LO
STRANO
CASO DEL DOTTOR MALUS
tra rituali magici e scoperte scientifiche impreviste
di
Paolo
Borsoni
MAPPA
Seduto alla scrivania della sua stanza, il dottor Malus è immerso,
come al solito, in pensieri complessi, sta tentando di risolvere
quesiti del
tutto incomprensibili per la stragrande maggioranza dei suoi
concittadini di
Parigi. Siamo nell’anno del Signore 1809.
(Questa non sarà una giornata qualsiasi per il dottor Malus.)
Lì accanto sopra una mensola vicino alla finestra è appoggiato un
cristallo.
Con le sue riflessioni, coi suoi ragionamenti, Malus cerca di penetrare
a fondo nei segreti più reconditi e strani della natura.
In attesa che egli giunga a qualche risultato significativo con i suoi
ragionamenti, con i suoi calcoli, noi abbiamo tutto il tempo per
fare un
piccolo giro d’orizzonte a volo d’aquila su varie parti del globo
in quel
preciso istante, in quel preciso giorno di due secoli fa.
Ecco, in questo esatto momento, siamo nel 1809, a Damasco il pio
Muhammad Ar-Rahman con scrupolosa lentezza si sta togliendo le
scarpe: è un
atto dovuto per entrare nella moschea degli Omayadi.
Con altrettanto scrupolo a Varsavia, contemporaneamente, il pio Moshe
Singer si sta aggiustando il cappello per fare il suo ingresso
“come si deve”
nella Sinagoga Centrale della grande città polacca.
A Roma in quello stesso attimo il signor Evangelisti si toglie il
copricapo e la moglie devota si mette un velo all’entrata della
basilica di
Santa Maria Maggiore.
In un’arida regione dell’Africa invece un ragazzino Ottentotto al
culmine della sua iniziazione alla vita adulta compie l’unione
rituale con la
madre perché attraverso il possesso attivo della madre avvenga il
necessario
distacco dal mondo infantile.
Sono sorprendenti i rituali umani! Una delle varietà più emblematiche è
quella delle regole sul matrimonio: certi popoli lo vietano tra
parenti
lontanissimi, altri lo incoraggiano tra cugini carnali; presso
alcune
popolazioni agli zii è consentito impalmare le nipoti; in varie
parti del globo
sarebbe uno scandalo il matrimonio tra il patrigno e la figliastra
acquisita,
ma questo tipo di unione viene considerato perfettamente legittimo
presso
alcune tribù dell’Africa.
Sia i modi di entrare in un tempio e quindi di porsi in contatto con la
divinità sia le norme che regolano le unioni matrimoniali e
sessuali mettono in
luce una molteplicità di possibilità: i rituali umani possono
essere diversi da
popolazione a popolazione, addirittura contrastanti, anche quando
si ispirano a
problemi simili, a medesimi quesiti esistenziali e sociali.
Ciascuna popolazione rispetto ad alcuni problemi basilari elabora una
struttura caratteristica di comportamenti e associa a tali
problematiche
singolari credenze e alcune sequenze di gesti, di movimenti, che
potrebbero
anche essere diverse, ma che una volta fissate risultano
sorprendentemente
durature, stabili, inalterabili per secoli, se non per millenni.
Tali tradizioni, usanze e rituali vengono innervate da significati
inconsci, emotivi, da principi morali, per cui la trasgressione e
l’inosservanza delle regole tramandate da secoli divengono fonte
di
disapprovazione, emarginazione sociale, sinonimo di colpa e
peccato, a volte,
nei casi estremi di pazzia e di atto meritevole della morte.
I rituali costituiscono complessi di asserzioni metaforiche e di
istruzioni sull’organizzazione della vita e si riferiscono alle
relazioni
sociali e ai rapporti con la natura. I rituali fanno parte
dell’Ideostruttura
di una società.
Prendiamo in considerazione i rituali più direttamente legati
all’ambito magico.
La magia, secondo James Frazer, costituisce una specie di
“pseudoscienza applicata” che si occupa di relazioni
causa-effetto: le relazioni
supposte di causa-effetto sono false, ma contengono una logica,
riconoscono e
trattano somiglianze, vicinanze, contatti, possibilità di
spiegazioni.
