L’eco del buco nero

MEDIA INAF 01/06/2012

Erano anni che lo cercavano, e finalmente gli scienziati che lavorano con il satellite ESA XMM-Newton sono riusciti a identificare un effetto “eco” in raggi X cap.85_filedell’emissione di energia dai nuclei galattici attivi, che potrebbe offrire una nuova via per studiare i buchi neri al centro di galassie lontane. Molte galassie hanno infatti, al centro, un buco nero di grande massa, che assorbe materia producendo una enorme emissione di energia: sono i Nuclei Galattici Attivi (AGN), e da anni si cerca di capire cosa esattamente avvenga dalle loro parti. Uno degli strumenti più importanti per studiarli è la cosiddetta linea K del ferro, una emissione di raggi X causata dagli atomi di ferro all’interno del disco di accrescimento attorno al buco nero, dove la materia viene compressa e riscaldata prima di precipitare nel buco nero. Una sorgente di raggi X – ancora sconosciuta – in prossimità del buco nero proietta la sua energia verso il disco, e fa sì che gli atomi di ferro emettano quella radiazione. Gli astronomi speravano da tempo di riuscire a studiare come i singoli “flare”, emissioni di raggi X dalla sorgente al centro della galassia, si propagano lungo il disco di accrescimento, immaginando che ci fosse un certo ritardo tra il segnale del flare e quello della linea K del ferro, che rappresenta la sua eco. Solo che nessun telescopio in raggi X attuale (né XMM, né Chandra della NASA) ha una risoluzione sufficiente a vedere i singoli flares.Studiando i dati ottenuti su un lungo periodo di tempo dalla galassia NGC 4151, a 45 milioni di anni luce da noi, i ricercatori sono però riusciti a combinare il segnale di più eco e ottenere risultati statisticamente significativi. Hanno così dimostrato che quel ritardo, chiamato “riverbero relativistico”, esiste davvero, e nel caso di quella galassia corrisponde a circa 30 minuti.“Questo dimostra che la misteriosa sorgente di raggi X si trova a una certa altezza sopra il disco di accrescimento”, spiega il coautore della ricerca Chris Reynolds. Secondo cui, lo studio degli eco in raggi X dai nuclei galattici attivi fornisce una nuova tecnica per studiare buchi neri e nuclei galattici attivi, e gli effetti relativistici che avvengono al loro interno

Come nasce un peso medio

Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. 20/07/2012

Un modello informatico, elaborato da un gruppo di ricercatori statunitensi, mostra come possano fermarsi i buchi neri di media dimensione, cosa che finora gli astronomi fanno fatica a spiegare. La ricerca spiega come questi oggetti, con masse comprese tra qualche centinaio e qualche migliaio di masse solari, crescano nei dischi di gas intorno ai buchi neri supermassicci al centro delle galassie. Il meccanismo fisico è simile a quello dei modelli che descrivono la crescita dei pianeti giganti come Giove e Saturno nei dischi di gas che circondano le stelle. “Sappiamo di piccoli buchi neri, che tendono ad essere vicino a noi ed hanno masse 10 volte quella del nostro Sole. E sappiamo di buchi neri supermassicci con una massa che va da milioni a miliardi di volte quella del sole “, ha detto il coautore Saavik Ford, ricercatore associato del Dipartimento del Museo di Astrofisica di New York e professore della City University of New York (CUNY). “Ma i buchi neri di massa intermedia sono molto più difficili da trovare.”Questi oggetti nascono con la morte di una stella e crescono scontrandosi con altre stelle vive e morte, di cui consumano la materia. Diversamente dai precedenti modelli, questo studio si concentra sui nuclei galattici attivi, e non sugli ammassi stellari, come “terreno di coltura” dei buchi neri. Nei nuclei galattici attivi c’è molto gas, che rallenta il movimento delle stelle e rende più probabili le collisioni del buco nero appena formato con esse.“In un ammasso di stelle dove gli oggetti si muovono molto velocemente e in cui non c’è gas, diminuisce notevolmente la possibilità di una collisione”, spiega Barry McKernan, ricercatore associato del Dipartimento del Museo di Astrofisica di New York e professore del CUNY. “Si può pensare alle stelle come a delle automobili che viaggiano a 10 corsie,” ha detto McKernan. “Se non ci fosse gas, le auto andrebbero a velocità molto diverse e soprattutto rimarrebbero nelle loro corsie, rendendo minori le probabilità di collisione. Quando si aggiunge gas, le auto acquistano velocità, si spostano in altre corsie e ciò aumenta la possibilità di scontrarsi”.Le collisioni risultanti permettono ad un buco nero di inghiottire le stelle e di crescere. Le dimensioni e la spinta gravitazionale di questo oggetto aumentano in corrispondenza della sua massa, incrementando la possibilità di collisioni successive. Questo fenomeno, chiamato “la crescita galoppante”, può portare alla creazione di un buco nero di massa intermedia.Nel processo di crescita, i buchi neri iniziano ad alterare il disco di gas dove, come i ricercatori hanno dimostrato, possono creare un vuoto. Questo vuoto sarebbe una sorta di firma che potrebbe facilitare la ricerca di buchi neri di massa intermedia.