PEDRO SALINAS
"POSSESSO DEL TUO NOME"
Possesso del tuo nome,
il solo che tu concedi,
felicità, anima senza corpo.
Dentro di me ti porto
perché dico il tuo nome,
felicità, dentro il petto.
"Vieni": e tu piano giungi;
"va via": e tu rapida fuggi.
Di te presenza e assenza
ombra l'una dell'altra,
ombre mi danno e mi tolgono.
(E le mie braccia aperte!)
Ma la tua carne è negata,
negate le tue labbra,
felicità, anima senza corpo,
ombra pura.
****
"QUANTO A LUNGO T'HO GUARDATA"
Quanto a lungo t'ho guardata
senza guardare te, nell'immagine
esatta e inaccessibile
che ti tradisce lo specchio!
"Baciami", dici. Ti bacio,
e, mentre ti bacio, penso
quanto fredde saranno
nello specchio le tue labbra.
"Tutta l'anima a te",
mormori, ma nel petto
sento un vuoto che solo
l'anima colmerà
che tu non mi doni.
L'anima che si occulta
con maschera di splendori
nella tua forma allo specchio.
****
"L'ANIMA AVEVI"
L'anima avevi
sì luminosa e aperta,
ch'io mai potei nell'anima
tua penetrare.
Tentai le scorciatoie
anguste, i transiti
alti e ardui...
Strade ampie alla tua
anima conducevano.
Disposi l'alta scala
- alti muri sognavo
vigilandoti l'anima -,
ma era l'anima
tua senza difesa
di cinta o steccato.
In te cercai la porta
stretta dell'anima,
ma non aveva,
tanto era libera,
entrate la tua anima.
Dove principiava?
Terminava, dove?
Rimasi per sempre
seduto alle vaghe
soglie della tua anima.
****
"IO NON T'AVEVO VISTO"
Io non t'avevo visto,
giallo limone celato
tra il fogliame lustro dell'agrumeto,
io non t'avevo visto. Ma al bambino
un fuoco strano gli scaturì di brama negli occhi
e tese le due mani. Dov'esse non giungevano
giunse il suo grido.
È notte, ora, e, quale frutto maturo del giorno,
ti tengo tra le mani,
puro limone celato,
puro limone svelato.
(Il bambino già dorme).
****
"NON TI VEDO"
Non ti vedo. So bene
che sei qui, dietro
una parete fragile
di mattoni e di calce, alla portata
della mia voce, se solo chiamassi.
Ma non chiamerò.
Domani ti chiamerò,
quando, non più scorgendoti,
fingerò che tu insisti
qui presso al mio fianco,
e che basta oggi la voce
che ieri tenni muta.
Domani... quando sarai
là dietro una
fragile parete di venti,
di cieli e di anni.
****
RIVA
Se per la rosa non fosse,
fragile, di spuma, candidissima,
ch'egli, all'orizzonte, si finge,
chi m'avrebbe detto
che il petto gli s'agitava
a respirare, ch'è vivo,
che dentro ha un impeto,
che brama la terra intera,
azzurro, tranquillo mare di luglio?
****
FAR WEST
Che vento a ottomila chilometri!
Non vedi come tutto vola?
Non vedi i capelli sciolti
di Mabel la cavallerizza
che gli occhi socchiude chiari
contro il vento, vento ella stessa?
Non vedi
la tenda sbattuta,
quel giornale che svolazza
e la solitudine elusa
tra lei e te dal vento?
Sì, vedo.
Null'altro se non che vedo.
Quel vento
è dall'altra parte,
in una sera remota
di terre che non passai.
Rami va scrollando
senza dove,
labbra sta baciando
senza chi.
Non è più il vento, è il ritratto
d'un vento che si spense
senza ch'io lo conoscessi,
ed è sepolto nel vasto
cimitero dei venti
antichi, dei venti morti.
Sì, lo vedo, senza sentirlo.
È lì, nel mondo ch'è suo,
vento di cinema, quel vento.
****
FEDE MIA
Non mi fido della rosa
di carta,
tante volte io con le mie
mani la feci.
Né mi fido dell'altra
vera rosa,
figlia del sole e dell'ora giusta,
la fidanzata del vento.
Di te, che non feci mai;
di te, che non ti fecero mai;
di te mi fido, flagrante
sicuro azzardo.