Secondo l’interpretazione di Bronislaw Malinowski, la magia è invece
una risposta al senso di impotenza dell’uomo di fronte a un mondo
che sfugge al
suo controllo; la magia serve a rassicurare e a sopportare meglio
una
condizione di incertezza, di insicurezza esistenziale. Gli
abitanti delle isole
del Pacifico quando pescano all’interno delle lagune non usano
incantesimi ed
amuleti, ma vi fanno ricorso ampiamente quando vanno a pescare
fuori della
barriera corallina dove le barche possono affondare, venire
spazzate via dal
vento e dalle forti ondate con il pericolo dei pescecani in
perenne agguato.
Ciò ovviamente non indica una legge generale di dipendenza crescente
delle popolazioni dai rituali magici man mano che crescono le
difficoltà e i
pericoli presentati dall’ambiente, altrimenti gli Eschimesi, che
vivono in
luoghi molto più inospitali della Melanesia, dovrebbero far
ricorso a rituali e
formule magiche molto più spesso di quanto non facciano. Gli
Eschimesi
sopravvivono perché adottano tecniche capaci di ricondurre
effettivamente a
casa vivi i cacciatori dal mare aperto e dalle distese di
ghiaccio, con
accorgimenti pratici capaci di uccidere realmente le foche che
essi avvistano.
Emile Durkheim propone un’interpretazione della magia ancora diversa:
secondo Durkheim i popoli primitivi con i loro riti, sacrifici,
tabù, adorano
in realtà i vincoli della loro società e le istituzioni della loro
cultura. I
totem, gli antenati, i luoghi consacrati, gli strumenti sacri, i
misteri sono i
simboli della società tribale del passato, del presente e del
futuro, e del suo
felice adattamento all’ambiente mediante l’accesso a relazioni
mistiche con
l’universo, in sostanza il magma culturale della magia è una fonte
di coesione
sociale.
Per Gregory Bateson, la magia risponde a un bisogno religioso profondo,
essa esprime la volontà di affermare l’appartenenza all’ecologia
delle verità
eterne della vita e dell’ambiente. I rituali servono a mantenere e
a ricomporre
l’unità del gruppo con le forze della natura, con le divinità, con
gli
antenati. Nella situazione opposta, nel distacco da natura,
divinità, antenati,
c’è il distacco dal gruppo, lo scontro con le divinità, la
contrapposizione
alle forze della natura, c’è la rottura con gli antenati, con le
tradizioni,
con la storia.
Dietro questa dialettica unità/separazione può essere letta
l’alternativa sopravvivenza/estinzione. In un rapporto fluido,
ricco di
relazioni e di comunicazioni tra sistema e ambiente, sorgono la
vita e
l’energia vitale con le possibilità di sopravvivere e di
riprodursi. In un
isolamento senza relazioni, senza comunicazioni tra sistema e
ambiente c’è la
fine dell’energia vitale ovvero la morte.
Ma torniamo al dottor Étienne-Louis Malus.
È sempre lì, seduto alla sua scrivania, chino a studiare i suoi libri.
Avviciniamo alle sue spalle, vediamo di cosa si tratta: sono libri
pieni di formule, di disegni, di argomentazioni sulla rifrazione
dei raggi di
luce: Ottica!
Lasciamolo a queste sue ricerche e riprendiamo la ricognizione a volo
d’aquila sul mondo del 1809.
In America possiamo osservare le “strane” attività di due tribù
indigene della California: gli Yurok e i Karok.
Queste due tribù abitano vicino a un fiume, capace di fornire salmoni
in abbondanza, in un clima mite, con una terra ricca di ghiande.
L’alimento
principale di queste due popolazioni che per secoli e secoli non
sono mai state
minacciate da nemici esterni o da pestilenze è proprio dato da ua
combinazione
di salmoni e ghiande.
(Siamo agli albori del 1800: dietro l’angolo c’è un pericolo
inaspettato e che sarà devastante per loro. Saranno inutili sia i
salmoni sia
le ghiande).
Rispetto al resto della California, gli Yurok e i Karok hanno
alimentazione più abbondante, hano una popolazione più densa,
eppure, nella
loro storia, sono tribù che si sono legate a un migliaio di
stranissimi e
singolari precetti e divieti magici: non mangiano in barca sul
mare né sulla
lingua di terra alla foce del fiume, non mangiano prima di andare
a caccia o di
cominciare una giornata di lavori, non mangiano le carni di cervo,
di balena,
di orso, di salmone nello stesso pasto; dopo aver mangiato carne
di cervo è
obbligatorio lavarsi le mani ma in un canestro non nel fiume; si
può dormire
con la moglie nella boscaglia o nell’accampamento ma non in casa,
per non
offendere le conchiglie-monete che altrimenti sparirebbero; l’arco
deve essere
fatto con il legno del tasso (conifera) preso dal lato opposto
alla direzione
del fiume. E così via senza limiti.
