LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

AMMINISTRAZIONE

IL PIANO URBANO DEL TRAFFICO

Sul «Piano del traffico» è possibile trasmettere «Osservazioni» all'Amministrazione comunale prima che il Consiglio comunale decida in merito, e non comunque oltre i 30 giorni dal 25 marzo 1999, giorno di pubblicazione del «Piano» stesso. Pertanto io sottoscritto Luigi Botta, nato a Savigliano il 16 luglio 1949, residente in Savigliano, corso Roma 35, di professione insegnante, in qualità di cittadino saviglianese (e senza alcun particolare interesse in proposito se non quello di salvaguardare e valorizzare la città di Savigliano), dopo la lettura dello studio sulla viabilità in Savigliano, mi faccio carico di osservare quanto segue.

Innanzitutto segnalo come, a livello generale, la linea di tendenza consideri, quale unico elemento qualificante e portante della viabilità cittadina, quello veicolare, automobilistico, non prevedendo sviluppo alcuno -a differenza di quanto ormai ampiamente codificato, con civiltà, in numerosissimi altri Paesi, ed ormai anche approdato in tante città italiane- nella direzione di quei settori «deboli» ed «indifesi» della catena della viabilità, cioè i pedoni ed i ciclisti.

Dall'intero «Piano» si evince infatti che il «cittadino» pedone, ragazzo, anziano o portatore di handicap, che il «cittadino» ciclista, giovane od anziano, che il «cittadino» privo di autonomia, infante od handicappato, non appartengono, se non in minimissima parte, al mondo preso in considerazione. Non rientrano cioè nella sfera del «traffico» di Savigliano e non vengono esaminati, se non per riflesso, dallo studio sulla «viabilità». Le statistiche, le disamine, i conteggi, i controlli ed ogni altro aspetto considerato nella premessa e nella fase di studio del «Piano» riguardano solo e soltanto le autovetture, la loro circolazione nei diversi sensi, le necessità di accelerarne o diminuirne la velocità ed il deflusso, il loro parcheggio e l'indispensabilità di trovare, per esse, costi quel che costi, una soluzione, tenendo conto solo parzialmente delle realtà urbane ormai codificate e degli impatti sulle preesistenze del centro cittadino.

Mentre altrove -con il dovuto rispetto verso l'uomo ed un senso di civismo che recupera poco alla volta alla dignità quegli aspetti di semplice convivenza troppo a lungo dimenticati- il tema delle piste ciclabili, delle vivibilità pedonali, degli accessi facilitati, dei privilegi che tutti i cittadini debbono possedere quando transitano a piedi od in bicicletta, assume finalmente quel valore che giustamente merita, Savigliano pare dimenticarsi di tale realtà. Ed è realtà, quella della fruizione dei luoghi urbani da parte di pedoni e ciclisti, che appartiene in modo particolare al centro cittadino, perché in centro si tengono i mercati, risiedono le banche, agisce il commercio, si sviluppa il terziario, e sempre in centro sono collocati i principali servizi che la città possiede. E il centro, quello storico e quello riconosciuto come tale dopo l'ulteriore sviluppo della periferia, stando alla documentazione presentata, è proprio l'argomento oggetto dello studio sul traffico saviglianese.

La maggior parte dei marciapiedi che la città possiede -tanto per portare un esempio-, pur nascendo dal presupposto della tutela per il pedone, è invece strutturato, proprio per il pedone, in modo innaturale (immaginamo pertanto per il portatore di handicap!), a tal punto da costringerlo a saliscendi increbili per adeguarsi alla diversa altezza dei passi carrai. Nella maggior parte dei casi i passi carrai non sono utilizzati, sono sottoutilizzati o percorsi giornalmente da un numero esiguo di autovetture (vedi via Torino, viale Marconi, via Muratori, solo per citare i casi più eclatanti). Il «Piano», a tal proposito, anziché proporre il livellamento dei marciapiedi al piano stradale, facilitando così pedoni ed auto, e l'uso di dissuasori anti-veicolo (che contribuirebbe anche a risolvere il problema degli autocarri che abbattono i balconi) è dell'avviso che la soluzione adottabile al centro saviglianese debba essere quella di elevare ulteriormente i marciapiedi (vedi l'emblematica proposta avanzata per via Muratori!), evitando così che le auto possano salirci sopra, ma dimenticando che prima ancora di dissuadere le auto i marciapiedi debbono essere percorsi dalle persone (che non sono canguri o struzzi!).