****
L'ALTRA
Morì perché volle lei;
non la uccise Iddio
né il Destino.
Tornò alla sua casa una sera
e disse con voce elettrica,
per telefono, alla sua ombra:
"Voglio morire,
ma non sia nel letto,
né venga il medico
né nulla. Tu taci!"
Che sibili di veleni
candidati s'udivano!
Le pistole a stormi
passavano su ali nere
dinanzi al balcone.
Facevan paura i collari
tanto si stringevano.
Ma no. Ella morire voleva.
Morì alle quattro e mezzo
del grande orologio della sala,
alle quattro e venticinque
del suo orologio da polso.
Nessuno se n'accorse. La sua veste
continuava di lei colma,
n piedi, sulle scarpe,
sino ai freschi sorrisi
in alto sulle labbra. Tutti
la videro andare e venire,
come sempre.
Inalterata la voce,
viveva la stessa vita
di sempre.
Diciannove anni compì
nel marzo successivo: "Si fa
più bella ogni giorno",
dissero in edizioni
speciali i periodici.
L'erede ombra complice,
segnale rosa, azzurro o nero,
su lidi, nevi e tappeti,
prolungava gl'inganni.
****
LE MORTI
Dapprima ti dimenticai nella voce.
Se ora tu parlassi qui,
al mio fianco,
io domanderei: "Chi è?"
Poi di te dimenticai il passo.
Se un'ombra si scansa
tra il vento. di carne,
se sei tu più non so.
Tu ti sfogliasti tutta lentamente,
dinanzi ad un inverno: quel sorriso,
lo sguardo, la tinta della veste, il numero
delle scarpe.
Ancor più ti sfogliasti:
la tua carne ti cadde, il tuo corpo.
E mi restò il tuo nome, sette lettere, di te.
E tu vivendo,
agonizzando disperatamente,
in esse, con anima e corpo.
Il tuo scheletro, i suoi tratti,
la tua voce, il tuo riso, sette lettere, esse.
E a dirle solo il tuo corpo ormai.
Mi scordai del tuo nome.
Disgiunte le sette lettere;
non si riconoscono.
Passano cartelli su tranvai; s'accendono
lettere colorate nella notte,
vanno su buste dicendo
altri nomi.
Per di lì andrai tu,
dissolta ormai, disfatta ed improbabile.
Tu andrai, il tuo nome che eri tu,
salito
a cieli opachi,
in una luce astratta d'alfabeto.
****
DOMANDA PIÙ OLTRE
Perché chiedo dove sei,
se cieco non sono,
se assente tu non sei?
Se ti vedo
andare e venire,
te, il tuo corpo alto
che termina in voce,
come in fumo la fiamma,
nell'aria, impalpabile.
E ti chiedo se,
e ti chiedo di che sei,
di chi;
ed apri le braccia
e mi mostri
l'alta immagine di te,
e mi dici ch'è mia.
E t'interrogo sempre.
****
"SE TU SAPESSI"
Se tu sapessi che quel
grande singhiozzo che stringi
tra le braccia, che quella
lacrima che tu asciughi
baciandola,
vengon da te, sono te,
pena di te fatta lacrime
mie, singhiozzi miei.
Allora
non chiederesti più
- al passato, ai cieli,
alla fronte, alle lettere -
che cosa ho, perché soffro.
E in intimo silenzio,
con quel denso silenzio
della luce e del capire,
mi baceresti ancora,
e desolatamente.
Con la desolazione
di chi al fianco non ha
altro essere, una pena
estranea; di chi è solo
ormai col suo dolore.
Volendo consolare
in altro chimerico
il gran dolore ch'è tuo.
****
"CHE IMMENSITÀ DI PESI"
Che immensità di pesi.
orbite celesti,
si posano
- meraviglia, miracolo -,
su arie, assenze,
su fogli, su niente!
Roccia su roccia dorme,
corpi giacciono in culle,
in tombe; né l'isole
c'ingannano, finzioni
di falsi paradisi,
galleggianti sull'acqua.
Ma te, ma te - memoria
d'un ieri che carne
tenera fu, materia viva,
e che ora nient'altro è
che peso infinito,
gravitazione, angoscia -
dimmi, chi ti sorregge
se non la fiduciosa
solitudine della notte?