Nessun bisogno impellente, direttamente legato a problemi di vita o di
morte, sta alla base di questi strani rituali, alla loro scelta:
quelle azioni
potrebbero essere anche opposte, ma non cambierebbe nulla per la
sopravvivenza
degli Yurok e dei Karok.
La cultura che le esprime è diventata ipocondriaca: tutti i membri
della società vengono condizionati fin dall’infanzia al timore e
al pessimismo.
Gli anziani, generazione dopo generazione, insegnano che il mondo
è soprattutto
pieno di mali e di pericoli contro cui occorre difendersi mediante
una serie
infinita di tabù e di pratiche magiche.
(Non basteranno questi rituali ad esorcizzare ciò che sta per
sconvolgere la storia di queste tribù. Esorcismi, formule magiche
non saranno
sufficienti a preservare la nicchia vitale che per secoli e secoli
queste
popolazioni si erano ritagliate in un ecosistema a loro favorevole
ma che alla
fine del diciassettesimo secolo sarà sconvolto dall’arrivo di
strani individui
da molto lontano).
Gli Yurok e i Karok nella loro storia non hanno dovuto scontrarsi con
alcun ambiente naturale selettivo “duro”. Proprio per questo hanno
potuto
sviluppare e conservare nel tempo una moltitudine di precetti
strani, bizzarri,
che risultano a un giudizio spassionato inutili ma che
evidentemente si sono
dimostrati utili a mantenere uno stato di equilibrio interno
all’organizzazione
sociale.
In tutti i tipi di rituali le sequenze di gesti, di movimenti, di
scelte e in generale il numero effettivo di esorcismi, di
genuflessioni, di
parole da ripetere potrebbero anche essere diversi; la funzione
del rituale non
cambierebbe. Ma una volta che queste sequenze di gesti, di
movimenti, di scelte,
il numero di parole da ripetere e di genuflessioni da compiere,
sono stati
fissati, essi rimangono stabili nel tempo ed entrano a far parte
della vita e
del modo di comportarsi di una persona e di una popolazione.
Gli insieme di rituali, con le loro regole, norme, pratiche, si
modellano prioritariamente attorno alle caratteristiche
fondamentali
dell’ambiente in cui sono inserite le persone, i gruppi che
esplicano tali
comportamenti ritualizzati. L’ambiente determina le condizioni, le
possibilità
su cui si dipana una “tela di ragno” di specifiche forme di
comportamento, una
“tela di ragno” che ha una propria logica di fondo, in qualche
caso
sconcertante.
Alcune caratteristiche culturali degli Eschimesi non avrebbero mai
potuto affermarsi e consolidarsi in America Centrale o in Perù. La
“tela di
ragno”, la “mappa”, l’”ideostruttura” una volta stabilizzate,
divengono esse
stesse struttura in grado di indirizzare in un senso, piuttosto
che in un
altro, lo sviluppo culturale e sociale. La “tela di ragno” non
raramente si
estende in un vicolo cieco, dove ogni ulteriore progresso è
precluso o
drasticamente ostacolato. Tale possibilità si realizza soprattutto
in
situazioni di isolamento geografico, linguistico, politico;
l’isolamento
impedisce rapporti con l’esterno, non permette nuovi fili
conduttori di stimoli
sociali e culturali, relazioni con persone diverse, con gruppi
sociali diversi,
con prospettive di vita alternative, con soluzioni tecnologiche
migliori, con
punti di vista differenti. Ogni evoluzione ha alla sua base una
sequenza di
tentativi, di errori, di prove ripetute e fallite. Allorché esiste
uno scambio
continuo tra sistema e ambiente, tra un popolazione ed altre
popolazioni,
esiste anche la possibilità di venire in contatto con nuove
prospettive, con
nuovi modi di porre i problemi, con nuove “mappe” del reale, con
nuove
soluzioni dei problemi, con ideostrutture diverse.
Il linguaggio svolge un ruolo essenziale di collegamento e di
connessione tra le diverse mappe delle diverse popolazioni.
La cultura degli aborigeni australiani, scrive Alfred Kroeber, è
rimasta la più lontana, la più isolata da tutti gli altri
continenti. Era priva
dell’agricoltura, di strutture più avanzate delle capanne di
sterpi, priva di
strumenti elementari quali l’arco, la terracotta e nella maggior
parte dei casi
le imbarcazioni. L’isolamento geografico ha fortemente ostacolato
uno sviluppo
culturale e sociale.
