FEDERICO GARCIA LORCA

  

Vento dell'Est, una lanterna

e un pugnale nel cuore.

La strada ha un fremito di corda tesa.

Un fremito di enorme calabrone.

Da ogni parte vedo il pugnale nel cuore.

 

***

 

Ho chiuso la finestra

perché non voglio sentire il pianto.

Dietro i muri grigi non si sente che il pianto.

Ci sono pochi angeli che cantano,

pochissimi cani che latrano,

mille violini stanno sulla palma della mia mano.

Ma il pianto è un cane immenso,

il pianto è un angelo immenso,

il pianto è un violino immenso,

e le lacrime mordono il vento

e non si sente altro che il pianto.

 

****

 

la luce, questo fuoco che divora

questo paesaggio grigio che m’attornia

questa pena per una sola idea

quest’angoscia di cielo, terra e d’ora

questo pianto di sangue che decora

lira senza timbro, torcia senza presa

questo peso del mare che mi frusta

questo scorpione che attende dentro di me

ghirlanda d’amore, letto fiorito

sonno e di insonne sogno la presenza

tua nel fondo in rovina del mio petto

e se ricerco una vetta di presenza

i tuo cuore mi dà una voce densa

di cicuta e scienza aspra

 

****

 

il cielo è di cenere

gli alberi sono bianchi

e sono carboni accesi

le stoppie bruciate

ha sangue asciutto

la ferita del tramonto

e la carta incolore del monte

è raggrinzita

la polvere della strada si nasconde nei burroni

sono torbide le fonti

e quieti gli stagni

suona in un grigio rossiccio il campanio del gregge

e la noria materna ha terminato il suo rosario

il cielo è di cenere

gli alberi sono bianchi

 

****

A Catalina Bárcena
La tua voce e' ombra di sogno. 
Le tue parole sono nell'aria assonnata 
petali di rose bianche. 
Ai tuoi capelli dorati, al tuo sguardo profondo, 
alla tua voce velata e triste 
offro il mio manto andaluso! 
E' nei tuoi occhi la nebbia delle mattine antiche, 
dolci occhi indolenti, intrisi di lontananze. 
Nell'ascoltarti si sente dentro il cuore 
un remoto rumore di calda sorgente. 

 

MEMENTO

 

Quando io morirò,

seppellitemi con la mia chitarra

sotto la sabbia.

Quando io morirò

tra gli aranci

e la menta.

Quando io morirò,

seppellitemi, vi prego,

in una banderuola.

Quando io morirò!

 

****

 

MORÌ ALL'ALBA

 

Notte di quattro lune

e un albero solo.

Con un'ombra sola

e un solo uccello.

Cerco nella mia carne

l'impronte delle tue labbra.

Bacia il vento la fonte

senza sfiorarlo.

Porto il No che mi desti

sulla palma della mano,

come un limone di cera

quasi bianco.

Notte di quattro lune

e un albero solo.

Sulla punta d'un ago

sta il mio cuore, girando!

 

****

 

LO SPECCHIO INGANNEVOLE

Verde ramo esente

da ritmo ed uccello.

Eco di singhiozzo

senza dolore né labbro.

Uomo e Bosco.

Piango

di fronte al mare amaro.

Nelle mie pupille

due mari che cantano!

 

****

 

FRUTTETO DI MARZO

Il mio melo

ha già ombra e uccelli.

Che balzo dà il mio sogno

dalla luna al vento!

Il mio melo

porge le braccia alla verzura.

Qui da marzo, come mi appare

la fronte bianca di gennaio!

Il mio melo...

(vento basso).

Il mio melo...

(cielo alto).

 

****

 

BALLATA SONNAMBULA

A Gloria Giner

e a Fernando de los Ríos

 

Verde que te quiero verde.

Verde vento. Verdi rami.

La nave sul mare

e il cavallo sulla montagna.

Con l'ombra alla vita

ella sogna alla sua balaustra,

verde carne, chioma verde,

con occhi d'argento gelato.

