Archivio Storico

L’UNIVERSO IN ACCELERAZIONE

di M. Margiocco e M. Maestripieri

(tratto da “ Nuovo Orione “ – gennaio 2000)

  

La più importante scoperta astronomica degli ultimi anni, è senza dubbio la seguente : l’espansione dell’Universo, iniziata circa 15 miliardi di anni fa con il Big Bang, sta tutt’ora accelerando.In altre parole, non solo la velocità di allontanamento delle galassie aumenta proporzionalmente alla loro distanza, ma la costante di proporzionalità di Hubble  H, che rappresenta il rapporto tra la velocità e la distanza di una qualunque galassia, diminuisce essa stessa all’aumentare della distanza.

Poichè noi vediamo le galassie più lontane com’erano molti miliardi di anni fa, ciò significa che in passato l’universo si espandeva a velocità minore. Quindi l’espansione dell’universo accelera !E’ quanto sono riusciti a stabilire vari gruppi di ricercatori usando come indicatori di distanza, le supernovae di tipo 1 A che esplodono nelle galassie più lontane.

Trattasi di stelle nane bianche che fanno parte di un sistema binario stretto, che risucchiano materia da una stella compagna, finchè la loro massa non supera il valore critico di 1.4 masse solari; allora avvengono delle reazioni nucleari violentissime che ne provocano l’esplosione. Il principale lavoro in proposito, di A.Riess, A.Filippenko e P.Challis è apparso sull’Astronomical Journal del settembre ’98, con il titolo “ Observational evidence from supernovae for an accelerating universe and cosmological constant “.Quali sono le cause di questa accelerazione ? L’ipotesi più accreditata si ricollega al problema della  “ materia oscura “.

Secondo I dati più recenti, la materia osservabile con I telescopi rappresenta solo l’1% della massa dell’universo. Il 5% sarebbe formata da materia ordinaria non luminosa ( materia barionica,composta cioè essenzialmente di protoni, elettroni e neutroni ).  Il 30% sarebbe costituita da neutrini ( gli ultimi esperimenti attribuiscono ad essi una massa, per quanto piccolissima ), o da altre particelle ancora più esotiche e non ancora osservate sperimentalmente, come gli assioni e le cosidette WIMP ( Weakly Interactive Massive Particles = Particelle di Grande Massa Debolmente Interagenti ).

Il 60% della massa dell’universo infine sarebbe costituita da “ materia oscura cosmologica “. Con questa espressione s’intende una sorta di “ Energia antigravitazionale del vuoto “. Tale energia possiede massa,(in virtù della famosa equazione di A. Einstein :  E = MC2) , ed inoltre viene giustificata dalla meccanica quantistica, secondo la quale “ il vuoto è in realtà pieno di particelle virtuali “.

Le galassie risentono di una forza repulsiva dovuta all’energia del vuoto, che si comporterebbe come una molla compressa carica d’energia. Questa forza di repulsione ricorda la famosa costante cosmologica di Einstein, introdotta nel 1916.Il premio Nobel Carlo Rubbia durante una recente conferenza a Torino ha sintetizzato la questione dell’energia del vuoto, affermando che “ oggi siamo riusciti a pesare il vuoto ed abbiamo visto che pesa 20 volte di più di tutta la materia luminosa ed oscura da noi conosciuta “.

 

IL FUTURO DELL’UNIVERSO

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da “ Nuovo Orione “ – gennaio 2000)

 

La teoria cosmologica del Big Bang oltre a spiegare l’universo in termini di evoluzione, pone la domanda non solo sull’inizio ma specialmente sulla fine di esso. Come è noto, la risposta a tale ultimo quesito dipende strettamente dalla quantità di materia presente nel cosmo.

Al fine di spiegare I moti delle stelle nella nostra galassia è necessario supporre l’esistenza di una quantità di “ materia oscura  “ molto superiore a quella “ luminosa “, pari a circa il 99% del totale. Inoltre gli ammassi e superammassi di galassie non potrebbero stare insieme se non fosse presente molta materia invisibile, in grado di comportarsi come collante gravitazionale. Vi sono quindi prove indirette dell’esistenza di materia oscura sia dentro le galassie che nello spazio intergalattico.

Negli ultimi anni però il problema della “ massa mancante “ è divenuto sempre più drammaticamente urgente; oggi si ritiene che, per spiegare I moti delle stelle nelle galassie e la coesione degli ammassi galattici, sia necessaria la presenza di materia invisibile in proporzione 10 volte superiore a quella visibile. Anche così però la somma di qella materia visibile e di quella invisibile sarebbe 10 volte inferiore alla densità critica, cioè quella che riporterebbe il cosmo verso la Contrazione ed il Big Crunch ( Grande Implosione )finale.

La scoperta nel 1993 di corpi oscuri chiamati “ Macho “ ( Massive Compact Halo Objects = Oggetti Compatti di Grande Massa nell’Alone delle galassie ) da parte di Alcock ed Aubourg, attenuò ma non risolse completamente il problema e d’altronde I modelli fin qui accettati del Big Bang e dell’Inflazione conducono a ritenere che i 9/10 della materia mancante non appartenga al tipo più comune,( materia barionica, cioè composta di protoni e neutroni ).

I dati sperimentali non hanno rilevato finora nessuna forma di “ materia esotica “( cioè non barionica ), purtuttavia le nostre conoscenze ci permettono di individuare alcuni scenari. Sfruttando le ultime osservazioni del telescopio spaziale Hubble sulle esplosioni delle supernovae di tipo 1a, ritenute attualmente le migliori “ candele standard “ per la misura della magnitudine apparente, si è calcolato un valore della costante di Hubble (H), prossimo a 60, mentre si è visto che il parametro “ Omega “, cioè il rapporto tra la densità media e quella critica dell’Universo, che veniva valutato circa 0,2, è addirittura negativo, - 0,4.

Questa sconvolgente rilevazione, non potendosi pensare ad una densità negativa, presuppone che l’espansione dell’Universo acceleri, anzichè rallentare a causa della gravità. Ciò presuppone che nel cosmo sia presente una misteriosa forza di repulsione universale, detta anche “ materia oscura cosmologica “ od “energia antigravitazionale”, pari a circa il 60% dell’intera massa dell’Universo.

Essendo quindi l’Universo  in  accelerazione ,continuerà ad espandersi per sempre. Via via che l’espansione andrà avanti, il combustibile nucleare tenderà ad esaurirsi, facendo sì che le ultime stelle si estinguano non oltre i 100mila miliardi di anni; a tal punto si formeranno moltissimi buchi neri stellari e galattici.

La fase seguente dipende poi dalla stabilità del protone, se esso avesse una vita dell’ordine di 1032 anni, come prevede la teoria standard di unificazione delle interazioni forte ed elettrodebole, trascorso un tempo 10 volte superiore, tutto l’Universo “evaporerebbe “, riducendosi ad un gas estremamente rarefatto di elettroni, positroni e neutrini.

Ricordiamo che le 4 Forze fondamentali della Natura sono : Nucleare Forte, Nucleare Debole, Elettromagnetica e Gravitazionale. Il Positrone è l’antiparticella dell’elettrone, avente la stessa massa e carica opposta. Il Neutrino è una particella elementare senza carica e di massa piccolissima, di difficile osservazione, emessa dal Sole e da tutte le stelle, come pure dal Big Bang e dalle supernovae.

Se viceversa il protone risulterà stabile ed eterno, diventerà fondamentale “l’effetto tunnel “, previsto dalla meccanica quantistica, nel quale una particella possiede una probabilità leggermente superiore allo zero di superare una barriera di potenziale, pur non possedendo l’energia necessaria. A causa di quest’effetto tutti i nuclei degli elementi chimici si trasformeranno in Ferro (Fe), che con I suoi 26 protoni e 30 neutroni è l’elemento più stabile in natura. La durata di questo processo di fusione degli atomi più leggeri e di scissione dei più pesanti verso il Ferro, è stato calcolato da Freeman Dyson in 101500 anni!!!

La seconda ipotesi sul futuro dell’universo, per la verità attualmente quasi abbandonata, prevedeva un Big Crunch finale in un tempo tanto più breve, quanto più grande è la densità di materia. Una terza ipotesi postulava un “ Universo oscillante “, rimbalzante costantemente tra Big Bang e Big Crunch, ma queste sono viste come speculazioni più filosofiche che dotate di base scientifica.

 

LA DUPLICITA’ DI “ Eta CARINAE”

(di M.Margiocco  e  M.Maestripieri)

( tratto da “Astronomia” – Marzo 2000 – pag.8)

  

Il prototipo della classe di stelle denominate “variabili blu luminose” è Eta Carinae. Essa fu studiata fin dal 1837, quando aumentò di luminosità fino a diventare la seconda in tutto il cielo. Contemporaneamente la stella ha emesso dei getti di plasma fino a formare un denso bozzolo intorno ad essa, oscurandola. Infatti la sua lucentezza è da allora diminuita fino all’ottava magnitudine, per poi risalire oscillando intorno alla settima fino ad oggi.

Fino a qualche anno fa il quadro che emergeva dalle osservazioni era il seguente : Eta Carinae sarebbe una stella di grande massa nelle fasi finali della sua vita, caratterizzate da imponenti espulsioni di materia che di solito precedono le esplosioni di una supernova.  Ma nel 1996 l’astronomo brasiliano A.Damineli notò nello spettro delle variazioni regolari con un periodo di 5.5 anni ed avanzò l’ipotesi che Eta Carinae fosse un sistema binario. A seguito delle sue osservazioni egli previde che si sarebbe verificata una nuova variazione nell’intensità delle righe spettrali, legata al passaggio ravvicinato tra le due stelle ( infatti la loro orbita è molto ellittica), all’inizio del 1998 e ciò avvenne effettivamente.

Secondo calcoli effettuati la prossima variazione di spettro dovrebbe verificarsi nuovamente nel 2003. Inoltre nel corso del 1998 il telescopio spaziale Hubble ha scoperto un improvviso aumento di luminosità, fino a duplicare il flusso d’energia emesso. Tale incremento si ritiene non sia effettivo, trovandosi il sistema stellare già molto prossimo al limite di stabilità o limite di Eddington, oltre il quale gli strati esterni verrebbero spazzati via dalla pressione di radiazione, come probabilmente avvenuto nel secolo scorso. La spiegazione più probabile è che la nebulosa circostante sia diventata improvvisamente più trasparente, ma non si è ancora certi di ciò.

Eta Carinae è sicuramente una delle stelle più interessanti della nostra galassia e potrebbe essere il preludio ad un’immane e spettacolare esplosione detta ipernova, centinaia di volte più luminosa di una supernova. Si ritiene che le ipernovae siano collegate ai “ gamma bursts” (lampi gamma).

 

SUPERNOVAE E FERRO INTERGALATTICO

 di M.Maestripieri e M.Margiocco

(tratto da “Astronomia – Marzo 2000 – pag.11)

  

Gli sconfinati spazi intergalattici negli ammassi di galassie sono permeati da un gas caldo che si rivela perchè emette raggi X. La sua composizione chimica ci da infoemazioni importanti sull’evoluzione dell’universo. Il risultato più signifivativo è la presenza di elementi pesanti, come ossigeno, azoto,nichel e sopratutto ferro, che rappresenta l’elemento terminale dei processi nucleari.

Negli ammassi di galassie, l’abbondanza del ferro è i 3 - 4/10 di quella osservata nel sistema solare; ciò significa che il gas intergalattico è stato arricchito dalle esplosioni di molte supernovae. I due tipi principali di supernovae sono : quelle di tipo 2, dovute all’esplosione di una stella di grande massa, più di 10 volte la massa solare e quelle di tipo 1 a dovute all’eplosione di una nana bianca situata in un sistema binario stretto, a causa della materia proveniente dalla compagna e risucchiata dalla prima. Entrambe questi tipi di supernovae producono elementi pesanti, ma in percentuali differenti.

Fino a poco tempo fa I dati parevano indicare una prevalenza di supernovae di tipo 2 negli ammassi di galassie, esplose probabilmente durante le prime fasi della formazione delle galassie stesse. Ultimamente, esaminando la composizione del gas nell’ammasso “ Abell 496 “ , distante 500 milioni di anni luce, formato da centinaia di galassie, si è trovato che il contributo delle supernovae di tipo 1 a, varia da circa il 50% alla periferia, fino al 70% al centro dell’ammasso, dominato da una galassia ellittica gigante.

Secondo Dupke e White le supernovae di tipo 1 a, aumentano continuamente il contenuto di elementi pesanti negli ammassi, essi hanno ottenuto risultati simili anche in altri 2 ammassi di galassie : “Abell 2199 ed Abell 3571”. I dati da loro ottenuti potranno essere utilizzati per sottoporre a verifica I vari modelli teorici sull’esplosione di una supernova.

Le variabili che intercorrono in un’esplosione da supernova sono talmente numerose e complesse che nemmeno gli attuali calcolalotari più potenti sono in grado di simulare. I modelli matematici prevedono differenti produzioni di elementi pesanti come nichel e ferro e questi potranno essere messi a confronto con le osservazioni.

 

L’OMBRA DI UN PIANETA EXTRASOLARE

(tratto da Astronomia – Gennaio 2000 pag.6)

 

Il 12 Novembre 1999 è stato osservato per la prima volta da G.Henry e G.Marcy un pianeta extrasolare mentre transita dinnanzi alla sua stella procurandone un leggerissimo oscuramento. La scoperta è il frutto di una ricerca su un campione di 500 stelle, eseguita con il telescopio Keck di 10 mt. sito nelle Hawaii, il metodo adottato è il classico effetto Doppler, che individua le oscillazioni periodiche nella velocità radiale (velocità di avvicinamento/allontanamento da noi) di una stella prodotte dalle perturbazioni del pianeta. Nel campione sono state scoperte sei stelle accompagnate da pianeti ed in particolare una di esse possiede un pianeta gigante vicinissimo ad essa.

La stella è HD 209458,gialla, di magnitudine 7.6 in Pegaso, a circa 150 anni luce da noi, con una massa solo del 3% maggiore di quella del Sole. Il periodo orbitale del pianeta è di soli 3.5 giorni, il che lo colloca nella ristretta cerchia dei sistemi tipo “ 51 Pegasi “ ( stelle con pianeti vicinissimi ad esse, tanto che per essi un anno dura meno di una settimana terrestre ). “ 51 Pegasi “ fu la prima stella con pianeti individuata nel 1995; per questa classe di stelle v’è una probabilità del 10% che il pianeta passi davanti alla stella.

Dopo aver scoperto la stella suddetta, Marcy avvertì Henry presso il Fireborn Observatory dell’Arizona, il quale possedeva un telescopio da 80 cm. dotato di un fotometro di alta precisione. Conosciuti I dati orbitali, Henry si accorse che dopo due giorni la stella sarebbe passata per la fase a velocità radiale nulla, che si verifica quando il pianeta passa davanti all’astro. In tali casi se l’inclinazione dell’orbita rispetto alla visuale è minima, v’è una buona probabilità di osservare l’occultazione ed infatti così avvenne. La luce della stella diminuì dell’1.6%, esattamente al momento previsto e rimase al minimo di luminosità per circa 2,5 ore. A causa del brevissimo periodo di rivoluzione (3.5 giorni), le occultazione notturne sono osservabili una volta alla settimana.

Il calo d’ intensità luminosa di 1.6%, corrisponde a 0.017 magnitudini. E’ chiaro che l’occultazione è la migliore conferma della presenza di un pianeta. La massa di un pianeta extrasolare si può calcolare con sicurezza solo conoscendo l’inclinazione del piano dell’orbita, altrimenti è possibile stabilire solo un limite inferriore per la massa.  Nel caso del pianeta HD 209458 sappiamo che l’inclinazione è molto piccola ( circa 3° ) e questo ci consente di calcolare esattamente la massa che è appena il 62 % di quella di Giove ( 1.898.6 x 1024 kg, pari a 318 masse terrestri ) : si tratta quindi di un pianeta di massa intermedia tra Giove e Saturno.

 Poichè il pianeta ha occultato ben l’1.6%  della superfice stellare, ciò significa che il suo diametro è solo 8 volte minore di quello della stella. Ma il diametro stellare può essere stimato dalla sua temperatura e luminosità e risulta di circa  1.6 milioni di km. ( circa il 15% maggiore di quello del Sole ), quindi il pianeta deve possedere un diametro enorme di circa 200.000 km, cioè del 40% maggiore di quello di Giove , pur essendo la sua massa il 38% minore.

Ne consegue che la densità media è bassissima, circa 0.25 di quella dell’acqua. Ciò significa che il pianeta non solo è prevalentemente gassoso, ma è anche dilatato dall’altissima temperatura causata dall’estrema vicinanza della stella ( 0.05 Unità Astronomiche, 20 volte minore della distanza Terra-Sole).

 

PING PONG TRA TERRA E MARTE

(tratto da Astronomia – Maggio 2000 pag.8)

  

Un gruppo di ricercatori scandinavi e canadesi coordinato da C. Mileikowsky ha realizzato uno studio con il quale si dimostra che durante i 4.5 miliardi di anni del Sistema Solare, a causa di impatti di asteroidi e comete, sono state espulse nello spazio interplanetario enormi quantità di rocce marziane. Una quantità notevole di esse sarebbe caduta sulla Terra mentre una minore ma sempre significativa avrebbe effettuato il cammino inverso. I risultati della ricerca sono stati presentati nel gennaio 2000 all’ultimo incontro dell’American Astronomical Society ad Atlanta ed in tale sede è stato messo in evidenza come eventuali forme di vita a livello microbico presenti in tali rocce, avrebbero potuto sopravvivere al viaggio interplanetario.

Attualmente non è stato ancora dimostrato se siano realmente esistiti microbi su Marte, ma è certo che sul pianeta si sono realizzate le condizioni favorevoli allo sviluppo della vita prima ancora che sulla Terra. Marte infatti, avendo una massa inferiore a quella terrestre, si raffreddò prima, raggiungendo in breve tempo temperature superficiali accettabili. Si ritiene pure che possedesse un’atmosfera simile a quella della Terra che oltre a schermarlo dalle radiazioni ultraviolette del Sole e da quelle cosmiche, consentiva l’esistenza di condizioni di temperatura ed umidità paragonabili a quelle odierne presenti sul nostro pianeta.

Si è calcolato che decine di miliardi di rocce marziane, in particolare nei primi stadi del Sistema Solare, sarebbero state eiettate nello spazio ed 1 su 150 circa sarebbe giunta sulla Terra dopo alcuni milioni di anni, in pratica più di 5 miliardi di rocce marziane sarebbe caduta sulla Terra negli ultimi 4 miliardi di anni, mentre una quantità inferiore, circa 1 miliardo, avrebbe fatto il tragitto inverso. Questa differenza è dovuta certamente alla diversa gravità presente nei due pianeti. E’ perciò possibile che anche batteri terrestri abbiano colonizzato Marte. Sono stati allo scopo effettuati esperimenti che hanno dimostrato che almeno un batterio terrestre, il Bacillus Subtilis, è in grado di sopravvivere alle estreme condizioni di un viaggio interplanetario. Un certo numero di essi è stato esposto al vuoto cosmico per sei anni, all’interno di un satellite arificiale ed il 10% di essi è sopravvissuto.

Considerando che in ogni roccia possono essere presenti 100 milioni di microbi è facile prevedere che almeno alcuni milioni di essi avrebbero potuto vivere e riprodursi in un  ambiente favorevole. Oltre al Subtilis è stato accertato che anche il batterio Deinococcus Radiodurans può sopravvivere alle condizioni presenti in un viaggio cosmico ed a quelle estreme di pressione e temperatura che si verificano in un impatto ad ipervelocità.

 

PIANETI  FLUTTUANTI  

(tratto da Astronomia – Giugno 2000 pag.8)

  

Pare che l’idea che tutti i pianeti abbiano sempre una loro stella attorno a cui orbitano sia destinata ad essere rivista. I risultati infatti di una recente ricerca hanno condotto alla scoperta di pianeti gassosi isolati, di massa simile a quella di Giove, situati nell’ammasso di stelle giovani del Trapezio, all’interno della grande Nebulosa di Orione (M 42). La scoperta, pubblicata sul Monthly Notice of the Royal Astronomical Society, è stata fatta da due astronomi inglesi, P.W. Lucas e P.F. Roche ed è il frutto di un approfondito studio da essi effettuato per deteminare il valore minimo di massa di una regione, affinchè da una densa nube di polveri e gas in fase di contrazione si possa generare una stella.

Recenti osservazioni hanno confermato che le zone di una nebulosa ove vi è un’intensa formazione di bozzoli stellari, presentano un ambiente circostante alquanto perturbato. Le stelle di massa più grande nascono con maggior rapidità rispetto alle altre, generando un intenso ” vento stellare “ e grandi flussi di radiazioni che investono le aree vicine, disperdendo la materia interstellare ed impedendo ai bozzoli più piccoli di contrarsi e generare altre stelle. Questi ultimi infatti impiegano più tempo per la fase di contrazione e sono più instabili dal punto di vista gravitazionale, subendo così un processo di erosione.Da queste considerazioni ne deriva che debba esservi un limite minimo di massa per la formazione di nuove stelle e che esso dipenda dalla quantità totale di stelle che stanno nascendo e dal numero di quelle di grande massa presenti in quella regione cosmica.

Studiando il fenomeno mediante il diagramma H-R (colore/magnitudine), si può notare che nella parte inferiore della  “ funzione di massa iniziale “ (FMI) si trovano le stelle più piccole e deboli e quei corpi con massa inferiore a 0.08 masse solari detti anche “ nane brune “. La piccola massa impedisce loro di raggiungere nel nucleo temperature tali da innescare la reazione nucleare di fusione dell’idrogeno e quindi accendersi come una comune stella. Ne sono state trovate parecchie decine nei giovani ammassi a noi più vicini come in quello delle Iadi nella costellazione del Toro ed in quello delle Pleiadi ( M 45 ).

La ricerca dei suddetti astronomi inglesi è stata focalizzata nella regione del Trapezio che è ricca di giovani stelle con età non superiori ai 2 milioni di anni ed è stata fatta con l’United Kingdom Infrared Telescope. Essa ha permesso di scoprire 515 sorgenti, delle quali il 30% circa dovrebbero essere delle nane brune, mentre un 2.5% posseggono una massa inferiore alle 0.013 masse solari, limite che separa le nane brune dai pianeti. Al di sotto di questo limite infatti è impossibile non solo la fusione nucleare dell’idrogeno ma pure quella del deuterio che s’innesca invece per un breve periodo nelle nane brune. Tali corpi appartengono quindi alla categoria dei grandi pianeti gassosi con massa circa 10 volte superiore a quella gioviana.

Nell’area del Trapezio  in cui le stelle posseggono un’età tra 0.3 e 2 milioni di anni è stato scoperto un grande pianeta gassoso con massa compresa tra le 9.8 ed le 5.7 masse gioviane, ciò in funzione dell’età del medesimo. Questo corpo come gli altri presenti nella regione non orbita intorno a nessun astro, è quindi un pianeta isolato ed è denominato “ free floating planet “, cioè un pianeta vagante o fluttuante. Attualmente questo è l’estremo inferiore di massa per la formazione di tali pianeti non essendone stati scoperti altri di massa inferiore.

 

IL METEORITE DELLE ORIGINI

di M. Maestripieri

(tratto da Newton – Novembre 2000 pag.11)

 

Il 18 gennaio di quest’anno è caduto in Canada, presso il lago Tagish, un meteorite che racchiude il più antico e primitivo materiale del Sistema Solare mai pervenuto sul nostro pianeta. La sua età è stata stimata in 5 miliardi di anni, risalendo quindi all’epoca della formazione dei pianeti. Fortunatamente il corpo è riuscito ad attraversare la nostra atmosfera rimanendo congelato, cadendo in seguito nel lago ghiacciato ed ha mantenuto  quindi  un alto livello di conservazione.

Il prof. A. Hildebrand, geologo dell’università di Calgary asserisce che “ il meteorite ha una composizione anomala,  possiede molecole sconosciute ed il suo studio potrebbe rivoluzionare le nostre conoscenze sull’origine del Sistema Solare ed anche della vita sulla Terra “. Studiando la composizione e la natura delle sostanze contenute nell’oggetto, continua lo scienziato “ abbiamo rilevato la presenza di un cocktail di molecole che solitamente non si conservano e di carbonio in una quantità mai trovata in nessun altro meteorite”. Si tratta di un tipo molto raro, appartenente al gruppo delle condriti carbonacee. Questi corpi contengono elevatissime quantità di composti organici di origine extraterrestre e posseggono una composizione chimica simile a quella del Sole. Ogni anno cadono sulla Terra circa 500 meteoriti di cui solo lo 0.1% appartiene al gruppo delle condriti.

“ Essendo caduto congelato ed in un lago ghiacciato “, continua il prof. Hildebrand, “ non sono state alterate le sue caratteristiche primordiali, e di ciò ce ne siamo resi conto immediatamente, il meteorite infatti puzzava ancora terribilmente di zolfo, elemento che solitamente brucia molto prima dell’arrivo sulla Terra. Abbiamo poi rilevato che erano ancora conservati molti altri composti volatili. Mai in nessun altro meteorite era stato possibile analizzare tali elementi “.

Il punto esatto in cui è caduto l’oggetto, frantumandosi in centinaia di pezzi è stato scoperto il 25 gennaio da Jim Brook, pilota e guida, che ha rinvenuto presso il lago Tagish un frammento del peso di un chilogrammo. “ Brook “, prosegue Hildebrand, “ ha fortunatamente pensato di raccoglierlo utilizzando un sacchetto di plastica, in modo da non inquinarlo, toccandolo con le mani “.

 Gli scienziati ed i ricercatori delle università canadesi di Calgary, di  Ontario, della Nasa e del Museo di Storia Naturale di Londra, sono stati informati prontamente ed hanno recuperato I preziosi frammenti. “ Abbiamo estratto dal lago gelato “, prosegue il geologo, “ 500 frammenti, il lavoro ha richiesto molto tempo per fragilità delle rocce e per evitare la contaminazione con l’ambiente esterno, solo per altri tre meteoriti, nessuno dei quali era una condrite carbonacea, si è riusciti a stabilire esattamente la traiettoria seguita per arrivare sul nostro pianeta “.

Il meteorite prima dell’impatto doveva pesare circa 200 tonnellate e secondo gli scienziati proviene dalla fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. Dopo aver compiuto un viaggio di 1 milione di anni è stato catturato dalla gravità terrestre. “ Ci è stato possibile risalire all’età di questo corpo celeste “, continua Hildebrand, “ grazie alla presenza nei frammenti estratti dal ghiaccio, di nanodiamanti, piccole particelle di polvere interstellare che sappiamo facevano parte della nebulosa solare, cioè la nube di materiale interstellare da cui si pensa si siano formati il Sole e tutti I pianeti “.

I composti organici trovati nei frammenti dell’oggetto hanno una quantità di carbonio mai riscontrata in nessun altro corpo celeste e pari al 5% del suo peso totale. “ Siamo ancora nelle prime fasi di studio e ci vorranno ancora almeno due anni per concludere le analisi, ma sono convinto “, conclude Hildebrand, “ che troveremo tutte le conferme delle nostre ipotesi e che faremo luce sull’origine della vita sul nostro pianeta “.

 

IL CARBONIO NEL PALLONE

di M. Maestripieri

(tratto da Newton – Novembre 2000 pag.137)

 

Nel 1985 tre scienziati della Rice University : l’inglese Harold Kroto e gli americani Richard Smalley e Robert Curl, scoprirono che nell’universo  esisteva una molecola con una strana forma ad icosaedro tronco, simile ad un pallone da calcio. Essi tentavano di riprodurre in laboratorio il  comportamento di quegli atomi di carbonio che galleggiavano nella turbolenta atmosfera delle stelle giganti rosse, ancora non sapevano che quella loro ricerca li avrebbe portati nel 1996 al premio Nobel.