Ma Torniamo al dottor Étienne-Louis Malus, al centro della nostra
curiosità. A Parigi i questo momento il pomeriggio di sole è
ravvivato dal
suono delle campane, dal volo a stormo delle rondini. Si avvicina
il tramonto
ed è bellissimo. Malus nella sua stanza si è finalmente alzato
dalla scrivania,
dai suoi studi, dalle sue letture incomprensibili ai più, e mentre
è profondamente
immerso nelle sue riflessioni complesse, nelle sue congetture
ardite
sull’Ottica, prende distrattamente in mano il cristallo, proprio
quello che era
posato come un soprammobile più o meno inutile sulla mensola della
sua
credenza. Compie questa azione senza alcuno scopo, non ha
un’intenzione
razionale il suo atto. È del tutto soprappensiero e così continua
a rigirarlo
tra le dita come se fosse un giocattolo…
Abbiamo ora veramente pochissimo tempo per fare una piccola escursione
su altri parti della terra nel nostro volo radente sul mondo del
1809. Dobbiamo
andare velocissimi perché il dottor Malus guarda il cristallo e
sta pensando.
Sull’isola di Southampton nella baia di Hudson, a nord
dell’America
Settentrionale, in questo momento è freddissimo. Qui in questo
anno del Signore
abita un gruppo eschimese la cui cultura ha perduto l’uso delle
barche. Questi
Eschimesi, con il loro isolamento e questa perdita dell’uso delle
barche sono
tagliati fuori dai contatti con l’esterno. Per la caccia lungo la
costa usano
un espediente sostitutivo delle imbarcazioni: pelli di foca
gonfiate, che
cavalcano in mare, ma con cui possono catturare soltanto piccole
foche. I loro
attrezzi non assomigliano a quelli degli altri Eschimesi
occidentali,
rappresentano una forma alquanto deteriorata di una fase primitiva
della
cultura eschimese chiamata Thule. Questa fase era fiorente
nell’Artico
Americano intorno al 1000-1300 d.C., in seguito venne soppiantata
dalla più
moderna e sviluppata cultura eschimese. La massima risorsa di
questo gruppo
appartato dell’isola di Southampton, che non usa più le barche, è
un branco di
renne selvatiche vaganti. Se il branco dell’isola si riducesse a
causa di
malattie o se venisse mangiato completamente in una stagione
particolarmente
gelida, questi Eschimesi prima o poi sarebbero condannati alla
fine. E ciò
purtroppo avvenne effettivamente nel 1902, quando moriranno tutti
di fame.
Dunque possiamo trarre una conclusione: sopravvive, si consolida, si
espande quella cultura espressione di una popolazione che
sopravvive proprio
perché il suo bagaglio culturale e tecnico di regole, di norme, di
scelte (la
sua mappa, la sua ideostruttura) in qualche modo è adeguato a
reggere il peso
delle difficoltà dell’ambiente e dei rapporti con altre società.
Così come per i rituali, anche i comportamenti che definiscono alcune
tecnologie possono avere la loro matrice in una pluralità di
scelte, in una
molteplicità di possibilità tra opzioni diverse, in alcuni casi
addirittura tra
loro contrastanti.
Intagliare, segare, piallare e molte altre operazioni eseguite con
utensili vengono praticate in generale secondo due movimenti: o
spingendo o
tirando. I falegnami giapponesi tirano a sé la pialla con moto
centripeto.
L’operaio occidentale allontana la pialla dalla propria persona
con moto
centrifugo. Probabilmente un sistema vale l’altro. Ma una volta
che una data
modalità si sia consolidata è quasi impossibile che un dato
individuo sia
altrettanto capace e immediatamente abile se sostituisce a questa
manovra
quella opposta. Potrà cercare di imparare l’abitudine nuova, ma
nel frattempo
il suo lavoro equivarrà a quello di un principiante.
Di solito i cambiamenti in questi campi tecnici non portano dei
vantaggi, anzi è ovvio che riescono svantaggiosi, perché cala
temporaneamente
la qualità del lavoro. Quindi il cambiamento è difficile che
avvenga e
l’individuo resta legato alla prima serie di abitudini che si
stabiliscono ed è
anche probabile che le trasmetterà ai propri apprendisti ed
allievi così come
le aveva apprese dai lavoratori più vecchi. In questo modo non
solo presso una
certa popolazione predomina una certa abitudine e quella contraria
presso
un’altra, ma tali abitudini opposte possono durare per secoli, per
millenni.
