Franco Loi

 

Uscio della mia via, porta di chiavi,

mi appoggio, ho paura, frugo affannato,

e la mia mano che stringe sembra sia il cuore

ed è la chiave che continua a sferragliare.

Lampeggia.

E i bagliori vengono dagli occhi

ed è un sottosopra di pensieri slabbrati,

come una falce che alle candele di luna

ora taglia e ora risplende

all'aria della notte che aggroviglia

e cattura il tempo,

che ruvido, a passi rapidi, come s'imbizzarrisse,

civetta un fulmine sulla terra e la percuote.

Strafumo e nuvolaglia, bambage di ruggine,

striature di soffoco che ingravidano le case,

pennacchi di ciminiere, Rho che appesta l'aria

e Cinisello e Sesto che, fuocheggianti,

sono piombo e getti di geyser che alti gridano al cielo.

E da Limbiate, e da Cologno Monzese,

alla Bicocca , Cornareggio, Binasco,

un correre di formiche di uomini, di gente uccisa

che alla galera, il sole, sono condannati

sulle curve spalle di morti vederlo lontano.

E alti i fuochi si chiamano e, sfavillanti,

i serbatoi lunari l'ossigeno sporco

rubano al fiato degli uomini che vanno sbracati...

Uomini,

milanesi ariosi, classe operaia,

vecchi fatti di silice coi polmoni frantumati,

gente che i cancelli aprono a quella strada,

un tram,

una notte che, tra gli urlare delle sirene,

c'è in fondo Musocco, il Paolo Pini, Garbagnate....

Classe operaia

gente fatta di consumo,

che sogna il mare tra i ronchi della Riviera

e qui, la sera, trattengono legati alle poltrone,

e, come fanno gli sbirri di fabbrica, si vestono

di lavatrici, di automobili, di televisori

un uomo cogli occhi di vetro

che a piangere stravacca in letto la propria viltà

di noi

dei quali i denti difendono la pazienza

di una morte lenta a venire

e che ogni giorno aspettiamo.

 

***

 

Sono arrivato a Milano e mi son perso

in una nebbia che nemmeno la stazione

si vedeva più tra il carbon coke, la raspa in gola

foschia senza luce, una spessa triste

che l’ombra di mia madre cercava

e cielo non ce n’era più, né terra né case,

e io stringevo le mani e da lontano

veniva a soffi dall’ombra la città...

 

***

 

Di Dio sono pazzo, si strappa la coscienza.

Vado in giro, lo penso, me lo rimugino, e vado...

E più lo penso, e più gli sono lontano.

Dio è scherzoso... È come fa la luna,

ché i miei pensieri sono nuvole, e lui si nasconde.

Così, mi distraggo, parlo con gli uomini,

e matta è la luna, chiara luneggiante,

con la sua luce che scivola nella notte.

 

***

 

Ah, Italia nascosta, che nessuno può vedere,

Italia che lavora e si dispera,

Italia senza gloria e senza possedimenti,

terra d'un dio nascosto senza paura,

io ti conosco e cerco il succo del credere

che tiene insieme le genti dentro l'oscurità.

 

***

 

Sono nuvole rosa con sbuffi di scuro

che passano su Milano nel scendere la sera…

Sono nuvole che spariscono in un chiarore

- si sente abbaiare qualche cane nel farsi di cera

i tetti lontani delle case, rumori si smorzano…

e dietro un qualche balcone qualcuno canticchia,

due tre bambini, una palla, il ferro d’un tram…

Come patisce nell’uomo la lontananza!

Come patisce la vita nella monotonia dei giorni!

Che bella sera! Come taglia il cielo la falce

che fa venire sulle case quel ridere leggero

e all’ombra dei portoni la luna danza

tra quel tacere d’uccelli che sembrano pensieri.

