FRAGILITA' Paolo Borsoni
“L’individuo può avere
esperienza di se stesso come di una cosa viva, reale, intera, differenziata dal
resto del mondo, in circostanze ordinarie, tanto chiaramente da non mettere mai
in dubbio la propria identità e la propria autonomia; un’autonomia continua nel
tempo; dotata di coerenza interna, di sostanzialità, di genuinità e di valore;
spazialmente identica al proprio corpo e, di solito, come qualcosa che ha avuto
inizio con la nascita, o approssimativamente con essa, e che si estinguerà con
la morte. Tutto questo rappresenta il solido nucleo della sicurezza
ontologica”.
(Ronald Laing)
Un individuo intimamente dotato
di un solido nucleo di sicurezza ontologica riesce a mantenere continuità,
linearità nelle azioni e nelle situazioni più complesse, senza oscillazioni,
senza divenire preda della disperazione. La sicurezza dell’io, indipendente dal
giudizio sociale, dal bisogno di riconoscimenti, di gratificazioni, è un
elemento cruciale dell’equilibrio personale.
La sicurezza dell’io, che si
costituisce nel profondo di una persona, rende stabili le interazioni sociali e
psicologiche.
È per questo che la disconferma
ha un’importanza decisiva nella vita psicologica personale: incide nella
problematica più profonda della sicurezza ontologica dell’io.
Quando il senso di sicurezza
dell’io è carente, ovvero quando è intensa la fragilità dell’io, si afferma una
ricerca di interazioni sostitutive, di relazioni che colmino e risolvano tale
fragilità. Il bisogno permanente di rassicurazione si rovescia in una continua
instabilità. La ricerca di interazioni sostitutive diviene il fattore per la
stabilità di sistemi interpersonali caratterizzati dalla progressiva
distruttività con la quale i singoli interlocutori si contendono gli spazi di
esistenza e di comunicazione. Un tale sistema di relazione è caratterizzato da
rifiuti, impenetrabilità, squalifiche, disattenzione. Rispetto a una catastrofe
psicologica personale, secondo aspettative di solito irrealistiche, meglio una
guerra di posizione senza fine, un conflitto irreversibilmente distruttivo.
La presenza dell’altro consente
l’autoidentificazione in un determinato ruolo: il sofferente, il migliore, il
benefattore, la madre che sopporta il peso della famiglia… In questo sistema
sclerotizzato, che ha un proprio copione di funzionamento, ciascuno degli
elementi del sistema fossilizza il proprio essere, il proprio ruolo. Dalla
somma dei singoli bisogni di rassicurazione dovrebbe venire una sicurezza
comune. Se fallisce il tentativo di trovare nell’altro lo specchio attraverso
il quale vedere riflessa e confermata l’immagine che si è scelta, sempre più
invadente è la frustrazione. Attraverso l’identificazione in un ruolo nel
sistema, il sé si costituisce in un insieme di funzioni, che danno ordine alle
scelte, alle decisioni in maniera indipendente dalla contingenza e dalla complessità
dei singoli eventi. Demandare a un ruolo nel sistema la sicurezza psicologica
dell’io incanala le possibili critiche sulle scelte verso una struttura
oggettiva di riferimenti esterni. Il bisogno di sicurezza viene a essere meno
impellente, le azioni sono legittimate da procedure fissate a priori.
L’eccesso di bisogno di
sicurezza dell’io impone di tenere continuamente sotto controllo l’ambiente che
circonda. Questo bisogno di controllo può esprimersi in forme ossessive, in
rituali quotidiani oppure nella ricerca delle precauzioni su tutti i possibili
sviluppi che potrebbero realizzarsi o nella riduzione drastica delle esperienze
e dei contatti con l’esterno. Le stesse abitudini, lo stesso ambiente di
sempre, i processi consolidati danno continuità a un io fragile. La coazione a
ripetere le stesse relazioni, le stesse situazioni, definisce il gioco senza
fine, il circolo vizioso della comunicazione caratterizzato da una continua
ripetizione del conflitto all’interno del sistema.
L'attaccamento alle cose, alla
persona, all’altro è una forma di questo bisogno abnorme di sicurezza dell’io.
Attraverso l’attaccamento abnorme si costituiscono l’identità e la continuità
dell’io. Tanto più forte è il bisogno di sicurezza dell’io, tanto più esso
funziona da fattore normativo di sentimenti, desideri, scelte, progetti,
azioni. Si tralascia allora di conseguire ciò che si pensa veramente; i
desideri, le idee, i sentimenti cessano di costituire i termini di riferimento
del comportamento. L’apparenza diviene il punto cruciale attraverso il quale
trasformare la vita in una continua rappresentazione, dove importanti sono i
ruoli, le impressioni, i giudizi sociali, e dove è del tutto secondario il
contenuto delle comunicazioni, la verità o la falsità delle affermazioni, l’assurdità
o il senso delle azioni, la loro futilità o essenzialità. Agire è fine a se
stesso, come il comunicare che garantisce comunque un legame, un processo di
interazione nel sistema.
