LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO |
LETTERE |
COSÌ SI POTREBBE SISTEMARE CON DIGNITÀ PIAZZA SPERINO Savigliano, 22 novembre 1999 Stim. direttore, tra gli argomenti che l'attuale Amministrazione saviglianese comincia a nominare pubblicamente con sempre maggiore ricorrenza e che diventeranno il «leitmotiv» di questa legislatura (come per la scorsa furono le rotonde) vi è di sicuro la sistemazione di piazza Sperino, la piazzetta antistante la stazione ferroviaria. Così com'è -si va dicendo- non funziona affatto: bisogna rinnovare, cambiare, trasformare. Già la passata Amministrazione, dopo discussioni in Commissione urbanistica, aveva analizzato la questione e predisposto l'incarico di un progetto all'arch. Fulvio Bachiorrini di Saluzzo. Ora il progetto, visto e rivisto, è tornato in Commissione e prima o poi approderà in Consiglio (così immagino) per l'approvazione definitiva. Quindi inizieranno i lavori. E dalle casse comunali, uno dopo l'altro, se ne usciranno centiaia di milioni di lire. È giusto che l'identità di piazza Sperino venga riscritta. Così com'è, pensata a metà dell'Ottocento per un traffico di carri, carrozze e pedoni, non è più funzionale. I tempi richiedono una rilettura ed un adeguamento alle necessità ed alle prospettive di sviluppo. Siamo tutti d'accordo. Bisogna ridisegnare i percorsi stradali ed immaginare quali potranno essere le necessità future. Ed è qui che, a mio giudizio, «casca l'asino». Il progetto che l'Amministrazione comunale andrà a realizzare è già vecchio, scarsamente funzionale, sicuramente strutturato in base ad un principio adattabile ad alcuni decenni or sono e per nulla proiettato verso il 2000. Spiego il perché. Secondo una logica che non fa una grinza sposta il traffico automobilistico di una ventina di metri destinando ai soli pedoni lo spazio rigorosamente antistante l'edificio occupato dalla stazione ferroviaria. Sin qui tutto bene, ma è forse l'unico argomento. Infatti cancella il giardino antistante e non lo sostituisce. Crea parcheggi ovunque (dilatandosi verso via Raviagna e corso Matteotti) ma aumenta forse di poche unità i posti macchina effettivi. Trasforma una piazza in uno slargo, in un corso. Non prevede aree privilegiate per le biciclette e concede alle stesse pochi ed irrazionali spazi di sosta e parcheggio. Non pone limiti alla sosta delle auto (se non, in minimissima misura, dopo mie insistenze in Commissione) impedendo di fatto a chi non parcheggia alle sei del mattino di avvicinarsi alla stazione. Non ha il coraggio di prendere una decisione circa il monumento degli Alpini e, «extrema ratio», con una macchinosa operazione lo isola e vi fa girare intorno i taxi. Non crea nuovo verde se non in minima parte sui lati. Non impone alcun discorso estetico ma si limita ad una razionalizzazione di pelle, di superficie. Crea una rotonda all'incrocio con corso De Gasperi di difficile percorribilità. Devia ed anticipa su corso Matteotti il traffico di via Raviagna. Così è, il progetto, e così verrà sicuramente, dalla maggioranza, approvato e realizzato. Le proposte avanzate. I parcheggi. Con un'operazione tra pubblico e privato si rende necessario dare origine ad un parcheggio «a silos» nell'area a ridosso dell'Italgas: due piani sotterranei da cedere eventualmente a privati come garage e tre o più piani fuori terra da utilizzare «a tempo» -con abbonamenti, ecc.-, a prezzi molto modesti. I posti ricavati sulla piazza dovrebbero essere regolati da un tariffario sostenuto, in modo da permettere a chiunque intenda avvicinarsi alla stazione, per accompagnare o ricevere un parente od un amico, a qualsiasi ora, di poterlo fare parcheggiando, a pagamento, nelle vicinanze dell'edificio. Il giardino. Considerando l'eliminazione dell'attuale e la sua sostituzione, in parte del parcheggio, con un alberello (così mi par di ricordare) ogni quattro autovetture, triplicare, almeno il numero degli alberi. Ricostituire spazi di verde -o soprattutto di colore- nelle aree sgombre antistanti l'edificio ferroviario. Le biciclette. Creare dei percorsi privilegiati, anche misti, per chi utilizza la bicicletta, destinando alla sosta delle stesse alcune strutture gradevoli, comode, funzionali, illuminate ed appositamente studiate, collocate in posizioni strategiche. Individuare nella