Vaporizzando un pezzo di grafite mediante un raggio laser, ottennero delle particelle formanti una nuova molecola fatta da soli atomi di carbonio, ma che non corrispondeva nè alla grafite, nè al diamante. Utilizzarono uno spettrografo di massa per scoprire la struttura e la massa della molecola e notarono che essa era composta da un grappolo di carbonio avente 720 nucleoni, tra protoni ed elettroni. L’atomo di carbonio è formato da 6 protoni e 6 neutroni, quindi la nuova molecola doveva avere ben 60 atomi !

Iniziarono quindi ad ipotizzare la sua forma come una sorta di “ gabbia “ formata da 20 esagoni e 12 pentagoni con gli atomi di carbonio ad ogni vertice e notarono che una siffatta costruzione era già stata realizzata nel 1953 dall’architetto americano R. B. Fuller, per edificare una cupola geodetica. Da qui scaturì l’idea di chiamare la nuova molecola “ fullurene “ ovvero “ C 60 “.

Nel 1990 W. Kraetschmer e D. Huffman, due fisici del Max Planck Institut , riuscirono a produrre una quantità della sostanza tale da essere sottoposta ad esmi approfonditi ; venne così confermata la sua struttura a “ pallone da calcio “. I  ricercatori ottennero anche altre molecole di carbonio come il C70, il C76, il C78 ed il C84.

Il diametro della molecola del C60 è di circa 10-3 mm , è molto stabile, tanto che lanciata contro una parete di acciaio a 30.000 km/h, rimbalza senza subire alcuna deformazione, le singole molecole di fullurene formano poi cristalli, unendosi le une alle altre, tramite le forze intermolecolari di Van der Waals. La grafite che le compone è un cristallo composto da fogli sovrapposti di atomi di carbonio, che si presenta come una specie di “ sandwich “ e fornisce al nuovo materiale una certa “ untuosità “.

Grazie a tale proprietà il fullurene verrà utilizzato come lubrificante per parti mobili di micromacchine, inoltre , essendo capace di ospitare al suo interno altre molecole senza modificarsi o distruggersi, verrà impiegato in medicina per trasportare nell’organismo umano altri farmaci. Infatti il nostro corpo può metabolizzare i cristalli di fullurene. Una caratteristica peculiare di questa molecola è la sua trasfomabilità, essa può infatti divenire sia un materiale isolante, sia semiconduttore od ancora interamente conduttore e superconduttore, ciò in funzione di come si presentano I legami con altre molecole. Se infatti nella struttura delle gabbie vengono inseriti atomi di potassio (K) o rubidio (Rb), il fullurene diventa conduttore.

La produzione del fullurene è assai costosa, il suo prezzo infatti varia tra il milione ed i 2 milioni di lire/grammo ed uno dei metodi migliori è quello ideato dal fisico americano A. Zettl, del Lawrence Berkeley National Laboratory, che, provocando un arco elettrico tra 2 barre di carbonio in presenza di elio, produce una temperatura di 3000o C circa, che vaporizza la superficie delle barre. La polvere di carbonio si deposita poi in fogli piani, mescolata all’elio inerte, il quale obbliga il materiale a chiudersi su se stesso, formando milioni di sfere di fullurene, le quali in seguito, restando per circa 10 giorni in un tubo di quarzo , subiranno una lenta deposizione, disponendosi l’una accanto all’altra.

A questo punto i cristalli subiscono un assorbimento di idrogeno per controllare l’indeformabilità della loro struttura, il materiale riesce infatti ad immagazzinare 60 atomi di idrogeno in ogni sua molecola, rendendolo estremamente importante per I serbatoi delle auto future alimentate ad idrogeno.

Da ultimo si pensa di utilizzare il fullurene per costruire strutture tubolari da utilizzare nei microcircuiti elettrici dei computer, potendo intrecciare molti “ nanotubi “ del materiale, per ottenere circuiti con uno spessore cento volte inferiore a quegli attuali. L e applicazioni di questo tipo sono poi innumerevoli, come per la costruzione di ponti e case antisismiche, tessuti antiproiettile, etc.

 

IL BIG BANG CON L’INFLAZIONE

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Astronomia – Giugno 2000 pag.4)

  

I dati raccolti dall’esperimento Boomerang, progettato dal team del prof. P. de Bernardis dell’università La Sapienza di Roma e finanziato per la parte italiana dall’ASI, hanno confermato che la densità dell’universo è esattamente quella critica  e che la geometria dello spaziotempo è euclidea.

L’esperimento s’è avvalso di un telescopio sensibile alle microonde, che tramite un pallone stratosferico si è alzato fino a 38 km. di quota al di sopra della stazione antartica di McMurdo, il 29 dicembre 1998 ed è stato trasportato dai venti lungo il 79o parallelo, per poi ritornare al punto di lancio dopo 10 giorni. In questo periodo di tempo il telescopio ha sempre puntato la stessa regione della costellazione dell’Orologio, sita al di sopra dell’emisfero australe, lontana dal piano galattico e poco disturbata dalle polveri interstellari, effettuando scansioni ripetute. I suoi 16 rilevatori raffreddati a 3/10 di grado Kelvin hanno registrato, a 4 frequenze diverse, il flusso di microonde che caratterizza lo spettro della radiazione cosmica di fondo dell’universo.

Si è ottenuta una cartografia termica del 3% della volta celeste, “ una pagina di un vero e proprio atlante dell’universo primordiale “, afferma il prof. De Bernardis. In questa mappa si evidenziano variazioni termiche da punto a punto nella scala delle distanze angolari ed in tali fluttuazioni si celano I valori di una decina dei parametri cosmologici più importanti, quali la costante di Hubble (H), la densità della materia barionica e di quella oscura, la densità della costante cosmologica, etc.

I fotoni della radiazione cosmica di fondo ci pervengono dalla “ superficie dell’ultima diffusione “, dall’epoca, 300.000 anni dopo il Big Bang, in cui I protoni e gli elettroni si ricombinano. Nella fase precedente I fotoni emessi dal plasma venivano invece riassorbiti immediatamente dal plasma e l’universo era una palla di fuoco opaca, in cui radiazione e materia erano strettamente accoppiate in equilibrio termodinamico, a temperature via via decrescenti, fino ai 30000 K in cui avvenne appunto la loro ricombinazione. Il primo spettro percepibile a quella temperatura fu quello di un corpo nero e così lo riceveremmo oggi, se non ci fosse stata nel frattempo l’espansione cosmologica che ha moltiplicato per mille tutti I fattori lineari, compreso il raggio dell’universo stesso e le lunghezze d’onda dei fotoni della radiazione di fondo, che riceviamo con uno spettro degradato ad una temperatura di circa 30 K.

Questo importante dato termico fu fatto nel 1990 dal satellite COBE, della NASA, che rilevò esattamente 2,730 K, quale temperatura di fondo, costante in tutti I punti dell’universo, cioè quella temperatura della radiazione fossile giunta fino a noi. Questa isotropia pressochè perfetta è rotta da microvariazioni da punto a punto, nell’ordine della quinta cifra decimale, che ci avvertono della presenza di piccole fluttuazioni della densità del plasma primordiale, fondamentali per comprendere e spiegare la formazione delle strutture cosmiche odierne, quali le galassie e gli ammassi aperti e globulari.

Esistendo infatti all’inizio dei nuclei di condensazione, essi , agendo quali centri attrattori hanno consentito un collasso gravitazionale della materia diffusa. Questi nuclei primordiali possedevano una densità leggermente superiore alle zone circostanti. Il COBE per primo misurò questi scostamenti dalla temperatura media dell’ordine di 20 – 30 microkelvin ed evidenziò che essi sono presenti  su tutte le scale angolari, spingendosi fino al potere risolutivo limite dei suoi telescopi, cioè in zone spaziali separate da 70 angolari. I risultati ottenuti erano importanti, ma ancora insufficienti per poter definire con precisione un modello di universo, era altresì impossibile definire con tali dati un unico “ spettro di potenza “, cioè l’ampiezza delle fluttuazioni a diverse scale angolari, avendo fissato I valori dei parametri cosmologici principali.

Gli spettri di potenza infatti di modelli cosmologici assai differenti, si caratterizzano per minime diversità, se riferite a grandi scale angolari. I modelli inflazionari e quelli che fanno discendere le fluttuazioni ancestrali da difetti topologici, quali le  “ stringhe cosmiche  “, se vengono confrontate in scale da 50 fino 1000 ed oltre, quasi si sovrappongono.

I dati forniti dal satellite Boomerang presentano invece un’elevata sensibilità ed una risoluzione angolare di 1/3 di grado. Essi hanno consentito di tracciare la prima mappa termica di un’importante porzione della superficie dell’ultima diffusione. In questa mappa si evidenziano punti più caldi ed a più alta densità, che rappresentano I germi degli ammassi di galassie ed altre zone più scure, fredde ed a minor densità che sono i progenitori delle future immense aree vuote che separano tra loro gli ammassi.

Sfruttando l’ottima risoluzione angolare del telescopio, si è evidenziato che esiste un picco nelle fluttuazioni poco sotto 10 , a cui corrisponde una densità media pari ad 1, ( ALFA = Radice Quadrata di OMEGA, ove ALFA è la scala angolare in gradi ed OMEGA è il parametro di densità, espresso in unità di densità critica ), che è proprio la densità critica che divide gli universi aperti, da quelli chiusi che finiscono nel Big Crunch ed è proprio il valore che caratterizza gli universi inflazionari e piatti. La fluttuazione termica del valore medio rispetto al picco è di circa 700 microKelvin e fornisce dati di densità di materia compatibili con quelli ottenuti con lo studio parallelo delle supernovae lontane di tipo 1a. A raggiungere la densità critica = 1 darebbero quindi un contributo per circa il 30 – 40% la materia barionica e quella oscura e per il restante 60 – 70% , l’energia del vuoto costituita dalla costante cosmologica che accelera l’espansione cosmica.

 

MATERIA OSCURA

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Astronomia – Maggio 2000 pag.4)

 

Alla fine di febbraio 2000 si è tenuta un’importante conferenza di astrofisica a Marina del Rey in California. In questa sede l’equipe italo-cinese che sviluppa e gestisce il progetto DAMA ( Dark Matter ), presso il laboratorio di Fisica Nucleare del Gran Sasso (INFN), ha rivelato di aver raccolto ragionevoli prove che suffragano l’esistenza di un alone di particelle non-barioniche supermassicce che circonda la nostra Via Lattea. Queste particelle sarebbero finalmente la tanto attesa conferma dell’esistenza della materia oscura che gli astrofisici invocano per poter spiegare la stabilità dinamica delle galassie e degli ammassi.

Questo annuncio ha suscitato scalpore ed anche forti polemiche sopratutto da parte del gruppo americano dell’esperimento CDMS ( Cryogenic Dark Matter Search ), che nega la validità dei risultati del DAMA. E’ ormai noto da tempo che le galassie ruotano intorno al loro asse con velocità incompatibili con la quantità di materia, da noi rilevata, che le compone. I pianeti ruotano intorno al Sole secondo precisi limiti di velocità, dipendenti con proporzionalità diretta dalla forza gravitazionale che è generata dalla massa stessa della nostra stella; se  infatti il Sole fosse avesse massa quadrupla la velocità orbitale dei pianeti sarebbe doppia.

Ci si aspetterebbe che tale legge di proporzionalità fosse rispettata anche dalla nostra galassia e dalle altre con le loro stelle ed il loro gas interstellare, invece le velocità riscontrate sono eccessive, cioè le stelle si muovono molto più velocemente di quanto consentirebbe la massa delle loro galassie. Nonostante ciò gli astri stessi restano stabilmente legati al loro sistema per miliardi di anni e questo si verifica pure per le galassie contenute negli ammassi che non si disintegrano ma restano compatti.

Da questo ne deriva che a grandi scale occorre presupporre che vi sia altra massa ancora sconosciuta per confermare  la legge di gravitazione universale che governa i moti dei corpi celesti. Questa apparente incongruenza è dovuta ad un’erronea misurazione della massa delle galassie, essendo stata fatta utilizzando solo la luce che riceviamo, non considerando tutta la restante parte di materia che non emette luce, la “ materia oscura “. Rapportando la velocità delle galassie s’è valutato che di tale “ materia non barionica “ ne occorre il 90% e che ciò costituisce quindi la gran parte della massa dell’Universo. Una parte di questa “ materia “ potrebbe essere costituita da neutrini, particelle prive di massa a riposo, un’altra da particelle dotate di massa notevole ma scarsamente reagenti con la “ materia normale o barionica  “, dette WIMP ( Weakly Interacting Massive Particle ).

Fanno parte di questa categoria il gravitino, il fotino e l’ideale candidato per la “ materia oscura “, il neutralino, avente una massa centinaia di volte quella del protone ed una densità stabile anche miliardi di anni dopo il Big Bang. Oltre alla assai scarsa tendenza delle WIMP ad interagire con la “ materia barionica “, in particolare il neutrino può attraversare i corpi senza alcun impedimento ed è presente in enormi quantità. Il neutralino invece può essere intercettato da opportuni rivelatori ad azoto puro e segnalare l’interazione emettendo luce o calore; si ritiene che debba prodursi un Impatto al giorno per ogni 10 kg. di rivelatore.

Il rivelatore dell’esperimento DAMA è costituito da una batteria di 10 elementi, ciascuno di 10 kg. di cristalli di ioduro di sodio e da tubi fotomoltiplicatori per raccogliere il flash luminoso provocato dall’impatto. L’esperimento è stato effettuato a 1400 mt. di profondità in una sala schermata per evitare od almeno minimizzare  l’interferenza della radioattività naturale e dei raggi cosmici. L’individuazione degli WIMP è cosa ardua e per far ciò gli scienziati hanno utilizzato un possibile andamento periodico stagionale nei tassi di conteggio degli impatti.

Si ritiene che la materia oscura che avvolge la Via Lattea in un enorme alone sferico sia fatta in gran parte di WIMP e che qualche miliardo di anni dopo il Big Bang le particelle di una gigantesca nube in lenta rotazione iniziarono a collassare per dar vita alla nostra Galassia. Le particelle barioniche si depositarono sul disco ed al fine di mantenere il momento angolare, aumentarono moltissimo la loro velocità  e si dissiparono la loro energia.

Le WIMP a differenza delle barioniche non collassarono poichè, non interagendo, non poterono dissipare la loro energia tramite l’emissione fotonica e rimasero sospese in un alone statico che le stelle della nostra galassia attraversano a 220 km/s all’altezza del Sole. La Terra, in giugno, possiede una velocità orbitale con quella del nostro astro, investendo l’alone galattico a 235 km/s, mentre in inverno, essendo discorde, lo attraversa a 205 km/s. Questa differente velocità stagionale dovrebbe fornire un diverso tasso degli impatti, generando un andamento sinusoidale con un’ampiezza di circa il 7% tra il massimo estivo ed il minimo invernale.

L’accuratezza delle rilevazioni fornita dagli scienziati dell’esperimento DAMA, dopo 4 anni di ricerche, è del 99,99% e la massa dedotta del neutralino è di 50-60 volte maggiore di quella del protone. Anche se molto bassa, purtuttavia l’incertezza di una parte su diecimila è ancora troppo elevata, perciò si attendono ulteriori conferme ed approfodite ricerche per poter dare l’annuncio definitivo della scoperta delle WIMP, che oltre che essere di portata storica, rivoluzionerebbe l’attuale quadro della fisica delle particelle e potrebbe delineare un modello cosmologico dei primi istanti dell’Universo.

Come detto precedentemente, i risultati del DAMA sono pregiudizialmente contestati dal progetto americano CDMS, il quale nega la presenza di impatti di WIMP con variazioni d’intensità e frequenza stagionali.  Tuttavia il confronto dovrebbe essere fatto tra esperimenti omogenei, invece il rivelatore americano a differenza di quello italiano è un cristallo di germanio e silicio di 0,5 kg. operante da solo un anno e per ora ad una profondità di soli 10 mt. in attesa di essere collocato in profondità in una miniera del Minnesota.

E’ ovvio che, situato così vicino alla superficie, possiede un’insufficiente schermatura e non è quindi in grado di rilevare gli impatti “ puri “, separandoli dai milioni di  eventi spuri. Occorrerà quindi ancora del tempo per poter confermare con esattezza assoluta l’esistenza dell’effetto stagionale scoperta dal DAMA, ma pare che la direttrice sia quella corretta.

 

L'’ANTIGRAVITA’

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Newton – Maggio 2001 pag.17)

 

L’esistenza di una nuova forza , opposta alla gravità e quindi di carattere repulsivo, che accelera la velocità di espansione dell’universo, prevalendo sulla suddetta attrazione gravitazionale, promette di essere una delle scoperte scientifiche più importanti degli ultimi anni. Questa scoperta è dovuta alle ultime osservazioni effettuate sulle galassie più lontane, le quali dimostrano di allontanarsi l’una dall’altra ad un ritmo maggiore del previsto.

Queste nuove misurazioni dell’universo sono state fatte dal gruppo di astrofisici di Adam Riess dello Space Telescope Institute, tramite il telescopio spaziale Hubble. Il fulcro degli esperimenti sta nello studio delle supernovae di tipo A, straordinari corpi celesti che rappresentano la spia del moto delle galassie a cui appartengono.

Queste tipo di supernovae, sono stelle che giumte ad un certo punto della loro esistenza, collassano e conseguentemente esplodono, aumentando la loro luminosità fino ad un miliardo di volte. Si trasformano così in “ candele naturali campione “ per la misura della distanza delle galassie a cui appartengono.

La scoperta primigenia dell’allontanamento delle galassie ad altissima velocità, fu nel 1929 dell’astronomo americano Edwin Hubble, utilizzando l’effetto Doppler. Egli osservò che esse presentavano uno spettro spostato verso il rosso e la spiegazione del fenomeno è che l’universo si sta espandendo nella sua totalità, quasi fosse un grande pallone che si sta via via gonfiando. Su questa immensa sfera in espansione la distanza tra due punti della superficie aumenta in modo proporzionale alla loro densità iniziale e qualsiasi sia il punto di osservazione, tutti gli altri si allontaneranno da esso in ogni direzione uniformemente.

Già Albert Einstein nel 1916, nel suo trattato sul modello di universo statico nella “ Teoria della Relatività generale “, aveva ipotizzato l’esistenza di una forza, da lui definita cosmologica, la quale doveva produrre un’azione repulsiva sufficiente a far tenere lontane le galassie tra di loro, quando però intervenne la scoperta di Hubble egli abbandonò l’idea della costante cosmologica.

Attualmente, tramite le osservazioni del gruppo di A.Riess, l’ipotesi di una forza repulsiva in grado di accelerare l’espansione dell’universo pare sempre più confortata da solide argomentazioni. Di particolare interesse è stato lo studio della supernova 1997ff , che ha fornito le prime evidenze dell’esistenza della gravità negativa, essa infatti, esplosa 10 miliardi di anni fa, appare di luminosità doppia rispetto alle previsioni, segno che dovrebbe trovarsi più vicina di quanto avrebbe dovuto.

Da queste osservazioni gli scienziati ipotizzano che l’universo nei primi tempi della sua esistenza, rallentò la sua espansione poichè talmente denso che la gravità positiva ebbe il sopravvento sulla forza di repulsione. In seguito iniziò ad accelerare in modo esponenziale perchè la forza repulsiva ebbe definitivamente la meglio.

Il tentativo di adattare la costante cosmologica, già ipotizzata da Einstein, per adattarla ai fenomeni osservati da Riess, reinventandola nella forma di fluttuazioni quantiche non ha avuto successo, infatti vi sarebbe una differenza di 120 volte! Questa enorme discrepanza ci indica una nuova e profonda entità della natura. Circa vent’anni fa il fisico americano Alan Guth propose una variante, denominata Teoria Inflazionaria, al modello originario del Big Bang.

Egli ipotizzò che in qualche miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo la primissima fase del Big Bang, l’universo avrebbe subito una gigantesca espansione, passando da un raggio infinitesimo alle dimensioni attuali di miliardi di miliardi di chilometri. Successivamente l’evoluzione del cosmo sarebbe proseguita secondo la dinamica classica del Big Bang. In questa teoria Guth prevede che alla base di questa rapidissima espansione vi sia una gravità negativa, la forza repulsiva di cui sopra appunto Questa forza sarebbe stata di gran lunga prevalente nei primi istanti di vita dell’universo.

Oggi, da teorie ed esperimenti sulle particelle elementari, ad altissime temperature e densità, s’è notato che la materia può manifestare una repulsione gravitazionale, cioè una pressione negativa, che sovrasta la normale attrazione gravitazionale o densità positiva. La scoperta di Riess viene attualmente valutata con cautela dalla comunità scientifica e ciò è dato dal fatto che le osservazioni compiute finora non hanno fornito la sicurezza che l’universo stia effettivamente accelerando la propria espansione.

L’accelerazione evidenziata dagli studi delle supernovae potrebbe essere anche un fatto locale, ovvero una anomalia limitata nello spazio-tempo, ma occorrerà studiare dettagliatamente quali conseguenze avrebbe una forza repulsiva sull’evoluzione dell’universo, cioè quale ruolo avrebbe tale forza nel bilancio energetico globale dell’universo. Questa forza aggiunta potrebbe infatti indirizzare il cosmo verso un’espansione illimitata o verso un Big Crunch. A questo punto della trattazione sono interessanti alcuni pareri in merito di eminenti scienziati.

1) Michael Turner, astrofisico : “ La scoperta della gravità repulsiva è una delle più grandi in assoluto in campo scientifico. Se Einstein oggi fosse ancora dalle nostre parti, certamente riceverebbe un altro Nobel per aver predetto questa forza. “

2) Peter Nugent del Lawrence Berkeley National Lab : “ Per far tornare i conti qualcuno ha ipotizzato che l’universo sia pervaso da polvere cosmi-      ca che fa apparire più fioca la luce delle supernovae. Perchè allora quelle più lontane appaiono più brillanti del previsto ?

3) Margherita Hack : “ Il vuoto non sarebbe così inerte come forse si pensava. Conterrebbe un’energia capace di imprimere un’accelerazione alla fuga delle galassie, e così si spiegherebbe anche l’origine dello stesso universo . “

 4) Adam Riess dello Space Telescope Institute : “ Questa supernova (1997ff) ci mostra che l’universo si comporta come un guidatore di auto che rallenta quando si avvicina ad un  semaforo rosso  e poi dà gas quando la luce diventa verde . “

 

BUCHI NERI ARTIFICIALI

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Orione – Marzo 2001 pag.68)

  

Settanta fisici riuniti nella Royal Institution di Londra, studiando i campi gravitazionali di buchi neri in miniatura creati in laboratorio, contano di riuscire a colmare la distanza esistente tra la meccanica quantistica e la teoria della relatività. Studiando I mini buchi neri ottenuti in laboratorio, i fisici sono convinti di poter ottenere nuove e più approfondite informazioni sia sulla fisica dei buchi neri, sia sulla struttura dell’universo.

L’idea è venuta al fisico Ulf Leonhardt dell’Università Britannica di St. Andrews. Lo scienziato ritiene di poter ottenere un buco nero artificiale utilizzando sia le onde sonore che quelle luminose. Nel primo caso ciò è possibile rallentando una luce laser in un vapore di atomi freddi. V’è chi ha paragonato questa metodologia ad un gioco di specchi, nel quale la luce viene assorbita completamente.

L’altro metodo è basato sull’utilizzazione delle onde sonore e potrebbe essere ancora più semplice ed efficace, dato che queste ultime potrebbero essere intrappolate completamente. La possibilità di poter creare in laboratorio buchi neri in miniatura, potrebbe spalancare nuove grandi potenzialità alla ricerca astrofisica, fornendo ad esempio I primi dati in grado di poter mettere in relazione la struttura a larga scala del cosmo con il mondo subatomico.

 

L’ETA’ MINIMA DELL’UNIVERSO

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Orione – Marzo 2001 pag.68)

  

L’universo ha almeno 12,5 miliardi di anni. Il calcolo è stato effettuato tramite un cosmocronometro particolare. La scoperta si deve agli astronomi diretti da Roger Cayrel dell’osservatorio di Parigi-Meudon, in collaborazione con altri gruppi europei ed americani. A rendere possibile ciò è stato il potente spettrografo UVES (Ultraviolet Visual Echelle Spectrograph), in collegamento con il VLT (Very Large Telelescope) dell’ESO in Cile.

Gli scienziati hanno utilizzato la tecnica della cosmocronometria radioattiva, sono andato cioè a cercare nella stella più antica della nostra galassia, la CS31082-001, tracce di elementi radioattivi con tempi di emivita e di decadimento assai lunghi, quali l’uranio 238 ed il torio 232, i quali rispettivamente posseggono una vita media di 14 e 4,5 miliardi di anni.

Il risultato di tale ricerca è stato la scoperta di uranio 238 nello spettro di questa antichissima stella. In tal modo gli astronomi sono risaliti all’epoca della formazione delle stelle e quindi all’età dell’universo. Per lungo tempo s’è ritenuto che l’universo avesse almeno 15 miliardi di anni, ma nel 1987, un articolo ucito sulla rivista “Nature”, affermava, sempre in base agli elementi radioattivi che l’universo non aveva più di 11 miliardi di anni.

Finalmente nel 1996, nel congresso internazionale di Baltimora, si è cercato un accordo tra le varie stime, concludendo che l’età dell’universo dovrebbe essere compresa tra I 12 ed I 14 miliardi di anni.

 

LO SCONTRO TRA ANDROMEDA E LA VIA LATTEA

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Newton – Aprile 2001 pag.158)

  

Ancora solo 3 miliardi di anni e la collisione sarà inevitabile, dichiara John Dubinski, astronomo di Toronto, infatti la Via Lattea e la galassia di Andromeda, stanno viaggiando l’una verso l’altra, alla velocità di circa 140 km/sec. Dubinski ha realizzato una simulazione al computer per vedere cosa accadrà, secondo la quale il risultato sarà uno scontro senza reali collisioni trale stelle, che sono separate da enormi spazi vuoti.

Le due galassie finiranno per compenetrarsi a vicenda, deformandosi e poi fondendosi in una nuova galassia non più a spirale ma ellittica. Nessun pericolo per la vita sulla terra, sempre che tra 3 miliardi di anni esista ancora. Se I nostri lontani discendenti potranno godersi lo spettacolo, è il caso di dire che ne vedranno delle belle.

 La galassia di Andromeda apparirà sempre più grande e luminosa nel cielo, poi comincerà a strappare enormi fiumi di materia alla nostra galassia. I buchi neri contenuti nei nuclei delle 2 galassie si fonderanno, generandone uno ancora più massiccio. Le onde d’urto faranno collassare le nubi interstellari, scatenando la formazione di moltissime nuove stelle.  Nel cielo brillerà una miriade di stelle azzurre giovanissime e luminosissime. Molte di esse vivranno solo pochi milioni di anni, poi esploderanno come supernovae ed innescheranno a loro volta la nascita di nuove generazioni di stelle.

Ed il Sole? Il suo destino è incerto : potrebbe restare nella nuova galassia che nascerà oppure essere espulso nello spazio intergalattico. Lo spettacolo pirotecnico è sicuramente garantito.  Peccato però che, per goderlo tutto, I nostri pronipoti dovranno aver raggiunto l’immortalità, perchè durerà almeno 2 miliardi di anni.

 

LA SPEEDY GONZALES DELLE STELLE

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Orione – Luglio 2001 pag.67)

 

La scoperta, avvenuta 2 anni fa, della più veloce stella della galassia, è sta completata recentemente con l’individuazione della sua origine. HIP60350, questo il nome della stella che viaggia a circa 420 km/sec, era stata scoperta da astronomi austriaci ed americani. Ora Michael Maitzen dell’università di Vienna, ha individuato il luogo d’origine di questa stella : una nebulosa nella costellazione della Carena.

