LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

UN COMMENTO

SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO E «SAVIGLIANESITÀ»

 

È toccato alla «Mutuo Soccorso», sotto l'ala, sollecitare per prima in città, senza troppo sbandierarlo, il tema della «saviglianesità» e concretizzarlo con uno spettacolo piacevole e genuino che, messa da parte la pretesa di concludere un discorso, ma con l'unico vero obiettivo di lanciare un sasso alla riscoperta di un clima culturale nostrano che si è in parte perduto, ha proposto alcuni argomenti di «meditazione» sulla città, sui suoi personaggi, sul suo passato e sul suo presente. L'obiettivo, seppure parziale, è stato totalmente raggiunto.

I presenti, particolarmente numerosi, sono riusciti a leggere o rileggere (anche inconsciamente) quel romanzo che la Savigliano del Novecento non ha ancora scritto e che ben pochi -se si escludono le passioni personali sfociate nel ricordo tramandato verbalmente o nel desiderio di dare immagine e forma al vissuto popolare della città- hanno considerato come passaggio d'obbligo per comprendere la città, per capirla nell'intimo e gettare le basi per un futuro fondato sulla concretezza di una tradizione consolidata.

Per dirla in termini più semplici: la «Mutuo Soccorso» ha iniziato a fare -speriamo in modo non sporadico- ciò che nessuno aveva ancora tentato. Cioè ha spiegato alle generazioni del dopo guerra e a quelle del '68 e successive, in forma ufficiale e senza retorica, cos'era la nostra città, quali gli elementi che la caratterizzano, quali quelli che la distinguevano dalle altre città, e soprattutto ha tentato di codificare, affinché ogni momento del nostro recente passato potesse comunque appartenere al Dna della «saviglianesità» già da tempo sbandierata ma mai sufficientemente sostenuta, alcuni degli aspetti che ci hanno sempre contraddistinto.

L'operazione di sabato sera, che ai più sarà apparsa come un normale spettacolo di intrattenimento incentrato su Savigliano, in realtà ha rappresentato un momento importante, perché ha finalmente aperto il libro immaginario -non ancora scritto e neppure pensato-, iniziando a sfogliarne le prime pagine, sul Novecento della nostra città.

La miscela di giovani e meno giovani, capaci di offrire con elegante musicalità e raffinatezza quel connubio che da sempre Savigliano ha considerato alla base della propria esistenza, nel superamento dei concetti di età, di classe sociale, di provenienza, ecc., è stata forse alla base di questo tentativo di riscoperta. Tino Zerbini, che meglio di ogni altro, con quella «verve» che a taluni può sembrare scontata, perché ormai a tutti noi conosciuta, ma che in realtà rappresenta lo specchio di ciò che ancor rimane dello spirito autentico saviglianese e che i più ci invidiano, ha saputo raccogliere un'eredità che tutti sentono ma che solo pochi sanno esprimere, tentando di ricucire quel sottile legame che ancor rimane -e che non si può assolutamente perdere- tra la Savigliano di ieri e quella di oggi. Con incredibile «trait d'union» tra le diverse situazioni e con lodevole rispetto verso le differenze, che debbono comunque e sempre essere giustamente valutate. Abbinando nel caso musica a poesia, canto a letteratura, cabaret a teatro e fornendo una percentuale infinitesimale di ciò che la nostra città è ancora in grado di offrire.

La vera «cultura popolare» -non populista- che non sopravvive nelle grandi abbuffate (che anzi, per la loro massificazione tendono ad appiattirla sino a cancellarla del tutto), ma che appartiene all'intimo di ognuno di noi e che la memoria sta purtroppo poco alla volta dimenticando, rappresenta il punto di partenza. Quella «cultura popolare» che la sensibilità di Luigi Bàccolo aveva già individuato alcuni decenni or sono e che aveva in parte ricostruito tramandandola in alcuni singolari quadretti di vita cittadina raccontati con la sua grande capacità espressiva e con il suo gusto dell'indagine sottile e talvolta anche ironica.

Sono quadretti, quelli raccontati da Baccolo, ma soprattutto quelli che potrebbero raccontare coloro che hanno vissuto la città prima di noi -con parole, musica e qualsiasi altra espressione che li ha caratterizzati nel tempo-, che se non verranno codificati andranno sicuramente perdendosi.

E bene ha fatto la «Mutuo Soccorso», nel ricordare il suo centocinquantesimo anniversario, ad «aprire» una finestra su un discorso così importante. La sua origine era sì quella dell'assistenza ai suoi iscritti, ma anche quella dell'istruzione, in un momento di imperante ignoranza. Ora all'istruzione ci pensa bene o male lo Stato, e la «Mutuo Soccorso», come ha già fatto anche in altre circostanze, può dedicarsi a cose che in realtà possono sembrare più amene ma che, invece, rappresentano un vero e sincero recupero culturale all'insegna della «saviglianesità». Con un ruolo praticamente identico a quello svolto in origine con la «promozione» dell'istruzione. E, non pensandoci altri, l'operazione che potrebbe compiere la «Mutuo Soccorso», qualora decidesse di proseguire su questa strada con appuntamenti a scandenza e documenti di altro tipo, sarebbe sicuramente destinata a passare alla storia. Così come appartengono ormai alla nostra storia i centocinquanta anni della sua attività.

luigi botta

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