LUIGI BOTTA PER SAVIGLIANO

AMMINISTRAZIONE

OSSERVAZIONI AL BILANCIO 2001

Non conosco nel dettaglio la situazione dell'economia saviglianese, ma immagino che nella nostra città, pur senza dimostrarlo nell'apparenza dell'esteriorità, siano oltre il centinaio, sovente con un numero di dipendenti che si contano sulle dita di due mani, o poco più, le aziende che superano un bilancio annuale di quaranta miliardi di lire. Cioè che sono nelle condizioni di pareggiare o addirittura oltrepassare quello che è diventato il giro d'affari -perché così possiamo chiamarlo- della città di Savigliano.

Addio sogni di gloria. Neppure tanti anni fa, quando non era ancora questione di tanti zeri in meno, ma si parlava soltanto di pochi decimali o, al limite, di una percentuale che oggi definiremmo fisiologica, anche se l'inflazione galoppava e gli scatti d'aumento degli stipendi erano automatici, a scadenza quasi bimestrale, il bilancio di un'Amministrazione comunale come la nostra era un po' il sogno di tutti. Se in città aveva un senso stilare una graduatoria di merito e di finanza è chiaro che il Comune non poteva collocarsi al primo posto, ma subito dopo, al terzo, al quarto, al quinto o, tutt'al più, tra i primi dieci. Oggi è irreparabilmente scivolato dopo i primi cento.

Qualcuno si chiederà cosa c'entri quest'esempio nell'introdurre, dalla minoranza, la discussione di un Bilancio di previsione. C'entra, c'entra eccome. L'evoluzione ed il mercato hanno imposto -e non saremo di certo noi, in questa sede, a poter dire se così va bene o così va male, o comunque incidere in un modo o nell'altro nei trend internazionali- le nuove tendenze macroeconomiche, che in parte sono state assimilate a livello centrale, governativo, e quindi rese operative nelle ramificazioni periferiche, ed in parte, invece, continuano a lasciare il tempo che trovano per conservare i vincoli a vecchi schemi di gestione economica. Che prevedono, forse un po' ciecamente, un controllo assoluto del potere centrale sulla periferia, con l'imposizione di criteri di gestione economica dal sapore quasi medioevale. Ogni incasso da gabella va al signorotto, che se lo spende secondo proprio comodo e proprie necessità. Al cittadino torna esattamente quel che il signorotto ritiene opportuno. Sono, queste, impostazioni che impongono, nell'esame di una situazione locale che soffre difficoltà oggettive di mercato ma non si trova in una crisi irreversibile, una doppia velocità di andatura. Quella pubblica e quella privata.

Da un lato è l'una, trattenuta e legata da mille cavilli ad un'egemonia nazionale che impone continuamente nuovi balzelli pretendendone la gestione ed impedendo, invece, una razionalizzazione dell'imposta e della spesa a livello locale. Dall'altro è l'altra, che agisce nel libero mercato e, mentre noi ci arrovelliamo a reperire tra gli uffici del primo o del secondo piano i quattrini per poco più di nulla crescendo per questo o quel motivo le imposizioni al cittadino, riesce a comunicare con l'intero mondo, importa ed esporta, parla le lingue e le valute di ogni dove.

A noi, forse, è rimasta un'unica lingua, l'italiano, o per molti l'italiacano. Solo quello. Anche perché il piemontese, quello che rappresentava l'autonomia, la mentalità e lo spirito subalpino, che era solo nostro e che è sempre servito da stimolo e traino -economico, sociale, politico, culturale, ecc.- all'entità territoriale che ci rappresentava nei secoli scorsi, e che abbiamo creato con l'unità d'Italia, è destinato a scomparire. Vedrete che poco alla volta, seppure con mezzi e mezzucci che intaccheranno in modo indolore il nostro «dna» trasformandolo però nel tempo, ci verrà vietato, negato e potremo così, se vorremo mantenere la nostra identità, quella culturale, ma anche politica ed economica, cominciare a batterci per la creazione di nuove «riserve», isole di tutela e di conservazione. Tale visione, colorita, potrebbe sembrare catastrofica e forse fuori luogo, ma non è così. La storia ci mostra le trasformazioni, ci indica le tendenze e ci fornisce gli strumenti per comprendere il passato ed indirizzare il futuro. Solo un orbo -od una delle tante scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano- potrebbe non capire in quale direzione stiamo purtroppo andando.