Non esiste incentivo, dunque, per il pedone saviglianese (fortunatamente gli si conferma le aree ormai codificate e considerate pedonali, quelle a traffico ridotto, quelle mercatali, nelle ore e nei giorni prestabiliti), e tanto meno per il ciclista. Anzi, pare evidente un disincentivo all'uso della bicicletta. Se il passaggio sulle due ruote in aree provviste di ampio marciapiede (umanamente giustificato per chi vuole evitare, soprattutto anziano, l'eccesso di traffico già presente sulla carreggiata stradale), che in tempi più o meno recenti ha sollevato proteste e polemiche cittadine, viene decisamente frustrato dall'eliminazione o restringimento dei marciapiedi delle aree in questione, il «Piano» è chiarissimo nell'evidenziare che le biciclette, ad esempio, debbano scomparire dal senso unico di via Torino (nel senso inverso, naturalmente, quello per cui tutti hanno da tempo chiuso un occhio!), imponendo lunghi giri (che rappresentano di fatto l'invito a rimanere in periferia) per chi desidera entrare senza troppi fronzoli in città.

Se tale decisione può giudicarsi comprensibile (anche se scarsamente giustificata) perché conferma l'applicazione di un regolamento stradale in funzione -che deve essere da tutti rispettato-, il «Piano», per contro, non propone alcuna alternativa. Non un solo metro di asfalto o di terra battuta viene riservato in esclusiva, in città, ai ciclisti. La bicicletta -nonostante già anni addietro si parlasse di studi relativi a percorsi privilegiati da distribuirsi equamente in aree urbane saviglianesi (può in questa circostanza sembrare addirittura strumentale, nel «Piano», il tentativo di facilitare il percorso pedonale e ciclistico per il santuario della Sanità!)- viene completamente dimenticata.

Ma lo studio in questione sembra fortemente alleggerito dall'indagine di molti elementi che non possono non appartenere all'essenza stessa del traffico cittadino. Non si fa carico, ad esempio, di fornire una lettura antropologica alla viabilità saviglianese, avvicinandola e riscontrandola, per necessità obiettiva, alla documentazione storica. Essa, prima ancora di divenire elemento di chiusura verso opportunità negate o casi da riconsiderare, è documento chiarificatore ed elemento guida per tutte le decisioni che gli amministratori saranno responsabilmente chiamati a definire. Non esistono, poi, cenni sull'origine urbanistica delle vie, sulla loro creazione in tempi recenti, sulle necessità (formali o sommarie) che hanno determinato lo sviluppo di strade, di vicoli, di corsi, di viali, di alberate con siepi e non, limitando od ampliando l'uso del marciapiede, privilegiando, a seconda dei luoghi, il pedone o l'autovettura. La viabilità cittadina non è casuale! Non nasce ieri! Non è fatta soltanto di dati statistici incompleti (non un solo elemento, ripeto, riguarda i pedoni ed i ciclisti)! Non vive in funzione delle auto! Ha un'origine ben chiara, che il tessuto urbano trasmette e che documenta negli archivi, relazionata alle necessità, alle scelte politiche, alle interpretazioni amministrative ed alle urgenze economico-industriali.

Nelle decisioni relative allo sviluppo o alla trasformazione del traffico -tenuto conto delle necessità che possono determinare un senso unico od un cambio di direzione, un nuovo parcheggio od una pista ciclabile, un'area pedonale od un divieto di sosta, e nella consapevolezza della loro concreta ed obiettiva necessità- debbono necessariamente contribuire un'infinità di fattori, senza il privilegio dell'uno sull'altro.

Il ruolo educativo è innanzitutto fondamentale, è l'elemento che deve animare tutta la stesura e l'attuazione del documento programmatico: un «Piano del traffico» non può prescinderne. Il disincentivo all'uso dell'auto nei centri urbani, che è ormai codificato da tutti gli organismi mondiali, deve divenire l'elemento guida di un siffatto strumento di lavoro, che altrimenti nascerebbe vecchio ed abbisognerebbe di un immediato, faticoso e costoso aggiornamento (la scelta, in tale ambito, non può e non deve essere affidata all'estensore «sic et simpliciter», ma deve invece imporsi con determinazione da parte di chi amministra la cosa pubblica: è, in effetti, una scelta politica).

