LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

UN COMMENTO

PERCHÈ SCANDALIZZA COSÌ TANTO IL NUOVE MONUMENTO?

 

Dopo aver a suo tempo esposto la mia idea a Sindaco e Conferenza dei capi gruppo circa il luogo dove avrei collocato il monumento oggi dinnanzi all'Ospedale, mi sono apprestato anche a sostenere la mia causa con l'autore della scultura stessa, il prof. Salvatore Cuschera. Ero e sono convinto che l'oggetto metallico, che all'epoca avevo visto riprodotto fotograficamente, sarebbe stato molto meglio nel giardinetto -memoria di uno storico lavatoio- che si trova all'incrocio tra via Malines e via Biga. Perché i richiami della struttura, così fortemente riconducibili ad una tematica di innovazione industriale, ben si sarebbero adattati al borgo sorto in conseguenza allo sviluppo della «fabbrica dei treni», ben avrebbero potuto convivere con le vicine (io avevo addirittura proposto una trasformazione nell'andamento) acque del Rio Chiaretto, che prima di attraversare via Casalis Lingua nel sottosuolo penetrano sotto gli stabilimenti della ex Snos e sono in qualche modo storicamente utilizzate al funzionamento degli stessi. Il giardino -altra memoria di un'area un tempo periferica ove il gelso la faceva da padrone- avrebbe potuto avviluppare il metallo arrugginito fornendo contrasti cromatici che avrebbero dato un «tono» rievocativo ad un angolo cittadino purtroppo oggi un po' anonimo.

Salvatore Cuschera, nonostante la mia insistenza, ritenne inopportuno tale luogo. Forse perché non capì -non essendo saviglianese- il significato della mia proposta. Accettò invece la meno problematica collocazione nello spartitraffico dinnanzi all'Ospedale. Il perché è semplice immaginarsi: è più visibile, impone un nuovo profilo paesaggistico, determina un contrasto «urlato» con l'architettura del nosocomio, è fruibile in tuttotondo (elemento al quale Cuschera non voleva in alcun modo rinunciare).

Io, anche dopo la collocazione, rimango della mia idea. Lo spartitraffico, a mio giudizio, necessiterebbe di una struttura almeno doppia nelle dimensioni, capace di produrre essa stessa cromatismo e di confrontarsi, sul filo di una grafia volumetrica leggera, con l'invenzione del «grande vuoto» di piazza Nizza, da un lato, e col barocchismo imperante dell'Ospedale, dall'altro. Due quinte agli antipodi, ma entrambe decisamente caratterizzanti. Ciò non esclude che comunque l'oggetto metallico di Cuschera faccia, dov'è stato collocato, la sua parte.

Non comprendo, però, le polemiche che accompagnano la breve storia di questa scultura. Bene ha fatto l'Amministrazione comunale ad accettare l'omaggio regionale dell'imponente struttura a tutto tondo (ne arrivasse una all'anno, per i prossimi dieci anni: almeno la città -come Digne, in Francia- si distinguerebbe per qualcosa di fortemente qualificante!). Altrettanto correttamente -dopo aver esaminato almeno una decina di luoghi- ha scelto, in concorso con l'autore e con l'apposita Commissione, la collocazione. Quali dubbi solleva dunque chi polemizza?

La qualità del manufatto: dal punto di vista artistico la «storia» ha già codificato da tempo (più o meno mezzo secolo) tali impianti volumetrici soggetti a grandi masse metalliche. Non sono, sicuramente, una novità da avanguardia incomprensibile.

La collocazione che impedisce la visibilità: è una questione di punti di vista. In Francia, ad esempio, è fatto obbligo rialzare a «montagnola» rotatorie e spartitraffici per porre ostacoli all'eccesso di visibilità (che impone un aumento della velocità automobilistica), costringendo chi transita a fermarsi e rispettare rigorosamente le precedenze.

Un'ultima annotazione. La Regione Piemonte, col concorso biennale che premia tre monumenti da distribursi poi sul suo territorio, ha fortemente centrato l'obiettivo. Due anni fa a Cuneo successe un pandemonio per il «siluro» collocato nella ritonda all'ingresso del viadotto Soleri (anch'esso donato, come a Savigliano, in analoga circostanza). Adesso è la volta della nostra città. Quando si discute vuol dire che, sotto sotto, qualcosa c'è e qualcosa è destinato a rimanere. Quando, invece, domina l'indifferenza e non interessa ad alcuno, vuol dire che, «passata la festa» ... non rimane che il limbo.

luigi botta

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