GUILLÉN
IL CIGNO
Il cigno puro in mezzo all'aria e all'onda
che esegue il suo candore,
il difficile becco immerge e sonda
l'indecisa armonia.
Acque stridule! Inutile ricerca
d'un musico risalto:
becchi illusi di prede coglie il vento
che insegue levità.
L'Agile vuole poi con la sua voce
svolgere la sua curva.
Ahi, stonato apprendista, solitudine
in turba s'è disciolta.
Ma... Silenziosi i bianchi! Il loro accordo
si esalta: il loro globo.
Tutte le piume tracciano un sistema
di silenzio fatale.
Ed il cigno, continuo in una calma
di corso trasparente,
muta e assente contempla la sua anima,
divinità del fiume.
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LA TESTA
Tenera pietra della fronte,
battuta da tante onde!
La mano indovina liscio
il teschio imminente.
Se dalla carnagione è confutato
il tatto nella sua congettura,
perché la pelle felice segnala
eccelsa bellezza matura
- vertice del suo color vivo -,
palpa il tatto l'osso già morto.
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CIELO DEL PONENTE
C'è uno sfarzo furioso di finale.
Per morire in trionfo la quantità è propizia.
Irrompe tra carminii un impeto animale.
La meraviglia invade violenta e ci rapisce.
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IL SANGUE AL FIUME
I
Lotta , lotta civile,
una lotta ancorata ad un qualcosa
di più profondo
e più nobile della pace,
sotto pace difficile giaceva,
sotto tanto gravame che una sera,
una sera di sabato...
Sappiamo l'accaduto.
Non varrebbe la pena
raccontarne la storia a chi giammai la oblia.
Il lugubre ricordo
recalcitra ad uscire
dall'indolente ormai
- sì dolente il midollo - sonnolenza.
Nondimeno, il dolore cerca l'aria.
Silenzio. La memoria
non dorme bene. Insonne, con assillo
notturno,
esige chiarità,
parla forse alla luna.
II
Il sangue giunse al fiume.
Erano tutti i fiumi un solo sangue
e per le strade
di soleggiata polvere
- o di luna olivacea -
scorreva in fiume sangue limaccioso,
e dentro le invisibili cloache
la piena sanguinosa era umiliata
dalle feci di tutti.
In mezzo ai sangui tutti sempre uniti,
uniti in una rete di paura.
Anche chi uccide è macro di paura
e l'atterrito volto impallidisce
alla calce dell'ultima parete
come il sembiante di chi è sì puro
che uccide.
Increspandosi in vento soffia il crimine.
Lo sentono le spighe dei frumenti,
lo avvertono gli uccelli,
non lascia respirare il transitante
né chi ancora è nascosto;
non petto che non soffochi: possibile
bersaglio di possibile pallottola.
I morti, innumerevoli.
Odii trionfanti scricchiolano
degli ancora superstiti.
Attraverso le fiamme
si vedono rifulgere chimere,
verso un vuoto mortale
clamano dolori dietro dolori.
Persuasi, solenni se son giudici
di terrore con volto di giustizia,
in baraonda di missione e crimine
molti si scaraventano al falò,
avvivato con rabbia da un sol vento,
ed arde infine il vento sotto un fumo
che forse non ha senso per le nubi.
Senza senso? Giammai.
Orrore così grave non è assurdo.
Nelle vicissitudini di fatti
- generosi, sublimi, tenebrosi,
feroci -
vocifera la crisi il suo discorso
d'inganno o verità,
la Storia si va aprendo la sua rotta,
lì più ampia, a un futuro sconosciuto,
atteso da speranza, da coscienza
di tante, tante vite.
III
Sulle utilità, sulle passioni,
per entro i conciliaboli ed i calcoli
brilla un'idea in fronte al combattente.
Il più gran criminale si giustifica,
davanti a sé, tra sé,
con le ragioni espresse nel silenzio
più profondo
del farfugliare emesso
da voci e altoparlanti.
Chi giusto non si giudica,
chi non si sente giusto fino a morte,
la propria morte o quella del nemico,
incalzato altresì dalla giustizia,
una giustizia immensa tra cadaveri?
Tremenda Buona Fede discordante,
errabonda con farse e con rancori,
i rancori più opachi.
E al di sopra, raggiante,
la Causa.
Doppia Causa in conflitto irriducibile,
doppia faccia d'un Giano che agonizza
ansante, ansante.
Ansima ancora?
E in mezzo ai morti
colui che ancora è vivo va orientandosi.
Le rotte si rischiarano.
Mute perorazioni e le retoriche,
il vero vivere conduce
alla ragione per il suo cammino.
La verità procede
giorno per giorno, tra l'acqua e la sete,
tra pane e fame,
per entro il vento libero e assolato
o sopra grate, muri e chiavistelli.
Malgrado tanti inganni, cosa c'è di visibile?
Complice di nessuno, sotto un sole
non ufficiale,
oscure macchie, oscure,
distende la miseria sopra
molti di vecchia e nuova floridezza.
Libertà, per che cosa?
Estinta, ormai lontana tanta lotta,
nel quotidiano vivere continuo
sta la pace: il delitto della pace.
IV
La quotidiana vita vera
non mente, si denunzia. Il tempo
implacabile scorre, con ferocia,
tempo grave di Storia:
gli anni
da un popolo perduti senza un'Orsa.
Anni perduti? No.
L'orizzonte: caligini del Nulla.
Si arriva al Nulla?
Frontiera inaccessibile.
La vita con la sua voracità,
infaticabile,
duttile aspetta, torna ai suoi costumi,
tra resti di rovine
ruchetta d'oro spunta,
che senza enfasi dice...
Storia.
La Storia resta aperta.
Uomini, e ancora uomini, più uomini.
Come minuti i secoli. E i millenni.
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MARINA DI PINTO
(Napoli)
Era dolce, ridente, deliziosa.
La vita traboccava dalla vita.
Viveva giovinezza e la spartiva.
Bellezza è forza. Pungola amorosa.
Le ore, di volubile fortuna,
all'aria danno luce, chiaroscuro.
Il turgido presente va a un futuro
che può essere tutto oppure nulla.
E d'improvviso accadde assurda sorte,
dell'universo imperio casuale.
Dopo azzurro mareggio il maestrale
e, come rima, sempre pronta "morte".
E quella giovinezza - in armonia
col sole, con il bene ed il concerto
dell'Ordine - a un giardino andò deserto.
Fiore in fossa. La sorte che delira.
E noi... La nostra pena infine cinge
i suoi ritiri, ove chi fu perdura
consolando il vivente con dolcezza.
Continua amore a dir la sua parola.
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