HIP60350 è grande circa 5 volte il nostro Sole ed ha un’età di circa 20 milioni di anni, ma ora si trova molto lontana dal suo luogo d’origine. E’ stata praticamente catapultata fuori dalla nebulosa d’origine, grazie all’accelerazione impressa da altre stelle appena formatesi, una specie di effetto fionda gravitazionale. Essa sta viaggiando su una traiettoria velocissima, con una velocità superiore alla velocità di fuga dalla galassia. E’ già uscita uscita dal disco galattico e sta viaggiando in direzione di M31, la galassia di Andromeda, che incontrerà tra circa un miliardo di anni.

 

 SISTEMA PLANETARIO CON ORBITE CIRCOLARI

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Orione – Ottobre 2001 pag.58)

 

Debra Fischer dell’università di Berkeley ( California ) ha annunciato la scoperta di un sistema planetario con orbite circolari, come quelle del nostro sistema solare. I ricercatori hanno trovato un pianeta grande quasi quanto Giove, intorno alla stella 47 Uma, un astro giallo quasi identico al Sole, visibile ad occhio nudo (magnitudine 5.0) nella costellazione dell’Orsa Maggiore, a circa 51 anni luce dalla Terra.

Il sistema contiene anche un altro pianeta con massa 2,5 quella di Giove. Entrambi hanno un’orbita quasi circolare. Il più grande dei due è quello più vicino all’astro, da cui dista poco più che Marte dal Sole. Il secondo dista circa il doppio, proprio come avviene nel nostro sistema solare per Giove e Saturno. Di tutti I sistemi planetari scoperti è quello più simile al nostro.

Data questa notevole somiglianza, si può ipotizzare che nella regione di spazio più vicina alla stella, ruotino pianeti rocciosi più piccoli simili alla Terra. La presenza di pianeti di tipo gioviano, secondo gli scienziati, crea condizioni più adatte alla vita sui pianeti più piccoli ed interni. Infatti, dato l’elevato campo gravitazionale, I pianeti giganti obbligano i pianeti interni a tenersi sullo stesso piano e su orbite circolare, evitando grosse variazioni di temperatura. Inoltre i pianeti giganti catturano le comete e gli asteroidi vaganti, impedendo i loro  impatti catastrofici sui pianeti minori.

 

PANSPERMIA

di M. Maestripieri e M. Margiocco

(tratto da Orione – Ottobre 2001 pag.60)

 

Durante il 46th Annual SPIE Meeting di San Diego, un gruppo di scienziati indiani ed inglesi ha presentato le prime prove dell’arrivo di esseri organici extraterrestri, niente  “ dischi volanti “, ma semplici cellule. Sono stati utizzati palloni aereostatici muniti di una trappola criogenica, nelle più rigorose condizioni asettiche, per catturare campioni dall’aria stratosferica.

Secondo il noto astrofisico Chandra Wickramasinghe “ i risultati danno una prova sicura della presenza di aggregati di cellule viventi, in campioni raccolti a 41 km. di quota, molto al di sopra della tropopausa ( 16 km ), ove cessa il trasporto convettivo-verticale di aria “. La distribuzione verticale delle cellule, indica che esse stanno realmente cadendo dallo spazio. Secondo le prime stime potrebbero cadere 300 kg. di batteri extraterrestri al giorno sulla Terra.

Il suddetto scienziato insieme allo scomparso Fred Hoyle, è l’autore della teoria della panspermia, secondo la quale la vita viaggerebbe nel cosmo trasportata dalle comete. “ Le prove di sopravvivenza di batteri in condizioni estreme mostrano chiaramente la flessibilità nel trasferimento di microbi in distanze gallattiche. La vita è partita su scala cosmologica nell’intero universo, combinando le risorse delle comete intorno alle stelle “. Le comete con materia vivente sono giunte sulla Terra, ove avrebbero innescato l’evoluzione della vita che noi conosciamo.

 

NUOVI OGGETTI AI CONFINI DELL’UNIVERSO

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Settembre 2001 pag.60)

 

Si spostano e si dilatano ancora una volta i confini dell’Universo visibile; gli scienziati della “ Sloan Digital Sky Survey “, hanno scoperto due quasar che risultano essere i più distanti fino ad ora conosciuti. Essi hanno un “redshift “, ovvero uno spostamento delle righe spettrali causato dal loro allontanamento, di 6 e 6,2. La  “ Sloan Digital Sky Survey “ indaga e studia 100.000 di tali oggetti, I quali celano i segreti della formazione delle galassie  primordiali emerse dopo il Big Bang.

Finora la ricerca ha condotto a scoprire 13.000 nuovi quasar, tra cui i 4 più distanti da noi e 26 dei 30 più lontani. Questi oggetti cosmici vengono scoperti in gran numero per mezzo di riprese spettroscopiche a grande campo, realizzate con un telescopio relativamente piccolo. Successivamente i candidati quasar vengono osservati con strumenti più grandi, al fine di confermare l’identificazione. In particolare lo spettro dei due nuovi quasar è stato studiato utilizzando il telescopio da 3,5 mt di diametro dell’ “ Apache Point Observatory “ nel Nuovo Messico.

 

ALONE “ X “ INTORNO ALLE GALASSIE

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Settembre 2001 pag.63)

 

Il satellite Chandra adibito all’osservazione ai raggi x del cosmo, di proprietà della NASA, unitamente al telescopio spaziale Hubble, ha consentito di portare alla luce un enorme alone di gas attorno ad una galassia a spirale assai simile alla nostra Via Lattea. La galassia in questione, di tipo “ Sc “, è denominata NGC4631 ( Herring-Whale Galaxy ), è una galassia a spirale, scoperta da W. Herschel nel 1787, con 9,8 di magnitudine e che dista dalla Terra circa 25 milioni di A.L, nella costellazione dei Cani da Caccia. Il potere risolutivo di Chandra ha consentito di distinguere le sorgenti puntiformi dall’alone diffuso.

Tale alone possiede una temperatura di 3 milioni di gradi e si estende fino a 25.000 A.L. dal piano della galassia. Essendo impossibile fotografare la Via Lattea, studiando NGC4631 e simili, gli astrofisici ritengono che questo caratteristico alone sia presente anche intorno alla nostra galassia. Un’importante specificità dell’emissione X  di questa struttura cosmica, è che essa assomiglia in forma e dimensioni a quella Radio, ciò indica che vi potrebbe essere uno stretto legame tra il flusso di gas caldi, visto nella radiazione X, ed il campo magnetico evidenziato dall’emissione Radio.

Il telescopio spaziale Hubble ha ripreso invece delle formazioni filamentose ad anello che racchiudono il gas che emette i raggi X e si diffondono da zone di recente formazione stellare nel disco. Gli scienziati ritengono che tali dati indichino che il gas subisce un riscaldamento da parte di ammassi di stelle massicce e si  espande nell’alone.

 

L’OMBRA DELLA NASCITA DEL TUTTO

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Ottobre 2001 pag.59)

 

L’annuncio della rilevazione da parte di telescopi terrestri del fioco bagliore degli “anni bui “ dell’Universo, periodo nel quale nessuna galassia aveva ancora iniziato a brillare, è stato dato dal New York Times e concerne una scoperta realizzata da un’ equipe di scienziati della Sloan Digital Sky Survey. L’importante scoperta, che deve essere ancora presentata all’attenzione dell’astrofisica mondiale, è stata interpretata come l’avvistamento dell’alba del nostro cosmo.

“ Segna il momento della nascita delle stelle “, ha affermato al giornale statunitense Richard Ellis, astrofisico del California Institute of Technology (CalTech), che non ha fatto parte del gruppo di scienziati, ma ne ha sposato I risultati, definendoli “ molto interessanti “. Un altro scienziato, Robert Becker, dell’Università di California, ha aggiunto che “ fino a questo punto non c’erano stelle nè galassie “ Secondo la teoria del Big Bang, dopo l’immane esplosione iniziale, avvenuta circa 13 miliardi di anni fa, fece seguito un periodo oscuro, denominato il “Medio Evo“ dell’Universo, che anticipò la nascita di stelle e galassie.

In questa fase, enormi correnti di particelle cariche fluttuavano nello spazio, generando schermi che bloccavano la luce emessa dai primi oggetti cosmici in via di formazione. Sono occorsi centinaia di milioni di anni prima che questa gigantesca coltre di nebbia si trasformasse in un gas trasparente, grazie alla creazione degli atomi di idrogeno ed alla sua susseguente ionizzazione da parte della luce delle stelle primordiali.

“ Probabilmente tutto ciò si verificò quando l’Universo aveva 900 milioni di anni “, afferma Michael Strauss, astrofisico di Princeton e direttore del progetto Sloan, che oltre a questa scoperta ha come scopo di investigare e mappare estese porzioni di cosmo e catalogare oltre 200 milioni di strutture ed oggetti celesti.

 

 ALTAIR

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Ottobre 2001 pag.60)

 

Utilizzando un sistema interferometrico messo a punto dalla NASA, si è stati in grado di osservare per la prima volta il moto di rotazione di una stella, che è talmente veloce da aver creato, per fenomeni di forza centrifuga, un rigonfiamento equatoriale talmente pronunciato che è osservabile dalla Terra.

L’astro in questione è Altair, la ben nota “ alfa “ della costellazione dell’Aquila, facente a sua volta parte del “ Triangolo estivo “ ed è la dodicesima stella più brillante del cosmo. La stella suddetta possiede un forte schiacciamento polare ed un accentuato rigonfiamento equatoriale. Il diametro all’equatore è il 14% superiore del diametro polare, al contrario la nostra stella, il Sole presenta tra I due assi differenze minime, dell’ordine dello 0,001%.

Per effettuare le osservazioni ci si è serviti della combinazione di immagini di 3 telescopi da 50 cm. di diametro, usandone contemporaneamente 2 alla volta, presso l’osservatorio astronomico di Monte Palomar. Gli strumenti hanno consentito agli astrofisici di misurare il diametro di Altair secondo differenti orientamenti, e ciò ha condotto a misure differenti, segno questo che sta ad indicare la forma non perfettamente circolare dell’astro.

Durante le indagini le stesse misurazioni sono state fatte per Vega, stella “ alfa “ della Lira, che ha altresì evidenziato una forma perfettamente circolare, dimostrando che la non sfericità di Altair non era dovuta ad un difetto strumentale. Altair s’è rilevato che compie una rotazione ogni 10,4 giorni, contro i 27 del nostro Sole, tanto che il suo equatore si muove alla notevole velocità di 210 km/sec !

 

LE COMETE DI  “ BETA PICTORIS “

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Ottobre 2001 pag.57)

  

Attorno alla stella  “ Beta Pictoris “, vi è un disco di accrescimento formato da polveri, che indica la possibile formazione di pianeti. In quest ultimi tempi, il satellite della NASA “ FUSE “, Far Ultraviolet Spectroscopic Explorer “, ha scoperto che attorno all’astro vi sono anche milioni di comete. La giovane stella è posizionata a circa 60 A.L. dal Sole e pare non abbia più di 20 milioni di anni.

V’è da considerare inoltre che secondo molti scienziati si ritiene che le comete stesse siano laboratori e portatori di composti chimici organici e che siano state esse a dare un impulso alla comparsa della vita sulla Terra. Il primo indizio della possibile esistenza di un sistema di pianeta intorno a Beta Pictoris, fu l’osservazione da parte del telescopio spaziale Hubble, del gigantesco  disco di polveri che appare distorto e solcato da lacune che fanno presupporre la presenza di un corpo che ne disturba e distorce la simmetria, quasi certamente un pianeta.

La presenza nel disco di accrescimento delle comete è stata evidenziata da osservazioni chimiche. Gli scienziati della “ Johns Hopkins University “ di Baltimora, nel Maryland, non hanno rilevato nel disco suddetto alcuna presenza di idrogeno molecolare. Questo è alquanto stupefacente, in quanto Hubble in osservazioni passate, aveva osservato del monossido di carbonio (CO), sempre associato all’idrogeno molecolare. Questo fatto fa presupporre che sia proprio la presenza delle comete a generare questo stato di cose, esse infatti avrebbero una temperatura tale da rilasciare il CO, ma troppo fredde per emettere l’idrogeno, probabilmente unito sotto forma di molecole d’acqua.

 

 ONDE SONORE DAL “ BIG BANG “

di M. Margiocco e M. Maestripieri

(tratto da Orione – Giugno 2001 pag.58)

 

Un team di astrofisici mondiali ha dimostrato la presenza di onde sonore nell’Universo primordiale. Queste onde erano generate da compressioni e rarefazioni successive del gas incandescente, presente nel cosmo circa 15 miliardi di anni fa. Questa importante scoperta supporta la teoria dell’inflazione, secondo la quale l’universo attuale deriva da una piccolissima regione subatomica, espansa enormemente all’atto del Big Bang.

Gli scienziati sono riusciti a raccogliere l’emissione luminosa che proveniva dall’universo primordiale, modificata dall’espansione cosmica in un fioco fondo di microonde. L’ esperimento, denominato BOOMERANG, è stato in grado di ottenere foto delle prime deboli strutture formatesi circa 15 miliardi di anni fa, momento in cui il cosmo era 50.000 volte più giovane ed era costituito da un tipo di gas ad una temperatura 100 volte superiore ed un miliardo di volte più denso di oggi.

Un anno fa erano stati analizzati e pubblicati i primi dati pervenuti ed essi avevano evidenziato la sola presenza di strutture più grandi, le cui dimensioni avevano consentito di determinare la geometria “ piatta “ dell’Universo. La maggioranza di queste strutture possiede dimensioni di circa 1 grado, cioè il doppio di quella della del nostro satellite al plenilunio, mentre la teoria degli astrofisici Y. Zel’dovich e J. Peebles prevedeva la presenza di strutture più piccole, pari alla metà ed un terzo di quelle rilevate.

Secondo questa teoria hanno risuonato nell’enorme massa del gas incandescente primordiale, soltanto le onde con una lunghezza d’onda di 300.000 A.L., quelle con la metà e quelle con un terzo ed I successivi sottomultipli. In questo stato del cosmo ancestrale le onde più grandi sono quelle generate dalle strutture più grandi, mentre le armoniche dovrebbero aver prodotto strutture più piccole.

Attualmente, essendo le analisi proseguite, è stata presentata un’immmagine ancora più accurata e nitida dell’emissione della nostra galassia. In questa nuova istantanea è possibile riscontrare tutti I dettagli delle strutture più piccole dell’Universo primordiale e grazie ad essa si è stati in grado di scoprire che, oltre alle strutture di dimensioni di 1 grado, sono abbondanti le altre pari a circa metà ed un terzo di grado.

Tramite queste armoniche si può distinguere e comprendere il processo fisico che è avvenuto all’inizio del cosmo. “ La nuova immagine fornisce quindi una conferma precisa della presenza delle onde acustiche e le trova in accordo con le previsioni del modello dell’inflazione “, afferma il prof. P. de Bernardis dell’Università “ La Sapienza “ di Roma e capo, con il prof. A. Lange del Caltech, dell’esperimento “ BOOMERANG “.

“ Vi sono più modi di produrre le strutture grandi 1 grado, ma solo una ben precisa teoria di formazione delle strutture, quella dell’inflazione, prevede l’esistenza di strutture più piccole e con dimensioni pari esattamente a quelle che abbiamo misurato “, dice la prof.ssa Silvia Masi della “ Sapienza “, uno dei fondatori più attivi del progetto.

“ I barioni, ovvero la materia ordinaria con cui interagiamo tutti I giorni, sono una componente minore dell’Universo. La loro presenza però modifica le onde sonore dell’Universo primordiale, innalzando le armoniche dispari rispetto a quelle pari: è un po’ come sentire suonare la stessa nota da un clarino invece che da un flauto, dice F. Piacentini, altro membro del progetto.”

“ Per mezzo di questi ulteriori approfondimenti l’esperimento BOOMERANG ha consentito di valutare con maggior precisione la quantità di materia barionica presente nell’Universo, che è pari al 4% della totalità della massa ed energia; ciò si accorda perfettamente con le misurazioni di abbondanza primordiale degli elementi “, afferma A. Melchiorri, membro teorico dell’esperimento, attualmente all’Università di Oxford.

“ Questa misura dimostra che il modello dell’inflazione è probabilmente quello corretto, ma allo stesso tempo genera una domanda ancora più profonda: come e perché venne prodotta l’inflazione ? I fisici teorici e delle particelle che da anni lavorano su questi interrogativi hanno ora una motivazione molto più concreta “, dice P. Mauskopf dell’Università di Cardiff, altro fondatore del progetto.

Gli importanti risultati ottenuti  dall’esperimento BOOMERANG consentono l’apertura di misurazioni  di “ cosmologia di precisione “ che saranno eseguite con I satelliti MAP della NASA e PLANCK dell’ESA. Inoltre sono stati presentati Ie conclusioni dell’esperimento DASI, che ha utilizzato un interferometro basato anch’esso al polo sud e che ha fornito risultati cosmologici perfettamente coincidenti.

Lo stesso gruppo internazionale di scienziati  di BOOMERANG sta ora approntando un nuovo esperimento con l’obiettivo, per mezzo di una sonda posizionata sull’area antartica, di misurare la polarizzazione del fondo cosmico a microonde e l’esistenza di eventuali direzioni preferenziali nelle oscillazioni di tali microonde. In sostanza si cercheranno ulteriori conferme alla teoria inflazionistica, studiando gli istanti immediatamente successivi al Big Bang.

 

 LA FASCIA DI GOULD

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Novembre 2001 pag.58)

 

Lo strumento EGRET, tra il 1991 ed il 1995, ha raccolto i dati  di ben 170 sorgenti sconosciute che emettono fasci di raggi gamma ad energia superiore ai 100MeV. La loro natura è ancor oggi dibattuta, ma l’astrofisico N.Gehrels e la sua equipe hanno fatto un’interessante scoperta ( vedi  “ Nature “ del 23/05/200).  Essi infatti, studiando le 170 sorgenti, ne hanno estrapolato 120 stabili, che hanno cioè un’emissione di raggi gamma che non presenta variazioni notevoli nell’arco di un anno

Questa cernita preliminare ha permesso di eliminare alcuni tipi di nuclei galattici attivi, i quali per brevi periodi presentano delle eruzioni caratterizzate da un aumento eccezionale di emissione di raggi gamma; escludendo tali sorgenti v’è un’elevata probabilità che le restanti 120 siano ubicate nella nostra galassia. Il gruppo di scienziati ha poi scoperto che le suddette sorgenti possono essere raggruppate in due differenti classi  : la prima è costituita da sorgenti molto brillanti e giace sul piano galattico, la seconda composta da circa 70 sorgenti più deboli è situata a medie latitudini, fino a 30°. 

La prima è costituita quasi certamente da pulsar, come indica chiaramente lo spettro registrato, la seconda ha la caratteristica, pur trattandosi ancora di pulsar, di avere uno spettro che presenta una repentina frattura alle alte energie e come specificità di appartenere ad una zona di intensa formazione stellare, detta “ fascia di Gould “. Questa è una regione della nostra Via Lattea molto attiva, distante dal nostro sistema solare dai 100 ai 400 parsec, pari a 330 – 1300 anni luce, con un angolo di circa 20° nei confronti del piano della galassia ed è composta da stelle massive giovani e vecchie, da gas interstellare in espansione e da nubi molecolari enormi. 

Un altro notevole contributo allo studio di questa fascia è stato fornito dalla ricercatrice del CEA francese Isabelle Grenier, essa ha infatti pubblicato nel 2000 sulla rivista scientifica “Astronomy and Astrophysics “, un’approfondita analisi statistica nella quale vengono associate alla fascia di Gould 40 delle 70 sorgenti situate alle medie latitudini. La scienziata ha in seguito riscontrato che questa regione di spazio presenta un’intensa attività di supernovae, pari al doppio nei confronti delle altre zone della nostra galassia. Proprio a causa di questa notevole attività il mezzo interstellare è riscaldato ed arricchito di elementi pesanti e modificato continuamente, rimodellandolo, dalle immani esplosioni delle supernovae.

 

UN BUCO NERO “ SPLENDENTE “

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Dicembre 2001 pag.55)

  

Il buco nero appartenente alla galassia MCG-6-30-15 è il primo che mentre ruota su se stesso emette energia. Questa importante scoperta è stata fatta dal satellite europeo XMM-Newton, il quale ha inviato fotografie ad altissima definizione della radiazione emessa. Attorno a questi oggetti cosmici, caratterizzati da un campo gravitazionale intensissimo e tale da attrarre al loro interno sia materia che luce, si viene a creare una nube molto densa di particelle e gas, con un’energia talmente elevata da emettere raggi X.

Per merito del satellite europeo, si è riusciti quindi a studiare approfonditamente lo spettro di questo buco nero che dista da noi 100 milioni di A.L. Queste peculiarità sono state dedotte, studiando in particolare la riga di emissione del ferro e ciò si spiega e si giustifica solamente ammettendo che il suddetto buco nero ruoti velocemente su se stesso ed emetta luce. 

“ Abbiamo scoperto qualcosa mai osservata prima “, afferma Jorn Wilms, membro dell’Istituto Universitario tedesco di Astronomia ed Astrofisica di Eberhard-Karls a Tubinga e coordinatore del progetto internazionale di ricerca. Alcuni dubbi però rimangono e più prudentemente conclude il prof.S.Molendi dell’Istituto G. Occhialini di Milano, membro del progetto : “ nonostante il risultato delle ricerche sia interessante è necessario fare ulteriori verifiche prima di scartare ogni altra ipotesi per spiegare il fenomeno in atto “.

 

PULSAR E PULSAR

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Dicembre 2001 pag.55-56)

 

I ricercatori F.Ferraro e N.D’Amico dell’Osservatorio Astronomico di Bologna insieme alla loro equipe, utilizzando immagini combinate del telescopio Hubble e del radiotelescopio australiano Parkes, hanno scoperto nel cuore dell’ammasso globulare NGC6397, il più vicino al nostro pianeta, una particolare pulsar, la PSR JI740-5340.

Questo astro è  in coppia con una stella-compagna che va via via consumandosi a causa dell’enorme campo gravitazionale generato dalla pulsar medesima. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica “ Astrophysical Journal Letters “. La suddetta pulsar è del tipo “ millisecond “, con un periodo di emissione di impulsi radio dell’ordine del millisecondo, queste tipi di astri sono normalmente stelle a neutroni che accrescono e si rigenerano prendendo materia da una stella compagna.

Sino a questa recente indagine si riteneva che la stella-compagna fosse una nana bianca nella fase terminale della sua vita, ora s’è scoperto che la compagna della PSR JI740-5340 è altresì un astro in evoluzione del tipo del nostro Sole, pur caratterizzato da una massa minore. L’enorme attrazione gravitazionale di questa pulsar deforma la stella-compagna, strappandole gli strati più esterni di gas, che non ricade però sulla pulsar medesima ma viene eiettato nello spazio esterno circostante, proprio a causa della notevole radiazione generata dalla stella a neutroni stessa.

 

UN BUCO NERO TRANQUILLO

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Gennaio 2002 pag.59-60)

 

E’ stata recentemente presentata da un team di astrofisici italiani una nuova conferma, pur se indiretta, della presenza di un gigantesco buco nero al centro della nostra galassia. Prove che consentivano di affermare l’esistenza di questo oggetto che divora la materia circostante, erano già numerose ed anzi consentivano di stabilire che esso possiede una massa pari a 3.000.000 di volte quella del nostro Sole ed è il più grande dei 13 fino ad ora scoperti nella nostra Via Lattea.

La scoperta e l’individuazione di questo mostro galattico viene effettuata, studiando la materia di una stella vicina che cade in esso, emettendo raggi X e gamma. Il prof. P.Ubertini, dell’Istituto di Astrofisica del CNR afferma : “ si riteneva che quanto più grande fosse il buco nero, tanto maggiori e più intensi fossero i segnali emessi nel compiere le sue azioni distruttive.

Ci siamo invece resi conto che succede esattamente il contrario , perché quanto più il gorgo è grande, tanto più ordinato è il suo banchetto “. Questa importante scoperta è stata fatta per mezzo del telescopio della NASA, “ Chandra “ che opera nella banda dei raggi X ; esso osservando verso la costellazione del Sagittario, è stato in grado di osservare la nube di gas al cui centro vengono emessi i raggi X  prodotti dalla materia fagocitata dal buco nero, che pare avere un diametro di 150 milioni di chilometri, ma dotato di una peculiarità mai osservata.

“ L’emissione dei raggi X non era per niente eccezionale come ci saremmo aspettati, date le dimensioni, dimostrando la validità dell’ipotesi, chiamata modello di avvezione, secondo la quale, quando il buco nero è gigantesco, tutto scivola nel suo centro gravitazionale più tranquillamente. Fra un anno, i limiti attuali dell’ osservazione dei raggi X saranno superati con l’arrivo nello spazio del telescopio Ibis , che verrà installato sul satellite “Integral “dell’ESA. Integral, continua Ubertini, avrà modo di raccogliere la radiazione gamma, che non essendo filtrata da polveri o gas, sarà in grado di rilevare in dettaglio ciò che succede quando la materia che la emette viene inghiottita dal buco nero ”.

 

LA PRIMA ATMOSFERA EXTRASOLARE

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Gennaio 2002 pag.59)

 

Due astrofisici americani D.Charbonneay e T.Brown, che lavorano presso  il   “ National  Center for Atmospheric Research  “ sono riusciti ad ottenere una prima conferma dell’esistenza di un’atmosfera intorno ad un pianeta extrasolare e ne hanno studiato e rilevato un elemento della sua composizione chimica. L’indagine è stata effettuata utilizzando l’Hubble Space Telescope ed essi hanno dapprima elaborato un modello al computer che avrebbe previsto quale tipologia di sostanze chimiche ed in quale quantità si sarebbero potute osservare tramite Hubble.

Al fine di massimizzare l’uso dello spettroscopio del telescopio suddetto,  i due scienziati hanno ristretto la loro indagine solamente al Sodio ( Na ). Dopo due anni di lavoro intenso, negli ultimi tempi si sono avuti i risultati  ed i due astrofisica hanno avuto la grande soddisfazione e conferma di osservare una spessa riga scura nello spettro del visibile di una stella con attorno un pianeta. Tale riga viene generata dall’assorbimento della luce stellare da parte dell’elemento Sodio che dovrebbe essere presente nell’atmosfera del pianeta in questione.

Esso ruota intorno alla stella HD209458, astro assai simile al nostro Sole ed il sistema planetario è situato  a 150 anni luce da noi nella costellazione di Pegaso. Il sistema era stato scoperto nel 1999, per mezzo delle perturbazioni gravitazionali che il pianeta esercita sul movimento del suo astro. Il pianeta orbita con un raggio di 6,4 milioni di chilometri, 9 volte minore di quello di Mercurio e possiede una massa pari al 70% di quella di Giove.

Le attuali osservazioni sono state fatte mentre il pianeta si trovava di fronte alla sua stella, quando la sua atmosfera filtrava la sua luce. Questa indagine ci fornisce quindi la prima importante dimostrazione diretta della presenza di un’atmosfera intorno ad un pianeta fuori dal nostro sistema solare.

 

STELLE DI QUARK

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Giugno 2002 pag.60)

 

V’è l’ipotesi assai realistica, dell’esistenza di stelle la cui composizione non era mai stata neppure ipotizzata; si tratterebbe di oggetti costituiti unicamente da “ quark “.I quark sono ritenute le particelle fondamentali costituenti la materia. Esse si combinano per formare le particelle subatomiche di base, i protoni ed i neutroni,ma fino ad ora era quasi impossibile osservarle.