Nelle culture umane vi sono alcune persistenze che ricordano la
formazione delle abitudini individuali. Per esempio nell’antico
Perù nelle
regioni della costa orientale le popolazioni presero l’abitudine
di fare
vasellame col fondo arrotondato, mentre nelle regioni
settentrionali venivano
preferite i fondi piatti. Questa differenza fu conservata per
secoli fedelmente
finché si continuò a produrre la ceramica in Perù. Ambedue le
regioni
produssero vasi con becchi tubolari come manici in forma di
staffa, una
caratteristica che durò per tutta la storia della ceramica
peruviana.
Nell’antico Messico meridionale e nell’America centrale invece le
abitudini presero la direzione di ciotole, di pentole,di
barattoli, con
treppiedi. Questa forma di treppiede presenta alcuni vantaggi
pratici quando si
tratta di mettere sul fuoco i recipienti, ma presso gli abitanti
dell’ America
centrale diventò una vera e propria corrente stilistica: quella
forma veniva
applicata anche a recipienti mai messi sul fuoco, come dimostrano
la forma e
gli ornamenti di pentole decorative; in alcuni casi i piedi erano
appendici
prive di funzione.
Dal punto di vista dell’armonico funzionamento delle varie culture era
completamente indifferente che le ceramiche possedessero becchi o
treppiedi o
nessuno dei due. Eppure, avendo scelto l’uno o l’altro stile, i
vasai peruviani
e messicani vi aderirono per secoli, durante i quali altre forme
ben più
importanti del governo, delle tecnologie, dell’alimentazione,
subirono
cambiamenti radicali.
Se le forme culturali, le soluzioni tecnologiche adottate da una
popolazione non sono adeguate a reggere il confronto con le
difficoltà
presentate dall’ambiente, quella popolazione scompare e con essa
la sua
cultura.
Nelle società animali l’affermazione dei principali modelli di
comportamento è direttamente dipendente dalla selezione naturale:
solo i
modelli di comportamento, che garantiscono sopravvivenza per chi
li esplica,
sopravvivono con i loro attori-agenti.
Anche i rituali, i tabù, gli esorcismi, le soluzioni tecnologiche, le
regole di comportamento, vengono in primo luogo selezionati dal
confronto con
l’ambiente naturale in cui la popolazione è inserita. Se i modelli
di
comportamento direttamente legati ai problemi di sopravvivenza
hanno sempre
come riferimento diretto la logica della vita o della morte, i
modelli di
comportamento che si sviluppano al di là dei problemi di
sopravvivenza, al di
fuori della selezione ambientale, possono assumere caratteristiche
inedite,
singolari, a volte assurde. Allorché un modello culturale risponde
in qualche
modo alle esigenze imposte dell’ambiente, ovvero semplicemente non
collide con
esse, come nel caso degli Yurok e dei Karok, tale modello
culturale può
stabilizzarsi, divenire fattore di integrazione sociale, di
autorità, di
carisma, di potere.
Ma torniamo al dottor Étienne-Louis Malus.
“Per caso” ha fatto un’osservazione! Con una lentezza studiata sta
muovendo il piccolo cristallo, che era un soprammobile e che prima
rigirava
distrattamente tra le dita.
“Per caso” guardando attraverso il cristallo l’immagine del sole
riflessa dalla finestra di fronte, Malus ha notato che la doppia
immagine,
formata di solito dal cristallo, non è sempre presente: essa
scompare quando il
cristallo viene ruotato in una certa posizione, con un certo
angolo, poi
riappare.
Un profano probabilmente penserebbe che il fenomeno è strano, ma non ne
farebbe niente. Un artista penserebbe che è affascinante,
prenderebbe il
pennello e tratteggerebbe la scintilla di luce su un dipinto
oppure se è un
poeta comporrebbe una poesia su quella luce che lo ha
improvvisamente sorpreso
nel suo apparire, sparire e ripparire.
Ma Étienne-Louis Malus ha la testa piena di problemi di Ottica, il suo
cervello è saturo di argomenti che riguardano la rifrazione della
luce. E in
questo momento faticosamente, confusamente dentro il suo cervello
si stanno
delineando le coordinate fondamentali di una teoria essenziale per
la
spiegazione della natura: la polarizzazione della luce.