 

***

Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,
no per il freddo, no per la paura,
no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza,
ma di quel niente che passa per i cieli
e fiata sulla terra che ringrazia...
Forse è stato come trema il cuore,
a te, quando nella notte va via la luna,
o viene mattina e pare che il chiarore si muoia
ed è la vita che ritorna vita...
Forse è stato come si trema insieme,
così, senza saperlo, come Dio vuole...

 

***

 

Mi piacerebbe di me dimenticarmi,
e camminare, e respirare per te,
essere come i ragazzi che quando li prende il sole
si lasciano seminare dove lui vuole,
e mai ritrovarsi, e non più capire di me stesso,
ma essere gioioso dell'aria che mi attira
là dove la vita si pensa vivere.

 

***

 

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,
forse memoria siamo, un soffio d'aria,
ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,
forse il ricordo d'una qualche vita perduta,
un tuono che da lontano ci richiama,
la forma che sarà di altra progenie...
Ma come facciamo pietà, quanto dolore,
e quanta vita se la porta il vento!
Andiamo senza sapere, cantando gli inni,
e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

 

***

 

Vòltati, senza dar peso, come si fa
quando i pensieri nell'aria scivolano via,
voltati per abitudine, lenta, senza senso
come quelle donne che per strada girano
la testa per un uomo, in casa, o sulla porta,
voltati per simpatia d'un rumore lontano,
o d'una rondine su nel cielo stravolta,
voltati senza sapere, per volontà
d'un qualche pensiero bizzarro, o per bugia,
voltati per ritornare, che dimenticato
ci son io dietro le spalle per rubarti
quel niente del camminare, quel tuo andare via.

 

***

 

Eravamo d'aria in un cielo di frasche
E dalla mura l'edera a ridacchiare,
e l'aria era il tempo, e lei diceva:
"La mia paura è quel tuo toccarmi!"
Passa una nuvola e guardo i miei pensieri,
un uccello zufola, e sento come un tremare.
Ho trattenuto il cuore, e lei diceva: "Ieri
La mia giovinezza ti moriva in braccio".
Null'altro mi pareva di ascoltare.
Taceva il tempo, e mi tenevo basso.

 

***

 

Si scrive perché la morte, si scrive come sera
quando l'uomo cerca niente nel cielo piovuto,
si scrive perché siamo ragazzi o chi dispera,
o che il miracolo venga, forse venuto,
si scrive perché la vita sia più vera,
qualcosa che c'era, c'è, forse non c'è più.

 

***


Come si fa a parlare della bellezza?
La forma che sa dire al fiato del cuore?
La guardo e, nel morire, la mia parola
dice soltanto del poco rimasto nel morire.

 

***

 

Le labbra fanno morire, come la bellezza
quando prende l'anima nel dolore del tempo,
ma gli occhi sono quel guardare nella magrezza
che dà l'amore nella bugia del vento...
Ah, labbra, nel chiamare fate come gli occhi,
state magri nell'allargarsi del sentimento!
Che il tempo non si muova, e la bugia
si nasconda a noi nell'infuriare del vento.

 

***

 

Come mi piace il mondo! l’aria, il suo fiato!
gli alberi, l’erba, il sole, quelle case, le belle strade,
mi piace il salso del mare, le matte stupidate,
i calici tra gli amici, gli alberi nel vento,
e tutte le cose di Dio, anche le piccolezze,
e i tram che passano, i vetri che risplendono,
le spalle che vanno di fretta a occhi bassi,
la donna che ti turba i sentimenti:
è lì il mondo, che sembra aspettarsi
che tu lo guardi, che gli dai retta,
poiché lui c’è sempre, ma è facile dimenticarlo,
distrarsi nei pensieri, essere addormentati…
Ma quando arriva l’ombra della sera,
come ti chiama il mondo! come si allarga
e ti viene addosso quel cielo nella sua vera
bellezza senza finzioni nel suo riflettersi,
e allora per la tua pienezza cambi colore.