La loro presenza, infatti, la si percepisce soltanto per frazioni infinitesime, quando si verificano in laboratorio determinate condizioni, quando cioè i nuclei degli atomi, si scontrano gli uni con gli altri ad elevatissima velocità. Per tale motivo nessuno aveva mai supposto l’esistenza di astri unicamente formati da queste particelle subnucleari. Alla conclusione della loro possibile esistenza sono giunti alcuni ricercatori dell’Università di Harvard, dopo aver analizzato le emissioni di due stelle, tramite il telescopio spaziale a raggi X Chandra.

“ Le due stelle hanno come sigle : RXJ1856 e 3C58 e posseggono caratteristiche differenti rispetto alle stelle di neutroni, alla cui categoria parevano appartenere “, ha spiegato J. Drake, astrofisico del Centro Smithsonian dell’Università di Harvard. Le stelle di neutroni sono i resti di esplosioni di supernovae, astri che terminano la loro vita in modo violento e che mantengono in seguito un nucleo compatto, con una densità assai maggiore di qualsiasi altro oggetto cosmico, fatta eccezione per i buchi neri.

Questi due corpi celesti, sfuggono a qualunque classificazione nota, RXJ1856 è più piccolo di una stella di neutroni, mentre 3C58 è molto più freddo di quello che dovrebbe essere, se le leggi delle stelle di neutroni sono valide. Con i dati acquisiti, gli scienziati hanno ipotizzato una possibile composizione a particelle di quark. Se le controanalisi forniranno la conferma di quanto ipotizzato, l’astrofisica si troverà dinnanzi ad una scoperta molto importante.

 

RAGGI COSMICI E QUASAR

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Giugno 2002 pag.63)

  

All’interno dei  quasar potrebbe trovarsi, almeno in parte, la risposta all’origine dei raggi cosmici più energetici che è attualmente in cerca di una soluzione. Assai di rado, ma con una certa regolarità una particella subatomica colpisce l’atmosfera terrestre con una notevole energia, l’impatto produce un’enorme cascata di particelle osservabili. A questo punto gli astrofisici si sono domandati quali processi fossero in grado di fornire tanta energia alle particelle in arrivo.

Durante il congresso dell’ “ American Physical Society “, tenutosi ad Albuquerque, E.Boldt del “ Goddard Space Flight Center  “ della NASA e D.Torres della “ Princeton University “ hanno portato una spiegazione al fenomeno ed hanno scoperto che 4 galassie nella costellazione dell’Orsa Maggiore, paiono coincidere con la sorgente di alcuni raggi cosmici registrati dall’esperimento AGASA Cosmic Ray di Yamanashi in Giappone.

“ I raggi cosmici sono gli unici campioni di materia che provengono dalle zone esterne al sistema solare, che abbiamo a disposizione “, afferma M.Cherry, della  “ Louisiana State University “, e prosegue “ora per la prima volta è stata identificata una sorgente specifica “. Le quattro galassie in oggetto posseggono buchi neri estremamente massicci, dell’ordine di migliaia di volte più grandi di quello sito all’interno della nostra galassia, e si suppone che in un lontano passato siano state dei quasar.

Attualmente questi enormi buchi neri sono dormienti, purtuttavia essi potrebbero ancora ruotare con una velocità sufficiente da accelerare talvolta, una particella subatomica fino alle energie da noi osservate. Mediamente, si verifica un impatto di un raggio cosmico di alta energia, una volta ogni secolo, per una superficie di 1 Km quadrato e ciò ovviamente rende difficoltoso l’effettuazione di analisi statistiche accurate.

Dagli anni settanta, da quando cioè sono iniziate le osservazioni, sono stati contati 57 eventi, la maggior parte dei quali sono stati osservati da AGASA. L’allineamento e la distanza delle quattro galassie pare coincidere con le osservazioni. I raggi cosmici di tali energie non possono infatti viaggiare oltre una certa distanza, poiché sono facilmente assorbiti dai fotoni del fondo cosmico di microonde. Le quattro galassie sono situate ad una distanza di 100 milioni di anni luce da noi, una distanza relativamente modesta da cui possono pervenire fino a noi i raggi cosmici senza disperdersi nello spazio intermedio.

 

LAMPI GAMMA

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Giugno 2002 pag.45)

  

Il salto di qualità nelle osservazioni per valutare la potenza energetica dei lampi gamma, s’è avuto tra il 14 ed 15 dicembre 1997, per mezzo del satellite italiano BeppoSax.  Mentre percorreva l’orbita 8274, trasmise i dati su di un lampo gamma in seguito catalogato come GRB971214 ( Gamma Ray Burst ).  La fotocamera olandese a grande campo a bordo del satellite segnalò il fenomeno. Rapidamente il satellite venne puntato sul suddetto fenomeno, furono precisate e fissate le coordinate con un errore di 3’ d’arco, cioè 1/10 del diametro apparente della Luna.  

In seguito il telescopio da 10 metri di diametro, a specchi multipli Keck, sito alle isole Hawaii, identificò la parte ottica e ne ricavò lo spettro.  Il risultato fu stupefacente : il “ redshift “ aveva un valore di 3,42 e l’oggetto si trovava perciò ad una distanza di circa 10 miliardi di anni luce da noi. L’energia emessa era la più elevata mai osservata : 1047 joule, e tutto ciò risultava concentrato in una regione di spazio che si estende per poche migliaia di chilometri !  Nel tempo di pochi secondi in cui aveva brillato, l’energia emessa dal GRB971214 era un milione di miliardi di miliardi maggiore di quella a disposizione, se facessimo esplodere in un sol attimo l’intero arsenale nucleare terrestre e centinaia di volte quella emessa dal nostro Sole nel corso dei cinque miliardi di anni della sua vita.

Questa immensa energia era equivalente a quella irradiata in un secondo da un miliardo di galassie come la nostra Via Lattea.  Quindi, se vengono accettate le stime secondo cui nell’Universo vi sono circa 100 miliardi di galassie, quel lampo emesso per 2 secondi ha eguagliato l’energia emessa da 1/100 dell’intero Universo.  Viene stimato che il Big Bang abbia emesso un’energia pari a 1066 joule, perciò l’immane esplosione che ha dato origine a tutto l’Universo equivale a 10 miliardi di miliardi di lampi gamma.  Tuttavia, dopo il bagliore originario nessun fenomeno ha sviluppato tanta energia come i lampi gamma.

 

AI CONFINI DELL’UNIVERSO

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Aprile 2002 pag.59)

 

Esther Hu del “ National Institute of Standards and Technology “ assieme ad un gruppo di suoi collaboratori, hanno ottenuto immagini di una galassia talmente lontana che può probabilmente essere indicata come tra le prime ad essersi formata dopo il Big Bang. L’importante scoperta è stata pubblicata sulla rivista scientifica “ Astrophysical Journal Letters “ e come ha spiegato la Dr. Hu : “ la galassia sta dando vita a stelle in un periodo che, stando a quanto si ipotizza, è definito come l’epoca oscura dell’Universo, quella che pensavamo ci fosse prima che le galassie iniziassero a formarsi “.

Considerando valida la tesi più accreditata dagli astrofisici, secondo la quale l’Universo ebbe origine tra i 14 ed 16 miliardi di anni fa, nel periodo di 500 milioni di anni da tale evento, l’Universo subì un’espansione ed un raffreddamento, consentendo così la formazione dei primi atomi.  Questa lontanissima epoca si può “ osservare “ solo come radiazione cosmica di fondo nelle microonde.  Da 500 milioni di anni in poi, per un tempo di circa mezzo miliardo di anni, vi fu la cosiddetta  “ epoca oscura “, cioè quella nella quale i gas iniziarono la loro aggregazione, tale fase terminò nel momento in cui nuove galassie ionizzarono di nuovo i gas che le circondavano.

Fino a questo momento gli oggetti cosmici più antichi osservati di quel lontano periodo erano stati i quasar, oggetti lontanissimi ed assai luminosi, al fine di poter individuare quelle lontane galassie, mille volte più deboli dei quasar, gli scienziati hanno studiato una particolare riga spettrale, la Lyman alfa, che è notevolmente eccitata durante la fase di formazione di nuovi astri.  Utilizzando un filtro che permette il passaggio di questa sola lunghezza d’onda, le ancestrali galassie si rilevano discretamente brillanti.

Questa metodologia si è dimostrata estremamente efficiente, tanto che già in passato gli astrofisici avevano già osservato una galassia distante circa 15,3 miliardi di A.L. da noi, utilizzando una “ lente gravitazionale “, un oggetto cioè di grande massa posto fra la Terra e questi lontani oggetti cosmici.  Il Dr. Hu si è spinto oltre, riuscendo ad osservare una galassia distante 15,5 miliardi di A.L.

Questa nuova galassia possiede un redshift, cioè uno spostamento verso il rosso, di 6,56, per cui dai calcoli effettuati se ne ricava che essa si è formata quando l’età dell’Universo era di “ soli “ 780 milioni di anni circa. Questa importante scoperta  porta ad ipotizzare che l’epoca oscura avrebbe avuto un periodo non superiore agli 80 – 100 milioni di anni, cioè un tempo assai inferiore di quello sino ad oggi ritenuto.

 

MATERIA OSCURA  : 2 Scoperte

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Febbraio2002 pag.59)

  

Due nuove importanti scoperte avvalorano maggiormente l’esistenza dell’invisibile e misteriosa  “ Materia Oscura “. Per la prima volta, grazie al telescopio spaziale Hubble ed al telescopio europeo VLT, è stata possibile osservarla direttamente. Tale scoperta ci permette di confermare che un’enorme quantità di materia dell’Universo, presente nelle galassie, è formata da piccoli oggetti fino ad oggi mai osservati. L’essenza e la natura della Materia Oscura rappresenta una delle problematiche fondamentali ancora irrisolte dell’astrofisica.

Lo studio e l’osservazione delle galassie su grande scala consente di affermare che non più di un quarto della materia che costituisce il cosmo è fatta di sostanza barionica, cioè atomi e molecole, di questa inoltre non più del 25% emette radiazioni osservabili, come le stelle normali ed il gas caldo, mentre una stragrande porzione dell’Universo resta oscuro e sconosciuto. Le indagini si sono rivolte alla ricerca delle particelle subatomiche, come pure agli oggetti massicci come i Macho ( Massive compact objects ), che possono essere stelle morte, buchi neri o nane brune, cioè oggetti intermedi tra una stella ed un pianeta.

Già dal 1986, secondo la teoria della relatività di Einstein, si pensava che tali corpi, a causa della loro massa, avrebbero modificato la traiettoria della luce di un astro o di una galassia che fosse passata nelle loro vicinanze, creando delle “ minilenti gravitazionali “. Spiega  Kem Cook, astrofisico del “ Lawrence Livermore National Laboratory “ : “ dal 1991 teniamo sotto controllo 10 milioni di stelle della Grande Nube di Magellano ed in questi ultimi tempi la luce di una di queste è stata deviata da un oggetto sconosciuto della nostra Galassia.”

Verso di esso si sono puntati i telescopi e per la prima volta si è fotografato un Macho.  Trattasi di una stella debolissima con una massa corrispondente a circa il 7% del Sole, che si trova a 600 A.L. dalla Terra. “ La scoperta ”, continua Cook, “ ci dice che la nostra Galassia deve essere ricca di Macho e soprattutto che una parte della Materia Oscura non è poi così scura come si credeva.”

La seconda scoperta importante proviene da Robert Rood della “ University of Virginia “ che ha utilizzato il “ National Science Foundation Radio Telescope “. L’astronomo ha scoperto la quantità di massa che venne creata all’atto del Big Bang, partendo dalla formazione di He-3 ( isotopo dell’elio formato da un neutrone e 2 protoni ); la misura conferma pienamente che la massa creata non è sufficiente a spiegare la forza di gravità osservata oggi nell’Universo, cosa che conferma maggiormente l’ipotesi dell’esistenza della materia oscura subatomica.

 

Il SEGRETO DELLE VARIABILI MIRA

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Aprile2002 pag.61)

   

Come noto, fra 5 miliardi di anni circa la nostra stella si trasformerà in una gigantesco astro rossastro che si espanderà fino a 100 – 150 milioni di km. Nell’arco di un anno terrestre il suo splendore diminuirà notevolmente per poi, in una fase successiva, riprendere luminosità. Il Sole sarà allora divenuto una variabile Mira, una categoria di stelle che prendono il nome dalla gigante rossa Mira, scoperta nel 1596 da D. Fabricius, che è situata nella costellazione della Balena.

Dal tempo di questa scoperta gli astronomi avevano cercato di dare una spiegazione scientifica a tale variabilità di luce, infine i ricercatori dell’ “ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics “ di Cambridge nel Massachussets, sono pervenuti alla conclusione che tale variazione è legata alla formazione di composti chimici metallici, gli ossidi di titanio, presenti nell’atmosfera gassosa che circonda le stelle, i quali possono determinare un’azione di assorbimento della luce visibile.

Questi importanti risultati sono stati pubblicati sull’ “ Astrophysical Journal  “ dell’aprile 2002. Uno dei ricercatori dell’equipe, Joshua Goldston, ha spiegato che  : “ Queste stelle possono essere paragonate ad un cuore pulsante, che da piccolo diviene più grande e quindi espandendosi da più caldo si fa più freddo. La variazione termica si riflette in variazione di intensità di energia emessa, ,ma tali variazioni non sono sufficienti a spiegare l’importante calo di luminosità che è sempre associato alle stelle giganti .”

Esse infatti diminuiscono la loro luce di un fattore 50, è come se una lampadina da 150W si trasformasse in una da 3W. La creazione di ossidi di titanio aumenta l’opacità dell’astro, poiché assorbono la luce visibile proveniente dal loro interno. Per spiegare invece la fluttuazione periodica si ipotizza che sarebbe dovuta alla variazione termica della corona esterna della stella, che varia tra 2000 e 2800 ° kelvin e solo quando la temperatura raggiunge il valore minimo si formerebbero gli ossidi di titanio.

 

TANGO TRA BUCHI NERI E STELLE

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Aprile2002 pag.62)

 

Scienziati del M.I.T. ( Massachussets Institute of Technology ) e dell’università di Tel Aviv, hanno scoperto che una sorta di danza tra buchi neri e stelle avrebbe generato alcune esplosioni di lampi gamma.  In un articolo pubblicato sull’importante rivista Science, questi astrofisici affermano che si verificherebbe nel cosmo una danza tra un buco nero e la parte restante dell’astro, fagocitato dallo stesso buco, che ha assunto un aspetto toroidale.

In tale danza il buco nero e la ciambella girano sempre più velocemente finchè il primo attrae la stella così vicino da inghiottirla totalmente. Nel moto, la stella capta energia dal buco nero e la irradia in tutte le direzioni, lungo le linee di flusso del campo magnetico che avvolge i due astri. Le indagini ipotizzano che lungo gli assi di rotazione del black hole l’energia sia emessa tramite immani esplosioni di raggi gamma, mentre in tutte le altre direzioni sarebbero irradiate potentissime onde gravitazionali.  

Fino a questo momento, purtroppo, tali ricerche scientifiche debbono essere limitate ad ipotesi teoriche. Per questo motivo risulta di grande importanza l’entrata in funzione al più presto del LIGO ( Laser Interferometer Gravitational Wave Observatory ). Sono inoltre attualmente in fase di avanzata realizzazione tutta una gamma di strumenti  che si ritiene dovrebbero rilevare finalmente le onde gravitazionali presenti nel nostro Universo.

 

FONTANE GASSOSE DALLE SUPERNOVAE GALATTICHE

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Dicembre 2002 pag.56)

   

Ai confini della nostra Via Lattea, ove inizia lo spazio cosmico, sono state osservate immense nubi di idrogeno con un diametro di circa 100 A.L. Già antecedenti ricerche avevano rilevato la presenza di idrogeno che fluttuava al di sopra del piano della nostra galassia, ma non era ancora ben definita la sua distribuzione, a causa della scarsa risoluzione degli strumenti utilizzati. Adesso, grazie all’uso del grande radiotelescopio di “ Green Bank “ ( NRAO ), tali nubi sono state studiate ed osservate in maniera più accurata e provano che le fontane gassose generate dalle supernovae, spingono in modo continuo idrogeno a temperatura molto elevata all’esterno della nostra galassia.

Queste indagini ed osservazioni saranno pubblicate prossimamente sulla rivista scientifica “ Astrophysical Journal Letters “. “ Studiando l’alone di idrogeno che si estende ben al di fuori del disco della Via Lattea “, asserisce l’astrofisico del NRAO J. Lockman, “ possiamo imparare molte cose sui processi che stanno avvenendo all’interno della nostra Galassia ed oltre i suoi confini “.

La creazione dell’alone e le relative cause che gli consentono di non collassare per l’attrazione gravitazionale della Galassia, restano ancor oggi un mistero. Le analisi di Lockman hanno evidenziato che la struttura di questo gas è il risultato di un insieme di nubi e non una distribuzione continua. Questi ammassi di nubi sono situati a circa 15.000 A.L. dalla Terra, a 5.000 A.L. al di sopra del piano galattico, nella direzione del centro della nostra Galassia e possono contenere da 50 a 100 masse solari.

Un’altra caratteristica peculiare osservata, è che tali nubi sono dinamicamente accoppiate al disco della Via Lattea e lo seguono nella sua rotazione. Ciò implica che le nubi sono originate dalla nostra Galassia e non sono provenienti dall’esterno, circostanza questa compatibile con la tesi che ritiene che esse siano originate dall’esplosione di supernovae.

 

ENERGIA MISTERIOSA DA UN AMMASSO STELLARE

di M. Maestripieri

(tratto da Orione – Febbraio 2003 pag. 69)

  

Per mezzo del telescopio spaziale a raggi  X della NASA , chiamato “ Chandra “, un team di astrofisici ha scoperto una misteriosa nube di elettroni ad elevata energia, che è sito intorno ad un ammasso di stelle assai giovani. V’è la possibilità che le suddette particelle possano lasciare la loro impronta sui potenziali pianeti in formazione attorno a questi astri. L’ammasso stellare è denominato RCW 38, si trova a circa 6000 A.L. dalla nostra Terra e possiede un diametro di 5 A.L.

Nel suo interno vi si trovano migliaia di stelle che si sono formate da meno di 1 milione di anni, quindi giovanissime, e pare che tuttora se ne stiano formando di nuove. Tale “ nursery stellare “ può produrre grandi quantità di gas caldo, ma non la creazione di particelle a così alta energia, esse infatti si generano da esplosioni di stelle, ovvero negli elevati campi magnetici che si trovano intorno a stelle di neutroni o buchi neri, oggetti cosmici che non appartengono a RCW 38.

“ Non c’è nulla di convenzionale in RCW 38 “ asserisce S. Wolk del centro astrofisico dell’Harvard-Smithsonian di Cambridge ( Massachusetts ) e prosegue “ i dati indicano che gli elettroni ad elevata energia si stanno formando proprio in quel luogo dell’Universo, anche se non è chiaro come “.

Questi fasci di elettroni posseggono energie di trilioni di volt, producendo nel loro movimento nel campo magnetico stellare emissioni di raggi X. Una spiegazione è l’esplosione di supernovae all’interno dell’ammasso stellare medesimo e le onde d’urto o stelle di neutroni in velocissima rotazione sul loro asse, con l’aiuto del vento stellare, sarebbero in grado di produrre tale tipo di elettroni a così alta energia.

“ La presenza di tali elettroni ad elevatissima energia può mutare la chimica dei dischi protostellari, con ripercussioni che si possono sentire anche miliardi di anni dopo “, prosegue Wolk.  Nel nostro sistema solare, ad esempio, si riscontrano atomi radioattivi di breve durata, come l’Alluminio 26, che porterebbero a pensare a processi ad alta energia avvenuti durante la sua formazione, come se il suddetto sistema fosse rimasto immerso per un periodo in un mare di particelle energetiche.

 

LA MISURA DELL’UNIVERSO : LAMPI GAMMA

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Aprile 2003 pag. 22)

 

Nel 1929 E. Hubble pubblicò l’ormai famoso diagramma, utilizzando solo 26 galassie di cui si conoscevano la velocità di allontanamento e la distanza. Da quel tempo si sono compiuti molti sforzi per estenderlo ad un sempre maggior numero di galassie ed i più importanti risultati sono stati raggiunti nell’ultimo decennio grazie al telescopio spaziale intitolato a suo nome. Il metodo classico per calcolare la distanza di una galassia è quello di rapportare la luminosità apparente di una qualche sorgente di luce al suo interno, con la sua luminosità assoluta.

Le stelle Cefeidi, astri pulsanti il cui periodo è in correlazione con la loro luminosità assoluta, sono sinora gli indicatori più affidabili, purtroppo anche l’HST non è in grado di rilevarle oltre una certa distanza, seppur notevolissima. Occorre quindi per spingersi ancora più lontano utilizzare ulteriori indicatori  intrinsecamente più luminosi, come ad esempio le supernovae.

Negli ultimi anni gli astronomi hanno esteso il diagramma di Hubble sino a “ redshift “  ( spostamento verso il rosso quale rilevatore della velocità di allontanamento  di un astro ) prossimi a fattore 1, distanza talmente enorme alla quale pure le supernovae iniziano a diventare troppo deboli. Per compiere un ulteriore passo sono ora utilizzati grandi telescopi al suolo come il VLT od il Keck, ma soprattutto nel 2008 si potranno sfruttare le potenzialità del telescopio montato sul satellite SNAP, dedicato allo studio delle supernovae lontane fino a fattore 2.

A questo punto per spingersi ancora oltre si sta studiando la possibilità, come suggerito dall’astronomo B.E.Schaefer, di far uso dei “ gamma ray burst  “ o lampi gamma, che possono essere utilizzati come candele standard al pari delle Cefeidi e delle supernovae. Questi lampi sono costituiti da fotoni ad elevatissima energia emessi da sorgenti site agli estremi confini dell’Universo ed ancora poco note.

Lo spettro e le loro curve di luce sono assai diversificate, per cui non esistono due lampi gamma eguali; vi sono tuttavia delle caratteristiche che paiono in rapporto con la loro luminosità assoluta, quale ad esempio il ritardo tra le emissioni a più alta energia e quelle ad energia un poco inferiore. Questa peculiarità è stata messa in evidenza dagli astrofisici Morris, Marani e Bonnell tre anni fa e pare che questo ritardo sia tanto più marcato quanto minore è l’energia emessa dal lampo gamma.

V’è poi una seconda peculiarità messa in evidenza dagli scienziati Fenimore e Ramirez-Ruiz, che riguarda la “ spigolosità “ della curva di luce del gamma-burst, ovvero la sua variabilità più o meno accentuata e rapida. Questa spigolosità s’è notato essere in direttamente proporzionale alla luminosità e da queste due correlazioni possiamo dedurre la luminosità assoluta e la distanza del lampo-gamma.

Occorre quindi per raffrontare e studiare i nuovi gamma-burst, utilizzarne altri di cui sia conosciuta la distanza per altra via e negli ultimi anni sono stati individuate svariate controparti ottiche di gamma-burst interne a lontane galassie “ ospiti “, che hanno consentito di calcolarne il loro redshift e quindi la distanza. Al momento i lampi-gamma di cui sono conosciute la distanza, la curva di luce e lo spettro sono 9, di cui il più lontano possiede un redshift di 4,5; il loro numero purtroppo è ancora insufficiente al fine di una valida calibrazione, fortunatamente tuttavia pare che i lampi via via aggiunti al diagramma costruito sono in accordo  con le previsioni .

Quest’anno in luglio si prevede che verrà messo in orbita il satellite del programma euro-americano Swift, il quale avrà in dotazione tre rilevatori di lampi-gamma in grado di misurarne la posizione nei raggi X ed il redshift nell’ultravioletto. Lo Swift, in accordo con la previsione di Schaefer, dovrebbe individuare entro l’anno 2006 circa 120 lampi-gamma di cui sapremo curva di luce, distanza e spettro, sarà quindi possibile ottenere una valida calibrazione del diagramma di Hubble per i gamma-burst.

A quel punto disporremo oltre alle cefeidi ed alle supernovae di questi nuovi rilevatori di distanza, assai più visibili e luminosi, fino redshift 10, il che ci consentirebbe di approfondire lo studio delle caratteristiche del cosmo in un epoca nella quale i differenti modelli danno previsioni assai diverse tra di loro. Lo scopo è risolvere una volta per sempre il problema della costante di Hubble, abbiamo infatti scoperto negli ultimi tempi, che il cosmo si sta espandendo con moto accelerato ed è dominato da una forma d’energia detta “ del vuoto “ che contrasta e supera l’attrazione gravitazionale.

Non si è ancora in grado di dare una spiegazione esauriente alla causa di tale spinta espansiva, talchè a fianco dell’ipotesi di una forza costante e sempre presente in tutta l’evoluzione dell’Universo, gli scienziati hanno ipotizzato l’esistenza di una forza variabile nel tempo che causerebbe effetti differenti sull’espansione in epoche con redshift prossimo a 10; l’estensione del diagramma di Hubble, grazie ai gamma-burst, consentirebbe di conoscere la geometria del cosmo in quel periodo critico.

 

VENTI GALATTICI DA BUCHI NERI

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Giugno 2003 pag. 22)

  

I buchi neri supermassicci solitamente fagocitano materia, ma sono in grado anche di disseminare nel cosmo materia ricca di elementi “ pesanti “, come il carbonio, l’ossigeno ed il ferro, che servono allo sviluppo della vita.  Con l’ausilio delle osservazioni fatte dal telescopio a raggi X “ Chandra “ montato sul satellite della NASA  e da quelle effettuate da quello dell’ESA ( Agenzia Spaziale Europea ), XMM-Newton, un’equipe di scienziati della Penn State University e del MIT ( Massachussets Institute of Technology, ha fatto l’importante scoperta delle elevatissime emissioni di gas dai nuclei di due quasar ( quasi stellar source ) che si pensa siano alimentati da un buco nero supermassiccio sito nella zona centrale dei suddetti.

Durante l’esistenza dei quasar la materia espulsa sarebbe dell’ordine di miliardi di masse solari e si originerebbe dal disco di accrescimento che circonda il buco nero. Questa è senza dubbio una conclusione nuova e sorprendente, dato che fino ad oggi il disco di accrescimento intorno al buco nero, era ritenuto ineluttabilmente in caduta verso il medesimo.

Questi studi sono stati divulgati nel marzo scorso in occasione dell’American Astronomical Society tenutosi in Canada, nella regione del Quebec. I buchi, è noto, sono degli autentici “ aspiratori cosmici “, talmente densi che neppure la luce è in grado di sfuggire alla loro immane attrazione gravitazionale e questo avviene quando la materia oltrepassa verso l’interno quel limite estremo detto “ orizzonte degli eventi “; oltre è come se essa uscisse dal nostro Universo.

Pure nella zona esterna immediatamente prima di questo confine, l’azione del campo gravitazionale del buco nero è assai elevata, purtuttavia i modelli mettono in evidenza che la pressione della radiazione ad alta energia, costituita da raggi X, è superiore e riesce a strappare e soffiare via materia dal disco di accrescimento ed a spargerla nel cosmo, che è quindi arricchito da elementi pesanti del suddetto disco. Siamo quindi in presenza di un fortissimo “ vento galattico “.

Gli astrofisici americani hanno messo sotto osservazione specificamente due quasar, distanti dalla Terra alcuni miliardi di anni luce, ritenuti il nucleo brillante di remote galassie al cui interno v’è un buco nero supermassiccio. Tramite il telescopio “ Chandra X ray “ hanno osservato il quasar APM 08279+5255, mentre con l’XMM-Newton il quasar PG 1115+080.

