Valerio Magrelli

 


Tu dormi accanto a me così io mi inchino

e accostato al tuo viso prendo sonno

come fa lo stoppino

da uno stoppino che gli passa il fuoco.

E i due lumini stanno

mentre la fiamma passa e il sonno fila.

Ma mentre fila vibra

la caldaia nelle cantine.

Laggiù si brucia una natura fossile,

là in fondo arde la Preistoria, morte

torbe sommerse, fermentate,

avvampano nel mio termosifone.

In una buia aureola di petrolio

la cameretta è un nido riscaldato

da depositi organici, da roghi, da liquami.

E noi, stoppini, siamo le due lingue

di quell'unica torcia paleozoica.


***

Ma perché sempre dietro la mia parete?

Sempre dietro, le voci, sempre

quando scende la notte iniziano

a parlare, latrano o addirittura credono

che sussurrare sia meglio. Mentre mi sento

questo filo d'aria fredda delle loro parole

che mi gela, che mi lega

e mi tormenta nel sonno.

Sempre dietro la mia parete. Ero

ai confini del circolo polare, e anche laggiù

una coppia piangeva nella sua stanza

oltre un muro trasparente, piangeva,

luminoso, tenero come la membrana

di un timpano, e io stavo lì vibrando

facevo da cassa armonica

alla loro storia. Fino a che, a casa mia,

hanno rifatto il tetto, le tubature,

la facciata, tutto, e battevano

ovunque, sopra, sotto, e battevano sempre

chiacchierando tra loro solo quando dormivo,

solo perché dormivo,

solo perché facessi da cassa armonica

alle loro storie.


***

Preferisco venire dal silenzio
per parlare. Preparare la parola
con cura, perché arrivi alla sua sponda
scivolando sommessa come una barca,
mentre la scia del pensiero
ne disegna la curva.
La scrittura è una morte serena:
il mondo diventato luminoso si allarga
e brucia per sempre un suo angolo.

 

***


Treno-cometa
fiammifero stregato, ferro
sfregato contro le rotaie,
freno tirato e attrito,
treno-freno che strazia
e stride nella notte.
Venivo avanti con le ruote bloccate
le vertebre contratte
le parole-trattino
e dal mio sforzo veniva
un calore e un colore
e un odore di carne strinata:
scintille, una pioggia di lingue
focaie nella notte.
Ah vagoni frenati, ah parole-trattino
io fricativo, ritratto dell'attrito.

 

***


In memoriam E. H.
ritrovato nel suo appartamento
nove mesi dopo il decesso
seduto davanti alla tv

I.
Morì fissando il suo Televisore
la sfera di cristallo del presente,
guardava il Niente e ne vedeva il cuore,
cercava il Cuore e non vedeva niente.

Chi sfidò il lezzo del buio malfermo
si accorse che veniva dall'Illeso,
non dal Morto, ma dal Morente Schermo,
non dal Corpo, bensì dal Video acceso.

Carogna divorata dagli insetti,
Il Monitor frinisce e brilla breve
senza più palinsesti e albaparietti.

La Sua vita larvale svanì lieve
(goal, quiz, clip, news, spot, film, blob, flash, scoop, E.T.),
circonfusa di niente, effetto neve.


II.
Per interposta decomposizione
(Transfert, Pasqua del Video, Eucarestia)
la parodia della Resurrezione
ebbe la forma di Tele-patia.

Fu una morte mimetica, vicaria,
e l'animula vagula, farfalla
luminosa del pixel, volò in aria,
blandula bolla che ritorna a galla.

Quale anima risale verso il cielo?
Se la merce, marcito status symbol,
si fa carne corrotta, rotto il velo

l'Immagine si muta in cirro, nimbo,
diventa puro spolverio, sfacelo,
onda di impulsi e interferenze, Limbo.

 

***


Affittasi villino sopra la ferrovia
con tavernetta adiacente
il capolinea dei bus
e salotto limitrofo al metrò.
Povere case abitate dal rumore
dove famiglie piccole e isolate
si stringono - uccelletti sopra i cavi
dell'alta tensione. L'alta
tensione del censo
e delle classi, l'alta
tensione del denaro,
quella scossa invisibile
che divide le vacche
nei campi, e voi da noi.
Non toccare la corrente che ti scivola accanto,
lasciala sospirare mentre romba
via sui tralicci
nel suo cupreo fiume
intrecciato.

 

***

 

Dormi ma senti frinire
remote
le rotative
rotanti nell'oscurità
per dare forma
all'aldiquà.

 

***

 

A mattino inoltrato,

nel pieno procedere del giorno

ancora qualcuno si attarda nel letto,

segnato dall’ipnosi,

intento al restauro del sonno.

Come se si potesse riparare

la notte,

il vaso infranto,

la lesione del cielo

 

***

 

Io cammino fumando

e dopo ogni boccata

attraverso il mio fumo

e sto dove non stavo

dove prima soffiavo

 

***

 

Ognuno a turno porta il genetliaco,

il giorno dove muore

la propria età. Gennaio,

il mio, la porta

delle stagioni, quando

porto la salma al valico,

alla cruna dell’anno,

cappio e strettoia, angina

che mi allontana il sangue

lasciandomi ghiacciata

a tutela del  gelo.

 

***

 

Domenica mattina

mi risveglia la voce

di mia figlia che gridando

dalla cucina chiede

a suo fratello

se davvero la Bomba,

quando scoppia,

lascia l’ombra

dell’uomo sopra il muro.

(Non di “un uomo”:

“dell’uomo”, dice). Lui

annuisce,

io mi giro dentro al letto.

 

 

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