E solo un incompetente potrebbe cantare vittoria o esaltarsi di fronte al Bilancio che viene posto in votazione questa sera. Mentre la nostra imprenditorialità privata si proietta, coi mezzi di cui può disporre, che si ingegna a cercare e che la tecnica contemporanea mette a disposizione, ad ogni latitudine del globo, noi ci chiudiamo a guscio e, anziché tentare di imporre lo spirito dell'«Azienda-Municipio», quella che i mercati e che la gente che, piaccia o no, vive i mercati -cioè tutti noi- vorrebbe, nascondiamo la testa sotto la sabbia o sotto il cuscino e pensiamo che sia possibile gestire una comunità mettendo insieme, per ventimila abitanti circa ed una realtà territoriale molto ampia e bisognosa di particolare attenzione, i quattrini che un'azienda di media portata gestisce nel chiuso di un'ufficio, nel cantiere di un nuovo edificio, nello spazio di un'officina o nell'aerale di un'appezzamento di campagna.

Ormai, non so se ce ne rendiamo conto o meno, non possediamo più casseforti contenenti la cartamoneta fresca di stampa, bigliettoni su bigliettoni, i cosiddetti «verdoni», capaci di cambiare il volto di una città solo che lo si voglia; tanto meno siamo in grado di mettere in fila tanti beni da poterne usufruire in minima parte per sanare quelle situazioni che appaiono le più compromesse o bisognevoli di interventi.

Ha fatto «senso», credetemi, sentire l'Assessore, in sede di Commissione, elencare e citare tra le spese in conto capitale, come si trattasse di importanti ed innovative acquisizioni destinate ad una comunità proiettata nel futuro, quei cinque milioni e rotti per l'«affrancatrice postale e bilancina pesa posta», oppure i venti milioni per gli arredi di scuole e mense o i trenta milioni per l'arredo urbano. E poi rincorrere altre cifre, sempre modestamente comprese all'interno di un «badget» tiratissimo, per il quale, tra arredi, ancora arredi, adeguamenti, informatizzazioni, manutenzioni, sistemazioni, urbanizzazioni, nuovamente arredi, e via di questo passo, milione più, milione meno, solo per mantenere il preesistente si raggiungono quei sei miliardi e rotti che rappresentano la globalità delle spese in conto capitale. E per sentir nominare o leggere in Bilancio qualche cifra consistente, relativa ad opere pubbliche attraverso le quali il cittadino possa intuire e comprendere che l'Amministrazione è viva e non gestisce, coi soldi di tutti, soltanto se stessa, bisogna forse raggiungere, nell'elenco, quei trecento milioni utilizzati per la manutenzione degli immobili comunali, o i duecento per l'asfaltatura delle strade, o i centottanta per la segnaletica stradale, o i duecento e rotti per la sistemazione del cimitero. Qualcuno ricorderà anche, però, che l'acquisto di un alloggio nuovo, oggi, in questa nostra città, varia dai duecentocinquanta ai cinquecento milioni, l'equivalente della manutenzione degli edifici comunali o il doppio dell'asfaltatura delle strade e della segnaletica stradale. Il boom nelle previsioni di spesa per il 2001 si raggiunge con i cinquecentocinquanta milioni per la sistemazione di piazza Sperino, con i duecentoventicinque per la rotonda della piscina e i trecentossessanta per la costruzione del primo lotto di loculi cimiteriali. E, a questo punto, se i dati riportati non tradiscono e le somme, comunque le si legga, sono obbiettive e veritiere, la spesa maggiore prevista per l'anno in corso sembra essere proprio quella da sostenersi, probabilmente in due lotti destinati a divenire nel tempo tre o quattro, per il camposanto. Una città per i vivi o una città per i morti?