Verde que te quiero verde.

Sotto la luna gitana,

le cose la stanno guardando

ed ella non può guardarle.

Verde que te quiero verde.

Grandi stelle di brina

vengono col pesce d'ombra

che apre la strada dell'alba.

Il fico sfrega il suo vento

con lo smeriglio dei suoi rami,

e il monte, gatto sornione,

arriccia le sue agavi acri.

Ma, chi verrà? e da dove?...

Ella sempre alla sua balaustra,

verde carne, chioma verde,

sognando l'amaro mare.

- Compare, vorrei scambiare

il mio cavallo con la tua casa,

la mia sella col tuo specchio,

il mio coltello con la tua coperta.

Compare, arrivo insanguinato

dai valichi di Cabra.

- Se potessi, caro amico,

il cambio sarebbe già fatto.

Ma io non sono più io,

né la mia casa è più la mia casa.

- Compare, voglio morire

decorosamente nel mio letto.

Molle d'acciaio, se è possibile,

con le lenzuola d'Olanda.

Non vedi questa ferita

dal petto alla gola?

- Trecento rose brune

sulla tua camicia bianca.

Il tuo sangue gocciola e odora

alla fascia della tua cintura.

Ma io non sono più io,

né la mia casa è più la mia casa.

- Lascia almeno che salga

fino alle alte balaustre;

lascia che salga, lascia,

alle verdi balaustre.

Colonnine della luna

per dove rimbomba l'acqua.

 

Salgono i due compari

alle alte balaustre.

Lasciando una traccia di sangue.

Lasciando una traccia di lacrime.

Tremavano sui tetti

lanternine di latta.

Mille tamburelli di vetro

ferivano le luci dell'alba.

 

Verde que te quiero verde,

verde vento, verdi rami.

I due compari salirono.

Il lungo vento lasciava

in bocca uno strano sapore

di fiele, di menta e basilico.

- Dove sta, dimmi, compare!

Dove, la tua ragazza amara?

- Quante volte t'ha aspettato!

Quante volte t'aspettò,

viso fresco, nera chioma,

a questo verde balcone!

 

Sulla faccia della cisterna

la gitana si dondolava.

Verde carne, chioma verde

con occhi d'argento gelato.

Un ghiacciolo di luna

la sorregge sull'acqua.

La notte si fece intima

come una piccola piazza.

Guardie civili ubbriache

alla porta bussarono.

Verde que te quiero verde.

Verde vento. Verdi rami.

La nave sul mare.

E il cavallo sulla montagna.

 

****

 

COMPIANTO PER IGNAZIO SÁNCHEZ MEJÍAS

I • La cornata e la morte

Alle cinque della sera.

Eran le cinque in punto della sera

Un ragazzo portò il lenzuolo bianco

alle cinque della sera.

Una cesta di calce era già pronta

alle cinque della sera.

Tutto il resto era morte e solo morte

alle cinque della sera.

Le ovatte rotolarono nel vento

alle cinque della sera.

D'ossido seminati il vetro e il nichel

alle cinque della sera.

La colomba e il leopardo ecco che lottano

alle cinque della sera.

E una coscia col corno distruttore

alle cinque della sera.

Il ritmo cominciò di gravi note

alle cinque della sera.

Le campane d'arsenico e di fumo

alle cinque della sera.

Negli angoli dei gruppi silenziosi

alle cinque della sera.

E il toro solo, con il cuore in alto!

alle cinque della sera.

Quando il sudore gelido arrivò

alle cinque della sera,

quando l'arena si coprì di iodio

alle cinque della sera,

la morte mise uova nello squarcio

alle cinque della sera.

Alle cinque della sera.

Alle cinque in punto della sera.

Il suo letto è una bara con le ruote

alle cinque della sera.

Ossa e flauti risuonano al suo udito

alle cinque della sera.

Il toro gli muggiva sulla fronte

alle cinque della sera.

La stanza s'iridava d'agonia

alle cinque della sera.

