EUGENIO DE SIGNORIBUS

 

 

non hai luogo o non sai o tardi solo

è per saperlo o per vederci chiaro

ora che il giorno tutto ira è in volo

coi fumi cerebrali…

 

di qui non sei, qui certo non hai base,

sei uno che non passa, che non erge

o che non altro… o che alla sua pelle

sta come un senzacasa…

 

***

 

lo spazio non si confà alla sua biografia…

breve è il percorso della stanza: dopo un passo

sbatte contro il necessario, è già arrivato…

non può muoversi, né serve guardarsi intorno:

un pugno si gonfia all’altezza del respiro e vive

una propria scorporata identità…

poco più in alto, si stacca un io che vuole

intendere la ragione di quel possesso, la direzione

di quella vita…

nei pressi, le multiformi nuvole sono indifferenti

al suo racconto…

 

***

 

ah poter risalire… respirare…

e brivido su brivido afferrare

 

un legno, prenderne possesso, stare

finché l’iride trova la sua cuna…

 

sulla riva sconosciuta apparecchiare

ciò che serve a dare di sé un segno

 

tutto è pronto nel cono di fortuna

in attesa stanno il pesce e il suo amo

 

***

 

egli ammette: non giungo mai in un posto,

parto, vedo aprirsi la campagna o il mare,

vedo le case farsi più fitte e alte,

scendo in una più vasta stazione, guardo

intorno, frazione dopo frazione, cerco solo

il volto, qualcuno mi viene incontro o mi chiama:

sono salvo… sono giunto da lui, comincio

a vedere il resto, a conviverlo…

 

***

 

nella landa sull’alba, un lampo di mezzosogno:

sono sopra una rupe, su un alto sanatorio…

assente ogni vita, immane il silenzio…

se mi affaccio rabbrividisco…: in basso

le cicatrici delle valli, tutt’intorno - ma distanti -

le svettanti creste a corona…,

esposto sulla finestrella, fatico a respirare,

desidero un polmone di piuma…

non conosco l’oltre di quelle punte smeriglie,

temo la vista dell’aquila, m’infagotto e attendo…

finché qualcuno mi sorprende alle spalle,

mi stacca e sospende nel vuoto…

il vuoto è un frammezzo dove non posso nulla,

mi abbandono…  e fido nella sua resistenza

e bontà

 

***

 

Terre bruciate

chi non può averti t’uccide…
non sopporta il tuo corpo scritto
e il tuo te che pure sofferente
sta sopra la sabbia verbale

dopo il tuo terzo no
intorno al tuo capanno cosparge
la sua carta venale e l’incendia
negando anche sé nel conflitto…

chi ti convive e sente
in pericolo la tua alleanza
corre a spegnere sul nascere
ciò che già cenere era

ma all’alba un’incerta linea nera
separa il tuo sguardo infelice
da ogni luogo dove non sei
se non nell’urna o nella cicatrice

 

***

 

oh basso imperio dei potenti
creatori di servi e di pene

si consumerà il tuo tempo
fino a una pasqua a venire!…

ora percorriamo malfermi
un solco tra ingiurie e promesse

un ossessivo ciarlume
occupa ponti indifesi

batte sui timpani offesi
come colpi di frusta

così barcollanti cerchiamo
le tracce, le nostre, le stesse

 

 

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