IL MIO CARSO

 

Vorrei dirvi:

sono nato in Carso

in una casupola di paglia annerita dalle piogge e dal fumo.

C'era un cane spelacchiato, rauco,

due oche infangate sotto il ventre,

una zappa, una vanga,

e dal mucchio di strame scolavano, dopo la pioggia,

canaletti di acqua brunastra.

Vorrei dirvi:

sono nato in Croazia

nella grande foresta di roveri.

D'inverno tutto era bianco di neve.

La porta si apriva a pertugio.

E la notte sentivo ululare i lupi.

Mia madre m'infagottava con cenci le mani rosse e gonfie.

E io mi avvicinavo al fuoco frignando per il freddo.

Vorrei dirvi:

sono nato nella pianura morava.

E correvo come una lepre per i lunghi solchi,

facendo volar via cornacchie gracidanti.

Mi buttavo pancia a terra.

Sradicavo una barbabietola.

La rosicchiavo terrosa.

Vorrei ingannarvi, ma non mi credereste.

Voi siete scaltri, sagaci.

Capireste subito che sono qualcuno

che cerca di imbarbarire solo la sua solitudine.

E' meglio che confessi di esservi fratello.

Anche se talvolta vi guardo trasognato, lontano.

E ho, forse, paura di voi.

Le vostre obiezioni mi chiudono in gabbia.

I vostri discorsi, li ascolto in silenzio.

Rimango zitto, seduto nell'angolo del tavolino.

E penso ai grandi alberi aperti al vento.

Penso al sole sui colli,

alla libertà,

agli amici che si riconoscono da una stretta di mano,

da una risata calma, piena.

Penso alle mie lontane origini sconosciute,

ai miei avi che arano un interminabile campo

con l'aratro tirato da quattro cavalli pezzati,

o curvi nel grembiale di cuoio davanti alle caldaie del vetro fuso.

Penso al mio avo intraprendente

che cala a Trieste all'epoca del portofranco,

alla grande casa dove sono nato

e dove vive ancora, indurita dal dolore, la madre di mia madre.

 

(Scipio Slataper)

 

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