LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

LETTERE

 

LA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO LOCALE, TASSELLO DI STORIA ED ARTE

Savigliano, 23 agosto 2002

Stim. direttore (Il Saviglianese),

sull'ultimo numero del tuo giornale ho criticato i lavori pubblici che l'Amministrazione saviglianese ha in cantiere per i prossimi due anni. Il titolo un po' duro («Botta contro i lavori in città») stilato da un tuo redattore potrebbe far pensare che io sia contrario ad ogni lavoro da effettuarsi in città. Così non è. La forzatura del titolo del tuo giornale, che prende comunque atto dell'assenza, in quel contesto, di mie proposte, offre l'occasione per precisare meglio qual è il mio pensiero in proposito.

Comincio a trattare della conservazione del patrimonio. Dell'attualizzazione dello sviluppo scriverò una prossima volta. Mi spiego, dunque.

Credo sia perfettamente inutile mettere tanta carne al fuoco, così come si sta facendo oggi. «Toccare» ovunque la città (dopo decine o centinaia d'anni) per mostrare che si sta lavorando su tutti i fronti e si possiede la lungimiranza di capire quali sono i problemi da risolvere, finisce per risolvere nulla e per stravolgere esclusivamente la città. Tutto quel che viene fatto -o quasi- dovrà essere rivisto, rifatto, ripensato e sarà occasione (secondo me poi neppure tra tanti anni) di un'ulteriore spesa per una indispensabile risistemazione. A mio giudizio si deve puntare all'essenziale: ma in modo concreto, ragionato e durevole, affinché tra un secolo -come stiamo facendo noi del passato- qualcuno riesca ancora ad usufruire del patrimonio realizzato oggi (oggetto, quindi, di lungimiranza e di buon governo). Ma sono convinto che troppo si abbatte, troppo si asfalta, troppo si trasforma affrettatamente, troppo si stravolge la preesistenza senza recepire il messaggio che la stessa trasmette.

Un caso: piazza Sperino. Il progetto originale (contemporaneo di piazza d'Armi, corso Vittorio, corso Indipendenza, ecc.) è più o meno di un secolo e mezzo fa. Pensato per i calessi ed i carri. Ha retto benissimo sino a noi. Oggi è carente esclusivamente per via dei parcheggi. E cosa si fa? Di tutto (si lima il giardino, si abbatte la quinta storica del muretto, si creano sensi unici, si amplia lo spazio sino a renderlo imprendibile, si tracciano piste ciclabili, si inventano rotonde, si fa perdere monumentalità e rappresentatività al sito), senza il coraggio della grande scelta e senza risolvere il problema fondamentale. Quello dei parcheggi. Finiti i lavori nessuno riuscirà ad accorgersi dell'avvenuta trasformazione. Cosa faresti tu, mi si può chiedere! Pensando all'impatto che ne riceve chi entra in città dalla stazione avrei cercato di rendere ancora più rappresentativa la piazza, con alcuni interventi monumentali (sollecitando contestazioni e prese di posizione). Avrei incrementato in modo esponenziale il verde. Poi avrei limitato i parcheggi sul suo suolo (a pagamento, anche fissando tariffe salate), creando però nell'ex area Italgas un silos di almeno cinque piani (due sotto e tre fuori terra), modernissimo ed accattivante (un oggetto di architettura, insomma!), capace di ospitare numerosi garages per i residenti e, a prezzo stracciato, dare parcheggio alle auto di coloro che usufruiscono del treno. Per creare tre volte tanto, almeno, i posti auto attuali.

