Giovanni Raboni

 

Il batticuore di sempre quando aspetto di partire da solo

non sarà, mi dico, così diversa la morte,

questa tua per esempio,

alla moviola corteggiata, covata

come un uovo, sera dopo sera,

discussa con gli amici

come una battaglia da perdere tardi, con onore

Nella vampa del crepuscolo

e dentro, accartocciato

radioso, l’uomo malato

il ragazzo malato

che cerca di dribblare lo stopper della morte

con il numero fantastico dei minuti in un giorno

dei giorni in una vita

“Non lasciatemi solo”

e

“sapeste come mi ha fatto bene!”

e ancora,

da dietro la porta socchiusa

mentre andiamo contriti nel bianco verso l’ascensore,

“Grazie! vi aspetto”.

Ah, povero amico,

che ci sarà più da aspettare;

vedo che cerchi gli occhiali

a tastoni, adagio,

attento a non perdere i fili dell’ossigeno,

a scansare bottiglie, medicine,

ecco, occhiali sul naso,

perlustrare la penombra,

adorare il decrepito corpo della luce, gli ultimi frusti bagliori degli spigoli.

Niente, più niente da aspettare

eppure lo so…

è ancora una persona la tua, un astuto labirinto di specchi girevoli,

una macchina delicata, stupenda…

Quanta vita nel tuo farcela appena,

nella ghiaia,

nelle spine del tuo fiato.

 

 

 

 

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