Te - ansia di ritorno,
sospiro che tornino
invariabilmente,
identici a se stessi,
gli atti più nuovi
che si chiamano futuro -
chi ti sorreggerà?
Segnali e simulacri
tracciati su fogli
bianchi, verdi, azzurri,
vorrebbero essere il tuo sostegno
eterno, essere il tuo suolo,
la tua terra promessa.
Ma poi, più tardi,
si spezzano - quelle mani -,
si disfano, in tempo,
in polvere, lasciando solo
vaghe tracce fugaci,
ricordi, nelle anime.
Sì, le anime, finali!
Le ultime, le sempre
elette, sì fragili,
ad eterno sostegno
dei pesi più grandi!
Le anime, ali
che sole si librano
con virtù di remeggio
disperato, a furia
di non fermarsi mai,
di volare, portatrici
per l'aria, nell'aria,
di quel che si salva.
****
"CHE CORPI LIEVI, AFFILATI!"
Che corpi lievi, affilati,
vi sono, senza colore,
sì rari come l'ombre,
che baciare non puoi
se non ponendo le labbra
sull'aria, su qualcosa
che passa e che appare!
E che ombre brune
vi sono, sì dure
che il loro freddo marmo oscuro
a noi non s'abbandonerà mai
per passione tra le braccia!
E che traffico, andare, venire,
con l'amore velocemente,
dai corpi alle ombre,
dall'impossibile alle labbra,
senza posa, senza saper mai
se è anima di carne oppure ombra
corporea quel che baciamo,
se è qualcosa! Col tremore
di porgere carezze al nulla!
****
"LE SENTI COME CHIEDONO REALTÀ"
Le senti come chiedono realtà,
arruffate, selvagge,
esse, le ombre che noi due fingiamo
in quest'immenso letto di distanze?
Ormai stanche d'infinità, di tempo
smisurato, d'anonimo, ferite
da viva nostalgia della materia,
chiedon limiti, giorni, nomi
Non possono
viver così, più oltre; sono all'orlo
del morire dell'ombre ch'è l'assenza.
Accorri, vieni meco.
Tendi le mani, tendi loro il corpo.
Per esse entrambi cercheremo
un colore, una data, un petto, un sole.
Che riposino in te, sii loro carne.
Si placherà l'enorme affanno errante,
mentre le stringeremo
tra i nostri corpi con avidità,
dove trovin la pace e il loro cibo.
Infine dormiran nel nostro sonno
abbracciato, abbracciate. E così poi,
nel separarci, nel nutrirci solo
d'ombre, tra lontananze
esse
avranno ormai ricordi, ed un passato
di carne e d'ossa,
il tempo della loro vita in noi.
E il loro sogno ansioso
d'ombre sarà il ritorno in questa
corporeità mortale e rosea
dove l'amore inventa il suo infinito.
****
TUTTO SI CHIARISCE
Al confine ti nasce dei tuoi venti
un vago pensiero.
Nube sembra dall'esser vaporosa;
più nube dal candore.
Non s'intende; difeso da distanze
in mistero velato.
Il mattino, che ascende alla sua vetta,
- splendore - a passo a passo,
in contorni si gode ed in profili,
ricusa gli enigmi.
Ordina che lo spieghino, seguenti
interpreti, gli spazi.
Impetuosi s'innalzano, veloci
flutti per decifrarlo.
Li acceca il molto affanno: lamentoso
rintuona il fallimento.
Quali luci si scopron nella ressa?
Quella breve del lampo.
Tarda notti la notte ad esser alba,
lenta la luce accade.
Gia fronti più serene, - onde -, onda
per onda, lo vanno immaginando.
Soave curva a soave curva l'affida,
strada di ciò che è diafano.
Dolcemente lo portano alla spiaggia
dove attendono gli ampi
fogli dorati il loro fato eletto:
che giunga il testo magico.
Gloria, rivelazione! L'onda ultima
prorompe in bianchi segni.
A un bagliore di spiaggia a mezzodì
non resistono arcani.
E sopra terse lamine, la spuma
adagio, a tratto a tratto,
intero pone in chiaro quel ch'è nato
pensiero oscuro.
La luce volge incognite lontane
a giubili immediati.
.