bicicletta l'unico mezzo mobile consigliato -anche con campagne promozionali e con finalità educative- per il raggiungimento della stazione. L'estetica. A fronte dell'affermazione dell'assessore Morello che «la stazione deve essere messa in evidenza perché edificio bello e piacevole» (detta in sede di conferenza dei capigruppo), mi sembra necessario ribaltare il discorso: l'«effetto cannocchiale» che offre corso Vittorio guardando in quella direzione non può soffrire lo spettacolo di un edificio dozzinale che con l'architettura vera ha avuto poco o nulla da condividere. Quindi si rendono necessarie delle «quinte» estetiche, anche naturali, che si interpongano vigorosamente creando prospettive diverse e giochi di pieno e di vuoto. Non l'anonima tettoietta in plexiglass trasparente che avanza dall'ingresso della stazione per accompagnare alcuni metri i pedoni -così come prevedeva il progetto immaginando forse il luogo come lo spazio disadorno dinnanzi al piazzale d'ingresso ad una grande fabbrica di alcuni decenni fa- ma una struttura capace di stimolare la vista e l'immaginazione salutando chi, proprio in quel luogo, riceve la prima immagine della città affacciandosi dalla stazione. Il monumento. Ahimè: dopo l'assessore Morello in Commissione, anche il sindaco Soave, dalle pagine dei giornali, ha già assicurato gli Alpini: tutto rimarrà com'è! Non preoccupatevi! Nessuno si sognerà di trasferire il monumento, o anche soltanto di avanzarne richiesta ufficiale! Cosa può far fare il consenso o una manciata (o forse anche più) di voti! Comunque, personalmente, da Alpino non tesserato ma cultore del bello, amante della città e non vincolato necessariamente ad un consenso spicciolo, mi sento di dire, interpretando il pensiero di moltissimi, che il monumento, quel monumento, è brutto, ed andrebbe trasferito. Collocato forse, com'era già stato proposto da alcuni nel 1962, all'epoca della sua erezione, nel Parco della Vittoria. È dozzinale, realizzato probabilmente in serie dalle botteghe carraresi che lavorano il marmo. Non rappresenta di sicuro quegli Alpini che, come me, con la divisa indosso, non si sono mai sognati di andare oltre i 500 metri di altitudine. Vedendolo mi par di ricordare le polemiche che sottolinearono l'erezione del monumento alla Resistenza di Cuneo. L'«intellighènzia» locale pensò al partigiano a cavallo, o al limite a carponi, intento a scrutare l'orizzonte con la mano aperta, accostata alla fronte. La cultura autonoma, cioè la commissione giudicatrice del concorso, ritenne fortemente rappresentativa la lastra bucata di Aldo Calò. La politica, quella di sinistra (che non amministrava, ma gestiva buona parte di una cultura di potere), ritenne che, forse forse, anche in presenza di un concorso, dei pronunciamenti, delle ufficialità, ecc., ecc., qualche aggiustamento si poteva fare e l'uomo giusto era Umberto Mastroianni, uno scultore legato ad alcuni ambienti politici. A Savigliano, per il monumento di piazza Sperino, non ci fu dibattito culturale. Di Alpino c'era solo quello proposto, marmoreo, intento a scalare un'alta vetta collocata in un paese di pianura. Qualcuno -nessuno parlò mai di cultura, ma sempre di opportunità diverse- disse che non si doveva fare (e «il Cittadino», settimanale locale, registrò puntualmente), qualcuno volle collocarlo altrove, qualcuno, e furono i più, apprezzò perché, in fondo, quell'Alpino stava a documentare e ricordare i caduti saviglianesi di quell'Arma. A Carrara si eseguì e la festa di inaugurazione, come documentano le cronache, fu molto militaresca ed appassionata. Oggi tanti Alpini, interpellati in proposito, lo ignorano, alzano le spalle ed allungano la bocca, ritirando le labbra, per indicare un sostanziale disinteresse verso il problema. Lì davanti, utilizzando forse la legge del 4 per 1000, di monumento ce ne vorrebbe uno, coloratissimo, allegro, significativo, contemporaneo. Realizzato dall'uomo d'oggi per l'uomo del domani! Ma tant'è! Un consiglio, in ultimo, già espresso dal dott. Antonio Giaccardi: dopo le trasformazioni previste, la denominazione toponomastica non potrà più essere quella di piazza Sperino. Sarà prevedibile, al massimo, un «largo Sperino» e ancor grazia ! Con i più cordiali saluti. luigi botta |
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