L'inquinamento è uno degli altri elementi che detta le regole per il «risanamento» del traffico cittadino. Un nuovo «Piano» non può prescindere dai dati che i rilevamenti devono fornire (e -sia concessa l'osservazione!- sembra essere un tantino insufficiente l'unico rilevamento degli ultimi anni compiuto in periodo natalizio in prossimità del municipio, quindi senza l'intensità del traffico legato all'apertura scolastica), individuando quei tragitti destinati anche a trasformare in meglio la «vivibilità» del centro. L'eliminazione di gas di scarico avviene soltanto obbligando i mezzi a motore a scegliere percorsi alternativi o, comunque, a rimanere il più possibile fuori dalle direttrici urbane già ampiamente frequentate.

Non si può poi agire senza considerare la storia delle nostre vie. Seppure possa sembrare del tutto banale e casuale, la viabilità cittadina ha una sua logica, oltreché urbanistica anche storica. Essa è scritta nei documenti che il municipio conserva. Essa si «legge» frequentando il centro urbano ed osservandolo con un po' di attenzione. Essa ha già determinato, in passato, con scelte politico-amministrative ben precise, incrementi o regressi delle diverse zone cittadine. Essa diventa lo spunto per comprendere gli eventuali errori, per correggerli e per dettare le basi di uno sviluppo (perché sempre allo sviluppo si guarda, anche quando si pensa ad un uso differenziato dell'auto e ad un privilegio reale del pedone e del ciclista) destinato a segnare con forte caratterizzazione il nostro futuro, prossimo venturo. Dalla rilettura delle scelte storiche e dalle scelte contemporanee, infatti, dipenderanno le tendenze del domani. In parole povere, con la saggezza degli anziani, «si raccoglie quel che si semina!», e chi semina gramigna non può di certo pretendere di raccogliere fiorellini.

Anche il riscontro antropologico deve svolgere la sua funzione fondamentale. Perché innanzitutto aiuta a capire le motivazioni per cui i percorsi -a prescindere dalle destinazioni- vengono utilizzati in modo e con spirito diverso, e poi perché contribuisce ad individuare gli argomenti reali che hanno determinato gli sviluppi urbani o negato incentivi che sulla carta sembravano dati per scontati. Rappresenta l'elemento umano e la sua determinazione nell'agire secondo logiche che non sono scritte e codificate ma appartengono invece all'inconscio collettivo. La comprensione dei comportamenti passati può essere utile per un progetto futuro.

Nel quadro di un esame globale non può essere tralasciata la tradizione popolare, con i suoi risvolti positivi e negativi sulla viabilità e sul traffico. Ne è esempio determinante l'uso di piazza del Popolo. Esso appartiene ormai alla tradizione di tre secoli fa. È infatti l'apertura della città medioevale, nel Settecento, con l'abbattimento delle mura e la ferma determinazione di far esplodere urbanisticamente la città e creare nuovi quartieri, nuove aree abitative, nuove vie e piazze, a determinare abitudini e tradizioni precedentemente ignorate, i cui riflessi ancor oggi si fanno pesantemente sentire. Una di queste riguarda -tanto per entrare nel concreto- la consuetudine di privilegiare la città nuova, cioé piazza del Popolo, in luogo di quella vecchia, cioé piazza Santa Rosa.

Per ultimi, ma non in quanto ad importanza, l'economia, coi suoi risvolti commerciali, ed il terziario, con l'esposizione a movimento di mezzi «da e per», proveniente da località diverse, sono alcuni degli elementi cardini intorno al quale ruota l'intero mondo della viabilità e del traffico cittadino. Nuove localizzazioni e trasformazioni di grande portata in tali settori sono in grado di spostare in modo evidente il baricentro del traffico: pertanto la lettura incrociata dei documenti programmatici e dei movimenti dei veicoli (in attesa che i documenti diventino concretezza), offre lo spunto di previsione anticipando la conoscenza di direttrici nuove e di necessità diverse.

Il «Piano del traffico», analizzato nella sua complessità, offre spunti di diverso interesse, motivando ogni trasformazione in base a regole che nella maggior parte dei casi -partendo dai presupposti sui quali questo «Piano» è stato costruito e voluto- possono anche sembrare funzionali ad una logica di revisione dettata esclusivamente dalla necessità di «cambiare».