 

***

 

Essere uomo ed essere poeta… Come i cani
che abbaiano alla luna per natura,
per la pazienza di star lì ad ascoltare…
Essere uomo ed essere poeta… Una paura
di essere un’aria, un soffio… dover morire…
Essere uomo ed essere poeta… Per l’oscurità
del crescere tra gli uomini, disperdersi nel patire,
per ritornare quel fischio della memoria
che la pazienza ha risparmiato nel giorno.

 

***

 

È come una musica che canta di lontano
e io l’abbraccio tutta senza stringere,
ché lei si espande e fa sentire alle mani
la rosa che nel sole mi sembra di fingere:
è un fiato, un muoversi chiaro di foglie nel verde,
un ridere del sangue che chiama l’aria alla stretta,
una voce che lenta nel corpo si disperde…
Non parlo più, ci sono loro, gli uccelli,
e un ristare nel vuoto dove cresce il verde.

 

***

 

Dentro la parola aperta io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa,
quella parola che sta dietro l’aria
e si fa chiara agli occhi che stanno nel tempo,
e se io parlo non so chi è il parlare,
è il vento che si dice col mio sentimento,
poiché niente si fa dal niente e nel pensare
la voce che mi chiama mi viene dentro.

 

***

 

Quando diciamo cultura, non diciamo niente.
È tutta schiuma e sotto non c’è vino,
ché quattro sono gli uomini che sanno e cento che imbrogliano
e millecento che corrono al nero del vino…
Un fumo che copre il mondo di vecchi e morti,
tra i calici che si alzano, un gran mangiare,
puzza di fica passa, e dietro le porte
la mano dei ladri confusa ai letterati.

 

***

 

Io ero un altro e mi vedevo morire
come si guarda l’uomo nel suo morire
ché la morte fa paura nel guardarsi
come in uno specchio dove il morto sono io.

Mi guardo come strambo nel mio dolore,
dove viene la notte e si copre il mondo,
si stringe la stanza e svanisce ogni colore
su questa poltrona che mi trattiene al fondo
dei miei pensieri, nello sporco della coscienza.
Quasi mi alzo e vado a guardare quelle gronde
dove volano le rondini e dove hanno pazienza
i due colombi che beccano in mezzo al vento.
Ma mi fa fatica, e la coscienza
si sprofonda tra i vuoti del sentimento
nel molle della poltrona che si sfascia.

 

***

 

Ah occhi di madre, occhi senza paura,
gran fiato che dà la vita, e pare un vento
che passa per il mondo e alla natura
e la sua luce è gioia della gente,
vi guardo e mi ci perdo, vado nel fondo
d’una canzone che torna nella mente
come i lampi d’un antico guardare, fiore d’altri mondi,
qualcosa che prende e ti tormenta dentro.

 

***

 

Gli occhi sono trasparenti come una finestra,
guardano le nuvole che gli passano vicine,
e l’aria nel scivolare è come una luce
che spera che nello specchio tu t’incanti,
e lame si fa la luce e l’aria un vento
e stringe il respiro la fronte e tu t’inventi
un’ombra che parla all’amaro del sentimento,
e troppo sono i pensieri, troppo la memoria
e dietro quegli occhi si perde il vero del tempo,
ché pesa ai giochi della vita la sua storia
e fa paura l’ombra e il suo sapere.

 

***

 

Ho attraversato la vita per toccare
quelle labbra che nel rosa conoscono la rosa.
Stringevo come un sogno quel suo tremare
e mi sentivo io e io la rosa.
Pieni di paura noi ci siamo guardati
e conosciuti all’aprirsi della rosa,
le labbra con le labbra d’aria ai respiri.
Intorno il mondo ventava un gelo lontano.

 

***


Sono nuovo, sono tutto rifatto, non sono più miseria,
ho una canzone nel cuore e so cantare.
Oh Dio, non farmi sbagliare, fa che la vita
si apra anche per me, fammi respirare!
Non so come dirlo quello che mi strappa dentro
e cosa sia questa gioia che fa piangere.
Mi sento un terremoto senza risposta
e vado leggero nell’aria che mi piace.

