PAOLO BORSONI |
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La figura del viaggiatore che lascia la sua terra e si spinge in
direzione di luoghi lontani per scelta autonoma, con l’idea di conseguire
attraverso il viaggio un accrescimento, di vivere un’esperienza, appare solo
alla fine del XVIII secolo.
In precedenza il viaggio era dettato da motivazioni come una guerra, la
fame, la conquista, una persecuzione, un’esplorazione geografica…
Solo con il Romanticismo, il viaggio si configura in una ricerca di
sviluppo personale.
Per il Romanticismo l’essere umano deve rompere con la realtà materiale
contingente, così da esprimere al meglio uno spirito di trascendenza.
Pittori, letterati, poeti si mettono in viaggio non
per conquistare terre e ricchezze economiche, ma per avvicinarsi alla
perfezione dell’arte, della cultura.
L’Italia,
Un secolo dopo in America, con un bagaglio molto
più leggero, un pedigree meno nobile, ma con un fervore di libertà dirompente e
una volontà di distaccarsi da tutto quanto li ha preceduti, si mettono in
viaggio Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs. Con questo spirito
prendono ad attraversare gli Stati Uniti.
Danno l’avvio a una nuova generazione di viaggiatori; il loro modo
diverso di attraversare regioni, stati a poco a poco si afferma anche negli
altri paesi occidentali.
Kerouac in ‘On the Road’ descrive questo stile di vita: una ricerca di
nuove esperienze libere da autoritarismi e da doveri. Viaggiare per conoscere e
per conoscersi e con un unico denominatore: la strada.
Il viaggio ha un cuore poetico, lo esprime con mirabile sintesi Basho,
un poeta giapponese di haiku:
“Quando guardo attentamente
vedo il nazuna che fiorisce
sull’orlo della siepe”.
…
La poetica del viaggio è l’arte di lasciarsi impressionare come una
pellicola fotografica da quanto di solito sfugge alla visione usuale ma invece
è essenziale e accende una scintilla nell’anima. In viaggio si è posti nelle
condizioni migliori per osservare con attenzione, per individuare tracce di ciò
che è significativo ma passa inosservato, e ora invece colpisce la sensibilità.
Tagore in 'Canti dell’offerta' scrive:
“Il viaggiatore deve bussare a mille altre porte
per giungere alla sua porta,
deve viaggiare attraverso i mondi più lontani
per giungere ai confini
del suo più intimo e inesplicabile mondo”.
Per Tagore il viaggio è una fonte non solo necessaria ma indispensabile
per la maturazione, la crescita, la conoscenza.
In filosofia questa interpretazione del viaggio è stata espressa
da George Santayana e Michel Onfray.
Per Santayana e Onfray il viaggio modifica a fondo chi lo compie:
il corpo viene messo nelle condizioni di registrare più dati rispetto
al consueto, si acuiscono i sensi, si guarda con uno sguardo attento, si
ascolta in modo compiuto, si entra in profondità nella qualità delle cose.
Proprio per la straordinarietà che si vive, ogni parola è importante,
un gesto essenziale, il paesaggio si disegna nei ricordi.
Il distacco dal ripetitivo, dal consueto, fa agire con attenzione e
consapevolezza.
Secondo questa interpretazione, il viaggio nasce da un desiderio di
cambiamento e modifica a fondo la persona.
Il viaggio è discontinuità, spinge ai confini dell’imprevisto.
L’io è costretto a incontrare l’altro. E da questo incontro con
l’altro, si confronta più a fondo con se stesso.
In una condizione di mobilità, di precarietà, d’insicurezza, si
determinano le condizioni per una crescita personale.
Ma c’è una prospettiva molto diversa sul viaggio.
Scrive Seneca nel 40 dopo Cristo: “Il viaggio potrà darti conoscenza di
popoli, rivelare nuovi profili di monti, estensioni mai viste di pianure e
valli fecondate da fiumi perenni. Non ti renderà, però, né migliore né più
saggio. Perché dunque tu ti meravigli se viaggiando ti sei annoiato e se i
lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Hai
finito col viaggiare proprio con l'individuo dal quale volevi fuggire”.