Se qualcuno immaginava che il passaggio al terzo millennio avrebbe potuto offrire a Savigliano, e soprattutto a coloro che in futuro percorreranno le nostre piazze, le nostre strade, abiteranno le nostre case, sentiranno suonare le campane delle nostre chiese e siederanno anche su questi banchi a rappresentare la comunità dei tempi a venire, un segnale di novità, di cambiamento, di vigore, di passione o di rinnovato entusiasmo, tutto ciò non sta scritto nelle pagine di questo Bilancio. Forse è presente nella fantasia di qualcuno, ma non è qui. Non si costruiranno nuovi teatri, non si realizzeranno altre ale del mercato coperto, altri palazzi Taffini o Cravetta, non si getteranno le basi urbanistiche per rinnovate piazze Santa Rosa o per ulteriori torri civiche, simbolici grattacieli destinati a guardare lontano, verso la pianura, la montagna o tempi più felici. Ma non si faranno neppure nuovi parchi, nuove aree verdi e forse non ci saranno neanche i quattrini per mantenere quelli vecchi. Non si lasceranno segni tangibili destinati a rimanere nel tempo. Forse, questo sì, avranno inizio i lavori di realizzazione della nuova piattaforma di separazione dei rifiuti solidi urbani, novello monumento alla cultura dell'immondizia e della distruzione del nuovo millennio. E forse, ce lo auguriamo tutti, potremo osservare la prima impalcatura crescere intorno all'ex convento di santa Monica, per vedere avviare i lavori per quell'Ateneo universitario che sarà sicuramente destinato, nel bene e nel male, se non siamo stati «fregati» e «buggerati» per l'ennesima volta, a stravolgere la vita dei saviglianesi che verranno. Se sorgerà, sorgerà però nel deserto. Perché tutt'intorno la città sarà quella di sempre, stanca, monotona, piatta e rassegnata, impreparata ad accogliere quegli studenti che cercheranno in Savigliano ciò che Savigliano sarà obbligata ad offrire loro ma che la programmazione di oggi -e il Bilancio triennale mi sembra parlare chiarissimo- non ha neppure ancor preso in considerazione. E dire che la storia ci insegna! Cinque e rotti secoli fa l'Università ci abbandonò perché gli studenti lamentavano strade impercorribili, contestavano i prezzi imposti dai negozi e richiedevano un maggior numero di strutture di ospitalità. I nostri predecessori, impegnati forse all'eccesso nel riverire gli insegnanti offrendo loro discrete prebende ed immaginando che le stesse potessero essere il toccasana della situazione, non vollero dar peso alle giustificate lamentele studentesche. E così non soltanto calarono le iscrizioni, ma altri, più furbi e lungimiranti dei nostri predecessori, seppero dare certezze a docenti e discenti, a tal punto che il governo centrale stabilì che bisognava trasferire la sede degli «Studi». E così fu. Il passato deve insegnare. Quando si vuole raccogliere.

Ma veniamo a noi. Le entrate, come appare dal documento che si discute, sono in calo. E lo sono nonostante l'Irpef, introdotto per la prima volta lo scorso anno, alla sua seconda stagione di vita sia già addirittura stato raddoppiato. Come per le uscite in conto capitale, così per il capitolo dei quattrini che si incassano, una delle voci più importanti del Bilancio da approvare riguarda il camposanto. Sono seicento i milioni che si accumuleranno nelle casse comunali per le vendite di loculi. Come dire: il Municipio sarà pur vero che spende per sistemare definitivamente i suoi cittadini passati a miglior vita, ma è anche vero che da questa operazione, come un imprenditore che sa fare bene i conti, «dulcis in fundo», riesce a tirarci fuori il gruzzoletto! E incassa, in tutto ciò, con un incremento non indifferente rispetto all'anno precedente, l'equivalente del due per cento, anzi più, del suo Bilancio. Un altro due per cento lo costruisce gestendo gli errori di quei cittadini che incorrono in contravvenzioni. E fa quattro. Un altro dieci, undici per cento lo incassa dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Ma ciò non fa praticamente testo, anche perché -tanti presi e tanti spesi- l'impegno per il servizio è deficitario, non di poco. Ben trecentocinquanta milioni (che potrebbero salire a fine anno a quattrocento, cinquecento, o forse anche più). Triplicano gli introiti dalla raccolta differenziata, ma sono decisamente insufficienti. Sulla carta supera il centinaio di milioni, ma non raggiunge comunque il punto percentuale, quanto è previsto possa entrare dall'uso privato degli impianti sportivi. Son poca cosa, ma calano comunque del dieci per cento le entrate degli affitti di fabbricati di proprietà comunale. Un'operazione che il mercato condannerebbe. A tal proposito, però, una domanda è d'obbligo: o qualche immobile è stato venduto, o si è deciso di diminuire il costo della locazione, o si prevede che qualcuno non rispetterà i contratti e farà di tutto per far pesare la propria latitanza sulle casse comunali. A voi la risposta.