Questi oggetti sono particolarmente interessanti poiché la loro immagine viene ingrandita rispettivamente di 100 e 25 volte a causa dell’effetto di una lente gravitazionale. La loro luce infatti provenendo dallo spazio profondo, incontra nel suo cammino molti oggetti cosmici quali galassie e viene distorta e amplificata per effetto gravitazionale, secondo la teoria elaborata da A. Einstein.

Per mezzo di questa lente d’ingrandimento, gli scienziati sono riusciti ad ottenere importantissimi dati sulla natura dei due quasar, quali la velocità e la composizione chimica della materia espulsa dal disco di accrescimento.  Gli studi effettuati prevedevano che la luce emessa dai quasar si comportasse come un fortissimo vento, fenomeno questo che si verifica quando il gas assorbe i fotoni ad elevata energia  costituenti la luce e ne assume la loro quantità di moto ( q = massa x velocità ).

Questo fenomeno è valido pure per la radiazione ultravioletta ed anche per i raggi X che sono in grado di soffiare materia nello spazio intergalattico ad un tasso 10 volte maggiore ed a velocità di gran lunga superiori.  Nei due quasar oggetto di studio, i dati estrapolati evidenziano che la velocità di emissione di particelle arriva a 120.000 km/s cioè al 40% della velocità della luce e la loro composizione chimica è costituita da elementi pesanti quali il ferro, l’ossigeno ed il carbonio.

 

LA STELLA OVALE : ACHERNAR

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Settembre 2003 pag. 14)

 

E’ noto che il raggio equatoriale della nostra Terra è di circa 21 km più lungo di quello polare ed il valore di questo “ schiacciamento “ è dello 0,3%. Il motivo di ciò è dovuto alla rotazione del nostro pianeta attorno all’asse polare, che produce una forza centrifuga opposta a quella gravitazionale e dato che questa suddetta forza centrifuga è direttamente proporzionale all’aumentare della distanza dall’asse, all’equatore il valore apparente dell’accelerazione di gravità “ g “ è di poco inferiore rispetto ai poli.

Questo fenomeno non è affatto raro, infatti esso si verifica in maniera ancor più accentuata nei pianeti gassosi e negli astri, dando loro una forma di ellissoide di rotazione più o meno schiacciato. Recentemente l’equipe guidata dal prof. Gerard T. Van Belle ha studiato la conformazione di Altair, l’alfa della costellazione dell’Aquila, per mezzo del Palomar Testbed Interferometer ed ha misurato un rapporto tra raggio equatoriale e quello polare di 1,140+/-0,029, scostamento che è funzione della direzione di vista rispetto all’inclinazione dell’asse di rotazione della stella.

Con l’entrata in servizio del “ Very Large Telescope Interferometer “ dell’ESO, presso l’osservatorio Paranal in Cile, queste osservazioni saranno di gran lunga semplificate, esso possiede infatti un’elevata risoluzione angolare, tramite un’estesa area di raccolta di fotoni, grazie ai quattro telescopi di 8 metri di diametro cadauno, uniti tra loro per interferometria.

Il primo test del VLTI è stato effettuato sulla stella alfa della costellazione australe dell’Eridano, cioè Achernar. Questo astro è di tipo spettrale B e possiede una temperatura superficiale assai elevata, pari a 20.000 ° C, è grande circa 6 volte il nostro Sole e dista da noi 145 A.L. Nel periodo settembre – novembre dell’anno scorso, un team di astrofisici capeggiato da Armando D. de Souza, facenti parte del Laboratoire Universitaire d’Astrophysique di Nizza, ha preso 20.000 interferogrammi di questa stella nell’infrarosso.

L’estrapolazione dei dati ed il loro risultato rivela un profilo apparente dell’astro nel quale il rapporto tra il raggio equatoriale e quello polare è elevatissimo : 1,56 +/- 0,05, cioè il raggio equatoriale è più lungo di quello polare di più del 50% ! La causa di questo fortissimo schiacciamento è sicuramente dovuta alla rapidissima rotazione di Achernar, generando quindi una forma estremamente appiattita.

In funzione della distanza a cui di trova la stella, l’asse maggiore risulta essere pari a 12,0 raggi solari, mentre quello minore è pari a 7,7 il che corrisponde a 8,4 e 5,4 milioni di km, una differenza enorme tra di loro! V’è da considerare purtuttavia che a causa dell’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto alla direzione visuale, il dato del raggio polare non è la reale dimensione, ma ne rappresenta il suo limite superiore.

Un così elevato schiacciamento presuppone un differenziato tasso di perdita di massa della sua superficie, gli studiosi infatti ritengono che a seconda della profondità da essa s’incontrino differenti velocità di rotazione. L’allargamento delle righe spettrali fornisce un valore della velocità di rotazione pari a 225 km/s, ma si pensa che essa possa ruotare ancora più velocemente, oppure che si comporti in una certa misura non propriamente come un corpo rigido.

Da ultimo Achernar, tra le tante sue anomalie, è pure soggetta ad un “ oscuramento gravitazionale “, cioè ad una non omogenea distribuzione della temperatura superficiale, dovuta appunto al suo fortissimo schiacciamento, facendo sì che la temperatura ai poli, che si trovano molto più vicini al centro, sia più elevata che all’equatore.

 

UN PIANETA GIGANTE NELL’AMMASSO GLOBULARE M 4 ?

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Novembre 2003 pag. 14)

  

Negli ultimi tempi è stata fatta una scoperta inattesa che tra l’altro sta mettendo a dura prova uno dei risultati dell’astrofisica moderna. E’ stato individuato un pianeta gigante nell’ammasso globulare M 4 nella costellazione dello Scorpione, che come è noto è regolarmente costituito di stelle molto antiche, che appartengono alla prima generazione galattica. Il pianeta fa parte di un sistema binario stretto che contiene pure una pulsar e da queste osservazioni  se ne deduce che alcuni sistemi planetari si siano formati alcuni miliardi di anni prima del nostro sistema solare.

La presenza di pianeti di tipo roccioso come la nostra Terra necessita della presenza di elementi pesanti nel disco di polveri e gas che orbita attorno ad una giovane stella. Così pure pianeti gassosi di tipo gioviano contengono al centro un nucleo solido, roccioso e metallico che ha funzionato come polo gravitazionale di raccolta della spessa atmosfera che li costituisce e li circonda.

All’interno degli astri si formano, nel corso della loro evoluzione, gli elementi pesanti, mentre quelli che posseggono massa atomica superiore si creano durante le immani esplosioni delle supernovae. A causa di queste esplosioni o nelle fasi finali di vita di stelle meno massicce, come il nostro Sole, gli atomi più pesanti dell’idrogeno vengono espulsi nel cosmo, aggiungendosi al materiale che costituisce le nebulose, le quali collassando in seguito, danno vita a nuove stelle.

Il processo di formazione degli elementi pesanti richiede varie generazioni di stelle, fino ad arrivare ad una sufficiente agglomerazione che permette la formazione di pianeti. Gli ammassi globulari sono formati da stelle molto antiche. hanno una scarsità di elementi pesanti e quindi presenterebbero una ridottissima possibilità di formare pianeti, ora però uno studio fatto da scienziati statunitensi e canadesi ha trovato un pianeta isolato nell’ammasso globulare M4, vecchio 12,7 miliardi di anni, i cui astri possiedono un contenuto di elementi metallici 30 volte inferiore a quello del Sole.

Gli astrofisici in questione hanno osservato in particolare una pulsar denominata PSR B1620-26, costituita da una stella di neutroni che ruota su se stessa alla bella velocità di 100 rotazioni/sec ! La misurazione effettuata dal telescopio spaziale Hubble assai precisa dei tempi di arrivo degli impulsi emessi dalla pulsar, hanno consentito di stabilire che subisce una perturbazione da parte di una nana bianca che le orbita intorno in un periodo di 191 giorni ed un pianeta che possiede una massa 2,5 volte quella di Giove. Dalla luminosità ed dal colore della nana bianca si ritiene che essa sia al termine della sua vita, infatti mezzo milione di anni fa ha già eiettato nello spazio i suoi strati più esterni.

La sua età e la sua orbita fanno pensare che sia nata come una stella singola con un pianeta gigante che le orbitava attorno. Il sistema è passato molto vicino alla stella di neutroni che già faceva parte di un altro sistema binario ed a questo punto la nuova arrivata ha espulso dal suddetto la vecchia stella compagna della pulsar e ne ha preso il posto in un orbita assai stretta, mentre il pianeta gigante assunse un’orbita molto ampia intorno ai suoi nuovi 2 soli.

Gli astri dell’ammasso globulare prossimi al sistema lo perturbarono fino a spingerlo nelle sue zone più periferiche, ove la densità di stelle è minore ed infine la stella si trasformò in una nana bianca, fornendo grandi quantità di gas alla vecchia stella di neutroni. Questa scoperta dimostrerebbe che la formazione di pianeti giganti non implica che ciò avvenga in ambienti ricchi di elementi pesanti necessiterebbe nel caso in cui essi si possano condensare in maniera diretta per un collasso di zone instabili di una nebulosa protostellare.

 

 REDSHIFT DISCORDANTI : UN NUOVO CASO

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Maggio 2004 pag. 23)

  

Ultimamente sono state trovate due sorgenti molto interessanti: un quasar apparentemente annidato all’interno del lobo di una radiogalassia. Il dibattito sulla natura dei quasar ( quasi stellar source ) e del loro spostamento verso il rosso è ben lungi da essere terminato, ed è specialmente alimentato dagli studi dell’astrofisico Halton Arp e da altri scienziati quali M. e J. Burbidge ( rif. Astronomy & Astrophysics astroph/040/007 ).

Essi si sono proposti di studiare in multibanda, tramite i telescopi Hubble Space Telescope, Keck ( Hawaii ) e VLBI( europeo ), una coppia stretta formata da radiogalassia-quasar. Questa coppia di oggetti cosmici rappresenta una delle più spettacolari associazioni con redshift discorde ( spostamento verso il rosso ); ad essa è stato assegnato il nominativo 3C 343,1 nel catalogo di Cambridge ed è una delle più brillanti sorgenti radio dell’emisfero nord, con un redshift stimato “ z “= 0,750.

Seguendo i parametri cosmologici attuali essa sarebbe situata a circa 6,6 miliardi di A.L. da noi, purtuttavia nel 1998 gli spettri ricavati dal telescopio Keck a 0”,25 di separazione, evidenziano l’esistenza di un secondo sistema di maggior estensione, assai più ricco di righe spettrali e con un redshift pari a 0,335, che lo posizionerebbe a 3,9 miliardi di A.L. da noi. La spiegazione canonica sarebbe la sovrapposizione prospettica di una radiogalassia e di un quasar assai più lontano, ma il quadro è molto più complicato.

Infatti accostando questi dati con altri nella banda radio ottenuti con il VLBI, si evince l’esistenza di una formazione a due lobi, il cui centro si trova in corrispondenza della radiogalassia, mentre il quasar è situato all’interno di uno dei due lobi e ciò dovrebbe essere interpretato come l’espulsione del quasar dal nucleo della galassia, secondo il modello di Arp.

Il lobo quindi contenente il quasar dovrebbe essere un “ ponte di materia “ collegante i due sistemi, osservato nel momento in cui è ancora visibile sia nell’ottico che nella banda radio; vi sono altri casi di osservazioni di ponti di materia visti nella banda ottica ( NGC 4319 e Mrk 205 ), ma mai sono stati osservati anche nelle onde radio.

Dal punto di vista statistico, essendo presenti nel catalogo 3C di Cambridge 300 galassie e 50 quasar, la probabilità di trovare due oggetti cosmici di questo tipo ad una distanza di 0”,25 ammonta ad 1/100 milioni e questa coppia sarebbe rappresentativa della natura non sempre cosmologica del redshift.

 

 QUASAR X CON REDSHIFT ELEVATO

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Luglio 2004 pag. 30)

  

I quasar ( quasi stellar source ) sono osservati fino a redshift ( z ) molto alti, a causa della loro notevole luminosità intrinseca e ciò ci permette quindi di poter investigare le fasi primordiali del nostro Universo e la loro evoluzione. Attualmente i satelliti ROSAT e CHANDRA hanno scoperto ed evidenziato la presenza di sorgenti quasar caratterizzate da un redshift z > 6, che tradotto in tempo corrisponde a circa 1 miliardo di anni dopo il Big Bang.

La densità e la luminosità di queste sorgenti è purtroppo molto bassa anche perchè la presenza di grandi quantità di polveri cosmiche si frappongono all'osservazione. Al fine di risolvere questo problema, gli strumenti ottici montati sui satelliti hanno iniziato a studiare questi oggetti nella banda dei raggi X e sono stati quindi scoperti quasar con redshift z >4.

Questa ricerca, denominata CYDER ( Calan - Yale Deep Extragalactic Research ), ha lo scopo di osservare e studiare deboli quasar molto lontani. I primi incoraggianti risultati non si sono fatti attendere, infatti è stato scoperto un nuovo quasar situato nel nucleo galattico attivo chiamato SBS 0335 - 05, con un redshift z = 4,61 e con una magnitudine pari a 23,4.

 

LA SCOPERTA DI UN NUOVO ARCO GRAVITAZIONALE

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Luglio 2004 pag. 31)

 

In accordo con le teorie di A.Einstein, utilizzando sopratutto il telescopio spaziale Hubble, sono state scoperte nell'Universo molte " lenti ed archi gravitazionali ", che ci consentono di conoscere maggiormente, non solo gli oggetti cosmici deflettenti ma anche quelli deflessi assai più lontano da noi e con una luminosità molto bassa.

Sfruttando quindi l'effetto della lente gravitazionale, sono stati amplificate e rese visibili galassie ed ammassi di galassie lontanissimi. Inoltre recentemente è stata installata su Hubble la ACS ( Advanced Camera for Survey ), che possiede un'elevata sensibilità, un'altissima risoluzione ed un vasto campo visuale, fatto questo che ci permetterà di individuare e studiare nuove lenti gravitazionali.

Infatti è stato scoperto in un settore parallelo all'HUDF ( Hubble Ultra Deep Field ) uno splendido arco gravitazionale attorno ad una galassia ellittica. Questo arco è situato a 1",6 dal centro della suddetta galassia ed ha un'ampiezza di circa 120°; mentre dal lato opposto a 0",6 dal centro si trova un " controarco " assai simile al precedente. Il redshift della galassia vicina deflettente è z = 0,6174, mentre lo z dell'arco deflesso a noi lontano è pari a 2,3.

 

GALASSIE A DISCO PRIMORDIALI

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Ottobre 2004 pag. 30)

 

Numerosi scienziati stanno studiando attualmente numerosi gruppi di galassie molto antiche, caratterizzate da differenti redshift ( spostamento della radiazione elettromagnetica verso il rosso ). Investigando nel settore cosmico della radiogalassia 4C 23.56 con un redshift " z " = 2,483, è stata osservata una galassia molto rossa, chiamata KC 68, avente il redshift assai simile al gruppo della sopra citata e di cui fa parte. La KC 68 possiede un aspetto assai singolare, essa infatti è costituita da stelle molto vecchie ed ha una forma a disco, ma è pressochè priva di alone. La sua struttura appare quindi difficilmente spiegabile con le attuali teorie della formazione galattica.

La spiegazione scientifica più plausibile è che in questa galassia, che possiede una massa di circa 300 miliardi di volte quella del nostro Sole, il gas che la costituiva sia caduto rapidamente sul disco, innescando una veloce ed imponente nascita di astri.  Questa intensa formazione stellare si ritiene sia durata alcune centinaia di milioni di anni e si sia definitivamente concluso circa 2 miliardi di anni fa. La brusca fine di questo curioso e straordinario processo è stata sicuramente causata anche dalla inesistente interazione di questa singolare galassia con le altre del gruppo, essendo essa molto defilata e lontana dalle altre.

 

IL SETTORE H II NEL PERSEO

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Ottobre 2004 pag. 30)

 

Nel secondo quadrante della Via Lattea si trova il braccio a spirale del Perseo, che ne è di gran lunga la struttura più imponente. La sua distanza è compresa tra i 6500 ed i 16.500 A.L ed in esso si trovano numerose ed importanti zone di formazione stellare, come l'immenso complesso W3/W4/W5 e molte regione denominate H II Sharpless. Tutti questi settori cosmici sono stati studiati assai approfonditamente in tutte le bande dello spettro, l'unica ancora in gran parte sconosciuta è la zona H II denominata DA 568, che possiede un'estensione di 30' ed ha un aspetto molto brillante sia nel visibile che nelle onde radio.

DA 568 è stata finora così poco indagata che alcune sorgenti nell'infrarosso che ne fanno parte, sono state erroneamente associate ad una piccola regione adiacente chiamata BFS 10. In realtà DA 568 risulta essere assai vasta ed è la zona più prominente del braccio del Perseo, in quanto a formazione stellare, occupando un'area di 145x65 A.L. La popolazione in essa contenuta è pari a 10.000 masse solari di gas molecolare e ionizzato e l'intero complesso ha subito una notevole evoluzione. La nebulosa molecolare gigante primordiale è già stata infatti spazzata via in gran parte, a causa del vento ionizzato degli astri di nuova formazione.

  

IL BLAZAR PIU' BRILLANTE

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Dicembre 2004 pag. 26)

 

I " Blazar " rappresentano dei nuclei galattici molto attivi che sono disposti rispetto all'osservatore terrestre, sotto un'angolazione assai vicina all'asse dell' immane getto che viaggia a velocità prossime a quella della luce. Sono caratterizzati da variabilità luminosa nell'ottico, da emissione di onde radio, da una notevole polarizzazione ed infine da spettri dominati dal continuo, tipici degli oggetti cosmici BL Lacertae ( BL + Quasar, nella costellazione della Lucertola ).

L'allineamento getto - linea visuale comporta la possibilità di poter osservare l'emissione di raggi X o gamma e mettendo in raffronto le posizioni di numerose sorgenti di onde radio con altre emettenti raggi gamma ha permesso di scoprire altri blazar. Ad esempio è stato scoperto il Q J0906 + 6930, un oggetto cosmico con un alto " redshift " z = 5,47, che lo caratterizza come il blazar più lontano e brillante oggi conosciuto. Inoltre il suo fortissimo radiogetto è creato da un enorme buco nero con una massa di circa 10 miliardi di Soli ed il suo spettro contiene delle righe che presuppongono che il sistema sia una lente gravitazionale.

 

RAGNATELE COSMICHE

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Dicembre 2004 pag. 26)

 

E' noto che le galassie si addensano e si strutturano in ammassi e successivamente in superammassi, per mezzo di una serie di fusioni di gruppi più piccoli. Tale processo di aggregazione per caduta verso il centro gravitazionale si estrinseca secondo delle direzioni preferenziali, creando così delle megastrutture filamentose, denominate " ragnatele cosmiche ".

La ricerca di queste strutture è assai difficoltoso, poichè possono essere confusi con variazioni di densità materia interstellare locale, quindi l'unico parametro che le contraddistingue e le evidenzia è che la loro estensione sia superiore al volume totale che contiene l'ammasso galattico. Ultimamente, tramite il telescopio giapponese Subaru da 8,3 mt di diametro, è stato scoperto MACS J0717,5+3745, il primo filamento collegato ad un ammasso massiccio di galassie.

Questa struttura possiede una maggiore densità di gas e galassie rispetto alla zona esterna che la circonda, ha un'estensione di circa 20 milioni di A.L. ed un raggio assai superiore a quello dell'ammasso interno che è nell'ordine di 7 milioni di A.L. La ragnatela cosmica in oggetto si comporta come un tunnel spaziale che alimenta dall'esterno l'ammasso galattico, incrementandolo via via di ulteriore massa ed aumentandone sempre più le dimensioni.

 

LA NASCITA  DEGLI AMMASSI GLOBULARI

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Febbraio 2005 pag. 18)

 

Vicino alla costellazione del Centauro, ad una distanza di 11 milioni di A.L. dal nostro Gruppo Locale, si trova una galassia denominata NGC 5253. Questa galassia appartiene alla famiglia delle " nane blu ", caratterizzate cioè da un'elevata formazione di nuove stelle e da una scarsa presenza di materiali pesanti e di polveri. A differenza della nostra Via Lattea e di altre galassie, in cui la creazione stellare avviene principalmente nei bracci a spirale ove il mezzo interstellare è più denso e gli elementi pesanti ed evoluti sono più presenti, nelle " galassie nane blu " la produzione stellare avviene partendo da materiali più elementari quali l'idrogeno e l'elio.

Osservando quindi NGC 5253 è come andare indietro nel tempo, verso i primordi del nostro universo, a circa 13 miliardi di anni fa. Ovviamente, a causa della distanza che si frappone tra noi e questa galassia nana, non sarà possibile vedere e studiare la nascita di singole stelle, bensì quella di ammassi stellari che ricorderanno l'antica genesi degli ammassi globulari, che infatti sono i sistemi cosmici più antichi da noi conosciuti.

Un team di astrofisici dell'Agenzia Spaziale Europea, quali: L.Vanzi, G.Cresci e M.Sauvage, ha ultimamente studiato NGC 5253 tramite il telescopio VLT e la Wide Field Camera di Hubble. I risultati sono assai interessanti, infatti la suddetta galassia, pur essendo 100 volte più piccola della nostra, ha evidenziato una grandissima e rapida formazione di nuovi ammassi stellari, specie nella sua zona centrale.

La stima dell'età di questi ammassi viene effettuata tramite le righe spettrometriche H-alfa dell'idrogeno ionizzato, emesso dalle stelle giganti blu di tipo O e B, che compaiono per prime durante la creazione di questi sistemi. Si è così scoperto che dei 50 ammassi rilevati, nessuno ha più di 20 milioni di anni, con una luminosità pari a 1,2 miliardi di Soli e con una presenza inoltre di giganti blu di circa 4700 unità con massa decine di volte maggiore della nostra stella.

Ve ne sono ancora più giovani, con età di 2 - 3 milioni di anni, che si stanno ancora strutturando, mentre il loro tasso attuale di formazione  sta rallentando ed è 20 volte inferiore rispetto a recenti epoche. Il tasso di incremento è simile alla nostra Via Lattea e cresce di 3 volte per ogni dimezzamento di massa, ed anche la sua distribuzione  rassomiglia molto alla struttura della nostra galassia.

  

SAND 96 - SN 2004dj

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Aprile 2005 pag. 30)

  

La creazione delle supernovae di tipo II è dovuta al collasso gravitazionale di stelle molto avanti nella fase evolutiva e di grande massa. Fino ad oggi il progenitore più noto è la supergigante blu, facente parte della Grande Nube di Magellano, che ha generato la supernova 1987A, nel cui nome si evince l'anno dell'esplosione. Lo studio approfondito di questo astro gigante ci ha fornito dati fotometrici, fotografici, fotoelettrici ed un suo spettro a bassa risoluzione.

E' stata in seguito scoperta un'altra supernova di tipo II: la SN 2004dj, appartenente alla galassia NGC 2403, presso l'altra famosa galassia a spirale dell'Orsa Maggiore, M81, detta anche " Galassia di Bode ". L'esplosione è avvenuta il 31 luglio 2004, a circa 10 milioni di A.L. da M81 ed è stato effettuato dall'astrofisico A.Sandage uno studio fotografico approfondito delle stelle supergiganti blu e rosse, facenti parte di NGC 2403.

Mettendo a confronto i valori di SN 2004dj con quelle di altri astri limitrofi, s'è vista la perfetta identità di posizione tra esso e l'oggetto cosmico denominato Sand 96. La sua natura composta da giganti blu e rosse, confermava quindi la tesi sulla formazione di questo particolare tipo di supernovae. Sand 96 è un ammasso di stelle con una massa pari a 24.000 masse solari, con un'età di circa 13,6 milioni di anni, composto prevalentemente da supergiganti blu e rosse molto giovani ed una di queste ultime è proprio il progenitore di SN 2004dj

  

UNA BOLLA NEL CENTAURO: RCW 79

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Giugno 2005 pag. 29)

 

La nascita di astri giganti e caldi, innesca fortissimi venti di particelle ionizzate che spazzano via polveri e gas interstellare, addensandoli ai bordi e creando così una bolla vuota. Un caso significativo di questo tipo di fenomeno cosmico è la bolla denominata RCW 79 situata nella costellazione del Centauro, caratterizzata da dimensioni ragguardevoli, ha infatti un diametro pari a 70 A.L. Dista da noi 17.200 A.L. e verificando la sua velocità d'espansione, gli astrofisici hanno rilevato anche la sua età: 1 milione di anni.

Sulle pareti del contorno in cui è massima la densità di pulviscolo e gas, si ha continuamente la creazione di nuove stelle e si possono già osservare 3 gruppi stellari di nuova formazione, racchiusi all'interno di anfratti che essi stessi hanno generato con i loro rispettivi venti ionizzati. L'osservazione di questo caratteristico oggetto cosmico è stata affidata ultimamente al telescopio spaziale Spitzer ed ha consentito di osservare chiaramente la radiazione infrarossa creata dal gas e dalle polveri del complesso stesso.

 

UN QUASAR MOLTO ATTIVO

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Giugno 2005 pag. 30)

 

BR 1202-0725 è un quasar molto distante con un redshift " z " = 4,7 e negli ultimi tempi ha riservato una notevole sorpresa, è stata scoperta a 2",3 a NW di esso la sua galassia compagna. Una delle peculiarità maggiori è che essa possiede una vasta nebulosa che emette in modo intenso nello spettro della riga Lyman-alfa dell'idrogeno e che ha in redshift uguale al quasar, siamo quindi in presenza di un doppietto formato dal quasar e dalla galassia.

Attualmente, utilizzando il telescopio giapponese Subaru da 8,2 mt, gli astronomi hanno scoperto un terzo oggetto cosmico, sito a 4" NW del quasar ed a 2" dalla galassia. Presenta una notevole emissione molecolare di ossido di carbonio ed è caratterizzato da un redshift simile agli altri due, tale da farlo ritenere anch'esso come costituente del terzetto. L'elevatissima attività di questo gruppo è causata dall'energia del quasar che interagendo con la vicina galassia, ne ha generato una grande produzione di astri di grande massa, circa 10 milioni di anni fa.

Queste stelle molto calde e massive hanno avuto un breve periodo di vita, nell'ordine di solo milioni di anni ed in seguito sono esplose in supernovae ed hanno creato una vastissima bolla in espansione di gas ionizzato, che emette appunto nella riga Lyman-alfa dell'idrogeno. Pure l'ultimo oggetto scoperto, presenta una notevole produzione stellare ed un'altrettanta forte emissione di CO e si ritiene che fra poco tempo potrà essere risolto come galassia nell'ottico.

 GALASSIE INFRAROSSE IPERLUMINOSE

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Agosto-Settembre 2005 pag. 28)

 

Tramite il nuovo telescopio spaziale americano Spitzer, gli scienziati hanno iniziato un approfondito studio e scandaglio dell'universo profondo nella banda spettrale infrarossa. Gli strumenti di bordo comprendono anche la MIPS ( Multiband Imaging Photometer for Spitzer ), per la scoperta nella banda ottica delle più deboli sorgenti, anche di quelle intrinsecamente oscurate.

Questi apparecchi molto più sofisticati ed avanzati di quelli montati sui satelliti precedenti IRAS ed ISO, sono in grado di risolvere nell'infrarosso oggetti ad elevato redshift e molto deboli. Uno studio accurato è stato effettuato in una zona vasta 9° quadrati nella costellazione di Bootes ed il MIPS ha scoperto ben 4273 sorgenti, di cui 31 assai deboli nell'ottico, ma molto potenti in quanto ad emissione infrarossa.

Fra queste ultime ne sono state estrapolate 17 di cui è stato determinato il redshift che varia da 1,7 a 2,8, fanno parte quindi di un nuovo gruppo di oggetti cosmici assai oscurati e lontani da noi dai 9 agli 11 miliardi di A.L. Le loro caratteristiche le fanno ritenere con quasi certezza delle galassie iperluminose nell'infrarosso e tale enorme intensità si ritiene che sia generata da possenti nuclei galattici attivi (AGN), come enormi buchi neri  o da settori spaziali ad elevata produttività di nuovi astri.