Il grado di esperienza, i problemi predominanti, i pensieri ricorrenti
sono ciò che determina il modo e il punto di vista attraverso i
quali verrà
esaminato un certo fenomeno, un evento al quale si assiste
casualmente.
La contemporaneità di alcune invenzioni, il modo improvviso in cui sono
state concepite alcune teorie scientifiche suggeriscono che anche
nel campo
scientifico è essenziale una dinamica caratterizzata dal caso e
dalla
selettività, ovvero da un processo stocastico.
Il modo inaspettato, imprevisto di arrivare ad importanti scoperte è
stato tutt’altro che raro nella storia della scienza.
Nel 1928 Alexander Fleming era assorto in una ricerca che non avrebbe
portato in alcun caso ad importanti risultati futuri, e nel suo
lavoro
quotidiano lasciò da parte una pila di vetreria sporca su cui
erano presenti
dei batteri.
Mentre Fleming continuava giorno dopo giorno la sua ricerca infruttuosa
che non avrebbe portato ad alcun risultato, sulla vetreria
cominciarono a
crescere delle muffe.
Fleming, nonostante fosse nel mezzo della sua ricerca, quella su cui si
era concentrato, quella dalla quale, sbagliando, pensava di
ottenere buoni
risultati, pose l’occhio su quella strana muffa, si accorse che i
batteri non
crescevano vicino a una specifica muffa.
Questo fatto lo incuriosì. Continuò ad occupargli la mente. Andò avanti
nella sua ricerca, che a posteriori sarebbe risultata del tutto
inutile, una
perdita di tempo. Ma nel suo cervello intanto quasi da sola
girellava una
domanda: perché i batteri non crescevano vicino a quella muffa?
perché?
All’improvviso Fleming interruppe la ricerca che stava facendo.
L’osservazione di quello che stava accadendo su quella vetreria
sporca e
abbandonata in un angolo era ben più importante e conquistò la sua
attenzione:
quale strano fenomeno stava avvenendo tra i batteri e quella
muffa? perché i
batteri venivano neutralizzati in quella vetreria abbandonata.
Fleming aveva studiato i microrganismi per anni. Fu un caso, un puro
caso, che quella muffa fosse nella vetreria a contatto con i
batteri. Ma la
cosa decisiva fu che Fleming fosse preparato ad interpretare quel
fenomeno,
pronto a selezionare tra le migliaia di informazioni, spiegazioni
ed
osservazioni possibili su quell’evento l’osservazione
fondamentale: quella che
avrebbe portato alla scoperta della penicillina.
Altrettanto inattesa e imprevista fu la scoperta di James Olds e Peter
Milner nel 1953.
Scrisse Olds nella relazione presentata all’ Università del Nebraska:
«mentre raccoglievamo ulteriori informazioni sul sistema
reticolare attivante,
usammo elettrodi impiantati stabilmente nel cervello di un ratto
sano e attivo.
In modo del tutto accidentale, piantammo un elettrodo nella
regione della
commessura anteriore di un ratto. Il risultato fu alquanto
stupefacente. Quando
il ratto veniva stimolato in quella zona specifica in campo
aperto, qualche volta
si allontanava, ma poi ritornava sul posto e cominciava ad
annusare, e più
veniva stimolato in quel punto, più tempo vi rimaneva. In seguito
scoprimmo che
lo stesso ratto poteva essere spinto verso qualsiasi angolo del
labirinto con
un piccolo stimolo elettrico in quel punto dopo ciascuna risposta
corretta. Il
procedimento era simile al gioco dell’acqua e del fuoco che si fa
con i
bambini: ciascuna risposta corretta era seguita da impulsi
elettrici nel punto
della commessura anteriore grazie ai quali il ratto capiva che era
sulla strada
giusta. Più avanti lo stesso ratto venne introdotto in un
labirinto
sopraelevato a forma di T e siccome all’inizio aveva preferito
voltare a
destra, venne obbligato a voltare a sinistra con uno stimolo
elettrico
opportuno al termine della svolta. Dopo tre prove, il ratto svoltò
a sinistra
di corsa, per dieci volte, solo per ricevere lo stimolo elettrico.