Uno dei punti in discussione, quello indicato come «4.4.4 Interventi di razionalizzazione», seppure a prima vista possa parere come secondario, o comunque marginale, in realtà è quello che, ad un'attenta lettura degli argomenti, sarà destinato a creare i maggiori problemi di impatto sulla città e sulle sue vie. Perché, a margine di una razionalizzazione che sulla carta può sembrare ininfluente perché offre l'opportunità di «conquistare» soltanto qualche modestissimo «posto macchina», l'ampliamento di aree di sosta è destinato a stravolgere completamente il «taglio» di alcune vie e strade, imponendo revisioni radicali e trasformando situazioni codificate non solo da decenni, ma in taluni casi anche da secoli. Tali «Interventi di razionalizzazione» meritano, nel quadro delle osservazioni al «Piano del traffico», un'attenzione particolare. Mancando una sottonumerazione, punto per punto, essi verranno segnalati secondo l'ordine numerico di presentazione, che individuerà di volta in volta l'intervento proposto.

4.4.4.1 «revisione dell'organizzazione»: piazza Sperino rappresenta il biglietto da visita della città per tutti coloro che giungono ad essa attraverso la strada ferrata. L'impostazione di tale piazza, a forma di semicerchio, compresa in un percorso alberato -anch'essa prevista alberata- che doveva essere il vanto della città perché destinato a circondarla completamente, risale all'anno immediatamente successivo all'arrivo a Savigliano della ferrovia. Cioè al 1854 o 1855. Si deve allo stesso architetto Maurizio Eula, autore del primo Piano Regolatore cittadino, ed è compresa nella tavola «Pianta regolare della porzione settentrionale del Piano Regolatore per l'ampliazione e pell'abbellimento della Città di Savigliano col progetto delle nuove opere d'ingrandimento occorrenti per la coordinazione dell'abitato colla stazione della Ferrovia da Torino a Cuneo». Appartiene pertanto alla «memoria storica» della città e richiede, più che trasformazioni o «razionalizzazioni», una corretta valorizzazione che faccia riferimento agli elementi della tradizione per un «aggiornamento» di ampio respiro e di rispetto della preesistenza. Le vecchie «lose» del percorso pedonale ancor appaiono sotto il manto di copertura stradale in asfalto, e possono diventare argomento di piacevole scommessa per una revisione ragionata dell'area in questione.

4.4.4.8 «risistemazione degli esistenti»: il marciapiede tra i portici di piazza del Popolo e la strada a Sud della piazza è l'elemento che fa da tramite tra l'area rigidamente pedonale -quella dei portici- e lo spazio destinato alle autovetture -cioè la strada-. Tale impostazione non è di certo recente: essa risale all'epoca della sistemazione definitiva della piazza, all'avvio della seconda metà dell'Ottocento, quando l'intera area foranea, sottoutilizzata perché dissestata, venne trasformata, spianata e resa funzionale al mercato di allora. Il marciapiede in questione, risultando poi in parte occupato da dehors antichi, è ancor visibile in fotografie d'epoca. Acquisirebbe un preciso significato nel contesto dell'arredo urbano se, anzichè essere abbandonato a se stesso, venisse debitamente attrezzato con strutture di pubblico utilizzo. Esistendo tra i portici ed il marciapiede un leggero dislivello, e tra il marciapiede e la strada uno scalino di evidente consistenza, l'eliminazione di questo «trait d'union» creerebbe un dislivello di non facile giustificazione e superamento.