Tutto ciò sconfina nel vivere
nelle fantasie, nelle paure, nelle ossessioni, dove l’apparenza si confonde con
la realtà, la finzione con il sogno. L’insicurezza dell’io produce stati
patologici di paura, forme di mentalità morbosa e apprensiva, aggressività,
espressioni comuni di un elemento di fondo: l’esorcizzazione della fragilità
dell’io.
La sottomissione preventiva può
costituire una soluzione per evitare conflitti, pericoli, con una disposizione
accondiscendente in qualsiasi rapporto, anche di fronte a riduzioni drastiche
della libertà personale e all’annullamento completo dell’individualità. La
sicurezza dell’io richiede di evitare contrasti, in particolare con l’autorità.
Tanto più si è sottomessi, tanto più si è sicuri. La sottomissione preventiva
garantisce il non-conflitto con l’altro dominante. La sottomissione preventiva
è uno scusarsi, uno sminuirsi, un limitare le esperienze conflittuali e di
confronto. La sottomissione è il compromesso, la mediazione, che divengono la
regola di ogni contatto sociale. Il problema di fondo è ottenere comunque
l’approvazione. Nella sottomissione, le azioni si costituiscono attraverso ciò
che pensa, vuole, impone l’autorità o la maggioranza, in un reiterato processo
di ripetizione di qualcosa detto e pensato da altri, qualcosa scelto da
qualcuno cui ci si è sottomessi più o meno apertamente. L’insicurezza dell’io
sceglie l’isolamento, l’essere soli, e fa da sfondo all’adeguamento alla
volontà dominante, ai riti sociali, al potere.
La problematica dell’insicurezza
dell’io affonda le sue radici nell’ansietà di base che il bambino prova nel suo
primo approccio all’ambiente esterno, con la sensazione di essere impotente, in
balia di un potere sovrastante; questa ansietà è tanto più essenziale quanto
più si sviluppa in un ambiente effettivamente innervato da ostilità e da
instabilità. Le tattiche con le quali il bambino fa fronte a questa ansia di
base determinano le coordinate della sua futura problematica di fragilità e di
insicurezza dell’io. Una vasta serie di fattori ostili può trasformare il
mondo, l’ambiente, in un luogo difficile: sono di questo tipo situazioni
caratterizzate da un’autorità segnata dall’arbitrio, da una freddezza che
sconfina nell’indifferenza, da un’instabilità di comportamenti e di sentimenti,
dalla mancanza di rispetto, da un'assenza di vera solidarietà familiare, da
continui atteggiamenti denigratori, dalla carenza di genuinità e di cordialità
nelle relazioni familiari, dal dover parteggiare durante i dissidi dei
genitori. Vivere in sistemi familiari segnati da questa insicurezza strutturale
porta al consolidarsi di contraddizioni, ambiguità, sentimenti, disposizioni
psicologiche segnate da un unico comune denominatore: la fragilità dell’io.
L’insicurezza più profonda può
essere ricondotta a un sistema di interazione la cui regola è la disconferma
dell’altro, un sistema segnato da squalifiche, dal mettere continuamente e
sottilmente in dubbio la validità e la sincerità dell’altro. Tali esperienze
segnano lo stato psicologico individuale, creano problemi di disorientamento
nella complessità dei rapporti sociali. La paura, la sensazione di essere
continuamente sotto giudizio, coinvolto in un conflitto di relazione, induce a
mettere in campo manovre, operazioni di sicurezza, trasformano comportamenti in
fobie, ossessioni, opportunismi. Quella sicurezza dell’io di cui si sente la
mancanza e contemporaneamente un bisogno assoluto induce a affondare in un
sistema patologico di impulsi e desideri.
La personalità segnata dalla
fragilità dell’io vive l’esperienza del rapporto con l’altro in maniera
problematica: l’attenzione è rivolta ai minimi risvolti del contatto. Un
individuo segnato dalla fragilità dell’io si sente permanentemente sottoposto a
un giudizio, sotto esame, si pone sulla difensiva, deve tentare sotto controllo
tutti coloro che lo circondano e con i quali si confronta.
La paura intacca lo stesso
processo cognitivo: la percezione del reale viene distorta, deviata da
motivazioni emotive. La mancata acquisizione di un’autonomia di giudizio sulla
realtà esterna rende incapaci di discernere ciò che è reale da ciò che è pura
immaginazione.
La stessa percezione del reale
può venire utilizzata come merce di scambio e terreno di scambio nel rapporto
con gli individui dominanti nel sistema.