RADIOGALASSIE

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Agosto-Settembre 2005 pag. 28)

 

Le radiogalassie (AGN) o nuclei galattici attivi ed i quasar ad emissione sono oggetti cosmici della stessa specie, il fattore che li distingue è l'angolazione che essi hanno rispetto all'osservatore. Infatti, mentre la radiogalalassia la vediamo di taglio e quindi produce righe di emissione molto strette, il quasar è un AGN che può essere osservato frontalmente e perciò provoca righe molto più larghe ed un nucleo non risolto nella banda ottica.

Inoltre non tutti i quasar sono in fase attiva, ve ne sono anche di cosiddetti radioquieti e quindi non emittenti ed oscurati; questi sono quasar di tipo II, analogamente alla famiglia di quelle radiogalassie che generano emissioni luminose principalmente lungo il piano galattico, di taglio rispetto a noi, e che quindi sono pressochè invisibili. In aggiunta, oltre che assai difficili da risolvere otticamente, esse appaiono come delle normali galassie ellittiche e solamente per mezzo di un'indagine spettroscopica si possono evidenziare le loro forti emissioni.

Ultimamente, tramite la fotocamera VIMOS (Visual Multi-Object Spectrograph), montata sul telescopio europeo VLT (Very Large Telescope), è stato possibile scoprire nell'ottico il primo di questi interessantissimi e rari oggetti cosmici, il quasar: J094531 - 242831. Questo quasar possiede un redshift "z" = 1,65 ed emette una notevole luminosità, tale da far ritenere che il suo nucleo centrale sia costituito da un enorme buco nero con una massa pari a 300 milioni di masse solari; esternamente ad esso la galassia che lo ospita produce un'intensa emissione blu, indice questo di un'elevata produzione di astri e di una sua giovinezza .



 IL SUPERAMMASSO WESTERLUND 1

di M. Maestripieri

(tratto da Le Stelle – Novembre 2005 pag. 14)

 


La più recente scoperta fatta dall'Osservatorio Astronomico di La Silla in Cile è stato un superammasso di stelle, posto a 10.000 A.L. da noi nella Via Lattea, nella direzione della costellazione australe dell'Ara e costituito da alcune centinaia di migliaia di astri in uno spazio molto compatto. Questo genere di oggetti cosmici erano già stati individuati e studiati in altre galassie od in gruppi di galassie interagenti, ma questo è il primo caso appartenente alla nostra.

L'importanza di questa rilevazione è dovuta al fatto che, data la relativa vicinanza, si può ora fare un'analisi del comportamento delle stelle di differenti masse, in specie quelle giganti, caratterizzate da una medesima composizione chimica. Questo giovane ammasso stellare è chiamato Westerlund 1, esso presenta notevoli difficoltà di osservazione, dovute alla presenza di quantità ingenti di polveri e gas interstellare, che causano un intenso assorbimento.

Il superammasso è costituito da giovani stelle supergiganti assai luminose, che fanno parte dei differenti tipi spettrali; nel 2001 infatti sono stati osservati 12 astri del tipo Wolf-Rayet, di grande massa e con altissima temperatura. La loro massa, 30 - 40 volte quella del nostro astro, è tale che si stima abbiano un raggio eguale a 10 U.A. (Unità Astronomiche), cioè una distanza pari a quella  dal Sole a Saturno e che al contempo emettano un'energia pari a milioni di volte quella della nostra stella!

Oltre agli astri del genere Wolf-Rayet, troviamo le supergiganti gialle, quelle di tipo OB e le variabili blu simili alla famosa Eta Carinae. Westerlund 1 è un ammasso quindi molto giovane, da 3,5 a 5 milioni di anni e com'è noto anche gli astri di così grande massa posseggono una vita altrettanto breve, nell'ordine di 5 - 10 milioni di anni. Tenendo presente che il rapporto tra le stelle con masse 10 volte quella del Sole e gli astri paragonabili al nostro è di 1 a 100, attualmente sono state trovate centinaia di supergiganti e si ritiene che complessivamente l'ammasso sia composto da circa 500.000 oggetti, pari a 10 volte più massivo di ogni altro a noi finora noto, facente parte della nostra Via Lattea.

Inoltre v'è un'altra peculiarità che lo contraddistingue, infatti questa rilevantissima densità di stelle è concentrato in non più di 6 A.L. e la distanza media tra di loro e solo delle dimensioni del nostro Sistema Solare. E' ovvio che in uno spazio così tanto ridotto alcuni astri possano entrare in collisione generando così buchi neri massicci ed a causa di questo enorme numero di supergiganti si ritiene che nel superammasso, in un arco di tempo di 40 milioni di anni, si produrranno 1500 deflagranti supernovae, che sarà in grado di espellere nello spazio interstellare circostante immense quantità di elementi pesanti e gas.



HE 0437-5439 UN ASTRO IN FUGA

di M. Maestripieri

(tratto da Astronomia – Gennaio 2006 pag. 16)



Nelle zone più esterne della nostra galassia a circa 200.000 A.L. dal nostro astro, si trova una stella assai peculiare, è HE 0437-5439.

E' una stella molto giovane e ciò ha rappresentato una grande sorpresa per gli astronomi della " Hamburg - ESO Sky Survey, i quali sono impegnati a classificare dal punto di vista spettrale, gli astri di una grande porzione del cielo australe.

La Via Lattea è infatti circondata da un alone di stelle molto antiche, nell'ordine dei 10 miliardi di anni di vita, mentre solitamente gli astri più giovani si trovano nei bracci di spirale.

HE 0437 - 5439, pur facendo parte dell'alone galattico, ha solo 30 milioni di anni ed una massa di circa 8 volte quella del nostro Sole.

Utilizzando lo studio dello spostamento Doppler delle righe del suo spettro, si è calcolato che essa si sta allontanando da noi alla fantastica velocità di 723 km/s, pari a 2,6 milioni di km/h !

Questa elevatissima velocità farà sì che essa uscirà dalla nostra galassia, perdendosi definitivamente nello spazio intergalattico.

Con ogni probabilità il suo luogo di origine è la Grande Nube di Magellano, nostra galassia satellite, ed avrebbe costituito in passato un sistema binario con una sua compagna.

E' noto che allorchè un tale sistema di stelle s'avvicina troppo ad un buco nero, una delle due viene fagocitata da esso, mentre la restante viene espulsa ad altissima velocità.

Da ciò si deduce che anche in questa galassia, come altresì nella nostra, si dovrebbe trovare al centro, un buco nero supermassiccio, pari ad alcuni milioni di masse solari.

V'è un'altra ipotesi, l'astro potrebbe essere stato generato dalla fusione di due stelle molto calde e brillanti, appartenenti al gruppo delle " Blue stragglers ", stelle formatesi al centro di ammassi globulari.

In tal caso HE 0437 - 5439 avrebbe oltre che una diversa origine, anche un'età assai maggiore.

Per tale motivo gli scienziati dell'università di Norimberga, sfruttando uno dei quattro grandi telescopi da 8 metri di diametro del VLT ( Very Large Telescope ) in Cile, stanno effettuando una approfondita verifica delle due ipotesi.



LA LUCE FOSSILE DELLE PRIME STELLE

di M. Maestripieri

(tratto da Astronomia – Gennaio 2006 pag. 12)



E' assolutamente entusiasta l'astronomo A.Kashilinsky del Goddard Space Flight Center di Greenbelt (NASA), il quale asserisce di aver finalmente osservato la luce complessiva proveniente da milioni di oggetti cosmici, nati ai primordi dell'universo ed ormai definitivamente estinti.

Utilizzando la telecamera a raggi infrarossi IRAC del telescopio spaziale Spitzer, orientato su una regione di cielo della costellazione boreale del Drago, il team di Kashilinsky è riuscito a captare un tenue bagliore diffuso nell'infrarosso, che si ritiene giungere da antichissimi oggetti che illuminarono l'universo ai suoi primordi, gli astri di popolazione III o persino i gas incandescenti assorbiti dai primi buchi neri.

Gli astronomi del team hanno dovuto eliminare tutte le radiazioni provenienti dalle stelle già note, dalle galassie vicine e da tutti gli altri oggetti esistenti in quel settore, al fine di poter ottenere un'immagine, " pulita " da interferenze, del fondo cosmico.

Per far ciò sono state richieste al telescopio Spitzer prestazioni estreme ed H.Moseley, uno degli scienziati asserisce: " è stato veramente difficile eliminare la luce proveniente da tutte le sorgenti nel segnale che stavamo raccogliendo, sebbene lo strumento sia raffreddato con un circuito idraulico criogenico a temperature prossime allo zero assoluto, che permette di escludere tutto il rumore generato da altre sorgenti parassita ".

Il lavoro ha prodotto una fantastica istantanea di una porzione cosmica priva di alcuna traccia di astri o galassie, " tuttavia permeata da un diffuso chiarore infrarosso e da macchie luminose che riteniamo essere proprio i bagliori delle prime stelle ", spiega J.Mather.

I ricercatori suppongono che questi astri primordiali molto caldi, appartenenti alla popolazione III, siano stati caratterizzati da una massa enorme, pari ad alcune centinaia di volte il nostro Sole ed abbiano bruciato il loro combustibile molto velocemente, vivendo così alcuni milioni di anni soltanto.

Essi però hanno lasciato in eredità un'indelebile traccia nell'ultravioletto della loro breve vita.

Questa radiazione poi, a causa dell'espansione dell'universo, si è espansa fino a trasformarsi in infrarossa ed è pervenuta fino a noi.

Queste rilevazioni sono in linea con la famosa teoria del Big Bang; essa infatti ritiene che dopo l'immane esplosione primordiale che ha dato origine allo spazio al tempo ed alla materia, circa 13,7 miliardi di anni fa, siano passati altri 200 milioni di anni di universo oscuro, prima dell'accendersi delle prime stelle di popolazione III.

Il tutto è altresì supportato dalle osservazioni e dai dati forniti dal satellite WMAP ( Wilkinson Microwave Anisotropy Probe ), che ha stimato la comparsa dei primi astri in un intervallo temporale tra i 200 e 400 milioni di anni dopo il Big Bang.

Per ulteriore conferma i risultati ottenuti sono pure in perfetto accordo con le precedenti osservazioni fatte nel decennio precedente dalla sonda COBE ( Cosmic Background Exporer ).



RADIOPULSAR

SGR, AXP E RRAT

di M. Maestripieri

(tratto da Astronomia – Febbraio 2006 pag. 8)



Lo studio continuo sulle stelle di neutroni ha portato recentemente a nuove importanti scoperte.

Infatti dopo i primi rilevamenti di radiopulsar e di pulsar superveloci, con periodi di rotazione dell'ordine di pochi millisecondi, sono state individuati oggetti cosmici dello stesso tipo, facenti parte di sistemi binari, che ci consentono di testare accuratamente la teoria della relatività einsteniana.

Nella categoria delle radiopulsar vi sono pure gli SGR ( Soft Gamma Repeater ), che generano un'emissione di raggi gamma anche di notevole potenza, ripetuta ma saltuaria.

Gli SGR sono anch'essi stelle di neutroni che posseggono un periodo di rotazione maggiore delle pulsar normali ed un campo magnetico assai intenso.

Queste peculiarità sono le stesse che si riscontrano in un altro oggetto cosmico dello stesso genere, gli AXP ( Anomalous X-ray Pulsar ), definiti così perchè la loro produzione energetica è dovuta al campo magnetico e non alla loro velocità di rotazione intorno al loro asse.

Attualmente tra pulsar normali e veloci ne sono state individuate 1500, mentre quelle binarie, le SGR e le AXP sono nell'ordine della ventina o poco più ed un contributo fondamentale alla scoperta di nuovi oggetti di questo tipo viene dal radiotelescopio australiano di Parkes, che con un periodo di soli 250 secondi scandaglia e rileva le onde radio provenienti dalla regione di universo ove è puntato.

Durante la quotidiana analisi dei segnali radio ricevuti, gli astronomi australiani ne hanno individuato alcuni brevissimi ma assai potenti.

Eliminate le interferenze terrestri, poichè il segnale stesso si presentava " disperso " dagli elettroni che aveva dovuto incontrare nel suo lungo cammino, il team anglo-italo-australiano, dopo un'attenta indagine del settore cosmico in oggetto durata quattro anni, ha scoperto 11 oggetti che emettono segnali radio discontinui e di elevata intensità.

Tra le sorgenti analizzati, ve n'è una che produce emissioni giganti ogni 4', mentre un'altra definita pigra, ogni 3h, ma tutte sono caratterizzate da una frequenza nell'ordine temporale dei secondi o di multipli di essi.

Questa periodicità è una peculiarità delle stelle di neutroni di un tipo particolare e nuovo, che è stato classificato con il nome di RRAT ( Rotating Radio Transient ).

Esse emettono impulsi per un tempo di pochi millisecondi ogni poche decine di minuti e si ritiene che siano la famiglia più numerosa di stelle a neutroni della Via Lattea.

Lo studio di questa tipologia di stelle è solo all'inizio e si cerca di comprendere l'apparente paradosso di impulsi enormi prodotti, a fronte di una relativamente lenta rotazione sul loro asse.



IL 1° PIANETA DI TIPO TERRESTRE EXTRASOLARE

di M. Maestripieri

( tratto da " Le Stelle " Marzo 2006 - pag.9 )



Durante una ricerca ormai più che decennale, sono stati ormai scoperti più di 160 pianeti extrasolari di tipo gioviano e cioè strutturalmente dei giganti gassosi, ma fino ad oggi non si era ancora individuato un pianeta roccioso al di fuori del nostro Sistema Solare .

Il metodo usato è quello dello studio delle oscillazioni delle righe spettrali, generate per effetto Doppler, dalla rotazione di un astro attorno al centro di massa che possiede in comune con il pianeta da scoprire.

La difficoltà sinora riscontrata per trovare un pianeta di tipo roccioso come la Terra era dovuto al fatto che la sua massa è notevolmente inferiore ad un gigante gassoso e quindi le perturbazioni gravitazionali provocate da esso nel moto della sua stella sono assai più piccole e quindi di ardua individuazione.

Si è perciò messo a punto un nuovo metodo chiamato " microlensing gravitazionale ", che utilizza un fenomeno già previsto dalla Relatività Generale di Einstein.

Allorchè una stella passa nel suo moto di fronte ad un'altra, posta lungo il nostro asse visuale, la luce di quest'ultima viene intensificata dalla curvatura generata nello spazio-tempo e se accade che essa possegga nelle sue vicinanze un pianeta, nel diagramma del microlensing si produrrà un'anomalia caratteristica.

Dal tipo di deviazione evidenziata sul diagramma si potrà quindi studiare alcune peculiarità del suddetto pianeta.

A questo punto occorreva studiare un campo stellare favorevole ove cioè lo sfondo presentasse un'alta concentrazione di astri ed è quindi stato scelto di puntare gli strumenti verso il centro della nostre galassia, in direzione della costellazione del Sagittario.

Finalmente l'11 Luglio del 2005 il team di OGLE ( Optical Gravitational Lensing Experiment ) annuncia che si sta evidenziando un microlensing proprio nella direzione scelta.

Subito si affiancano ad OGLE altri gruppi internazionali, quali PLANET ( Probing Lensing Anomalie NETwork ), MOA ( Microlensing Observations in Astrophysics ) ed altre decine di studiosi dell'emisfero australe.

Il 31 Luglio dello stesso anno viene superato come previsto il picco di luminosità ed il 10 Agosto viene evidenziata sul diagramma un'anomalia che dura per circa 12 ore.

Qualche mese dopo, fatti i calcoli, viene pubblicato sull'illustre rivista scientifica " Nature " l'articolo prodotto da ben 73 autori, nel quale si da notizia della scoperta del 1* pianeta extrasolare di tipo roccioso, individuato a circa 20.000 AL dalla Terra e gli viene attribuito il nome assai complesso di " OGLE-2005-BLG-390Lb ".

La scoperta è molto importante, ma è solo il punto di partenza, infatti il corpo celeste in questione possiede delle caratteristiche assai sfavorevoli alla vita; esso infatti ruota attorno ad una stella nana ( 0,22 masse solari ) e fredda di tipo M ed è situato ad una distanza di 2,6 U.A. ( 1 U.A. = 150 milioni di km = distanza Sole - Terra ).

Risulta quindi evidente che questo pianeta di 5,5 masse terrestri, che riceve solo lo 0,1 % della radiazione che colpisce la Terra è un corpo assai freddo ed inospitale con una temperatura che si stima non dovrebbe superare i 50°K ( - 223°C ).

Dopo questa conferma sulla formazione planetaria, si ritiene che nei prossimi anni ne verranno individuati altri, specialmente orbitanti intorno a stelle gialle o giallo-arancione, cioè quelle della zona medio-bassa della Sequenza Principale del diagramma HR.



IL LAMPO GAMMA PIU' RECENTE

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Giugno 2006 - pag.10 )



Dopo l'importante scoperta del GRB980425 ( Gamma Ray Burst - rif. cap. 32 ) di lunga durata e più prossimo a noi, fatta appunto nell'aprile del 1998, il 18 febbraio di quest'anno il satellite Swift ne ha rilevato un altro, per mezzo del suo telescopio che agisce nelle frequenze dell'ultravioletto e nella banda ottica.

Il GRB si è verificato a 470 milioni di A.L. da noi in una piccola galassia della costellazione dell'Ariete ed è assai importante poichè lo strumento ha rilevato " l'afterglow ", cioè l'emissione energetica che segue il lampo gamma e che diminuisce nel tempo.

Come gli astrofisici avevano già rilevato nell'emissione del GRB del 1998, anche questo si ritiene che sia stato innescato da una supernova di tipo 1b/c, che è stata chiamata poi SN2006aj; infatti tre giorni dopo il lampo si è individuata la luce della supernova nelle stesse coordinate spaziali

Si ipotizza quindi che la supernova ed il successivo lampo sia generato dall'esplosione di una stella di grandi dimensioni, che provoca dei getti collimati di energia a velocità prossime a quella della luce.

Queste caratteristiche estreme generano quindi una rapida espansione che è indice di un'esplosione stellare di una potenza mostruosa.

Una delle caratteristiche peculiari di quest'ultimo GRB è che esso, a differenza di altri di lungo periodo, non si è verificato a distanze cosmologiche, cioè tra i 2 ed 12 miliardi di A.L., bensì ad una piccola distanza dal nostro sistema solare come il precedente del 1998, che si era verificato a soli 120 milioni di A.L.

Un'altra specificità di quest'ultimo lampo è che è durato molto, circa 30', ovvero 100 volte più di quelli abituali, ma pure l'energia emessa è risultata essere 100 volte minore degli stessi ed è stata emessa nella frequenza dei raggi X più che in quella dei raggi gamma.

E' stato creato quindi un nuovo nome per questa categoria di lampi, ovvero " X-ray flash ", cioè lampi a più bassa energia.

Dopo queste ultime scoperte, si ritiene che solo l'1% di supernovae di tipo 1b e 1c producano effettivamente lampi gamma o X e che questo fenomeno sia in correlazione alla maggiore o minore velocità di rotazione dell'astro massiccio, infatti l'energia rotazionale della stella può essere utilizzata, prima del suo collasso finale, per creare proprio quei getti ad alta energia e velocità, che producono il GRB.

Al contrario se la velocità di rotazione della stella è bassa, la maggior parte di questa energia va ad alimentare la supernova e non produce più il fascio collimato o getto caratteristico e quindi è incapace di emettere un GRB.

Per merito del telescopio a raggi X del satellite Swift, gli scienziati sono riusciti ad individuare, attraverso il suo spettro di emissione, una bolla di gas molto caldo prodotto dalla stella nel momento della sua esplosione finale e ciò conferma l'ipotesi che la progenitrice della supernova sia un astro compatto e massiccio di tipo Wolf-Rayet.


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GALASSIE NANE ULTRACOMPATTE

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Ottobre 2006 - pag. 26 )


Alla famiglia delle galassie di scarsa luminosità oltre alle ben note e numerose nane ellittiche, irregolari e sferoidali, si aggiungono ora , dopo i recenti studi ed osservazioni, quelle nane ultracompatte, denominate UCD ( Ultra Compact Dwarf ).Fra le ellittiche ricordiamo M32, galassia satellite della grande Andromeda ( M31 ), che è la galassia più vicina alla nostra Via Lattea e le galassie nane blu.

Gli spettri delle prime sono simili a quelli delle galassie ellittiche più grandi ( M84, 86, 87 nella Vergine ), mentre nelle seconde si trovano stelle più giovani ed una parte di stelle antiche a bassa luminosità.Le dimensioni di queste galassie nane sono di circa 1000 A.L.

Come accennato all'inizio, studiando ed osservando l'ammasso di galassie nella costellazione australe della Fornace, è stata individuata una nuova classe di galassie nane ancora più piccole delle suddette, sono stati infatti scoperti 5 oggetti cosmici che hanno dimensioni inferiori ai 300 A.L., appunto denominati UCD.

Queste minuscole galassie si sono formate in un habitat assai distruttivo, come è un ammasso di galassie ed hanno quindi perso gran parte del loro materiale originario a causa di intensi fenomeni gravitazionali e mareali subiti da parte di galassie più grandi.

Per verificare se questo tipo di galassie nane sono presenti anche in altri ammassi galattici, è stato sfruttato lo spettrografo multifibre " 2dF " dell' " Anglo-Australian Telescope ", che è stato puntato nella direzione del grande Ammasso della Vergine.

Sono stati selezionati circa 1500 oggetti aventi aspetto stellare, in un'area di 2 gradi quadrati e con al centro la enorme galassia ellittica M87, sono stati individuati anche qui ben 9 UCD, con diametri intorno ai 300 A.L.

Dopo questa importante conferma, si ipotizza che questi oggetti cosmici possano essere presenti in tutto l'Universo e contribuire a spiegare in una grande frazione della " massa mancante " od " oscura ".


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 MEGA AMMASSI DI GALASSIE

INTORNO A LONTANI BUCHI NERI

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Novembre 2006 - pag.29 )



Il satellite WMAP ( Wilkinson Microwave Anisotropy Probe ) ha rilevato le fluttuazioni di temperatura esistenti nella radiazione cosmica di fondo ( CMB ) nel campo delle microonde. Queste fluttuazioni sono interpretate dagli astrofisici come i germi primordiali che hanno generato le prime galassie e gli ammassi galattici.

Sono state così individuate alcune centinaia di galassie aventi un " redshift " z > 6, assai lontane e 12 quasar molto luminosi con z > 5,7, i quali fanno presupporre la presenza di buchi neri massicci dell'ordine di grandezza di 109 masse solari !

La fase in oggetto che si sta studiando, risale ad appena 1 miliardo di anni dopo il Big Bang e ciò implica elevati tassi di accrescimento in settori cosmici ad alta densità di materia.Le accurate elaborazioni computerizzate consentono di prevedere che questi quasar con redshift intorno al 6 siano situati al centro di aloni galattici di massa assai elevata, dell'ordine addirittura di 4 x 1012 masse solari !

Inoltre sono stati scoperti da poco ammassi galattici primordiali attorno a 2 radiogalassie dotate di un'elevata potenza e caratterizzate da " redshift " di 4.1 e 5,2 rispettivamente. Queste scoperte hanno implementato fortemente lo studio e la ricerca di altri ammassi galattici intorno a quasar radioemittenti, al fine di avere ulteriori conferme, e ne è stato rilevato infatti uno, avente un " redshift " z = 5,82 .

Questo quasar denominato SDSS J0836+0054 è attualmente quello più lontano e possiede una intensità luminosa elevatissima che fa ritenere che il suo buco nero al centro si di dimensioni mostruose, pari a circa 5 miliardi di soli !!!

La conferma alle rilevazioni fatte dal satellite WMAP si sono avute dalle foto scattate dalla camera ACS, montata sul telescopio spaziale Hubble. In esse è evidente la densità assai alta di strutture galattiche intorno al quasar, pari a 6 volte di più nei confronti della media.

Lo studio approfondito dei dati forniti da WMAP e da Hubble hanno permesso poi di accertare che queste galassie sono situate alla medesima distanza dal quasar e ciò fa ritenere che questa sovradensità si produca con il passare del tempo e conduca alla creazione di un ammasso galattico supermassiccio.

 



 MACHO : LE PREDIZIONI

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Gennaio 2007 - pag.26 )



Lo studio e la comprensione della natura della cosiddetta " Materia Oscura " è una delle sfide più impegnative ed affascinanti a cui si trovano di fronte attualmente gli astrofisici. A questo scopo essi, cercando di spiegare il motivo per il quale le galassie singole e gli ammassi galattici stanno coerentemente insieme, invece di disperdersi, hanno indagato sui MACHO ( Massive Compact Halo Object ), sulle WIMP ( Weakly Interacting Massive Particles ) e su altri oggetti cosmici.

Patrick Tisserand dell'Australian National University ed altri 37 ricercatori del team EROS-2 hanno riscontrato ultimamente effetti di microlente gravitazionale nella direzione delle Nubi di Magellano, le 2 galassie irregolari che fanno parte del nostro Gruppo Locale.

Questo fenomeno si verifica quando un corpo massiccio oscuro si frappone tra l'osservatore ed un astro posto al di là, provocando un momentaneo aumento di luminosità della stella medesima. Il team EROS-2 ha studiato 7 milioni di stelle brillanti di queste 2 galassie, al fine di individuare oggetti oscuri come i MACHO, eventualmente presenti nell'alone galattico.

Purtroppo è stato rilevato solo un probabile caso di questo tipo, risultato assai scarso rispetto alle previsioni che ritenevano molto alta la popolazione di questi oggetti.

Nell'anno 2000 Charles Alcock, capo del gruppo appunto denominato MACHO, investigando sui fenomeni di microlenti gravitazionali, aveva concluso che le nane bianche con massa pari a circa il 50% quella del nostro Sole, avrebbero potuto contribuire al 20% della massa oscura di un alone galattico, l'esperimento EROS-2 ne abbassa drasticamente la percentuale, portandola al 7% circa.

Questo notevole scostamento dei valori potrebbe però essere frutto dei diversi metodi adottati nelle 2 ricerche, mentre infatti l'esperimento MACHO ha studiato 11 milioni di stelle deboli in un'area di 13,4 gradi quadrati, lo studio EROS-2 ha osservato i 7 milioni di stelle brillanti in un campo di 84 gradi quadrati.


Conclude efficacemente Ben Oppenheimer dell'American Museum of Natural History asserendo : " La più semplice interpretazione di questi 2 risultati è che le nane bianche contribuiscono per il 3-4% alla massa dell'alone galattico ".



LA NANA BRUNA PIU' DEBOLE

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Gennaio 2007 - pag.27 )



Un team formato da astronomi statunitensi e cileni facendo uso del noto metodo della parallasse trigonometrica ( rif. Wikipedia ), è stato in grado di misurare la distanza di un corpo celeste freddo, molto probabilmente una Nana Bruna, chiamata DENIS J0255-4700.

Esso è risultato l'astro a noi più vicino fino ad ora conosciuto, appartenente a quel tipo di classe spettrale ed inoltre l'oggetto meno luminoso.

La sua magnitudine infatti è 100 milioni di volte inferiore a quella del nostro Sole, è del tipo spettrale L 7,5, fa parte dell'estesa costellazione dell'Eridano e possiede una temperatura di soli 1700°K ( 1427°C ).