 

***



“Eravamo nascosti nel cuore della paura
- tra i vetri il grande vuoto della città -
e nel passare la gente tu tremavi
e io guardavo il cielo ormai oscurato
- i muri, la luce del freddo che è la notte,
quelle serpi di una città d’addormentati –
e i vetri striati dal gelo, i passeri smorti,
degli uomini che scivolano via si sente soffiargli il fiato…
Ma niente mi distrae, niente m’impedisce:
nel silenzio degli occhi la bocca si disfa
e al primo salire del sole sentiamo cantare.”

 

***

Nel vuoto dell’aria zufola un uccellino
che alla mia orecchia dolce viene a parlare
- vuoto che del vuoto è pieno e niente risponde,
frullo d’una voce nell’aria, danzare
che ti attraversa un’anima di sordo,
come si perde dell’aria il risuonare!

***

 

Di Dio sono pazzo, si strappa la coscienza.

Vado in giro, lo penso, me lo rimugino, e vado...

E più lo penso, e più gli sono lontano.

Dio è scherzoso... È come fa la luna,

ché i miei pensieri sono nuvole, e lui si nasconde.

Così, mi distraggo, parlo con gli uomini,

e matta è la luna, chiara luneggiante,

con la sua luce che scivola nella notte.

 

***

 

...come piove! com'è fresca la città nella pioggia!

quel verde del camion, l'ombrello che cammina,

la luce sghemba dei tram che scivolano nel vento,

e io che sogno il vento - vanno e vengono le ragazze

sulle strade, queste di Milano, tra il correre della gente

e gli orologi che sono fermi questa mattina –

e la mia voce cerca il firmamento...

come piove sui miei pensieri, e sui quei chiarori

che mettono paura dalle macchine addormentate...

...ah bel gocciolare che ristagna e scioglie i suoi misteri,

noi che cantiamo ancora senza saperlo

di quello che nell'essenza del vivere disfa i pensieri.

 

***

 

Essere uomo ed essere poeta… Come i cani
che abbaiano alla luna per natura,
per la pazienza di star lì ad ascoltare…
Essere uomo ed essere poeta… Una paura
di essere un’aria, un soffio… dover morire…
Essere uomo ed essere poeta… Per l’oscurità
del crescere tra gli uomini, disperdersi nel patire,
per ritornare quel fischio della memoria
che la pazienza ha risparmiato nel giorno.

 

***

 

Amore, mi pare di sentire, mio giunco, io voglio fare l'amore!
Giocare?
E la sua voce sembra sia l'aria
che viene dal mare e mi ripete
: Giocare?
Fare l'amore?
E con la sua voce è il cuore che muta
all'aria tutta rinnovata dell'andare
tra quegli spruzzi chiari, leggeri, al risveglio dell'alba,
e tra i castagni si sentono gli uccelli volare:
basta un nulla per disperdersi e mai più voltarsi
e vecchio nel camminare accorgersi del rannuvolarsi
e poi tornare alla terra, tacere, e abbandonarsi.

 

***

 

 

Eravamo d'aria in un cielo di frasche
E dalla mura l'edera a ridacchiare,
e l'aria era il tempo, e lei diceva:
"La mia paura è quel tuo toccarmi!"
Passa una nuvola e guardo i miei pensieri,
un uccello zufola, e sento come un tremare.
Ho trattenuto il cuore, e lei diceva: "Ieri
La mia giovinezza ti moriva in braccio".
Null'altro mi pareva di ascoltare.
Taceva il tempo, e mi tenevo basso.

