Tiziano Rossi

 

 

Scoiattolo
 

Tu mansueto destino, camminante fortuna,
stelo piegato nelle guerre e raddrizzato,
inciampo che non cascava, sorriso che mai
non naufragava,
aiutami, papà.
Tu basco, pipetta e via andare
contento del colore di una pera,
tu e le tue tinte così azzurre sulla malta,
fatto di carezze discrete sulla malta, di malta,
di cavernose locande, e canoniche in quel gelo,
di sandali svelti e pulitezza,
pittore scoiattolo, lontano, impicciolito,
spoglia passione senza cruccio,
nonnulla che intorno aleggiava.

Adesso perlustro il terreno, la più scarna
tua Lombardia,
a cercare i granelli di riso che a cento
piano piano hai lasciato cadere,
tu Pollicino, e senza neanche sapere:
mio arrovellato inseguimento.

 

***

 

Imbambolarsi  

 

Se ne andava mio figlio, gnomo con la valigia
decenne partente per la colonia, ed insieme
la sua poca età, di cui non mi arrivava
magone e sternuto;

o, appena più grande, dentro il formidabile
reticolato dei tram remigava
involto in cento compiti, in
lontananza di paternità;
o fantasticava sopra un pezzo di carota
e con parole disadatte mi diceva
a me di portare pazienza.

Dunque l’incolmabile mio
debito di sentimenti.

Però se in un domani, dall’aria sostenuti,
in compagnia potessimo tu e io, lui
e mio padre - pittore con barbetta
resuscitato da morte -

in tre a mezza voce chiacchierare
soffiandoci il naso e
dipingere a parole un’immensa piazza Susa
fino a un leggero, felice imbambolarsi…

 

***

 

Stanza
 

Quatte le nevi si avvicinavano
e rovente la stufa nell'angolo bolliva,
tua madre il violino sognante suonava,
tuo padre - che tutto ammirava - a quelle belle
arance sulla tavola esclamava: "che rosso!".
E c'era lo zio Pino così grosso che ridendo
nel corridoio cascava, e più non si levava;
e tu chino su storti disegni, i pensierini
di gennaio o i re di Francia. Era
in questa maniera che combaciava la sera.

Pulita miniatura di una stanza e
da non disistimare,
perché la bellezza viene anche da distanza;
e ciascuno - se tu guardi - è ancora là
come pupazzo di stoffa stupito
nella sua discreta eternità.

 

***

 

Gatto

Il tempo cruciale, il più arduo svanire;
e il gatto malato per dissenteria
(roba maligna) scenderà per dove
dormono i morti senza suffragio.

Perciò ha azzerato qualunque movimento
-risorsa elementare, tecnica pertinente-
il caro, saggio mucchietto di ossa. Tuttavia
cosa vuoi che gli dica, e anche lui del resto…

I suoi baffi non sono più gran che,
il pelo gramo rabbrividisce;
e poi sta ognuno dentro sé recluso:
nocciolo inarrivabile.

Ci si sbalestra da tutti i focolari,
però questa volta niente insegnamenti,
se non la tua felina
signorilità, la poca lagna.


***

 

(BAMBINO O.B.)
 

Rovista lo zainetto, interne masserizie,
detriti di tram, foglietti in sofferenza
ed un fiammifero: tesoro scarso
centrifugo come il suo cuore; e di già arso.

 

***
 

Zio
 

Qui bene si staglia in due fotografie
dritto su un prato secco,
e somigliava a uno spago, bisognoso di nulla.

Si spera che sereno sia arrivato
ad altre solitudini,
porgendo l’orecchio a quello che non c’è:
mio zio col cappello, che poco lavorava
e gli piaceva solamente la musica e
con uno strumento faceva dolci suoni.

Ora rilucono di più le sue manìe:
teneva un elenco dei genetlìaci, seguiva
notturno i lavori tranviari,
spesso si intruppava con dei cani.