Ecco, viene da lungi la cancrena

alle cinque della sera.

Tromba d'un iris nei suoi verdi inguini

alle cinque della sera.

Ardevan le ferite come soli

alle cinque della sera,

e la folla rompeva le finestre

alle cinque della sera.

Alle cinque della sera.

Ahi, terribili cinque della sera!

Eran le cinque a tutti gli orologi!

Eran le cinque all'ombra della sera!

 

2 • Il sangue sparso

Non voglio vederlo!

Dì alla luna che si mostri;

non voglio vedere il sangue

d'Ignazio sopra l'arena.

Non voglio vederlo!

È spalancata la luna.

Cavallo di calme nubi

e circo grigio del sogno

con salici in prima fila.

Non voglio vederlo!

Il mio ricordo si brucia.

Avvisate i gelsomini

di minuscolo candore!

Non voglio vederlo!

La vacca del vecchio mondo

passava la triste sua lingua

sopra un muso di grumi

di sangue in terra versato.

Ed i tori di Guisando,

quasi morte e quasi pietra,

mugghiaron come due secoli

sazi di premere il suolo.

No.

Non voglio vederlo!

Sale Ignazio sui gradini,

tutta la sua morte a spalla.

Andava in cerca dell'alba

e l'alba non esisteva.

Cerca il suo fermo profilo

e il sogno lo disorienta.

Il suo bel corpo cercava

e trovò il suo sangue aperto.

Non ditemi di vederlo!

Non voglio sentire il getto

che sempre più s'affioca;

il getto che le tribune

illumina e si riversa

sopra il fustagno ed il cuoio,

della folla sitibonda.

Chi mi grida di mostrarmi!

Non ditemi di vederlo.

Non si chiusero i suoi occhi

nel vedersi lì le corna;

ma le terribili madri

rizzarono allora il capo.

Ed attraverso gli allevamenti

corse un vento di voci segrete,

a tori celesti gridate

da mandriani di pallida nebbia.

Non principe di Siviglia

potrebbe essergli pari,

né spada come la sua

né cuore del suo più vero.

Come un fiume di leoni

il suo stupendo vigore,

e come un torso di marmo

la sua lineata saggezza.

Aria di Roma andalusa

gli dorava la testa

dove il suo riso era un nardo

di sale e d'intelligenza.

Che gran torero in arena!

Che buon montanaro ai monti!

Quanto mite con le spighe!

Quanto duro con gli sproni!

Tenero con la rugiada!

Che bagliore nella fiera!

Quanto tremendo con l'ultime

banderillas della tenebra!

Ma ora dorme in eterno.

Ora i muschi e l'erba dischiudono

con loro dita sicure

il fiore del suo teschio.

E il suo sangue ora viene cantando:

cantando per maremme e praterie,

sdrucciolando su corna intirizzite;

senz'anima vacilla nella nebbia.

in migliaia di zoccoli inciampando

come una lunga, oscura, triste lingua,

per formare una pozza d'agonia

presso il Guadalquivir del firmamento.

Oh bianco muro di Spagna!

Oh nero toro di pena!

Oh sangue duro d'Ignazio!

Oh usignolo delle sue vene!

No.

Non voglio vederlo!

Un calice non v'è che lo contenga,

non vi son rondinelle che lo bevano,

non v'è brina di luce che lo geli,

non di gigli v'è canto né diluvio,

non cristallo che lo copra d'argento.

No.

Io non voglio vederlo!!

 

****

 

GAZZELLA DELLA MORTE OSCURA

Voglio dormire il sonno delle mele,

allontanarmi dal tumulto dei cimiteri.

Voglio dormire il sonno di quel bimbo

che voleva tagliarsi il cuore in alto mare.

Non voglio che mi ripetano che i morti non perdono sangue;

che la bocca marcita continua a chiedere acqua.

Non voglio saperne dei martirii che l'erba produce

né della luna con bocca di serpente

che lavora prima dell'alba.