Dall'Ici, rimasto invariato, incasseremo un altro venticinque per cento o forse più. Le rimanenze, a parte un piccolo avanzo di amministrazione -e viene spontaneo chiedersi quanto fu l'ammontare dell'avanzo di amministrazione che la Giunta Dominici lasciò in eredità alla prima Giunta Soave-, sono addizionali, tasse, imposte, trasferimenti, rimborsi, contributi, assegnazioni, proventi, rette, ritenute, depositi cauzionali e poche altre voci che, per chi non sa leggere, ammontano in totale a poco oltre i trenta miliardi di lire, vale a dire più o meno due miliardi e mezzo in meno dell'anno scorso.

Due miliardi e mezzo che pesano, soprattutto perché, nonostante un incremento della popolazione, un ampliamento dell'area residenziale, una paventata crescita occupazionale, rappresentano un insanabile buco per una finanza pubblica già profondamente provata e soggetta alla «raschiatura» del barile.

Rimangono le spese correnti, che rappresentano il pozzo di san Patrizio nel quale finiscono, a palate, i quattrini del Comune. Se gli investimenti in conto capitale sono calati di mezzo miliardo, gli stanziamenti correnti sono invece tracimati per ben due miliardi. E qui, l'elenco di ciò che vuol rappresentare l'indirizzo che questa Giunta ha dato e dà alla gestione della cosa comune -e cioè meno beni duraturi e più spese spicciole di funzionamento- sarebbe interminabile. Lo paragonerei, nel suo complesso, ad un'azione di scarsa lungimiranza familiare nell'amministrare ciò che di più importante e rassicurante esiste per una famiglia, e cioè la casa. Acquisito l'immobile, arredato con mobilia di scarso valore o con oggetti di recupero popolare, la famiglia, anziché preoccuparsi di completarlo con nuove acquisizioni, tinteggiarlo a dovere, arricchirlo con quadri, motivarlo con pezzi d'antiquariato od oggetti di design, bada a consumare lo stipendio e le eredità investendoli in pranzi e cene, per sé stessa e per gli amici, a sostenere mutui per acquistare nuovi abiti della durata di una stagione, a vendere quei pochi oggetti di valore che possiede per investire in profumi, in incensi, in palestre, in pettinatrici ed in trasferte sulle piste da sci e nelle località marine più esclusive. Mai incrementando il patrimonio originale, anzi, se il caso, depauperandolo per il solo gusto di «apparire» ed «essere». Ma se una famiglia, dovendo rispondere solo a sé stessa, può anche permettersi il lusso di tenere atteggiamenti criticabili, una pubblica Amministrazione dovrebbe -e qui il condizionale è d'obbligo-, badando solo ed esclusivamente agli interessi della comunità, incrementare il patrimonio, arricchire il bene pubblico, beneficiare la popolazione di strade, vie, piazze, parchi e luoghi di incontro dignitosi, belli, piacevoli, puliti ed accattivanti. Lascio invece a tutti coloro che possiedono gli occhi per vedere il giudizio sulle condizioni di corso Roma, di corso Vittorio Veneto, di corso Nazario Sauro, di piazza del Popolo, di piazza Schiaparelli, della maggior parte delle vie del centro storico. E l'elenco potrebbe continuare, arricchendosi, per buono o cattivo esempio, delle condizioni degli edifici di proprietà comunale, della situazione della segnaletica, dei tabelloni pubblicitari, dell'illuminazione, della scarsa attenzione verso il verde, e via di questo passo. Mi si potrà far rilevare che ci sono i progetti, che il tempo sarà giudice estremo. Di progetti, però, troppo sovente sono pieni gli archivi, servono ai giornali, ad occupare spazi vuoti, ed ai politici, per riempire le bocche di parole al vento. La manutenzione, invece, realisticamente, è concreta e, oltre ad assicurare lunga durata ai beni fatti oggetto di attenzione, offre nell'immediato il segnale della passione con la quale ci si prende cura di tutto ciò che è di pubblica utilità.