 

***


Frutti di Dio, cachi su pani di burro di neve,
come mele d'arancio che un'aria di pensieri
vetrata li penzola alla nuvolaglia che minaccia dai tetti,
e i pesci dorati della Cina si dicono parole vane
nel torbido d'acqua della vasca prigionieri,
e il Bobi, botolo negro, cane schifoso
che lecca merda e va, come quei ciechi
che passano accanto a te col gelo dei morti,
e, da pigraccia, di soppiatto, la corazzata tartaruga
cerca, nel raspare che fa alla terra,
la serenella del paradiso, l'ortensia, le libellule,
che finiscono volando la loro vita fatte d'argento
al brusco dell'uva
lungo la mura innamorate del sole,
e Mery, orizzonte fatto di tristezza,
signora dei cani, ragazzina che del cielo
gelosa rubavi furtiva il gelare del gennaio
delle stelle di sasso sui cachi illuminati dalla luna,
tu, Mery,
di una serva sgravata
passerotto da nascondere, vestina che ai cancelli,
cogli occhi di sole, tra le glicini scivolava,
e l'ombra del giardino sembrava lei,
uccelletto da cova,
che dalle glacce sui vetri vedevi invecchiare
tre metri fatti di nuvole, pensieri di tetti e comignoli,
e ti s'invecchiava la fronte che, nel sognarsi,
dimenticava i richiami,
il frottare dei ragazzi sulle strade di neve,
Mery dei fiori,
maestra di ragazzaglia,
visione d'amore, che al correre dei diciotto anni,
coi tuoi silenzi e la sapienza gelida,
d'un improvviso, rovinoso, ansioso morire,
tu ci hai lasciati,
noi fatui, noi spavaldi e miserelli, malcresciuti come te,
che sul catrame lontano di una qualche strada
il cielo era diventato un lenzuolo di nuvole finte.

 

***

 

Ah città morta, Milano senza miracoli,

senza speranza piove manca il vento,

ti ho visto giorno dopo giorno come rimescolata

da una mattina mia del sentimento…

…ah città vecchia, Milano dimenticata,

lascia  che piova sempre, senza vento.

 

***

 

E Vittorini era un uomo d'amore.

«Vede, Milano, dalla mia finestra

è tutta in Conca...» e sentivo il sapore

degli alberi come un mare oltre la Darsena,

e lui come un astrologo nascosto nella luce

diventa la parola la sua faccia

e io che guardo mi perdo e sono recluso

dalla sua vita, dal suo esser lì a parlare

e sembra sia Milano che con la luce

viene nella stanza dove sto ad ascoltare...

«Lei scrive il grigio come fosse grigio...

Ma il grigio è fatto di colori e di beltà.

Lei guardi Gogol, le metope del frigio,

le spente vite di Cechov e Balzac...

La luce sta segreta dentro il bigio

e ogni noia si avverte dentro un crac...»

Alto elegante, con occhi di sera

quando dal loro chiaro il giorno diventa azzurro,

sembrava il rispecchiamento di un mosaico,

uno di quei Re che stanno nell'ombra al buio,

e io lo guardavo, ascoltavo e vera

sentivo la sua voce tra le mie paure...

«Non badi al tempo, e sempre sia sincera

la sua canzone, la forza del parlare...

Chi scrive, sia per gioia o che dispera,

lascia l'impronta come un camminare...»

Ah, Vittorini, bell'uomo di tempi antichi,

la memoria di te, come la vita,

si sfa e mai passa, e sembra un grido

che perdersi pare in aria ma si ferma

e sta sospeso tra gli uomini come per dirgli

che niente si fa per niente e niente è niente

e la coscienza porta nei suoi sogni

con i segni del giorno anche il suo sentimento,

così la storia si fa di carne

e porta avanti il peso della sua vita

contro il marcio della rogna e i soffi del vento,

e l'ombra del dolore che dentro ci respira.

 

***

 

Ah com'è bello il mondo quando viene l'amore!

È un vento che scopre tutto, una luce senza pietà,

un sentirsi uno cogli alberi, coi colori...

Sono io? sono un altro? Chi mi ha disegnato

nel cielo d'uno specchio che vive del suo fiato?

Mi pare di camminare senza saperlo,

come soffiato da un cuore, come abbracciato

da una qualsiasi mano che fascia come un nastro,

da una sua luce che canta nel mio niente...