E Orazio aggiunge: “Caelum non animum mutant qui trans mare currunt”.
Eugenio Montale con vena ironica e amara scrive: “Prima del viaggio si
sospetta che il saggio non si muova e che il piacere di ritornare costi uno
sproposito. Un imprevisto è la sola speranza”.
Kabir,mistico e poeta indiano, indica il luogo più
essenziale verso cui dirigersi:
“Benares è a oriente,
ma tu esplora il tuo cuore,
perché lì sono Rama ed Allah”.
In questa seconda prospettiva i tormenti interiori non svaniscono
allontanandosi dalla propria dimora, non vengono superati avviandosi verso
luoghi geografici diversi e lontani; il viaggiatore li porterà sempre con sé in
qualsiasi posto si rechi; fino a quando non avrà risolto le sue angustie,
spostarsi di paese in paese sarà solo un’inutile fuga.
Emerge quindi l’indicazione che non solo la vita stessa è un viaggio ma
che il viaggio più importante è quello verso l’interno.
E qui la filosofia ritorna ai primordi, al “conosci te stesso” di
Socrate, un invito a cercare nell’anima, nella psiche, per scoprire cosa si
celi nella profondità della coscienza.
Solo in questo caso il viaggiatore sarà mutato dal viaggio al di là del
Colonne d’Ercole della propria geografia interiore.
AMSTERDAM/DEHLI
Perdersi, smarrirsi,
lasciar emergere la
parte più fragile
celata nell’anima.
Mettersi in viaggio,
in cammino
e farlo con un
bagaglio leggero.
In paesi lontani, in
città sconosciute,
come una spiga in un
campo di grano
nell’ondeggiare di
folle convulse
dov’è difficile
distinguere il viso
di un singolo essere
umano,
che sfiori, da quello
vicino,
provare sconcerto,
inquietudine,
ma in nessun luogo,
in nessuna regione del
mondo
sentire di essere
estranei.
Attraversare confini,
deserti
e venire attraversati
in certi frangenti
dal timore,
dall’ansia. Eppure…
lasciandosi pervadere
da un intimo senso di
smarrimento
accorgersi che l’unico
vero pericolo
è quello che si lascia
alle spalle
in quella fortezza
munita
di complicate difese
mentali,
di un inaccessibile
guscio
da cui solo a fatica
ci si è affrancati,
perché viaggiare, come
innamorarsi,
affrontando le
intemperie della vita
e dei sentimenti è
un’avventura
nella fragilità e
nella profondità
più pura
della mente e
dell’anima.
THE HORATIAN SEA
Ciò che si è perduto
o mai posseduto
lo si cerca viaggiando
con i vestiti
sgualciti,
le scarpe sdrucite,
la fronte madida di
sudore,
il sacco ricolmo di
cianfrusaglie
inutili, una faccia
segnata
da tutte le notti
scambiate ad arbitrio
per giorni e dai
giorni
consumati nel
succedersi
caotico delle notti.
Finché sulla via del
ritorno
dopo aver mutato cieli
e città,
paesi, continenti,
abitudini
senza nulla da salvare
di ciò che si è visto
o soltanto sfiorato
s’intuisce che quanto
muoveva
la propria
inquietudine
era da sempre più
vicino
di quanto si
immaginava
perché in qualsiasi
luogo,
a qualsiasi latitudine
lo si portava con sé,
nell’anima:
nell’illusione di
raggiungere
una mèta, un approdo
in quest’astro opaco
dove qualsiasi mèta
si rivela un miraggio
e l’unico approdo
è la promessa
racchiusa
nell’emozione di
mettersi in viaggio.
da “I viaggi veri conducono non più lontano ma più vicino”,
di Paolo Borsoni, Lietocolle
Basho “Centoundici Haiku”,
Kabir “Il flauto dell'infinito”, Passigli
Eugenio Montale “Tutte le poesie”, Mondadori
Michel Onfray “Filosofia del viaggio”, Ponte Alle Grazie
George Santayana “Filosofia del viaggio”, Editore Universitalia
Seneca “Lettere morali a Lucilio”, Mondadori
Tagore “Canti di offerta”, Guanda