Le spese correnti, dicevamo. Se qualche dato balza agli occhi, quello di maggior peso specifico è dovuto all'aumento di investimento per il personale. Mediamente -chiunque potrebbe immaginare- l'aumento fisiologico è rappresentato dalla crescita dell'inflazione, il tre per cento, incrementata globalmente dai passaggi di categoria del personale e dalle nuove assunzioni. Sembra invece evidente, dalla lettura dei numeri, che la crescita passi da un più sei, sette per cento, che è rappresentativo indicativamente della media dei diversi settori, ad un venti per cento tondo tondo, che sarà un'eccezione, ma incide fortemente, in modo percentuale, sul sentimento del capitolo delle uscite. Ricorrenti sono i fondi di miglioramento efficienza -centinaia e centinaia di milioni-, che non si capisce bene se rappresentano un modo diverso per compensare situazioni non ufficializzate, oppure indicano circostanze imposte per legge e destinate ad essere poi codificate dai futuri Bilanci.

Qualcuno accuserà, con faciloneria e superficialità, ed anche un po' di malcelata faziosità, che la responsabilità non può essere d'altri se non della minoranza, che ha voluto incrementare il numero degli addetti della Polizia municipale. E che, pertanto, si assuma fino in fondo, oltreché gli onori, anche gli oneri. Ma il Bilancio, se non vuol tradire i numeri ed i totali, ci indica che l'incremento in tal settore non solo è modesto, ma con il suo cinque per cento è di gran lunga al di sotto delle medie che sono genericamente riportate sopra, sotto e a fianco di ogni altra voce relativa al personale.

Nella lettura delle spese correnti c'è di che perdersi. Fondi che vanno, fondi che vengono, partite di giro, spazi illibati in attesa di contributi che non ci sono ancora e che ci si augura arriveranno. Così ci auspichiamo che quel dato dimezzato che interessa i contributi dati in via ordinaria alle Associazioni culturali torni nel corso dell'anno a completarsi, anche perché, diversamente, qualcuno potrebbe cominciare a dubitare, ed i responsabili ed attivisti degli oltre cinquanta sodalizi che offrono il loro volontariato alla città, potrebbero a loro volta alimentare dubbi e congetture, che una pubblica Amministrazione non può in alcun modo lasciare circolare. E che il centinaio di milioni destinato alla verifica della staticità di viali ed alberate non contribuisca, come al solito, all'italiana, a fare un repulisti di verde, ma rappresenti invece un punto di partenza per la creazione di nuove piantumazioni e per il rimboschimento di aree del territorio fortemente compromesse.

Un Bilancio povero. Mentre viene spontaneo immaginare che la copertura dei costi di un servizio di Asilo nido possa essere ridotta, perché trattasi di spesa sociale e di servizio rivolto anche ai bisognosi, non altrettanto accettabile è il fatto che i centri sportivi impongano un deficit stravolgente, che il teatro ammetta una copertura del solo dieci per cento, che il servizio di Unitre venga offerto con uno sconto del venti per cento, che l'iniziativa turistica, ahimè!, sia a totale carico del Comune, con l'unico misero introito dovuto probabilmente alla vendita dei pieghevoli a suo tempo omaggiati dalla locale Cassa di Risparmio. In utile, con un buon venti per cento, il «solito» servizio che guarda all'aldilà, quello dei trasporti funebri, ed in pareggio uno annesso, che fa già parte dell'aldilà, quello per l'illuminazione delle lampade votive.

Chissà se i cittadini immaginano la rendita zero -purtroppo non solo economica- del Museo civico, che si protrae ormai da lustri, bilanciata da spese forse non conteggiabili ma sull'ordine di miliardi, in parte a finanziamento municipale e regionale, ma anche, per fortuna, sostenute grazie ad interventi di privati e di istituti di credito.

Un Bilancio povero, insomma. Ma vedrete che già a partire dal prossimo anno, con l'avvicinarsi della scadenza elettorale, comincerà ad andare meglio. Sì, perché per finanziare nuove opere destinate a ridare immagine e vigore all'azione della Giunta, il Bilancio tornerà a crescere, ad essere disponibile per iniziative fortemente tangibili che non potranno essere ignorate dai giornali. Per finanziarle si venderanno i gioielli di famiglia. Così un'alienazione -la caserma dei Carabinieri di corso Vittorio Veneto?- introiterà due miliardi e passa di lire; i mutui, senza battere ciglio ed alla faccia del patto di stabilità, triplicheranno, passando da un miliardo e due a tre miliardi e sei. Si raschierà ancora una volta il barile. Il più per finanziare le spese correnti, come al solito ormai in crescita esponenziale, ma anche per ridare fiducia al «pubblico» con qualche investimento in conto capitale.

luigi botta

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