Un altro caso. La viabilità. Tutta la viabilità storica, progettata con grandissima lungimiranza, funziona ancor benissimo. Quella più recente fa acqua dappertutto. Ne sono esempio via del Pascolo, la Vernetta, via Antica Fornace, via Giolitti, via Paolo Dovo, la Mellonera, strada Gattinara, via San Giacomo e tante altre inconcepibili strade contemporanee, come corso De Gasperi, nelle quali appare difficile cavarsela facilmente. Alcuni esempi di macroscopica disattenzione viabile sono poi rappresentati dall'ampia area artigianale di via Alba o di via Torino, nei quali non è prevista la messa a dimora un solo albero! E via Togliatti? Pensata alcuni lustri fa a due corsie, oggi la si sta riducendo a qualcosa di incomprensibile. A singhiozzo. Un tratto da due, uno da una (dove è stata collocata la «baracca delle angurie», che potrà così essere accostata ad altro) ed infine uno da due corsie. Come dire: chi ci ha preceduto ha previsto uno sviluppo che poi noi riteniamo opportuno rigettare. Come se il progetto di corso Vittorio Veneto, ampio e monumentale, completato un secolo e rotti dopo la sua stesura, fosse stato nel frattempo rivisto, ricucito, trasformato alla bisogna e reso mutilo di un angolo, di un tratto di marciapiede, di una strada, di qualche albero, di un incrocio, di un po' di siepe perché nel frattempo non si era ancora concretizzata, così come immaginata in origine, una urbanizzazione completa.

Il discorso della conservazione passa poi attraverso il mantenimento intelligente di quanto ci è pervenuto. Chi ci ha preceduto, in molti casi, ha lavorato con estrema sensibilità e lungimiranza. Corso Roma, ad esempio, è un caso significativo. La monumentalità e l'imponenza erano gli elementi che -anche senza autovetture- dovevano caratterizzarla, ancor prima che il municipio si trovasse ad occuparne parte di un lato. La sezione orizzontale è ricchissima: tra ciottoli, lose, porfido, cordoli, siepi ed alberi -ripetuti due volte- ce n'è da esaltare un appassionato dell'arredo urbano. Invito chiunque a farsi un giro, oggi. Gli alberi sono striminziti ed inadatti, la siepe è discontinua, interrotta, alta, bassa, larga, stretta, i passaggi pedonali sono gestiti dai residenti (chi se li crea e poi li incementa, chi li asfalta, chi ci mette le piastrelle da cucina e chi un po' di cotto ...), le lose sono in buona parte rotte, l'acciottolato è un saliscendi pieno di «tacun» incementati, i cordoli esistono, non esistono, sono storti, ripiegati o calpestati. Come si comporta chi dovrebbe fare manutenzione? Sta a guardare. Così per altre vie, dove gli acciottolati originali sono stati divelti, le lose delle rotaie distrutte o danneggiate irreparabilmente e dove l'asfalto, per quella comodità che risulta essere a buon prezzo, va a ricoprire ogni cosa impedendo all'acqua di filtrare, al sottosuolo di respirare, alle fondazioni degli edifici di trasudare ed obbligando un superlavoro alle condotte sotterranee ed un ingrossamento precoce e pericolosissimo al nostro fiume. Esempi? Un po' ovunque! Anche corso Indipendenza, simbolo di un'intelligenza urbanistica settecentesca che ha accostato alla strada principale un ampio spazio pedonale alla «parigina» (molto simile ai passeggi sterrati del lungo Senna o circostanti i giardini della torre Eiffel), è stato irreparabilmente distrutto da uno strato di asfalto, dagli immancabili funerei dissuasori -come in corso Vittorio!-, dalle strisce colorate e dalla segnaletica verticale. Per fortuna che ci è stata conservata l'alberata, mentre dubito che il fosso possa a lungo sopravvivere alla tentazione di essere intubato.

Il rispetto della preesistenza. La comprensione della preesistenza. Lo studio della preesistenza. L'apprezzamento della preesistenza. La divulgazione del concetto di preesistenza. Il gusto della riscoperta della preesistenza. La passione verso la preesistenza. Non vanno sicuramente d'accordo con la grossolanità di determinati interventi, con la rozzezza della superficialità o con l'ignavia di un quasi complice abbandono.

Grazie per l'ospitalità

Luigi Botta

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