Voglio dormire un momento,

un momento, un minuto, un secolo;

ma tutti sappiano che non sono morto;

che c'è una stalla d'oro sulle mie labbra;

che sono il piccolo amico del vento occidentale;

che sono l'ombra immensa delle mie lacrime.

Coprimi nell'aurora con un velo,

perché essa mi getterà manciate di formiche,

e bagna con acqua dura le mie scarpe

affinché sia elusa la pinza del suo scorpione.

Perché voglio dormire il sonno delle mele

per apprendere un pianto che mi purifichi dalla terra;

perché voglio vivere con quel bimbo oscuro

che voleva tagliarsi il cuore in alto mare.

 

****

 

CASSIDA DEL SONNO ALL'ARIA APERTA

Fiore di gelsomino e toro sgozzato.

Pavimento infinito. Carta geografica. Sala. Arpa. Alba.

La bambina simula un toro di gelsomini

e il toro è un sanguinoso crepuscolo che bramisce.

Se il cielo fosse un bimbo piccolino,

i gelsomini avrebbero metà di notte oscura,

e il toro circo azzurro senza combattenti,

e un cuore ai piedi d'una colonna.

Ma il cielo è un elefante,

e il gelsomino è un'acqua senza sangue

e la bambina è un mazzolino notturno

sopra l'immenso pavimento oscuro.

Fra il gelsomino e il toro

o uncini d'avorio o gente addormentata.

Nel gelsomino un elefante e nubi

e nel toro lo scheletro della bambina.

 

****

Romance sonámbulo

Verde que te quiero verde.
Verde viento. Verdes ramas.
El barco sobre la mar
y el caballo en la montana.
Con la sombra en la cintura
ella suena en su baranda,
verde carne, pelo verde,
con ojos de fria plata.
Verde que te quiero verde.
Bajo la luna gitana,
las cosas la estan mirando
y ella no puede mirarlas.

Verde que te quiero verde.
Grandes estrellas de escarcha,
vienen con el pez de sombra
que abre camino del alba.
La higuera frota su viento
con la lija de sus ramas,
y el monte, gato garduno,
eriza sus pitas agrias.
Pero quien vendra? y por donde...?
Ella sigue en su baranda,
verde carne, pelo verde,
sonando la mar amarga.

Compadre, quiero cambiar
mi caballo por su casa,
mi montura por su espejo,
mi cuchillo por su manta.
Compadre, vengo sangrando,
desde los puertos de Cabra.
Si yo pudiera, mocito,
este trato se cerraba.
Pero yo ya no soy yo.
Ni mi casa es ya mi casa.
Compadre, quiero morir
decentemente en mi cama.
De acero, si puede ser,
con las sabanas de holanda.
No veis la herida que tengo
desde el pecho a la garganta?
Trescientas rosas morenas
lleva tu pechera blanca.
Tu sangre rezuma y huele
alrededor de tu faja.
Pero yo ya no soy yo.
Ni mi casa es ya mi casa.
Dejadme subir al menos
hasta las altas barandas,
dejadme subir!, dejadme
hasta las verdes barandas.
Barandales de la luna
por donde retumba el agua.

Ya suben los dos compadres
hacia las altas barandas.
Dejando un rastro de sangre.
Dejando un rastro de lagrimas.
Temblaban en los tejados
farolillos de hojalata.
Mil panaderos de cristal.
herian la madrugada.

Verde que te quiero verde,
verde viento, verdes ramas.
Los dos compadres subieron.
El largo viento, dejaba
en la boca un raro gusto
de hiel, de menta y de albahaca.
Compadre! Donde esta, dime?
Donde esta tu nina amarga?
Cuantas veces te espero!
Cuantas veces te esperara,
cara fresca, negro pelo,
en esta verde baranda!

Sobre el rostro del aljibe,
se mecia la gitana.
Verde carne, pelo verde,
con ojos de fria plata.
Un carambano de luna
la sostiene sobre el agua.
La noche se puso intima
como una pequena plaza.
Guardias civiles borrachos
en la puerta golpeaban.
Verde que te quiero verde.
Verde viento. Verdes ramas.
El barco sobre la mar.
Y el caballo en la montana.


