LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

UN COMMENTO

SARAGAT, IN QUEL RUSTICO, HA DORMITO, HA DORNITO, HA DORNITO ...

È, questo, l'intervento inviato a «Il Saviglianese» e relativo alla salvaguardia del rustico che ha ospitato, fuggiasco, nel 1943, il Presidente Giuseppe Saragat

Saragat e ancora Saragat. Mi chiedo per quale motivo il capogruppo di maggioranza Ambrogio (che mi dedica 34 righe di una lettera su due colonne del tuo giornale, trattandomi come un fantasma e riuscendo a non nominarmi neanche una volta) si rivolga a te ed ai tuoi collaboratori Giovanni Bosio e Vico Ferrero per avere notizie sulla permanenza saviglianese di Giuseppe Saragat. Se lo vuol sapere lo chieda a me! È un anno che ho sollevato la questione in Consiglio comunale (sono circa due anni che raccolgo testimonianze) ed è da allora che attendo invano che qualcuno della maggioranza e della Giunta, anziché promettere e pretendere dalla Leclerc mari e monti senza fare il conto con l'oste, mi interpelli per saperne qualcosa di più. Invece il mutismo è assoluto. Proporzionale alla certezza del possesso della verità.

Altri, invece, guarda caso -su internet le notizie prendono il volo e sono a portata di tutti, senza filtro alcuno-, si sono interessati. Alcuni istituti Storici per la Resistenza (da quello di Cuneo, tanto per intenderci, arriva anche l'approvazione alla mia richiesta di salvaguardia dell'edificio), alcuni giornali, numerosi deputati e senatori, la competente Soprintendenza (da me interpellata già in data 1 marzo 2001), tanti, tantissimi cittadini. Approvando la battaglia. Che non è leggenda, non è mito, non è burla, non è cattivo gusto e tanto meno menzogna, come il nostro Ambrogio, «professore di storia», vorrebbe far credere «montando» alla bisogna un discorso stupidino e pieno di banalità. Un discorso che dimostra un bel niente, sprizza un qualunquismo che stupisce e serve soltanto -questo è quel che mira- a confondere le idee al lettore con l'unica finalità di mettermi in imbarazzo e pormi in cattiva luce.

Caro «professore», Saragat, in quel rustico di via Saluzzo, ha dormito, ha dormito ...

L'amico Sandrone, invece, che vorrebbe veder sorgere il supermercato per poter fare la spesa a quattro passi da casa, pensa che io in questi tempi stia producendo il massimo sforzo nel promuovere la salvaguardia dell'immobile che ospitò l'ex Presidente della Repubblica. Perché ne legge, ne sente parlare e, con questo, vede forse ritardare il suo sogno di un carrello a portata di mano. Non sa, invece, che sto raccogliendo i frutti. Infatti le notizie che appaiono qua e là non sono una «boutade» autunnale ma rappresentano la conclusione di due anni di intenso lavoro, di indagini, di serie proposte, di credibili contatti, di disponibilità e di documentazione. Deve anche sapere che tutti coloro che oggi si stanno occupando del caso (e sono tanti, mi creda, solo in parte venuti allo scoperto) non lo fanno perché io li abbia presi o li stia prendendo per i «fondelli», ma perché sono convinti che l'unica risposta civile, simbolica, culturale e politica alla recente scoperta possa essere quella che vado proponendo. Lo invito poi ad essere meditativo e lasciare da parte superficialità e fretta (che appartengono invece al «professor» Ambrogio). Nessuno dice o pensa di salvaguardare tutti i luoghi ove Saragat ha posato il suo «fondo schiena». Sostengo semplicemente che questa è, in assoluto, l'unica casa nella quale uno dei Presidenti della Repubblica si è rifugiato nel corso dell'ultimo conflitto mondiale. E per questo merita di essere salvaguardata. In tutta Italia non ce ne sono cento, cinquanta, dieci, cinque o due, come si vorrebbe far credere. C'è soltanto questa. Il caso, dunque, non coinvolge e non può coinvolgere solo noi saviglianesi, ma l'intera nazione. Poi non mi sono mai sognato di riferire che il chiabotto dovrebbe ospitare un museo. Semmai, con chi mi ha interpellato (nessuno ufficialmente), ho sostenuto che in esso potrebbero trovar sede gli uffici dell'eventuale supermercato ed una lapide, in facciata, ricordare l'avvenimento.

E infine il dott. Pasco, della Leclerc, che con ironia mi tratta come se fossi il giullare di corte. Non invento nulla, non metto il bastone tra le ruote e non credo di comportarmi scorrettamente. Ripeto, per chi non l'avesse ancor capito: un anno fa, in Consiglio, ho sollevato la questione. E i giornali ne hanno anche scritto ampiamente. Se la Giunta e la maggioranza non ci hanno fatto caso e lo hanno preso in giro rassicurandolo e negandogli le evidenze da me sollevate non è certo colpa mia. Se la prenda con coloro con cui tratta da un anno e mezzo, o forse più. Invitando proprio costoro ad indagare, se è il caso, sui primi calci di Del Piero, Maradona, Sivori o Mazzola, che potrebbero ulteriormente danneggiarlo. E poi, sinceramente, risponda a questa mia domanda. Semmai al suo paese, in Francia, la Leclerc avesse dovuto impiantarsi su un terreno dove sorgeva un immobile (delle dimensioni e delle proporzioni di questo) utilizzato come rifugio di guerra da uno dei Presidenti francesi, è convinto che avrebbe potuto abbatterlo con semplicità, così come pretende di fare con il nostro, in Italia? Oppure, invece, la stessa Leclerc avrebbe provveduto a riattarlo, a trasformarlo in museo con annesso self-service, a farci pagare l'ingresso per poterlo visitare, a promuoverlo con depliant omaggio e pubblicazioni in vendita, a gestirlo o farlo gestire con centinaia e centinaia di presenze giornaliere?

E, per concludere, serve una nuova bella sveglia al «professore», affinché non si addormenti troppo: Saragat, in quel rustico di via Saluzzo, ha dormito, ha dormito, ha dormito ...

luigi botta

Torna a casa