La sua storia malcerta qui finisce
(sai le persone, isole che camminano)
e quale evviva potremmo gridargli
noi, venuti al tempo di cose mondiali,
di stirpi in smisurato espatrio.

 

***

Difesa
 

Caro nonno, che di me nipote
più non ti ricordi (sono
venuto al mondo dopo il Trentaquattro),
che mi dici figliolo o pressappoco
nel tuo scuro farnètico e gli sbagli, e
parli appena di trincee e di fuoco.

Ecco - la vedi? - questa è la trapunta,
così si chiama, e adesso fa' attenzione
a come la federa s'apre e s'infila. O ancora
tu t'imbuchi là a Nervesa (la battaglia
sotto le troppo sue bombe) o a Doberdò
nel fumo stranita e caduta?

Di tanto si è ritratta la tua vita
tutta in un puntino, per fare resistenza:
che difesa scarnita in questo tempo
sempre di ghiacci, di afflitti letarghi;
ma tu, di certo, hai cominciato nello stento
un'altra specie di combattimento
da qualche spelata dolina...

E il colloquio è finito, radunare gli straccetti.

***


(BAMBINA Q.)
Con la matita trabiccola traccia
sul foglio una linea, la strada,
poi la prolunga, ancora e ancora,
ancora più lunga: chiede dove vada.
 

***

 

Il volto di una signora (non è sua madre ma un po'
le somiglia) campeggia in un grande quadro a metà
parete. B.L., entrato nel mese diciottesimo, vorrebbe
da tempo dare un bacio a quella immagine, accarezzarla
o almeno sfiorarla, e dunque allunga le braccia quanto
può. Il ritratto, però, è troppo in alto e anche il
sollevarsi sulle punte dei piedi si rivela un accorgimento
inadeguato. Allora il piccolo afferra un seggiolino
traballante, lo sistema sotto il quadro, ci sale sopra
con sforzo e protende le mani. Ma quel viso desiderato
rimane irraggiungibile. Serio, B.L. scende dal precario
sgabello e, tirandoselo dietro di sé, si allontana: l'unica
parola che gli esce dalle labbra è "’ntano", ammissione
dignitosa di una sconfitta. E lui non sa se così sarà la
vita che verrà.

 

***

 

(Non è questione di nostalgia, soltanto
occorrono, ecco, tanti sostentamenti,
anche remote cose di affetto)

Andava il tram Ventitré verso il cuore,
le vetrine della gente, e pareva
correre il Quindici incontro a qualche mare,
c’era il Ventotto, l’infreddata

tradotta della scuola,
viaggiava il Trentuno a pericolose povertà
e il trasandato Venti, portatore
di fumi e ruggini di periferia,
e conosceva il Quattordici le fini
di tutti, il grande sonno.

Ma l’Uno fortissimo già ripartiva,
nuovo incominciamento,
paziente il Trentotto si caricava
la nostra calcistica domenica e
il misterioso Diciannove mai salito...

Quegli incrocianti squassati tram
del repentaglio e del rassicurare:
regalavano la
traversata del mondo, e si tornava.

***

 

Mi affiora, mamma, il ragionamento
e così finisce un buio dominio.
Adesso che sono le undici ore
e mi comandi di spegnere il chiaro
perchè fa bene un po' ridormire,
sollevo il braccio sopra la testa
fino all'interruttore raggiungibile a destra
e ti posso con calma obbedire;
ma devo per filo spiegarti che oggi
sei caduta in contraddizione, e dimostrarti
che mutano i mezzi di locomozione
e che il mio cuore, diversissimo da prima,
è come lo vuole la mia generazione.
Ci si slontana, hai riflettuto? E allora
domani o dopo ti bacio la mano,
faccio da solo la fiera partenza
e ridendo mi imbarco per lontano: perché
c'è la vita generale da scrutare;
c'è da ribellarsi, in compagnia
di chiunque qui soffra per forza maggiore
o in grande maniera povero sia;
e c'è da fare l'amore da corsaro
con qualche bella che si sente sola.
Ed in più c'è il peccato della gola.

 

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