LA DISTRIBUZIONE DELLA MATERIA OSCURA

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Marzo 2007 - pag.10 )



La Materia Oscura è quella parte della massa dell'Universo che non emettendo luce, manifesta però i suoi effetti gravirazionali e la sua natura rappresenta una delle sfide più ardue dell'astrofisica moderna. Da stime recenti viene calcolata in una percentuale vicina al 90% di tutta la massa cosmica. La storia della Materia Oscura risale al 1930 ad opera dell'astronomo F.Zwicky che, calcolando l'intera massa di un ammasso di galassie scoprì che essa era 400 volte superiore alla somma della massa totale delle stelle nelle galassie.

Un'ulteriore conferma dell'esistenza di tale materia è fornita dal fatto che le stelle situate nei bracci esterni delle galassie a spirale non vengano espulse pur avendo una velocità orbitale di 200 km/s, 4 volte superiore alla velocità di fuga che si avrebbe considerando solo la materia luminosa.

Sono state avanzate diverse teorie sulla natura di questo tipo di materia che pervade l'universo, tra cui le particelle subatomiche WIMP ( Weakly Interacting Massive Particles ), i MACHO ( Massive Compact Halo Object ), oggetti di grande massa situati negli aloni galattici, i buchi neri e le nane brune; sfortunatamente per ora i nostri mezzi ci impediscono di osservarli e stabilirne quindi un'esatta distribuzione nel cosmo.

Ultimamente tuttavia un team di 70 astronomi del CALTECH e dell'Università della California sono riusciti, sfruttando i dati del telescopio spaziale Hubble, del satellite europeo XXM/Newton e dei più grandi telescopi basati a terra, ad elaborare una mappa tridimensionale di distribuzione di questa materia in una zona specifica dell'Universo.

Essi hanno studiato, durante il progetto COSMOS, una zona cosmica pari a 9 volte la superficie della Luna piena e, sfruttando gli effetti di distorsione spaziale ed amplificazione luminosa, causati da fenomeni di " lente gravitazionale ", sono stati in grado di tracciare una distribuzione di questa materia oscura. In questa mappa risulta evidente che la materia visibile si addensa attorno ad " impalcature " filamentose costituite da materia oscura, quasi fosse un'immensa spugna.

Questa distribuzione è in accordo con le teorie standard sulla creazione del nostro Universo, esse infatti hanno evidenziato come, poco dopo il Big Bang, i 2 tipi di materia fossero miscelate completamente, mentre in una fase successiva la materia oscura avrebbe generato il collasso della materia luminosa e la sua distribuzione spaziale.

Risulta quindi dai dati elaborati, che la materia luminosa sia permeata e si addensi in zone preferenziali ove v'è presenza di quella oscura, la quale però essendo assai in eccesso, può trovarsi anche isolata in altre aree. V'è un'immagine assai suggestiva ed esenplificativa di tutto ciò, è come se noi osservassimo l' emisfero terrestre non illuminato dallo spazio, evidentemente vedremmo la luce dei grandi centri urbani ma non potremmo vedere gli oceani ed i deserti che rappresentano più del 70% della superficie del nostro pianeta.

La zona di cielo studiata è di 1,6 gradi quadrati, pari ad un'area di 80 milioni di A.L. di diametro e la mappa tridimensionale che ne è stata ricavata ci fa vedere l'evoluzione temporale della materia oscura. Le galassie e gli ammassi sono stati divisi in 3 " gusci ", il 1° e più esterno, è situato ad una distanza di 6,5 miliardi di A.L. successivamente la materia oscura si è addensata in queste già citate strutture filamentose, che hanno supportato il successivo aumento di densità della materia luminosa attorno ad esse.


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 LE PRIME GALASSIE DELL'UNIVERSO

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Maggio 2007 - pag.26 )



Tramite il telescopio spaziale Hubble ed il nuovo Spitzer a raggi infrarossi gli astronomi sono riusciti a studiare due piccole galassie già scoperte in precedenza dalla camera HUDF ( Ultra Deep Field ) dell'Hubble.
Il loro redshift è il più elevato tra gli oggetti cosmici finora individuati ed è pari a 7, ovvero si presentano a noi come erano 750 milioni dopo il Big Bang.

Effettuando poi le misurazioni della loro emissione luminosa, gli scienziati del Carnegie Observatories, sono riusciti a stimare la massa delle due piccole galassie che è solo l'1% di quella della nostra Via Lattea.

Inoltre è stato eseguito anche lo studio dei loro colori che fanno dedurre che la formazione stellare all'interno avvenne tra i 50 ed i 350 milioni di anni prima, spostando quindi considerevolmente indietro la datazione dell'inizio della creazione di oggetti astrali. Queste scoperte confortano quindi la tesi che le grandi strutture galattiche si siano formate molto rapidamente nel giovane Universo.


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STELLE CATACLISMICHE ESTINTE

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Maggio 2007 - pag.11 )



Vi sono nell'Universo molti tipi di stelle variabili cataclismiche : le novae, le novae nane ed altre simili. Normalmente la loro configurazione si presenta come un sistema binario, formato da un astro di grande massa, che orbita attorno ad una nana bianca calda. Quest'ultima sottrae continuamente gas e polveri alla sua compagna fino a ridurla allo stadio di nana bruna, cessando quindi di essere una stella.

La trasformazione in nana bruna avviene quando la stella suddetta scende al di sotto del 7,2% della massa del nostro Sole, ovvero 75 volte la massa di Giove, a questo punto l'astro non ò più in grado di produrre l'energia necessaria tramite la trasformazione dell'idrogeno in elio e quindi comincia a raffreddarsi.

La non stella ormai termina quindi di espellere la sua materia nello spazio circostante, non alimentando più così il disco di accrescimento formatosi precedentemente attorno alla nana bianca e finendo quindi la variabilità del sistema. Fino ad ora sono stati scoperti 1600 stelle cataclismiche, ma poche sono quelle che si suppone posseggano come compagna una nana bruna, una di esse è la EF Eridani.

Ultimamente un gruppo di astronomi inglesi ha scoperto un sistema per rilevare con chiarezza l'identità di una stella cataclismica nella sua fase di raffreddamento, essi infatti hanno studiato gli archivi della Sloan Digital Sky Survey che posseggono i dati fotometrici a 5 colori di moltissimi astri e finalmente sono riusciti a trovarne una.

La candidata è la stella di magnitudine 19, denominata SDSS 1035, che si trova nella costellazione del Leone, è un sistema binario ed ha un periodo orbitale di 82'.

Il team inglese., utilizzando l'Ultracam del telescopio W.Herschel da 4,2 mt, ha studiato le eclissi del sistema binario ed ha scoperto che la nana bianca possiede una massa pari al 94% di quella solare è grande quasi quanto la nostra Terra ( il 95% ), mentre la sua grande compagna ha ormai una massa circa 55 volte quella di Giove, ormai tale da essere impossibile l'innescarsi delle reazioni nucleari.


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IL PIANETA GLIESE 581d

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Agosto-Settembre 2007 - pag.13 )


Gli astronomi avevano annunciato nell'Aprile di quest'anno di avere scoperto un pianeta di tipo terrestre presso la nana rossa Gliese 581, situata nella costellazione della Bilancia, nella sua zona di abitabilità e lo avevano denominato Gliese 581c. Ora però gli stessi scienziati fanno un " errata corrige ", precisando che il corpo in questione non è il suddetto, ma quello a lui vicino, denominato Gliese 581d.

Approfondendo gli studi di questo sistema stellare, si sono resi conto che Gliese 581c sarebbe troppo vicino al suo astro per essere in grado di possedere acqua allo stato liquido sulla sua superficie, mentre al contrario il pianeta vicino, appunto Gliese 581d, pur trovandosi di poco fuori della zona di abitabilità, presenterebbe le caratteristiche del candidato giusto.

Il team di astronomi dell'Osservatorio di Ginevra, sostiene infatti che, mentre Gliese 581c, a causa dell'elevato calore, sarebbe più un pianeta di tipo venusiano, con un accentuato effetto serra, il secondo, pur possedendo una massa 8 volte maggiore della Terra, avrebbe caratteristiche termiche più simili ad un pianeta roccioso di tipo terrestre.


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ALTAIR

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Agosto-Settembre 2007 - pag.10 )


Questa stella è la dodicesima più luminosa del cielo ed è la a della costellazione dell'Aquila, che forma con il Cigno e la Lira il famoso " Triangolo Estivo " Il suo nome, come molte altre, deriva dall'arabo " al-nasr al-ta'ir " che significa appunto " l'aquila volante " ; possiede una magnitudine apparente pari a 0,77 ed è distante da noi solo, si fa per dire, 16,73 AL.

E' stata studiata e fotografata ormai da lungo tempo, ma ultimamente, grazie alla rete interferometrica di telescopi CHARA ( Center of High Angular Resolution Astronomy ), un team dell'Università del Michigan, è stata in grado di ottenere una sua immagine infrarossa alla lunghezza d'onda di 2,2 micrometri e con una risoluzione angolare assai elevata, inferiore ad 1 millesimo di secondo di arco.

Queste osservazioni hanno consentito di confermare che Altair possiede una forma sferoidale schiacciata, a causa della sua rapidissima rotazione intorno al suo asse e che il suo diametro equatoriale è superiore addirittura del 20% rispetto a quello polare! E' diventata quindi più simile ad un'anguria che ad una sfera.

La sua massa è 1,7 masse solari e la sua temperatura è di 8000°K, cioè 2000°k superiore a quella superficiale del Sole, la velocità di rotazione è elevata, 300km/s, ( il Sole ne ha una di soli 2km/s ) ed il suo periodo rotazionale è di 6,5 ore.

Tramite questa tecnica interferometrica ha permesso, combinando 4 telescopi di 1m. di apertura, di ottenere una risoluzione assai alta, quella che si avrebbe con un telescopio enorme con un diametro di 250 metri! Le immagini ottenute forniscono quindi dei dettagli dell'astro superiori di 100 volte a quelle che si otterrebbero con il telescopio Hubble!

Lo studio accurato dei dati ha evidenziato che la temperatura superficiale della stella non è ovviamente uniforme, stante l'elevatissima rotazione, ma è più bassa bassa all'equatore che ai poli, infatti, dato lo schiacciamento, la zona equatoriale è più distante dal nucleo, ove si producono le reazioni di fusione dell'idrogeno. Il colore della fascia equatoriale è quindi più scura e fredda rispetto a quelle alle alte latitudini e ciò viene denominato " oscuramento gravitazionale ".


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LA CODA DI MIRA CETI

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Ottobre 2007 - pag.14 )


Mira Ceti, la ben nota variabile della costellazione della Balena, è stata scoperta nel 1596 dall'astronomo D. Fabricius. Si riteneva ormai che non presentasse più sorprese ed invece, grazie al satellite americano Galaxy Evolution Explorer, si è giunti ad un'importantissima scoperta, la stella in questione si lascia dietro di sè una imponente scia di gas e materia, quasi fosse un motoscafo od una vecchia locomotiva.

Il periodo di variabilità di Mira ( " meravigliosa " od " Omicron Ceti " ) è di circa 332 giorni ( variabile di lungo periodo ) ed è situata ad una distanza di 350 A.L. dal nostro Sistema Solare. Trattasi di una gigante rossa pulsante, quindi nella metà finale della sua vita, molto espansa, che perde materia nel suo moto veloce ( 130 km/s ) attraverso la nostra Galassia.

La causa di questa perdita di materia è dovuta al campo gravitazionale della sua compagna Mira B, una " nana bianca ", che le ruota intorno con un periodo di circa 500 anni. Si riteneva fino ad oggi che la materia strappatale andasse a finire in un disco di accrescimento o direttamente verso la piccola compagna, ma non è così, infatti l'Explorer ha evidenziato che gran parte di essa forma una " coda " dietro il suo passaggio.

La similitudine con un motoscafo o con uno spazzaneve rende bene l'idea, infatti nel suo movimento assai veloce, la stella provoca davanti a sè un'onda di prua, facendo sì che il materiale interstellare le si accumuli davanti e per compressione si riscaldi fino alla bella temperatura di 500.000°K!

Ovviamente questo gas ad elevatissima temperatura eccita l'idrogeno molecolare della stella, che si spande formando turbini e mulinelli dietro di essa, restando però uniforme e perdendo infine la sua energia emettendo radiazioni ultraviolette. Questa imponente " coda " si estende per 2° che corrispondono ad un valore di ben 13 A.L!

L'immensa scia in oggetto, che a differenza di quelle formate da altre giganti rosse come R Hydrae, emette soltanto nell'ultravioletto lontano e non nell'infrarosso ed è stata creata in un arco temporale di 30.000 anni, perdendo una quantità di materia e gas pari ad una massa terrestre ogni 10 anni.

Approfondendo l'analisi della coda si evince che i picchi di perdita di massa avvengono con una certa regolarità ogni 5.000 anni e come affermano gli autori dello studio, ci troviamo di fronte ad una specie di nastro magnetico che ha registrato le variazioni di emissioni di massa nelle epoche passate, ad un resto fossile cioè dell'evoluzione di una stella che si trova ormai verso la fine della sua esistenza, al di fuori quindi della Sequenza Principale del diagramma HR.


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LA DISTANZA DI M 42

di M. Maestripieri

( Tratto da " Coelum " Novembre 2007 - pag.22 )


La famosa Nebulosa di Orione è molto più vicina a noi! Gli astronomi, utilizzando la rete di 10 radiotelescopi lunghi 25 m installati nel mondo, denominata VLBA ( Very Long Baseline Array ), hanno scoperto che la famosa Nebulosa di Orione è assai più vicina al nostro Sistema Solare.

G. Bower della Università di Berkeley afferma : " le misure del VLBA hanno cambiato la distanza della Nebulosa di Orione e con essa stanno cambiando le nostre valutazioni su luminosità, età e dimensioni reali delle stelle in essa contenute ".

E' risultato infatti che la sua distanza è di 1270 +/-76 A.L. invece del valore precedente di 1565 +/- 266 A.L. una diminuzione cioè del 20%, pari a qualcosa come 300 A.L. Lo stesso discorso va fatto per Le Pleiadi ( M 45 ), anche in questo caso il satellite Hipparcos ha evidenziato una minor distanza del 10 -20%, rispetto a quella ricavata col metodo della parallasse.

Tali evidenze sono state possibili, effettuando misurazioni, da parte del VLBA, sulla parallasse annuale della radiosorgente GMR A che fa parte della Nebulosa. Le implicazioni di questi nuovi dati ovviamente riducono la luminosità intrinseca delle stelle del Trapezio e di tutto il gruppo di circa 1,5 volte, mentre la loro età viene ad essere perlomeno il doppio di quella che si riteneva fino ad oggi.

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UN SISTEMA EXTRASOLARE

" ORGANICO "

( Tratto da " Nuovo Orione " Febbraio 2008 - pag.28 )

 

Ultimamente un team di astronomi americani, tra cui John Debes, Alycia Weinberger della Carnegie Institution e Glenn Schneider dell'Università dell'Arizona, hanno scoperto, fatto assai importante, la presenza di molecole organiche complesse nel disco di polvere rossa che circonda la stella HR 4796A, molto giovane, avendo un'età di soli 8 milioni di anni e che si trova nel suo stadio terminale del processo di formazione ed aggregazione planetaria.

Ciò è stato possibile, sfruttando le potenzialità dello spettrometro " Near Infrared Multi Object " posto a bordo del telescopio spaziale Hubble.

Questi scienziati ritengono quindi che la creazione dei " mattoni " basici della vita, sia un processo, come quello avvenuto per il nostro Sistema Solare, per nulla episodico, bensì comune ad altri sistemi planetari.

Le dimensioni di questo disco di polveri sono notevoli, è largo infatti 21 miliardi di km ed ha uno spessore di 2,5 miliardi; lo studio del suo spettro ha consentito di scoprire in esso la presenza di grandi molecole organiche, le " toline ".

Queste molecole non si trovano attualmente nella nostra atmosfera, poichè l'ossigeno le decomporrebbe, ma si ritiene che esse fossero presenti nell'atmosfera primordiale del nostro pianeta e fatto che conforta ancor più questa tesi, è che esse sono state individuate su Titano, una delle lune di Saturno e su alcune comete.

L'astro oggetto di questo studio è situato nella costellazione australe del Centauro, ad una distanza dal nostro Sistema Solare di circa 220 A.L. ha una massa doppia del nostro Sole, è 2 volte più caldo e 20 volte più luminoso.

Il complesso stella + disco di polveri in rotazione viene considerato un classico esempio di sistema planetario in formazione, osservato nel tempo iniziale della sua formazione planetaria, tramite collisioni ed aggregazioni.

La polvere rossa è infatti prodotta da  urti di corpi piccoli, quali comete ed asteroidi, che presentano nella loro struttura chimica, materiale organico, un pò come avvenne ai primordi per il nostro Sistema Solare.

Sono proprio questi " planetesimi " che forniscono i cosidetti " mattoni " per la nascita della vita organica.

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UN BUCO NERO STERILIZZA

UN'INTERA GALASSIA !

( Tratto da " Nuovo Orione " Febbraio 2008 - pag.29 )

 

Una scoperta molto importante ai fini dello studio accurato dei fenomeni che si sviluppano a causa della singolarità cosmica che prende il nome di " buco nero ". è stata fatta negli ultimi tempi, utilizzando vari telescopi quali : L'Hubble Telescope, l'X Chandra nei raggi x e lo Spitzer nella banda infrarossa.

Nel complesso delle due galassie note come 3C321, che si trovano ad 1.4 A.L. da noi, si è riusciti ad individuare un enorme buco nero all'interno della galassia principale, dal quale si estende un mostruoso getto composto di energia e particelle, della grandezza stimata di 850.000 A.L !!!

Sfortunatamente la galassia secondaria si trova a non più di 20.000 A.L. dalla sua compagna primaria ed è quindi sottoposta ad un intensissimo flusso di radiazioni.

Questo getto avrebbe quindi potuto provocare una totale sterilizzazione delle forme viventi che si fossero trovate in pianeti di tipo terrestre, presenti in queste galassie.

D. Evans dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics afferma : " abbiamo tante testimonianze di getti prodotti da buchi neri , ma è la prima volta che ve ne è uno così tanto potente da protendersi fino a da una galassia all'altra."

Questi immani getti sono generati da " buchi neri supermassivi " allorquando il mix di materia-energia cade al loro interno e vengono sparati nello spazio alla fantastica velocità del 95% di quella della luce ( 280.000 km/s ) !

Questo drammatico fenomeno provoca la creazione di una grande quantità di raggi x e gamma che sono in grado di uccidere ogni eventuale forma di vita e da quanto si evince dallo studio, gli scienziati ritengono che si sia prodotto in un'era recente, non più di 1 milione di anni fa.

 

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UN GAMMA RAY BURST

DA RECORD

( Tratto da " Nuovo Orione " Maggio 2008 - pag.27 )

 

Il 19  Marzo di quest'anno il satellite Swift della NASA è stato in grado di rilevare il Lampo Gamma più potente che sia mai stato osservato a tutt'oggi.

Questa immane esplosione si è verificata nella costellazione di Bootes e dalla misurazione effettuata dello spostamento verso il rosso di questa radiazione, gli scienziati sono stati in grado di stabilire che essa proveniva dalla ragguardevole distanza di 7,5 miliardi di A.L.

Il " mostro " in questione è stato denominato GRB 0803198 ed è stato provocato, come per fenomeni analoghi, dal collasso gravitazionale di un astro supermassiccio in un buco nero.

All'atto dell'immane esplosione Swift era ovviamente collegato in automatico con una serie di telescopi situati a terra, i quali hanno potuto quindi osservare l'afterglow, ovvero la luminosità emessa dal mezzo interstellare circostante, che veniva colpito dalla radiazione gamma susseguente.

L'intensità luminosa rilevata è stata pari a 5,8 mag. il che avrebbe permesso l'osservazione del fenomeno addirittura ad occhio nudo !

Tenendo presente che l'oggetto più lontano visibile senza strumenti è la galassia di Andromeda ( M31 ), posta a soli, si fa per dire, 2,5 milioni di A.L. da noi, la visione ottica del GRB suddetto avrebbe permesso allo sguardo umano di spingersi nelle profondità del cosmo di ben 3.000 volte più oltre !

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IL BABY-PIANETA

( Tratto da " Nuovo Orione " Maggio 2008 - pag.27 )

 

Nella costante ricerca, incrementata in questi ultimi anni da miglioramenti significativi degli strumenti, di trovare nel nostro Universo pianeti di tipo terrestre o gioviano, gli scienziati della University of St. Andrews in Scozia, hanno scoperto nella costellazione del Toro un disco protoplanetario ( proplidi ) di polveri e gas in rotazione alla stella HL Tau che si ritiene abbia un'età di soli 100.000 anni.

In questo disco, sfruttando il fenomeno delle distorsioni gravitazionali prodotte sul moto dell'astro in questione da corpi ad esso vicini, gli astronomi del team hanno individuato quello che a tutt'oggi è il pianeta più giovane mai trovato.

Ha solo 1600 anni di vita ed è situato a 520 A.L. dal nostro sistema solare.

J.Graves, che è la coordinatrice del gruppo di studio " molto probabilmente la formazione del pianeta è stata innescata dal passaggio di una stella contigua, XZ Tau, che avrebbe destabilizzato gravitazionalmente il disco protoplanetario di HL Tau tanto da indurre il collasso di una regione del disco ".

Il baby-pianeta è stato chiamato HL Tau b ed è stato individuato a causa dell'interesse nutrito dal gruppo di scienziati scozzesi per la notevole brillantezza della nube in questione, che faceva ipotizzare la presenza in essa di pianeti in formazione.

Purtroppo il giovanissimo corpo cosmico, ancora immerso nel gas protoplanetario, dovrebbe divenire un pianeta gassoso con dimensioni 14 volte quelle del nostro Giove e non uno di tipo terrestre.

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IL MINI-BUCO NERO

( Tratto da " Nuovo Orione " Maggio 2008 - pag.27 )

 

Gli scienziati della NASA hanno scoperto quello che è il più piccolo buco nero mai osservato, la sua massa infatti è solo 3,8 volte quella del nostro Sole ed ha un diametro di appena 24 km.

N.Shaposhnikov del Goddard Space Flight Center di Greenbelt nel Maryland precisa: " il buco nero è veramente al limite, per molti anni gli astronomi hanno cercato le dimensioni minime possibili per questo tipo di oggetti, il nostro risultato è molto vicino a dare loro una risposta ".

Il buco nero in questione si trova nella costellazione australe dell'Ara, è stato denominato in funzione delle sue coordinate spaziali, XTE J1650-500 e venne scoperto dal satellite Rossi X-ray Timing Explorer della stessa NASA nel 2001.

L'oggetto cosmico fa parte di un sistema binario che comprende una normale stella ed è stato possibile individuarlo per mezzo di una nuova metodologia.

Questa utilizza il fatto che il gas che fa parte integrante del disco che circonda il buco nero, prima di cadervi dentro, superando l'orizzonte degli eventi, spiraleggia e subisce un elevato aumento di temperatura con emissione di raggi X.

La frequenza e l'intensità di questa emissione possiede un andamento quasi periodico ( QPO ) e per mezzo di tale tecnica il team ha esteso la ricerca ad altri sette buchi neri dello stesso tipo, tre dei quali sono già noti e di cui si conosce la loro massa tramite altri metodi di indagine.

Ciò viene fatto ovviamente per un controllo ulteriore dell'efficacia di questo nuovo mezzo scientifico.

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LA PRIMA FOTO

DI

UN PIANETA EXTRASOLARE

( Tratto da " Nuovo Orione " Novembre 2008 - pag.30 )

 

Un team di astronomi dell'Università di Toronto ( Canada ) ha fotografato per la prima volta nella storia un pianeta al di fuori del nostro Sistema Solare.

Fino a questo momento gli scienziati avevano dimostrato l'esistenza di pianeti extrasolari ruotanti intorno ad altre stelle, tramite metodi indiretti, quali le perturbazioni gravitazionali causate da essi sul moto dell'astro stesso, ma in questo storico caso il pianeta in oggetto è stato immortalato presso la stella dal nome assai complicato " 1RXS J160929.1-210524.

Ciò è stato possibile utilizzando il telescopio " Gemini North ", situato a Mauna Kea nelle isole Hawaii.

Il corpo celeste fotografato è del tipo gioviano, cioè un gigante gassoso, che possiede una massa ben 8 volte superiore del nostro Giove stesso ed ha una temperatura assai più elevata.

Il pianeta compie la sua orbita intorno alla sua stella simile al nostro Sole, ma molto più giovane ed il sistema si trova ad una distanza di 500 A.L. da noi.

Utilizzando l'analisi spettroscopica si sono poi scoperte altre sue peculiarità, nella sua atmosfera infatti sono presenti  tracce di acqua ed anidride carbonica, mentre la sua orbita è un ellisse molto allungata nel suo diametro maggiore, il pianeta si allontana dal suo astro fino ad una distanza pari ad 11 volte quella di Nettuno dal nostro Sole.

 

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BABY BOOM

( Tratto da " Nuovo Orione " Novembre 2008 - pag.32 )

 

Un nutrito gruppo di telescopi quali quelli spaziali come Hubble nel visibile e Spitzer nell'infrarosso, quelli posti a terra come il Subaru, il James Clark Maxwell ed il Keck posti a Mauna Kea ed inoltre il radiotelescopio VLT ( Very Large Array ) nel Nuovo Messico, si è riunito per investigare uno stranissimo fenomeno che sta avvenendo in una lontana galassia, posta ai confini più remoti del nostro Universo.

In questo oggetto cosmico che è stato chiamato in modo assai appropriato " Baby Boom ", si assiste ad una produzione enorme di nuove stelle, circa 4000 all'anno, quando la nostra tranquilla Via Lattea ne produce al più 10.

La classe di appartenenza della Baby Boom viene denominata " starburst ", caratterizzata da un elevato tasso di creazione di stelle, ma questa ha raggiunto un vero record !

Un'altra sua peculiarità è data dal fatto che questi giovani astri posseggono una brillantezza insolita.

La Baby Boom, come detto, si trova assai lontana da noi, a circa 12,3 miliardi di A.L. è quindi una delle prime formatesi nel cosmo, quando cioè il nostro giovane Universo aveva solo 1,4 miliardi di anni.

Tramite il VLT si è scoperto con esattezza il grado di produzione di stelle e si è valutato che se continuerà così, in soli 50 milioni di anni la galassia arriverebbe a possedere una quantità di astri pari a quello delle galassie più massicce quali il " mostro " M84 nella Vergine.

Questo fenomeno ovviamente fa sorgere agli astrofisici nuove domande, è un caso cioè isolato nell'Universo dei primordi ovvero può rappresentare la regola ?

Si sta attualmente cercando di dare una risposta affinchè si sia in grado di fornire un sempre più preciso modello di creazione ed evoluzione galattica.

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LA ZONA MORTA

GALATTICA

( Tratto da " Le Stelle " Dicembre 2008 )

 

Le regioni di una qualunque galassia a spirale denominate " molecolari " sono ritenute i mattoni fondamentali per il sorgere della vita.

In queste zone, situate nei dischi esterni della galassia stessa sono presenti gli idrocarburi policiclici aromatici ( PAH ),come il pyrene ed il corannulene,  che sono il segnale inequivocabile di una chimica organica complessa.

Nella nostra Via Lattea questi composti sono infatti molto abbondanti specialmente nei bracci più esterni, come il nostro denominato di Orione.

Utilizzando il telescopio Spitzer, in orbita, che opera nell'infrarosso, gli astrofisici hanno scoperto al contrario, che nelle aree esterne della galassia M 101, nella costellazione dell'Orsa Maggiore, questi idrocarburi sono assai rari.

La spiegazione di questo fenomeno è da addebitare alla notevole radiazione ionizzante prodotta dai caldi settori ove avviene la formazione stellare.

