LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO |
LETTERE |
«BARGERIS PRESENTE» ED IL RISPETTO DELLA CULTURA NOVECENTESCA Savigliano, 27 ottobre 2002 Stim. direttore (Il Saviglianese), ho atteso alcune settimane la risposta dell'Amministrazione comunale all'accorato appello del signor Gerardo Brugnolaro in merito alla scritta «Barberis presente» cancellata circa un anno fa da un edificio di corso Roma. Di fronte al silenzio più assoluto -ed anche perché chiamato in causa- mi sento in obbligo di riferire quanto penso, che va ben oltre la scritta della quale si parla, ma abbraccia il criterio con il quale la Giunta di centro sinistra ha affrontato sino ad ora il tema della cultura del Novecento. In modo approssimativo, superficiale e presuntuoso. Mi spiego, molto rapidamente. La scritta «Barberis presente» era l'occasione per rinvigorire la memoria di fatti che i giovani non conoscono e che gli anziani ricordano perché hanno vissuto sulla loro pelle. Non era bella; non era brutta; in sè racchiudeva il senso ed il significato di mezzo secolo di storia. Non spettava e spetta a noi decidere se eliminarla o conservarla in modo definitivo. Rappresentava la ribellione popolare ed il richiamo ad una libertà che solo le prime elezioni democratiche della storia della nostra città (in occasione delle quali era stata realizzata) erano in grado di sancire. Era il «passe-partout» e lo spartiacque che individuavano e segnavano il punto di svolta tra una società dittatoriale ed una popolare (non populista), punto di svolta costato vite umane e vissuto con determinazione e senso di grandissima partecipazione da parte di tutti. Il cancellarla ha significato negare per Savigliano la memoria di questo momento. Per mantenerlo, o mantenerla (la memoria), non era indispensabile riconoscere in essa una presenza estetica apprezzabile. Era il messaggio, in questo caso (come nella trasformazione artistica, che anticipa e plasma la società, a prescindere dal grado di bellezza o di estasi estetica che esprime e comunica), che contava. Più di ogni altra cosa. Come era il messaggio di altra analoga scritta in via Torino, come era il messaggio delle frasi fasciste graffite sui muri della città, come erano messaggi le insegne che i muri del centro e della periferia, qua e là, erano ancora in grado di raccontare. Tutto rigorosamente cancellato nel corso degli ultimi anni. Un colpo di spugna sulla memoria. Dobbiamo ringraziare chi nel passato è stato più credibile o non ha avuto l'opportunità di intervenire liberamente ed insensibilmente. Perché, forse -viene da chiedersi-, si poteva forse distruggere piazza Santa Rosa, cancellare palazzo Cravetta, atterrare qualche chiesa e ridurre a zero la memoria dell'importante passato saviglianese? Certamente sì. Piazza Vecchia, neppure tanto indietro, negli anni Sessanta, grazie a persone oggi rispettabilissime, ha corso il rischio di essere trasformata in un condominio da periferia; il palazzo Cravetta, se non fosse stato restaurato nel 1930 dal podestà Annibale Galateri, chissà che fine avrebbe fatto; il palazzo Taffini si è conservato forse perché inutilizzato e di proprietà religiosa; il teatro Milanollo non è stato abbattuto per puro sbaglio; come pure l'ala di piazza Nuova, per la quale, tutti d'accordo, si facevano già i conti sui metri quadrati di pubblici giardinetti o sulle altezze della struttura commerciale che doveva sostituirla. Senza parlare degli ex conventi di San Domenico e di Santa Caterina, o del palazzo di Isabella di Savoia, che purtroppo subirono mala sorte sotto il sindacato di uno studioso qual era Antonino Olmo, e per i quali, oggi, siamo tutti pronti ad alzare il dito e recitare il «deprofundis». Cosa c'entrano, mi si chiederà, le storie dei nostri edifici con le scritte novecentesche? C'entrano, c'entrano eccome! Mentre la Romanità saviglianese è ricordata da qualche lapide o coperchio tombale, il Medioevo dalla struttura urbana, dalla piazza e dal vecchio municipio, il Cinquecento da qualche bell'affresco, il Seicento da una miriade di palazzi, chiese e dipinti, il Settecento da alcune chiese, quadri e sculture, l'Ottocento dal teatro, l'ala, la cavallerizza, il municipio e quel che rimane del teatro Villa, del Novecento, di fortemente rappresentativo, rimane praticamente nulla. Forse l'Ufficio postale e la torre-traliccio della Telecom (che l'Assessore Cussa ha già più volte detto di voler far abbattere). Non rimarranno di certo le rotonde, le strade asfaltate, i dossi, i dissuasori o quant'altro viene imposto oggi da una «cultura» che distrugge e digerisce tutto quanto pur di mostrare che si è agito, si è prodotto, si sono risolti i problemi, si è pensato a tutto e si è arrivati primi, su tutto. Facendo che cosa? Distruggendo -io lo chiamo «distruggere»- quanto i saviglianesi che ci hanno preceduto avevano realizzato a fatica e banalizzando passi di storia che sono stati importantissimi. Nascondendosi poi dietro il facile paravento della «conservazione». Abbiano restaurato l'arco di piazza Vecchia -mi par già di sentir dire!-, i dipinti di porta San Giovanni, la Torre civica, ecc., ecc. Lo abbiamo fatto -viene però da precisare!- perché qualcuno li ha conservati, prima di noi! Se all'epoca della prima revisione storica (50 o 100 anni dopo la realizzazione) qualcuno avesse pensato con presunzione che i tempi erano cambiati e che non erano degni di essere conservati (come qualcuno ha pensato bene di fare oggi con altre testimonianze), noi non solo non potremmo pensare di restaurarli, ma non li avremmo più. E l'arco, la torre, i dipinti e molte altre espressioni oggi godibili, null'altro rappresentavano, all'epoca della loro realizzazione, se non le scritte fasciste del ventennio, il «Barberis presente» eliminato, il chiabotto di Saragat che la burocrazia impedirà forse di conservare e tanti altri piccoli tasselli del microcosmo quotidiano dei nostri padri e nonni. Ma cos'ha fatto questa Giunta per conservare o rispettare le testimonianze presenti (demandando eventualmente alla revisione di chi ci seguirà il compito di deciderne la validità o meno) riconoscendo in esse la presenza di chi ci ha preceduto? Ben poco, se si escludono le iniziative finanziate dall'esterno. Ha addirittura pensato di costruire un «cesso» a ridosso del monumento al personaggio più importante cui la città ha dato i natali, Giovanni Virginio Schiaparelli (per poi tentare di recuperarlo con la «storia» del gemellaggio), e ne ha costruito un altro sotto la meridiana realizzata dallo stesso (argomento che a giorni tornerà d'attualità su una rivista periodica nazionale). E sicuramente, caro Gerardo Brugnolaro, dopo aver lasciato cancellare la scritta «Barberis presente», la Giunta penserà bene di recuperarne l'immagine virtuale concedendosi e concedendoci, in qualche prossimo 25 aprile, 1 maggio o 4 novembre, l'inaugurazione, con tanto di banda, di reduci, di associazioni d'arma e di discorso commemorativo del «professore» in giacca e cravatta, della targhetta posta sul muro ove un tempo stava la scritta. L'originale dava fastidio o non interessava, ma la copia dell'originale servirà a ristabilire i valori e ad offrire l'occasione per la ricostruzione di una verginità perduta e venduta. Grazie per l'ospitalità Luigi Botta |
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