LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

PERSONAGGI

 

IL FILOLOGO MICHELE MARIANO

Si riporta di seguito la commemorazione tenuta da Luigi Botta al Consiglio Comunale di Savigliano

Non ho idea se tra cinquanta o cent'anni ci saranno in Savigliano storici come il Novellis od il Turletti abili nel sintetizzare, raccogliendone i dati più significativi negli archivi, l'esistenza di un personaggio come Michele Mariano, un saviglianese diverso dagli altri, capace di dedicare l'intera sua esistenza ad uno studio e ad una ricerca che nessun altro al mondo, anche con tanta buona volontà e passione, sarebbe riuscito a portare a termine. Una persona qualsiasi, umile ma impegnata, affabile ma profondamente stimata ad ogni latitudine del globo.

Non ho neppure la certezza che anche soltanto tra dieci anni una commissione toponomastica, consapevole del ruolo di sua spettanza nel riconoscere e rivalutare gli uomini della città, riesca a tirar fuori dall'oblio il suo nominativo preferendolo ad altro e dedicandogli almeno una via, un vicolo od un qualsiasi luogo pubblico.

L'esistenza di Michele Mariano, per la nostra città, non è stata invadente, presenzialista, sostenuta da grandi atti pubblici o da partecipazioni altisonanti. Michele Mariano ha sempre scelto il silenzio, ha sempre agito con modestia, offrendo se stesso, la propria vita, le proprie cose e tutto il proprio tempo, ad un ideale che egli intendeva mettere al servizio dell'umanità, gettando le basi per un mondo nuovo, nel quale tutti erano fratelli e tutti erano in grado di comprendersi, gli uni con gli altri.

Era nato nel 1907. Famiglia povera, lavoro umile, apprendistato in un laboratorio di falegnameria, poi impiego alla Snos. Studi pochi, quelli che la nostra città era in grado di offrire a chi non apparteneva alla borghesia od alla nobiltà. A soli diciotto anni la passione per la letteratura lo portava ad elaborare il suo primo romanzo, mai pubblicato. In quel palazzone che in via Biga ospitava la Pro Pueritia, in una piccola stanza al piano terra, erano ospitati i suoi attrezzi di ebanista provetto.

Ma lo studio era la suo obiettivo primario. Prima l'Avviamento, poi, dopo il conflitto bellico, le Scuole secondarie, il Ginnasio ed il Liceo, seguiti di sera con la prospettiva di approfondire le materie linguistiche. E all'età di 52 anni, alternando i libri al laboratorio di falegnameria, le fatiche del lavoro al piacere dell'intelletto, riusciva a conseguire la Laurea in glottologia all'Università di Torino. Manco a dirlo, con il massimo dei voti. Era il 1959. Per la prima volta la televisione di Stato, la Rai, girava un suo cortometraggio a Savigliano. Lui era il primo attore. Parlava con timidezza ma con convinzione dei suoi studi, del suo lavoro, dei suoi impegni, dei suoi desideri e delle sue passioni. Grande commozione in tutti. Il suo sogno, che forse non era solo suo, si era avverato. Era diventato dottore, professore di Lettere. Tutta l'Italia aveva intensamente gioito con lui, invidiandone lo spirito, la forza d'animo e l'impegno. Si era trasformato in un esempio per tutti.

La sua vita, però, non era cambiata. Lo aspettavano le levatacce mattutine per i turni in fabbrica e gli studi notturni sui libri, a compilare un dizionario di piemontese capace di completare il celebre e voluminoso «Santalbino» di metà Ottocento. Ebbe a produrre, una dietro l'altra, ben 5600 schede linguistiche nell'idioma subalpino, che rimasero però lettera morta. Mentre dava alle stampe la storia della sua vita di operaio-intellettuale in un volume dal titolo «Scalata controvento», richiestogli a gran voce da alcuni suoi concittadini, venne coinvolto, intorno agli anni Sessanta, in quella che ritenne la più affascinante avventura dell'era moderna, l'unica che secondo lui avrebbe potuto portare le popolazioni del mondo a conoscersi, ad amarsi ed a cessare ogni genere di ostilità: l'Esperanto. Fu presidente della sezione saviglianese, una delle più attive d'Italia, socio corrispondente di quasi tutte le riviste che si pubblicavano in questa lingua nei cinque continenti.

Partecipò a convegni ovunque in Europa ed avviò, con la testardaggine di un piemontese e la frenesia di chi doveva fare in fretta, un lavoro immane, che nessuno al mondo prima di lui, da solo od in equipe, aveva osato intraprendere. Un vocabolario esperantista a temi e tabelle, ordinato sistematicamente e semanticamente, capace di fornire a chiunque, partendo dai significati, l'indicazione delle parole immaginate.

Nella sua nuova abitazione di via Casalis Lingua destinò più d'una camera ad ospitare i materiali per questo suo lavoro: decine e decine di metri lineari di scaffali contenenti migliaia e migliaia di schede, ritagli, appunti ed altro; tecnigrafi e tabelle interamente ricoperti da tabulati cartacei, lunghi anche alcuni metri, ricchi di tutte quelle annotazioni provvisorie o definitive per il suo vocabolario. Lavorò incessantemente a questo suo progetto, confortato dagli esperantisti di tutto il mondo, per una trentina d'anni.

Poi riuscì a dare corpo alla sua idea, con una tiratura minimale e limitata, che propose agli studiosi di linguistica internazionale. Dalla Cina alla Romania, dalla Germania all'Australia, dall'Italia agli Stati Uniti, la globalità delle recensioni fu ampiamente incoraggiante. Tutti, accademici, luminari ed appassionati, lo spronarono in coro a completare la sua già immane fatica. Proseguì per altri anni ancora, aggiungendo tabelle a tabelle. Ripropose una nuova versione della sua opera, ampliata nel numero delle tavole. La sua corrispondenza scritta con il mondo divenne fittissima. La sua sordità sempre più irreversibile lo portò all'isolamento quasi totale.

Non riuscì mai, comunque, a trovare un editore per il suo immenso lavoro. Ad impedirglielo fu proprio la pretesa e purtroppo mancata universalità di quel linguaggio, l'Esperanto, che dal 1887, anno della sua introduzione in Polonia, era divenuto la speranza di un messaggio cosmopolita. Nel quale Michele Mariano, da filologo attento qual era, aveva creduto e per lo sviluppo del quale aveva scommesso tutta la sua esistenza.

Senza entusiasmo, anzi, con rassegnazione, a metà degli anni Novanta lasciò la sua e nostra città per raggiungere il figlio in provincia di Novara. Laggiù è morto, a 93 anni, senza aver avuto l'onore di vedere riproposta a stampa la sua fatica di quasi mezzo secolo.

Il Comune di Savigliano, attraverso l'Assessorato alla Cultura, dovrebbe tentare, con quella sensibilità che sicuramente avrebbe reso felice il nostro concittadino e con quell'interesse culturale che la famiglia saprà comprendere apprezzando l'iniziativa, di riportare nella nostra città, per metterlo a disposizione di futuri studiosi, tutto ciò che ha rappresentato la sua ricerca linguistica esperantista.

luigi botta

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