Gli astri " caldi ", come quelli del tipo Wolf-Rayet e le giganti blu, che si caratterizzano per una scarsa presenza di elementi pesanti, quali carbonio, ossigeno, magnesio silicio e ferro, se nascono infatti nei bracci esterni di una galassia, producono delle intense radiazioni che sterilizzano le zone circostanti.

Questo forte vento interstellare impedisce quindi la formazione di quegli idrocarburi che tanto furono importanti ai primordi della nostra galassia per l'innesco di ogni forma vitale.

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IL FLASH

DI ETA CARINAE

( Tratto da " Le Stelle " Dicembre 2008 )

 

Eta Carinae, megastella della costellazione australe appunto della Carena, ha da sempre creato curiosità ed interesse scientifico a causa della sua peculiarità.

E' infatti non solo uno degli astri di più grande massa ( 100 masse solari ), facenti parte della nostra Via Lattea, ma anche più brillanti, ben 5 milioni di volte più del nostro tranquillo Sole e più dotati di una spiccata instabilità.

In un recente passato alcuni astrofisici ritenevano questo singolare astro, prossimo ad una fine devastante ed esplosiva, come tutti quelli di grande massa che danno origine ad una supernova ed in seguito ad un buco nero, ma ora si è compreso che il termine della sua esistenza non è poi così vicina.

L'astro in oggetto durante i milioni di anni della sua esistenza ha creato attorno a sè una nebulosa di gas ad emissione ( NGC 3372 ) che è addirittura più estesa e splendente della ben nota nebulosa di Orione ( M 42 ), occupa infatti otticamente 2° di cielo, 4 volte più della nostra vicina Luna.

La produzione di gas arriva ad una massa equivalente al nostro non piccolo Giove all'anno e si estrinseca in un imponente vento interstellare.

Come quella di Orione, la nebulosa di Eta Carinae è una splendida culla e nutrice di giovani astri in formazione.

La stella al centro della nebulosa ( Homunculus Nebula ) brucia intensamente nelle sue zone interne il materiale che poi viene espulso e possiede una precisa tempistica nei suoi fenomeni evolutivi, ogni 5,5 anni modifica il suo spettro di emissione nella banda X.

Quasi fosse un orologio cosmico questi mutamenti periodici, chiamati appunto " evento di Eta Carinae ", fa presupporre agli scienziati che una sua stella compagna, nascosta da tale volume di emissioni, venga attratta dal " mostro " in oggetto in un'orbita a cappio e penetri nel massivo vento stellare.

Data la regolarità del fenomeno, si prevede che si verifichi il prossimo anno.

 

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IL BUCO NERO

DELLA VIA LATTEA

di M. Maestripieri

( Tratto da " Le Stelle " Gennaio 2009 )

 

La nostra cara Galassia, chiamata anche Via Lattea, pur non rientrando tra le galassie cosiddette attive, cioè ospitanti al loro centro un AGN, ovvero un nucleo attivo galattico in grado di emettere un'enorme quantità di energia, possiede anch'essa un ragguardevole SMBH ( Buco Nero Supermassiccio ), posto nella costellazione del Sagittario, chiamato  Sgr A*.

La sua posizione esatta è J2000,00 ossia tradotto in coordinate equatoriali a = 17h,45m,40s ; d = -29°, 0', 28" e la sua massa è stata stimata in 3,7 milioni di masse solari ed è contenuta in un volume sferico di raggio di 45 UA ( 1 UA = 150 milioni di Km ).

Nel 2001 è stata trovata un'altra conferma della sua esistenza poichè sono stati osservati dei repentini brillamenti ( flare ) nelle bande dell'infrarosso e dei raggi X.

Le radiazioni non provengono dal buco nero stesso ma dalla zona circostante del disco di accrescimento il cui materiale sta cadendo all'interno dello stesso, poco prima di oltrepassare l'orizzonte degli eventi.

Effettuando delle misurazioni con la tecnica interferometrica VLBI ( Very Long Baseline Interferometry  ) nelle onde radio sono state ricavate le prime foto dell'orizzonte degli eventi, il cui diametro è circa di 44 milioni di km e ciò fornisce la quasi certezza dell'esistenza del buco nero.

Le misurazioni precedenti che riguardano il mostro centrale della nostra galassia per quello che concerne la sua massa sono state rettificate in aumento, da un team di astronomi dell'Università della California ( UCLA ), infatti la massa stessa è risultata di 4,5 +- 0,4 milioni di masse solari.

Gli scienziati per questa indagine hanno utilizzato i più grandi telescopi dotati di ottica adattiva al fine di determinare le orbite delle stelle più vicine al buco nero e la grandezza dell'immagine ricavata è pari a 0,85 secondi d'arco che corrispondono a 0,11 anni luce, cioè 7.000 UA.

L'enorme gravità del mostro  obbliga questi astri a percorrere le loro orbite ad elevata velocità ( da 4.000 ad 8.000 km/s ) ed il calcolo delle stesse ha permesso di calcolare la distanza del buco nero da noi, pari a 27.400 +- 1.300 anni luce. 

 

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IL LAMPO GAMMA PIU’ LONTANO

( tratto da “Coelum” - giugno 2009 – pag.23 )

Mauro Maestripieri

  

Il telescopio montato sul satellite Swift, ha registrato il  23 aprile scorso il lampo gamma o GRB ( Gamma Ray Burst ) dell’oggetto cosmico più lontano da noi fino ad ora mai osservato.

 Si tratta dell’esplosione tipo supernova, di una stella gigante, facente parte di una galassia primordiale, posta alla considerevole distanza di ben 13 miliardi di A.L.

 Il suo redshift è ovviamente il massimo mai registrato ed è pari a z = 8,2, l’evento in questione si è verificato solamente 630 milioni di anni dopo il Big Bang.

 Questo lampo è stato siglato GRB 090423 e sta rivoluzionando alcune convinzioni sulla nascita delle galassie, afferma infatti E. Berger dell’università di Harvard “ per prima cosa il lampo gamma dimostra che le stelle supergiganti esistevano senza dubbio già 13 miliardi di anni fa “.

 Nonostante Il tempo di emissione del lampo sia stato di 10 sec, tramite i rilevatori a terra come il telescopio Gemini North nelle Hawaii, si sono ottenute osservazioni nell’infrarosso oltre che negli UV, nei raggi X già effettuate dallo Swift.

 Assemblando tutte le osservazioni nelle varie lunghezze d’onda e confrontando i dati con quelli rilevati dagli altri osservatori quali il VLT, l’UKIRT, il TNG e quello spaziale FERMI, si è pervenuti alla stessa conclusione: l’evento è effettivamente avvenuto 13 miliardi di anni fa.

 Ciò che determina l’importanza di questo GRB, che di per sé è definito “ normale “, è il fatto che, come prosegue E. Berger “ l’Universo osservato alle più grandi distanze sembra mostrare fenomeni astronomici molto simili a quelli osservabili in epoche molto più recenti”.

 La distribuzione di questi Lampi Gamma è pressochè uniforme in un tempo che va da 100 milioni fino a 13 miliardi di A.L.

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LE GALASSIE NANE

 DELLA VIA LATTEA

 ( tratto da “Coelum” - giugno 2009 – pag.18 )

 Mauro Maestripieri

 

La famosa teoria della Gravitazione Universale newtoniana sta per essere messa in discussione dalla presenza delle piccole galassie satelliti della nostra Via Lattea.

La loro distribuzione infatti, secondo quanto sostenuto dall’equipe di astronomi di Bonn, sarebbe in contrasto con le suddette leggi di meccanica celeste, a meno di escludere la presenza della materia oscura dall’alone della nostra galassia.

Questo fatto contraddirebbe tutta la fisica astronomica che presuppone infatti l’esistenza sia di enormi quantitativi di materia denominata oscura perché “ invisibile “ e non interagente, sia di energia oscura.

 La percentuale infatti di tutta la materia barionica e quindi visibile a noi, risulta infatti non superiore al 4-5%, mentre il resto come nane brune, wimp, neutrini, etc..sono assolutamente non rilevabile attualmente.

 Gli astrofisici tedeschi hanno pubblicato un articolo sulla rivista “ Monthly Notices of the Royal Astronomical Society 2009 “, nel quale evidenziano che queste piccole galassie sono presenti in un numero assai inferiore a quello che sarebbe previsto dai modelli di cosmologia più accettati oggi.

Infatti intorno alla nostra Via Lattea sono state rilevate solo 30 galassie nane, distribuite in modo per nulla uniforme, 11 di esse, le più luminose, ruotano su un disco che attornia la nostra galassia e caratteristica peculiare, quasi tutte nella stessa direzione, come fanno i pianeti del nostro Sistema Solare.

Come prevede la teoria standard sulla formazione del nostro Universo, queste galassie nane si ritiene siano nate in seguito a collisioni tra quelle più grandi ai primordi del nostro cosmo, insomma sarebbero i loro detriti.

 La teoria degli astrofisici tedeschi non presuppone però l’esistenza della materia oscura in questi piccoli oggetti cosmici e ciò si pone in contrasto con i dati delle alte velocità delle stelle che li costituiscono.

 A questo punto si evince chiaramente che la teoria sulla Gravitazione Universale di Newton non è più in grado di spiegare in modo esauriente la fenomenologia di ciò che avviene al di fuori del nostro Sistema Solare, è perciò che per lo studio di oggetti cosmici che viaggiano ad elevatissime velocità si è dovuti passare alla Relatività Speciale di Einstein e per quelli di enorme massa alla sua Relatività Generale.

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NUOVI QUASAR

 ( tratto da “Le Stelle” - luglio 2009 – pag.28 )

 Mauro Maestripieri

  

Le moderne tecnologie ci permettono di osservare e scoprire oggetti cosmici distanti da noi 13 miliardi di A.L. con un redshift “z” superiore al 6.

Sono lontane galassie e quasar nati ai primordi del nostro Universo, circa 900 milioni di anni dopo il Big Bang.

Quest’era, detta della “reionizzazione” e che corrisponde appunto a z = 6, viene ritenuta assai significativa poiché in essa i nuclei attivi galattici ( AGN ) ed i quasar giocarono un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’Universo.

I quasar in particolare si rivelano di estrema utilità in quanto la loro intensa luminosità nella banda dell’ultravioletto, è analizzata quale luce di fondo che è stata assorbita dal gas interstellare, situato a differenti distanze che corrispondono a diversi periodi di tempo cosmico.

Le osservazioni astronomiche e lo studio in oggetto sono stati fatti a Mauna Kea nelle Hawaii, tramite il CFHT ( Canada-France-Hawaii Telescope ) ed hanno permesso di scoprire 6 nuovi quasar con un redshift z variabile da 5,6 a 6,2 l’intervallo appunto in cui si è sviluppata l’epoca della reionizzazione.

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IL NUOVO ANELLO DI EINSTEIN

 ( tratto da “Le Stelle” - luglio 2009 – pag.29 )

 Mauro Maestripieri

  

Un “anello di Einstein" è un peculiare fenomeno cosmico causato da una “lente gravitazionale”, come scoperto dall’illustre scienziato da cui prende il nome.

Quando dalla Terra osserviamo un astro lontanissimo a cui è sovrapposto sulla nostra linea visuale un altro corpo massiccio, la luce che ci perviene è deviata da quest’ultimo ed è per questo motivo che vediamo l’astro lontano sdoppiato, triplo ed in alcune condizioni pure quadruplo.

Questo è il fenomeno che va sotto il nome di lente gravitazionale.

Allorquando si verifica la formazione di un anello di Einstein completo di 360° l’oggetto cosmico retrostante alla galassia lente, viene amplificato notevolmente.

E’ un fenomeno raro nell’Universo, purtuttavia ultimamente ne è stato individuato uno che ha preso la complicata sigla SDSS J091949.16+342304.0.

La galassia lente è una nana sferoidale con un basso redshift z = 0,0375, che presenta una massa di solo 1012 masse solari e la sua gravità ha generato l’anello di Einstein integrale,del diametro di 6” d’arco.

L’oggetto posto dietro alla suddetta galassia che vediamo moltiplicato è un quasar anch’esso con un basso redshift z = 0,6842.

In questo caso l’immagine del suddetto quasar è stata triplicata e specificamente la prima si trova molto vicina al ncleo della galassia lente, mentre le altre due immagini sono nella zona sud dell’anello.  

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BUCHI NERI INTERMEDI:

LA CONFERMA

( tratto da “Coelum” - settembre 2009 )

 Mauro Maestripieri

 

Utilizzando il telescopio spaziale a raggi X  " XMM Newton ", il team di S.Farrell dell'Università di Leicester ha finalmente scoperto un buco nero di taglia intermedia, comprovando in tal modo le ipotesi sulla loro esistenza, fino ad ora formulate.

Già nel novembre 2004 il telescopio orbitante dell'Agenzia Spaziale Europea ( ESA ) aveva individuato un singolare oggetto cosmico e lo aveva chiamato " HLX-1 ", che significa " Hyper-Luminous X-Ray source 1 ".

Il buco nero in questione è stato localizzato presso la galassia " ESO 243-49 ", situata a circa 290 milioni di A.L. da noi, ha una massa pari a circa 500 volte quella del nostro Sole.

Le sue caratteristiche fisiche lo pongono nella fascia intermedia di grandezza, esso infatti non è troppo grande rispetto a quelli finora noti detti " supermassicci ", posti al centro delle galassie, con masse dell’ordine di milioni o miliardi di volte quella della nostra stella, oppure di dimensioni stellari (da 3 a 20 volte il Sole).

Qual’è la vera importanza della nuova identificazione? Si sa ormai molto bene che I buchi neri “piccoli” si formano per collasso gravitazionale di una stella particolarmente massiccia.

Alla fine della sua vita la stella esplode come supernova e quello che resta al centro si comprime fino a densità talmente alte da far sì che nemmeno la luce possa uscire dal residuo stellare; il classico buco nero, insomma.

Invece niente di sicuro si sapeva ancora sulla formazione dei buchi neri galattici posti al centro delle galassie, veri e propri motori energetici dell’intera struttura.

Si pensava che essi si creassero attraverso l’unione di molti buchi neri di dimensioni intermedie.

Ma per provare la teoria era necessario prima trovare questi oggetti! HLX-1 è proprio l’oggetto che fa al caso nostro per compiere un passo in avanti nella spiegazione dell’origine dei “mostri” che si posizionano al centro delle galassie.

E’ proprio l’anello mancante che si cercava.

La sua luminosità nella radiazione X (lunghezze d’onda pari a frazioni di milionesimo di millimetro) è stupefacente, fino a 260 milioni di volte quella del Sole.

La mancanza di una controparte ottica (ossia non si vede niente nel visibile) esclude la possibilità che l’oggetto sia una stella più vicina o una galassia molto più lontana.

La sua posizione nella galassia che lo ospita non è centrale, ma periferica, per cui non è sicuramente il motore della struttura.

L’unica spiegazione possibile è quindi quella di un buco nero 500 volte più massiccio del Sole.

E’ doveroso ricordare che già nel 2008 si era trovato un buco nero che poteva essere intermedio, posto però al centro della galassia REJ1034+396. Non era stato comunque possibile determinarne la massa.

Da  notizie aggiornate v'è ora un prossimo candidato che è situato all'interno dell'Ammasso Globulare M54 nella costellazione del Sagittario.

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GRUPPI FOSSILI GALATTICI

( tratto da “Le Stelle” - gennaio 2010 )

 Mauro Maestripieri

 

Questi sistemi galattici sono caratterizzati da un'elevatissima emissione nella banda X e sono peculiarmente costituiti da una galassia ellittica centrale, prodotto di fusione di galassie a spirale, e privi all'intorno di altre galassie brillanti nelle sue regioni interne.

Fino a poco tempo fa si pensava che questi complessi cosmici fossero il risultato di attività di cannibalismo tra galassie più grandi e di minori dimensioni, che per effetti gravitazionali e mareali erano state fagocitate e si erano fuse in unico sistema, ma ultimamente, grazie alla continua evoluzione strumentale, si è scoperto nella banda  X,  che il mezzo intergalattico di molti di questi gruppi galattici cosidetti fossili è molto simile a quello dei normalissimi e molto diffusi ammassi galattici ed è caratterizzato da altissime temperature e da un'elevata massa gravitazionale, assai superiore a quelli di semplici gruppi.

Uno dei più estesi e massicci di questo tipo di sistemi è l'HCG 62 ( Hickson Compact Group ) situato nella costellazione della Vergine ( foto acclusa)

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Fa parte di tutta una serie di gruppi galattici compatti  che hanno caratteristiche similari e che prendono il nome dal loro scopritore, l'astronomo canadese Paul Hickson ed il suo team.

Presso HCG 62, è situata la galassia ellittica NGC4761;  è molto importante lo studio di questi sistemi, come quelli della medesima tipologia, perchè essi rappresentano i mattoni fondamentali ed antichissimi di costruzione delle strutture cosmiche a grande scala del nostro Universo.

Il team di J.Vrtilek dell'Harvard Smithsonian Center for Astrophysics  ha studiato HCG 62 utilizzando la " Advanced CCD Imaging Spectrometer " del  telescopio spaziale Chandra, ed ha ottenuto questa foto poi elaborata in falsi colori-

Le zone nere e verdi sono quelle a  minor luminosità, mentre quelle  color rosso-porpora rappresentano le aree ad elevata emissione di raggi X e l'immagine ha un'estensione di circa 4 minuti d'arco.

Le 2 cavità simmetriche in alto a sinistra ed in basso a destra del centro del gruppo, sono generate da getti di particelle emessi dall'interno della galassia ellittica posta al centro dell'ammasso.

Recenti osservazioni nell'ottico e nella banda X del prototipo di questi gruppi, denominato RX J1340,6+4018 confermano che questa classe di sistemi cosmici sono in realtà veri e propri ammassi e sono molto più antichi di altri di massa simile e costituiscono una fase intermedia nell'evoluzione di un ammasso.

Il passo finale consisterà poi  nella caduta verso la zona centale di ulteriori galassie, posto che quella situata al centro abbia già inglobato quelle situate nelle sue immediate vicinanze

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NOVA NANA

VELOCEMENTE FLUTTUANTE

( tratto da “Le Stelle” - gennaio 2010 )

 Mauro Maestripieri

 

Il programma denominato con l'acronimo RAT ( Rapid Temporal Survey ) viene utilizzato per scoprire oggetti cosmici caratterizzati da variazioni di intensità luminosa assai rapidi, dell'ordine di pochi minuti fino ad alcune ore.

In particolare la ricerca si focalizza sulla scoperta di stelle binarie del tipo AM CVn ( Canes Venatici ), che hanno la peculiarità di essere delle variabili cataclismiche con periodi orbitali molto brevi ( inferiori a 70' ) e con una percentuale di idrogeno assai bassa.

Lo studio è inoltre orientato verso altri tipi di stelle variabili, come quelle pulsanti, le stelle a " flare " ( brillamento ), le binarie a contatto e quelle in accrescimento.

Nella fase iniziale, servendosi del telescopio Newton posizionato a Las Palmas ( Isole Canarie ), il programma ha consentito di scoprire già 40 nuove stelle variabili, a cui hanno fatto seguito altri oggetti dello stesso tipo nell'ordine del migliaio.

Queste nuove stelle hanno periodi orbitali che variano da alcune ore fino ad un minimo di 30' o meno e che quindi ricadono nella tipologia suddetta delle AM CVn.

Ultimamente è stato individuato un esotico sistema binario a cui è stato dato il nome di RAT J1953-1859 che presenta fluttuazioni di luminosità particolarmente insolite, infatti è costituito da una nova nana  cataclismica del tipo SU UMa ( Ursa Major ), che modifica la sua magnitudine di un fattore 0,3 nel breve spazio di tempo di 20' !

Approfondendo lo studio di questo sistema si è visto che la stella in questione aveva già aumentato di 4 volte la sua magnitudine dal momento della sua scoperta e che il suo periodo orbitale si è assestato su valori  più alti dai 70 ai 90 minuti.

E' ovvio che gli scienziati del progetto, data la singolarità della stella la stanno tenendo sotto costante osservazione al fine di una maggior comprensione del fenomeno.

 

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L'EVOLUZIONE della

" FORCHETTA GALATTICA "

di HUBBLE

( tratto da “Le Stelle” - Aprile 2010 )

 Mauro Maestripieri

 

Quando nel 1926 Edwin Hubble classificò le cosidette " Nebulae ", in realtà galassie propriamente dette, in funzione della loro forma, ovviamente con il progredire degli studi e delle osservazioni sempre più accurate questa classificazione si è assai sviluppata.

Sappiamo ormai che una galassia è un aggregato di astri che viene mantenuto insieme dalla forza di gravità della sua materia intrinseca; di essa è osservabile solo una minima parte, quella che emette  nell'ottico.

Le galassie sono costituite di solito da una sfera di bassa densità chiamata " alone ", che lungo la sezione di diametro massimo presenta un'area di alta densità stellare denominata " disco ", il quale a sua volta può possedere un rigonfiamento centrale, ove sono presenti uno o più buchi neri , chiamato " bulge ".

In funzione della loro forma le galassie sono : ellittiche, lenticolari, spirali normali e spirali barrate ed irregolari.

Nella " forchetta di Hubble " ( visibile sotto ), si parte dalle ellittiche " E0, E3, E7 ", poi le lenticolari " S0 " ed a questo punto vi è una biforcazione parallela, da una parte le spirali normali suddivise in " Sa, Sb, Sc ", dall'altra quelle barrate " SBa, SBb, SBc ".

Sulla parte all'estrema destra dell'immagine dobbiamo anche aggiungere le irregolari, che sono posizionate tra i 2 bracci.

Il gruppo di lavoro costituito dall'Osservatorio di Parigi, dal CNRS, dalla Technology University di Panama e dall'Accademia delle Scienze Cinese, diretto dall'astrofisico F.Hammer,  ha scoperto che ricostruendo 2 sequenze di Hubble da campioni preparati prima, si vede in modo inequivocabile che le galassie lontane e quindi più antiche, sono nella stragrande maggioranza irregolari, mentre quelle a spirale sono scarse.

L a percentuale si inverte drasticamente se invece si osservano quelle vicine e si nota altresì che il numero sovrabbondante delle spirali vicine corrisponde quasi a quello delle irregolari lontane in eccedenza, mentre quelle ellittiche e quelle lenticolari non mutano di molto tra il lontano passato e l'universo recente.

Parrebbe quindi che molte vecchie galassie irregolari si siano trasformate durante gli ultimi 6 miliardi di anni in galassie a spirale; questo fatto rivoluzionebbe completamente la vecchia teoria che semmai prevedeva il fenomeno contrario..

Al fine di evitare errori si sono ricontrollati i dati molteplici volte e scientificamente lo stesso Hammer ha effettuato un secondo studio, tramite simulazioni al computer, che ha evidenziato che lo scontro tra 2 galassie irregolari ricche di gas può generare galassie a spirale di grandi dimensioni con barra e bulge centrali e che le vecchie irregolari di appunto 6 miliardi di anni posseggono delle caratteristiche che le possono far ritenere come le progenitrici di quelle a spirale, a fusione galattica avvenuta.

Il risultato che ne deriva è che il 35%  delle galassie irregolari di 6 miliardi di anni fa abbia subito collisioni e fusioni che hanno generato le attuali a spirale; non solo, ma che le vecchie a spirale già costituite allora siano il prodotto di fusioni ancora antecedenti e che quindi la quasi totalità delle spirali stesse siano l'effetto di queste collisioni avvenute negli ultimi 8 miliardi di anni.

E' questo appunto il caso della celebre M31 o Andromeda, e questa scoperta ci fa ritenere che gli scontri galattici si siano prolungati ben più al di là di quello che si pensava, fino ad arrivare a pochi miliardi di anni fa.

La nostra Via Lattea ha una storia più antica invece, infatti le sue caratteristiche fanno pensare ad uno scontro avvenuto circa 10-11 miliardi di anni fa.

Proprietà conosciute delle galassie

Tipo

Massa (Sole=1)

Luminosità (Sole=1)

Diametro (kiloparsec)

Popolazioni stellari

Percentuale delle galassie osservate

Spirali e spirali barrate

da 109 a 1011

da 108 a 1010

5-250

disco: Popolazione I alone:Popolazione II

77%

Ellittiche

da 105 a 1013

da 105 a 1011

1-205

Popolazione II

20%

Irregolari

da 108 a 1010

da 107 a 109

1-10

Popolazione I

3%

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SCOPERTI NUOVI ASTRI

tipo "WR" ed "O"

( tratto da "Le Stelle " - Settembre 2010 )

Mauro Maestripieri

 

Il satellite Chandra ha scoperto ben 9017 fonti di raggi X in una porzione rettangolare di 2" x 0,8" arc attorno al nostro centro galattico, purtroppo data la posizione, la loro luce e la loro osservazione è assai complicata dalle intense quantità di polveri e gas che si frappongono.

Queste peculiari stelle sono soggette a notevoli mutazioni e fenomeni quali sistemi simbiotici, accrescimenti di nane bianche con formazione di variabili cataclismiche tipo RS Ophiuchi e T Pyxidis, stelle di neutroni e buchi neri che si strutturano in sistemi binari, stelle di grande massa tipo Wolf Rayet ( WR ) ed infine stelle supergiganti tipo "O " che divengono binarie caratterizzate da venti stellari fortissimi che strappano materia l'un l'altra ed in mutua collisione.

Come si vede queste tipologie di astri che ruotano nelle vicinanze del nostro centro galattico ( Sagittario A ), presentano forme di materia esotica oltre che la normale barionica ed emettono radiazioni ad altissima energia.

L'indagine e lo studio di queste intense fonti di raggi X è molto importante per capire pienamente le fasi finali dell'evoluzione stellare e ciò è stato raggiunto utilizzando insieme le foto scattate da Chandra nei raggi X, da Spitzer nell'infrarosso e sommando a queste le indagini di spettroscopia effettuate dai telescopi all'infrarosso IRTF ed UKIRT situati a Mauna Kea.

Al termine del lavoro combinato sono state individuate e confermate nell'ottico 16 controparti di sorgenti X generate appunto da stelle WR ed O, che aggiunte alle precedenti già scoperte diventano complessivamente 30 presenti attorno al grande buco nero posto al centro della nostra Via Lattea.

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NUOVO PERIODO di ATTIVITA'

di ETA CARINAE

( tratto da "Le Stelle " - Settembre 2010 )

Mauro Maestripieri

 

Quello che gli astrofisici prevedevano per quanto riguarda Eta Carinae ( chiamata anche Foramen e Tseen She ), ipergigante blu visibile dall'emisfero australe, si sta puntualmente avverando, la stella infatti è di nuovo entrata in una pericolosa fase di intensa attività in questo ultimo anno, aumentando progressivamente la sua luminosità, la sua magnitudine attuale è 4,7 ed è già visibile ad occhio nudo nella costellazione della Carena.

E' senza dubbio l'astro conosciuto più massiccio, pari a 100 - 150 masse solari e si trova ad una distanza di 7500 A.L. da noi.

La sua ultima enorme esplosione  è avvenuta nel 1843 e diventò la seconda stella più brillante del cielo, dopo Sirio, ed ha prodotto due lobi polari ed un vasto ma debole disco equatoriale, il tutto in allontanamento dalla stella alla velocità di 2,4 milioni di km/h.

Attualmente gli astronomi stanno ancora dibattendo se sia stata un'esplosione interna od un incremento della radiazione dovuto all'espulsione dalla stella di materiale caldo ad elevata velocità.

L'astro è in realtà un sistema binario con un periodo orbitale di 5,5 anni e finora non siamo ancora in grado di sapere con certezza quale delle 2 componenti sia in questo periodo di intensa attività.

Si pensa che Eta Carinae, come hanno fatto in passato altre  ipergiganti blu variabili,  possa esplodere in un prossimo futuro come una supernova, come del resto già accaduto alla 2006jc scoperta recentemente.

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