4.4.4.9 «razionalizzazione, riordino», 4.4.4.10 «verifica della possibilità», 4.4.4.11 «verifica della possibilità»: sono i tre punti che riguardano corso Roma, destinati, se applicati alla lettera, a stravolgere completamente l'impostazione della più importante direttrice viaria della città. Per comprendere il luogo di cui si tratta è fondamentale approfondire le motivazioni che hanno riscritto la storia di questa strada trasformandola, per necessità, in un viale alberato vanto di Savigliano. Tale corso, nella prima metà dell'Ottocento, non esisteva. Il Piano Regolatore dell'Eula, considerando l'opportunità di rendere piacevole al viaggiatore l'ingresso in città attraverso la sua arteria più importante, aveva previsto in questo sito l'abbattimento di alcuni edifici, il rettilineamento di altri e l'utilizzo dei profili di altri ancora per creare quella strada che dal nuovo -«la stazione»- doveva condurre allo storico -«la piazza»-. L'operazione, non certamente indolore, aveva sofferto i suoi tempi tecnici, riuscendo a giustificare, secondo una logica monumentale, la presenza su un lato del monumento di piazza del Popolo dedicato ad Arimondi e sull'altro del monumento dedicato allo Schiaparelli in piazza Galateri. La costruzione delle Scuole Elementari maschili (ora Municipio), in periodo ancor ottocentesco, aveva in parte facilitato l'operazione, conclusasi poi nel Novecento. Il corso doveva essere bello, spazioso, grandioso, monumentale: doveva, in pratica, rappresentare ciò che di più «francese», nello spirito e nella realizzazione, la città possedeva. Com'era stato pensato e meditato, poi, era stato fedelmente eseguito. La strada, tutta di larghezza regolare, doveva in qualche modo adattarsi ad edifici che, preesistendo, non avevano mai previsto il passaggio di un'arteria stradale. Pertanto il progettista, tenendo conto dei diversi livelli di tangenza, aveva impostato il corso prevedendo una minima curvatura, abbondando invece, in taluni casi e per necessità, negli spazi di controviale. Anche il profilo in pianta dell'Ara della Vittoria, già ampiamente novecentesca, aveva rispettato le linee dettate dal progetto originale. I marciapiedi in pietra ed i riempimenti in acciottolato, modellandosi al suolo sull'andamento irregolare degli edifici, offrivano un senso di grande ricchezza, di completezza e di definizione del particolare. La siepe in bosso, ben trattegggiata, gli alberi (che in origine erano acacie e che le documentazioni d'epoca mostrano in tutt'altre dimensioni rispetto alle attuali), il cordolo verticale in pietra di Luserna che individua e segna con rigore lo spazio riservato all'uomo e quello alla macchina, davano il senso del dettaglio col quale progettista ed esecutori avevano realizzato l'opera. Che è cresciuta, come già accennato, nel corso di molti lustri e decenni. Il porfido fatto collocare come primissimo lavoro del dopoguerra documenta l'interesse verso la via e dimostra come all'abbellimento di essa -e non alla creazione di «posti macchina»- abbiano lavorato molte amministrazioni, anche di colore politico diverso. Il «Piano» in questione propone, anziché la revisione e l'ulteriore abbellimento -con l'eventuale creazione di corsie preferenziali per biciclette (i ciclisti non percorrono corso Roma perché estremamente pericoloso)- l'eliminazione ed il trasferimento di siepi, la «distruzione» dell'uniformità stradale, il ridimensionamento dei controviali. In pratica un'ulteriore disumanizzazione di una strada già prepotentemente disumanizzata dal traffico e dal parcheggio selvaggio (solo una signora con carrozzina conosce le difficoltà che incontra nel procedere sul marciapiede evitando le civilissime autovetture!). In altre nazioni, anziché proporre nuovi parcheggi, si sarebbero accresciuti gli spazi pedonali creando ostacoli di percorso alla velocità delle auto, si sarebbero alberati in parte i passaggi pedonali, si sarebbero trasformati i controviali, con l'installazione di aiuole, panchine, fantanine ed altro, in luoghi di sosta per coloro che, anziani o non, si trovano a percorrere quotidianamente la strada, magari anche più volte, con la pesante borsa della spesa. Questa avrebbe potuto essere una risposta al traffico dei pedoni e non a quello, esclusivo, delle autovetture!

4.4.4.11 «utilizzo del cortile»: un tempo, anche abbastanza recente, il cortile del Municipio, essendo anche cortile delle Scuole Elementari (com'è ancor oggi), era utilizzato per gli scopi e le finalità del piacevole insegnamento all'aria aperta, per l'educazione fisica col bel tempo e per altre pratiche scolastiche legate al primo ciclo scolare.