A quel
punto, smettemmo di stimolarlo quando voltava a sinistra e lo
obbligammo a
voltare a destra per sei volte servendoci sempre dello stesso
stimolo
elettrico. Dopo queste sei prove il ratto svoltò a destra per
dieci volte
consecutive per ricevere lo stimolo elettrico e in tutto questo
tempo non gli
venne mai offerto del cibo. Terminato l’esperimento, il ratto
venne lasciato a
digiuno per ventiquattro ore, poi si mise del cibo in entrambi i
lati della T e
si obbligò l’animale a svoltare due volte da ciascun lato
somministrandogli lo
stimolo elettrico solo quando voltava a sinistra. Il topo svoltò
allora per
dieci volte a sinistra fermandosi nel punto in cui veniva
stimolato senza
arrivare al cibo.»
Povero ratto!
Fu in questo modo che vennero scoperti i “centri del piacere” del
cervello.
La scoperta scientifica “casuale” non costituisce l’eccezione che
conferma la regola oppure qualcosa di anomalo rispetto a un modo
normale di
sviluppo della conoscenza, costituisce piuttosto il punto estremo,
ma proprio
per questo più trasparente, in cui si evidenzia la continua
combinazione tra
casualità e selezione, il processo stocastico, anche nel campo
della
conoscenza.
Scrive Bateson: «Quale struttura connette il granchio con l’aragosta,
l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi?
E tutti e sei
con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra? Qual’è
la struttura
che connette tutte le creature viventi?»
E noi aggiungiamo quale struttura connette gli Yurok, i Karok, gli
Ottentotti, il dottor Malus e gli Esquimesi? Essi fanno parte di
un’unica rete
di relazioni. Vi è un unico sapere che caratterizza tanto
l’evoluzione
biologica quanto gli aggregati umani. Il conoscere individuale è
parte del più
ampio sapere che tiene unito l’universo delle cose viventi. La
mente umana è il
riflesso di vaste e numerose porzioni del mondo naturale.
Il processo stocastico indica che tanto nell’evoluzione, quanto nel
pensiero, il disordine, la sequenza casuale, la molteplicità delle
combinazioni
hanno un ruolo essenziale accanto ai meccanismi selettivi. Tali
meccanismi
selettivi danno conto della persistenza nel tempo di una nuova
idea, come della
selezione naturale.
Il modello teorico del processo stocastico può interpretare dinamiche
di comunicazione. In ogni società dalla molteplicità delle forme
possibili di
incontro, di interazione, di relazione, di cultura, si organizzano
stabilmente
solo certi tipi di comunicazione sociale.
Ciascuna cultura collega, secondo una propria mappa, comportamenti a
comportamenti, gesti a gesti, messaggi a messaggi.
In ogni società, una volta stabilizzati certi tipi di relazione e di
comunicazione, solo coloro che fanno proprie e ripetono le forme
rituali
“normali” di comportamento, i modelli standardizzati di relazione,
ricevono
approvazione, riconoscimento, “piacere”.
Da una pluralità di scelte possibili viene a selezionarsi in ogni
popolazione una mappa, un’ideostruttura, di tipi di relazione e di
comunicazione, che costituiscono soluzioni a volte evolute, a
volte assurde, a
volte geniali, a volte ridicole di problemi di convivenza e di
sopravvivenza
dell’organizzazione sociale.
Sia i processi di sviluppo della conoscenza, sia l’affermazione di
alcune strutture culturali, in particolare i rituali e le
soluzioni
tecnologiche, possono essere analizzati attraverso un comune
modello
interpretativo, il processo stocastico: una successione di eventi
che combina
una componente casuale con un processo selettivo in modo che solo
certi
risultati del casuale possano perdurare.
Ma torniamo al dottor Etienne Malus.
È tornato al suo tavolo, sta scrivendo le sue prime riflessioni sul
fenomeno sorprendente che l’ha visto spettatore e protagonista.
Dlle sue spalle leggiamo il titolo provvisorio: “Théorie de la double
réfraction de la lumière dans les substances cristallisées”.
Malus ha intrapreso gli studi sulla birifrangenza per concorrere al
premio che l’Accademia di Francia ha bandito nel 1808 col tema:
“Dare della
doppia rifrazione che la luce subisce nel traversare diverse
sostanze
cristallizzate, una teoria matematica verificata dall’esperienza”.
Nella sua relazione Malus afferma: «In base alle esperienze che ho
descritto, il carattere che distingue la luce diretta (quella che
oggi si
chiama naturale) da quella che è stata sottoposta all’azione di un
cristallo,
consiste in questo: che la prima può sempre essere divisa in due
fasci, mentre
nell’altra questa facoltà dipende dall’angolo compreso tra le
sezioni
principali dei due cristalli.»