***

 

Dos muchachas - La Lola y Amparo

La Lola


Bajo el naranjo lava
panales de algodon.
Tiene verdes los ojos
y violeta la voz.

!Ay, amor,
bajo el naranjo en flor!

Luego, cuando la Lola
gaste todo el jabon,
vendran los torerillos.

!Ay, amor,
bajo el naranj o en flor!


****

 

Amparo

Amparo,
!que sola estas en tu casa
vestida de blanco!

(Ecuador entre el jazmin
y el nardo.)

Oyes los maravillosos
surtidores de tu patio,
y el debil trino amarillo
del canario.

Por la tarde ves temblar
los cipreses con los pajaros,
mientras bordas lentamente
letras sobre el canamazo.

Amparo,
!que sola estas en tu casa,
vestida de blanco!
Amparo,
!y que dificil decirte:
yo te amo!


***

Camino

Cien jinetes enlutados,
?donde iran,
por el cielo yacente
del naranjal?
Ni a Cordoba ni a Sevilla
llegaran.
Ni a Granada la que suspira
por el mar.
Esos caballos sonolientos
los llevaran,
al laberinto de las cruces
donde tiembla el cantar.
con siete ayes clavados,
?donde iran
los cien jinetes andaluces
del naranjal?


***

Las seis cuerdas

La guitarra,
hace llorar a los suenos.
El sollozo del as almas
perdidas,
se escapa por su boca
redonda.
Y como la tarantula
teje una gran estrella
para cazar suspiros,
que flotan en su negro
aljibe de madera.


***

Preciosa y el aire

Su luna de pergamino
Preciosa tocando viene,
por un anfibio sendero
de cristales y laureles.
El silencio sin estrellas,
huyendo del sonsonete,
cae donde el mar bate y canta
Su noche llena de peces.
En los picos de la sierra
los carabineros duermen
guardando las blancas torres
donde viven los ingleses.
Y los gitanos del agua
levantan por distraerse,
glorietas de caracolas
y ramaas de pino verde.

Su luna de pergamino
Preciosa tocando viene.
Al verla se ha levantado
el viento, que nunca duerme.
San Cristobalon desnudo,
lleno de lenguas celestes,
mira a la nina tocando
una dulce gaita ausente.

Nina, deja que levante
tu vestido para verte.
Abre en mis dedos antiguos
la rosa azul de tu vientre.

Preciosa tira el pandero
y corre sin detenerse.
El viento - hombron la persigue
con una espada caliente.

Frunce su rumor el mar.
Los olivos palidecen.
Cantan las flautas de umbria
y el liso gong de la nieve.

!Preciosa, corre, Preciosa,
que te coge el viento verde!
!Preciosa, corre, Preciosa!
!Miralo por donde viene!
Satiro de estrellas bajas
con sus lenguas relucientes.

Preciosa, llena de miedo,
entre en la casa que tiene
mas arriba de los pinos,
el consul de los ingleses.

Asustados por los gritos
tres carabineros vienen,
sus negras capas cenidas
y los gorros en las sienes.

El ingles da a la gitana
un vaso de tibia leche,
y una copa de ginebra
que Preciosa no se bebe.

Y mientras cuenta, llorando,
su aventura a aquiella gente,
en las tejas de pizarra
el viento, furioso, muerde.


***

 
A Catalina Bárcena
Tu voz es sombre de sueno. 
Tus palabras son en el aire dormido pétalos de rosas blancas. 
Por tus cabellos dorados, par tu mirada profunda, 
par tu voz nublada y triste ¡rindo mi capa andaluza! 
Tienen tus ojos la niebla de las mananas antiguas; 
dulces ojios ranolientos, prenados de lajanías. 
Al escucharte se siente dentro del alma 
un lejano rumor de calida fuente. 

 

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