Ah come si allarga il mondo nel ridere l'amore!

i fiori diventano fiori, i tram sono tram,

la gente sembra emanare il suo calore...

Gran Dio, come mi piace questo tuo chiamarmi,

questo mio chiaro dimenticarmi, perdere il dolore

essere come l'aria in questa confusione di cose.

 

***

 

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,

forse memoria siamo, un soffio dell'aria,

ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,

forse il ricordo d'una qualche vita perduta,

un tuono che da lontano ci richiama,

la forma che sarà di altra progenie...

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,

e quanta vita se la porta il vento!

Andiamo senza sapere, cantando gli inni,

e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

 

***

 

Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,

no per il freddo, no per la paura,

no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza,

ma di quel niente che passa per i cieli

e fiata sulla terra che ringrazia...

Forse è stato come trema il cuore,

a te, quando nella notte va via la luna,

o viene mattina e pare che il chiarore si muoia

ed è la vita che ritorna vita...

Forse è stato come si trema insieme,

così, senza saperlo, come Dio vuole...

 

***

 

Nuova la vita vecchia alla finestra:

si muovono le foglie e viene verso me la luce.

Sono solo e pieno di me,

come quella nuvola che ha dentro di sé la calma dell'essere lì.

Oh dio, come di niente siamo qui a rallegrarci!

Così sarebbe la vita senza l'ansia

degli uomini che sembrano aver fretta di ammazzare,

di questa razza di mastini che rubano

il tempo, il respiro e la memoria, gli anni,

e senza gelosia e amori nascosti

che fanno patire la bellezza del respirare.

Sono solo e canto, e guardo quella nuvola

piena di me e del suo antico guardarmi.

 

***

 

Mi piacerebbe a Po sentirti parlare,

amico Maestro, della tua bugia,

ascoltare la tua Piacenza e far spumare

quei quattro bottiglioni di malvasia,

e poi chiacchierare di donne, del colornese,

degli uomini che cantano e di filosofia,

mi piacerebbe, pandino, al milanese

aggiungergli il colornese, e di Milano

mischiare la lingua all’acqua del genovese…

Non so cosa mi piacerebbe… So che lontano

qualcuno s’inventa un suo d’un giargianese

e a me che ascolto mi pare sia di Milano…

Non è soltanto di lingua che ai tuoi paesi

o dei Cavalli io vorrei soffiare,

ma contare le stelle, sentire l’abbaiare delle siepi,

andare sugli argini e d’un qualche dio sognare…

Ma l’ombra va e viene, e i miei pensieri

tornano indietro tra un gran abbaiare di cani.

 

***

 

… di gioventù non ne torna nessuna…

o l’abbiamo dentro  o sparisce nel cielo…

ma, poi, quanti dolori! Quanta cancrena!

Tanta voglia di crescere, pensieri di felicità

e tante seghe da soli e in compagnia…

E gli uomini piangono nostalgia, s’incrostano di fiele

per quella gioventù scivolata via

senza sapienza e senza libertà…

Ah grama gente che nasconde la malattia

d’un dio di carne che ammorba la città.

Abbassate la boria, lasciate perdere la storia!

È il nome di Dio che avete dimenticato.

 

***

 

Ah quanta gente che piange, quanta che muore!

Come sei duro, buon Padre, nella vita!

Quanta  fatica per resistere nella quiete del fiato!

Si muove la gente come bisce piene di tormenti

tra facce che spiano la vita e la memoria,

uomini che trasformano in veleno il bere dell’aria,

e tu che nel silenzio te ne stai accovacciato

e mi diventa sangue anche la storia.

 

***

Siamo dentro chiusi nel buco del nostro fiato

e facciamo fatica a dare fiato al cuore

essere morbidi con l’anima che tace

e dentro ci facciamo pietre senza pietà…

… dondolano i fiori bianchi sul freddo del marmo

dove l’altare si perde come lontano…

… da fuori viene la luce… chi è che suona?

… forse la notte che aspetta di coprirci…

 

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