbe essercene in quantità. Un’ottima notizia per i tanti esperimenti che dal sottosuolo – e in particolare laggiù nelle viscere del Gran Sasso, ospiti dei laboratori dell’INFN – stanno passando al setaccio, da anni, il fiume di particelle attraversato dal nostro pianeta nella sua rivoluzione attorno al Sole, sperando d’imbattersi in qualche traccia dell’elusiva sostanza. Nella storia recente dell’astrofisica, la stima della densità della materia oscura presente nei dintorni del Sistema solare, quanto a oscillazioni, ricorda molto le quotazioni di borsa. Se infatti, per quanto riguarda l’universo nel suo complesso, pare assodato che la dark matter ne costituisca su per giù il 23% (rispetto al misero contributo del 4% dato dalla materia ordinaria), quando andiamo a guardare nel giardino di casa ecco che le cose si complicano. Durante decenni di osservazioni indirette, basate per lo più sull’analisi delle proprietà cinematiche dei corpi celesti a noi più prossimi, è emerso che nei pressi del Sole ce ne sarebbe da 3 a 6 volte più del previsto. Un mistero che si è ulteriormente infittito lo scorso anno, quando è uscito uno studio che ha ribaltato tutto, suggerendo che in realtà di materia oscura, qui nei dintorni, proprio non se ne trovi traccia. Ora il nuovo colpo di scena. Arriva questa volta da un lavoro, in corso di pubblicazione su MNRAS, condotto da astronomi di Zurigo, Leicester (UK) e Pechino. Utilizzando un metodo innovativo quanto rigoroso, basato sull’osservazione di migliaia di nane arancioni e validato dal confronto con simulazioni di alta qualità, i ricercatori sono tornati ad alzare l’asticella. Scoprendo inoltre che le tecniche adottate negli ultimi 20 anni erano soggette a un errore che le induceva a sottostimare la quantità di materia oscura. «Siamo fiduciosi al 99% che di materia oscura, vicino al Sole, ce ne sia», dice la prima autrice della ricerca, Silvia Garbari, dell’Università di Zurigo. «Anzi, a dire il vero, con un margine di confidenza, in questo caso, del 90%, possiamo dire di averne trovata più di quanto atteso. E se i dati futuri confermeranno questo eccesso, le implicazioni sarebbero notevoli. Potrebbe essere la prima prova della presenza di un disco di dark matter nella nostra galassia, in linea con quanto ipotizzato di recente dalla teoria e da simulazioni numeriche di formazione galattica. O, magari, l’incremento della densità locale potrebbe essere dovuto a uno schiacciamento dell’alone galattico di materia oscura». 09/08/2012

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Nel cuore di M87

fonte: MEDIA INAF

Una rara istantanea della regione che circonda il buco nero supermassiccio al centro di una galassia, dove la materia gira vorticosamente mentre precipita verso il buco nero stesso. L'hanno ottenuta, scrutando con un telescopio virtuale (composto da più telescopi in località diverse) la galassia M87, Shepherd Doeleman e colleghi del Massachusetts Institute of Technology, che pubblicano i loro risultati sull'ultimo numero di Science. In questo modo sono riusciti, forse, a spiegare come si formino quei getti di materia ad altissima energia che si osservano all'interno di alcune galassie. Mettendo assieme i segnali raccolti da più antenne radio dalle Hawaii alla California, i ricercatori sono riusciti a ottenere la risoluzione necessaria per studiare la parte basale del getto che parte dal centro della galassia M87. In questo modo hanno scoperto che il punto da cui parte il getto è molto piccolo. Attraverso una complicata serie di calcoli, questo permette di convalidare alcune ipotesi sulla formazione del getto ed escluderne altre. “La novità più grande di questo studio è proprio il fatto di essere riusciti a osservare il punto esatto in cui il buco nero e il suo ambiente circostante producono questa cosa strana e per certi versi inaspettata” commenta Marcello Giroletti dell'Istituto di Radioastronomia dell'INAF di Bologna. “In alcune condizioni il buco nero, anziché mangiarsi tutta la materia che lo circonda, ne accelera una parte e la getta fuori fino a migliaia di anni luce di distanza”. Come avviene questo fenomeno? Lo studio di Doeleman propone una risposta. “Sembra che il ‘trucco' sia che in questo caso, a differenza di altri, il buco nero gira su stesso e la materia che ci cade dentro gira nello stesso senso. Questo innesca meccanismi molto complicati che fanno sì che parte della materia sfugga e venga accelerata fino a grande distanza”. A portare a questa conclusione è proprio l'osservazione della regione alla base del getto. C'erano infatti diversi modelli teorici che potevano spiegare la formazione del getto, ma solo quello appena descritto è compatibile con le dimensioni del punto di base osservate dai ricercatoriamericani. A Bologna, il gruppo di Giroletti lavora da anni sullo studio della stessa sorgente in M87. “Non è di per sé una sorgente molto particolare o molto luminosa, ma tra le galasse con buco nero attivo e getto con emissione radio è quella più vicina, quindi la migliore da studiare. Tra l'altro con noi lavora un ricercatore giapponese (Kazuhiro Hada) che ha dato un contributo fondamentale allo studio di questa sorgente, tanto è verso che il suo lavoro è citato nell'articolo di Science”. Il gruppo bolognese è ora in attesa di completare una sua osservazione di 25 ore con VLBA (Very Long Baseline Array), con cui conta di di dare un ulteriore contributo allo studio dei meccanismi che producono il getto. 28/09/2012