4.4.4.18 «utilizzo del marciapiedi», 4.4.4.19 «utilizzo del marciapiedi», 4.4.4.20 «verifica della possibilità»: si tratta, in pratica, di stravolgere un lavoro di arredo, di adeguamento pedonale e di abbellimento cittadino compiuto poco più di venti anni fa con la creazione del parco Nenni. Il marciapiede sul lato Ovest è tra i più percorsi ed utili della città, soprattutto per tutti coloro che si dirigono in ospedale e provengono dal centro cittadino. Trasferire questo, come l'altro marciapiede, all'interno del parco, significa cementificare una parte dello stesso per il passaggio -meno funzionale- dei pedoni. L'allineamento attuale, sul lato Ovest, individua lo spazio storico dell'edificato e rappresenta il documento che testimonia gli abbattuti e storici conventi di San Domenico e caserma del Nizza Cavalleria. La prima «erosione» su questo spazio potrebbe aprire un varco verso ulteriori «erosioni» restringendo in futuro -e con tutte le plausibili giustificazioni politiche- l'area del parco. Che non ha senso venga ridotta, anche sul lato Sud, a favore delle auto. Per le auto, se del caso, esiste anche il sottosuolo!

4.4.4.21 «sistemazione dell'area»: l'imprecisione della definizione impedisce di poter giudicare la proposta. Se si tratta, comunque, del triangolo ricavato dall'abbattimento della vecchia sacrestia della Misericordia, nella storica via Ruffini Gattiera, vi è da immaginare che la mancanza di rispetto verso un'area storica, importantissima, per la cultura, la storia e la tradizione locale, non possa arrivare a tanto. Il triangolo attualmente cintato e trasformato in immondezzaio necessita sì di una rifunzionalizzazione, ma non certamente a finalità di parcheggio. Vi sono progetti in corso per il recupero dell'intera area degradata ed appare inopportuno ogni intervento che possa creare un precedente limitativo.

4.4.4.22 «sistemazione dell'area»: anche in questa circostanza la definizione, nel testo, è poco chiara (ad Est di piazza Misericordia, come citato nel «Piano», vi è l'edificio scolastico dell'Ipsia!). Se si tratta, comunque, del tratto cintato ricavato dall'abbattimento delle aree annesse all'ex chiesa della Misericordia ed ex convento di San Domenico, vale quanto già affermato al punto 4.4.4.21.

4.4.4.23 «verifica della possibilità»: la storica stampa seicentesca del «Theatrum Sabaudiæ», che riproduce a volo d'uccello l'urbanistica saviglianese dell'epoca, offre un quadro particolarmente interessante proprio in riferimento a quegli spazi di giardino che sono coerenti alla chiesa abbaziale di San Pietro e, in particolare, al lato Nord, racchiusi da un muro di elevate dimensioni e ben arredati con aiuole, vialetti di verde, gallerie di rampicanti, ecc. Le superfetazioni dei secoli successivi hanno via via aggiunto al giardino, a ridosso tanto della chiesa quanto del muro, edifici di modeste dimensioni, attualmente inutilizzati. L'uso a parcheggio di tale area, di fatto privata, violerebbe un luogo un tempo caratterizzato da una profonda sacralità, negando di fatto l'opportunità di un recupero diverso di tale spazio, reso pubblico -o comunque fruibile al pubblico- secondo una regola di civiltà più vicina a quella originale, magari con un riutilizzo a parco, a giardino, ad «hortus conclusus», utilizzando eventualmente le superfetazioni come sede di associazioni saviglianesi, rivitalizzando cioè l'area e non facendola morire con l'ennesima asfaltatura e la ripetuta invasione di autovetture.

Nel ritenere utili ed importanti le raccomandazioni che gli estensori del «Piano» avanzano a conclusione del capitolo 4.4.4, si rileva che esse risultano comunque limitative se relazionate -tanto in spazio, quanto in tempo, quanto in attenzione e proposizione- a quanto riservato all'automobile. Il traffico cittadino, per concludere, è anche -e forse soprattutto- quello pedonale e ciclistico. Ma sinché si procederà alla cementificazione del centro -ed i palazzi che stanno sorgendo proprio in questi tempi ai diversi punti cardinali sono la più esemplare conferma- senza educare e senza prevedere preventivamente parcheggi, posti macchina, aree verdi di contorno e spazi per l'uomo, il traffico urbano si aggroviglierà sempre più trasformando il centro urbano, poco alla volta, in sempre più imbrogliato, impercorribile e disumano.

luigi botta

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