È la scoperta scientifica nota col nome di “Esperienza di Malus”: per
dare a un fascio di luce quel tale caratteristico e misterioso
stato per cui
attraversando un cristallo di spato d’Islanda, in certi
orientamenti si ha
scomposizione in due fasci e in altri no, non è necessario, come
si credeva
fino ad allora, che la luce abbia attraversato prima un altro
cristallo di
spato o comunque birifrangente, basta che abbia subito una
riflessione.
Con questa relazione Malus dà un contributo essenziale al dibattito
scientifico sulla natura corpuscolare e ondulatoria della luce.
Nel 1810 riceverà il premio messo in palio dall’Accademia di Francia, e
l’anno successivo la Rumford Medal della Royal Society.
(Ma non potrà godere a lungo purtroppo di tali giusti e meritati
riconoscimenti scientifici. Malus muore appena trentasettenne nel
1812).
«Il numero di differenze potenziali contenute in questo gessetto -
scrive Gregory Bateson - è infinito, ma pochissime diventano
differenze
efficaci, cioè informazioni, nel processo mentale di una qualche
entità più
ampia. L’informazione consiste in differenze che producono una
differenza.»
Il singolo organismo, l’individuo, le grandi società individuano tra le
infinite differenze esistenti in ogni parte del reale solo alcune
differenze
per loro rilevanti e su queste costruiscono la mappa
dell’ambiente, la mappa di
risposte alle diverse situazioni e a volte su di esse costruiscono
teorie.
Evidentemente non tutte le mappe offrono un’eguale garanzia di
attendibilità e di efficacia.
Una teoria massimamente attendibile è quella che ha caratteristiche
simili a quella di Etienne Malus, quando cioè risponde a un
criterio fondato
sulla confutabilità: oltre ad asserire qualcosa, tale teoria offre
la
possibilità concreta, effettiva, di una sua eventuale
confutazione, e
contemporaneamente resiste a tutti i vari tentativi messi fino a
quel momento
in atto per confutarla.
A un livello di attendibilità minore possono essere collocate le
raccolte di dati che presentano caratteristiche di molteplicità
delle fonti e
di rigorosità delle osservazioni.
Ancora inferiore attendibilità hanno le leggi generali formulate per
induzione da una base ampia di dati e di osservazioni, leggi che
tuttavia al
momento attuale non sono ben controllabili.
Al di sotto di questo livello ci sono le ideologie, le prescrizioni di
comportamento, i principi variamente motivati, i rituali, che
formano mappe, strutture
organizzate sopra i valori che in un certo periodo storico
predominano presso
una popolazione; essi fissano a livello sociale e morale e
religioso nella
psicologia individuale e collettiva un certo tipo di “senso
comune”, un modo di
pensare, un modello di relazioni, di rapporti con la natura, di
entrare in un
tempio e di prestare rispetto alla divinità o di entrare in
contatto con
l’altro sesso.
Le credenze magiche, religiose, le teorie scientifiche sono tutte mappe
del reale, che hanno maggiore o minore attendibilità ed efficacia
e traducono
differenze in altre differenze.
La scienza, scrive Bateson, è «un modo di percepire e di dare per così
dire “senso” a ciò che percepiamo. Ma la percezione opera solo
sulla
differenza. Ricevere informazioni vuol dire sempre e
necessariamente ricevere
notizie di differenza.»
Tale caratteristica accomuna la scienza alle ideologie, le teorie
fisiche alle credenze più varie, come quelle legate ai rituali
magici.
In ogni mappa si trasferiscono differenze in differenze: in una mappa
geografica sono differenze di quota, di vegetazione, di struttura
demografica,
di superficie. Nel mondo della comunicazione, dell’organizzazione,
e in
quell’ambito vasto, culturale in cui è possibile includere sia le
teorie
scientifiche sia i rituali magici e religiosi, l’operazione
essenziale è la
rappresentazione di differenze mediante differenze, la costruzione
di mappe.
“L’unità che presenta caratteristiche di funzionamento per tentativi ed
errori sarà legittimamente chiamata sistema mentale.”
Sistema mentale, mappa, territorio sono dunque i concetti di
riferimento.
(bibliografia:
Gregory Bateson "Mente
e Natura"
Alfred Kroeber
"Antropologia"
Paolo
Borsoni "Lo strano caso del
dottor Malus",in "Sapere" n. 929, Roma
Paolo Borsoni
"Ricerca di ecologia della
comunicazione" Ianua editrice, Roma)