LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO |
UN COMMENTO |
LA STORIA DEI «PISUR» È TUTTA STORIA NOSTRA È, questo, l'intervento inviato all'Associazione di astrofili «AstroCampania» a commento della campagna per l'eliminazione dei «vaspasiani» progettati nei luoghi saviglianesi dello Schiaparelli Sai, qui da noi si fa pipì esattamente come dalle altre parti. E di tanto in tanto, nottetempo, qualche ombra furtiva scivola lungo i muri della città vecchia ed un rigagnolo fumante (in inverno) scende verso il centro della strada. E nei giardini, d'estate, trovi sovente la mamma che accompagna il suo bambino, sostenendolo alle spalle e sbottonandogli i pantaloncini corti, mentre si impegna nel gesto di «liberarsi» di quel po' d'acqua che non può più trattenere. Poesia a parte -non voglio far credere che la pipì sia profumata e che rappresenti la sostanza della nostra esistenza- qui a Savigliano il problema dei «vespasiani» non è mai esistito. Ce n'era uno in pieno centro che venne «inaugurato» da una banda di buontemponi in periodo fascista (con tanto di travestimento da podestà, da comandante dei carabinieri, da parroco, da aristocratico, da nobile, con gruppo bandistico e taglio del nastro tricolore) che portò l'intero gruppo un paio di giorni in gattabuia. Negli anni Settanta lo stesso fu dipinto a «pois» rosa shocking da qualche figlio dei fiori e su un suo lato apparve la scritta dialettale «pisur» (pisciatoio) accompagnata dall'immagine di profilo di un signore che in controluce, con tutto ben visibile, fa i suoi sani bisogni. Era un orinatoio (questo e gli altri distribuiti nella città: una decina in tutto) costruito dalla «U. Renzi», un'azienda specializzata in manufatti cementizi. A cupolino, con spigoli smussati, due angoli contrapposti con acqua corrente, rigorosamente coperto e chiuso sui quattro lati -ad esclusione di un modesto passaggio sul davanti- circondato da finestrelle aperte: mi è stato riferito che l'oggetto in questione (oggi definiremmo di «design») sia già finito nei musei. Quelli ottocenteschi erano molto belli (ne esistono ancora due), in pietra, addossati agli spigoli o alle insenature del centro, esteticamente eleganti. Avevano ed hanno un solo guaio: lì, proprio, non riuscivi a nascondere nulla; anzi, sono convinto che i monellacci di un tempo facessero a gara per sbirciare qua e là e poi prendere in giro quello o quell'altro. Tradizioni urinarie (lasciamole agli antropologi) a parte: ora di «cessi» pubblici ne son rimasti pochi. In un posto puzzava; nell'altro c'era il rischio che i ragazzini della scuola potessero sbirciare più di tanto; nell'altro ancora il notabile di turno non lo voleva a ridosso della propria abitazione. E così -sembra su richiesta della consulta anziani (e in prossimità delle elezioni politiche: qualcuno dice che i «cessi» sono come i grandi elettori)- si è deciso di costruirne un paio. E dove? Chiarissimo. Dove non avrebbero potuto dar fastidio ad alcuno. Una piazzetta con il monumento non parla, non si lamenta (non ci sono più parenti prossimi, anche se recentemente mi ha cercato un lontano nipote dello Schiaparelli emigrato in Argentina), non fa perdere voti e, quando su di essa si affaccia una sola casa con un paio di famiglie, non può neppure sollecitare proteste indigenti ed ingenerose. E a ridosso della chiesa? Ancor meno. Lì, proprio, se escludiamo il parroco (e magari la competente Soprintendenza, della quale non abbiamo ancora l'opinione ma che intuiremo quando scorgeremo nel cielo fulmini e saette), nessuno sarà in grado di lamentarsi. Tranne salti fuori il solito «rompi» (che sarei io), il quale, sentite qua e là le lamentele, interviene coi mezzi che la sua posizione gli consente. Non ottiene risultati, anzi (si rincara la dose su altri fronti: per costruire un supermercato stanno abbattendo l'edificio che ospitò nel corso del secondo conflitto mondiale il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat: è, questa, un'altra battaglia in corso), è deriso da chi, in giunta ed in maggioranza, afferma che chi ha il potere fa quel che vuole, piaccia o no. Allora inizia la crociata, che è innanzitutto culturale. Sulla mia città ho scritto numerosi libri e di essa conosco tantissime cose: un po' di vita e qualche miracolo. E mi piace che la memoria dei personaggi che l'hanno in qualche modo resa nota venga rispettata: Schiaparelli è in assoluto il saviglianese più illustre, colui che, da solo, volendolo «sfruttare» turisticamente, potrebbe essere in grado (come farebbero i francesi) di portare in contemporanea il turismo e gli interessi culturali. Invece l'amministrazione «lungimirante» promuove la sua conoscenza attraverso due pessimi -sono prefabbricati, di quelli con il cupolino in plexiglass colorato, semi trasparente- «vespasiani». Uno ad una ventina di metri dal monumento e l'altro proprio sotto il campanile che ospitò il nostro, giovanissimo -con il suo maestro astronomo, il canonico Paolo Dovo-, alle prime prese con il cielo stellato. Presso la chiesa, a non più di cinque metri di distanza, c'era un posto che si sarebbe adattato alla perfezione e sul quale nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe avuto da ridire. Il «cesso» si sarebbe camuffato alla perfezione e nessuno se ne sarebbe accorto. È stata, questa, un'operazione profondamente ignorante. E contro l'ignoranza si deve combattere con tutti i mezzi. Anche coinvolgendo -per uno come me che nella notte di san Lorenzo sa si o no riconoscere qualche costellazione- tutti coloro che hanno fatto dell'astronomia una ragione di vita, per passatempo, diletto o lavoro. Se il caso coinvolgendo anche la Nasa o l'Esa. Scusatemi per questa mia «pisciata» (tanto per essere in tema) a ruota libera, che ha sforato sicuramente gli spazi concessi. Mi scuso anche con tutti i corrispondenti che sono obbligati a leggermi. E mi auguro che questo mio sfogo possa sollecitare qualche nuova presa di posizione. luigi botta |
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