In tal caso si danno le
condizioni per uno sviluppo di una personalità segnata dalla fragilità, da
un'insicurezza di fondo che intacca e innerva l’emotività e l’affettività.
A un livello del tutto diverso,
sociale e antropologico, caricare di significato emotivo, relazionale, la
percezione della realtà è una caratteristica di culti tribali, di superstizioni
che trasformano oggetti, eventi, situazioni, sequenze di comportamento in
feticci, in entità dotate di poteri e di razionalità. Attraverso questi
processi simbolici, attraverso i rituali, tali ideologie danno un’anima ad
oggetti, danno potere ad entità metafisiche, si rapportano ad esse come se
fossero partecipi di una razionalità, di un'affettività, della stessa vita del
sistema. In tal caso ciò che conta è il potere che tali enti esercitano sulla
vita degli esseri umani. La rappresentazione antropomorfica di questi oggetti
conferisce loro una razionalità e un’emotività, che permettono di decodificare
l'incomprensibilità dell'ambiente, l’ignoto del futuro, l’insicurezza. Queste
rappresentazioni ideologiche e simboliche determinano un contatto e una
comunicazione, creano un rapporto, pongono le basi per una contrattazione,
condizionano, accrescono le probabilità dell’avverarsi di determinati eventi,
annullano l’eventualità di altri, aumentano il senso di sicurezza dell’essere
nel mondo.
Il filo di razionalità che lega
le situazioni descritte da Ronald Laing e Aaron Esterson in “Normalità e follia
nella famiglia” è il "sacro" terrore dello scandalo, del
pettegolezzo, di quello che poteva dire e pensare la gente. La paura, i sogni
paranoici, il male dietro l’angolo, gli altri e il loro continuo giudicare,
criticare, costituiscono l'orizzonte di senso e il motivo conduttore delle
vicende quotidiane. Il controllo della libertà si realizza come in un
Panopticon nella rete di osservazione e di critica costruita sopra la norma
dominante. Questa prospettiva trasforma la facciata esteriore nel fattore
essenziale di relazione, con una frattura sedimentata tra ciò che si è e quello
che si sembra, tra realtà e apparenza, tra comunicazione e realtà. L’apparenza
costituisce l’elemento cui ricondurre l’esistente. Quello che conta è apparire
in una maniera conforme alle aspettative di benessere, di felicità, di potere,
di successo, di moralità, di onorabilità.
Nella paura reale, nel timore
naturale, il rapporto di una persona con il suo ambiente è rivolto ai fattori
concreti che in quel momento minacciano l’integrità fisica. Nell’ansia
nevrotica il rapporto con la realtà e mediato dagli altri, dal loro giudizio,
dalle norme dominanti, dai rituali usuali e comuni. Si realizza allora un
contatto con la realtà solo attraverso questo filtro di giudizio e di critica.
In questo ambito il contatto viene condizionato dall’ansia, dalla razionalità
in funzione delle aspettative sociali. Il comportamento non è più diretto
all’obiettivo, ma deviato dal giudizio sociale. Il baricentro si sposta dal sé
a un punto esterno, fuori del sé, il soggetto non agisce per sé, ma per gli
altri, per l’altro. Tutto ciò emerge in maniera particolare ed eclatante in
condizioni di difficoltà dell’io. Allora il riferimento decisivo è
l’approvazione sociale, la ricerca di un accordo con le norme, con i modelli di
comportamento dominanti, con una mediazione al di là di ogni reale bisogno.
L’ansia collegata all’aspettativa di un giudizio sfavorevole su ciò che si sta
realizzando può divenire fonte decisiva di riferimento: l'attenzione non è
concentrata su ciò che accade nella realtà, ma su quanto potrebbero pensare al
riguardo le persone dominanti. L'attenzione non è focalizzata su quanto è reale,
ma su quanto è socialmente atteso. Attraverso questa struttura di aspettative e
di valutazioni sulle aspettative si stabilizza, si consolida, un’uniformità
culturale, uno standard che la maggioranza usa per giudicare ciò che è normale
e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è “sano” da
ciò che è “ malato”.
Questa configurazione di scelte
costruisce una determinata rete di potere e di autorità. Allorché il
comportamento si plasma e si conforma non più al riconoscimento reale di ciò
che è ma alle norme fissate arbitrariamente per giudicarlo, non è più tanto
importante il contenuto delle singole azioni e delle singole decisioni, ma la
concordanza di tali azioni e decisioni con il modello culturale dominante.
Il bisogno di approvazione
sociale è l'antitesi dell’interesse reale per una persona, per una cosa, per
una scelta. La linea dell’autenticità viene spezzata, i sentimenti sono
repressi, nascosti, in quanto non risultano socialmente attesi, in una trappola
di comunicazioni che incidono sulla struttura psicologica più profonda dell’io.
Se importante, essenziale non è
il contenuto reale delle scelte, dei comportamenti, ma la loro adeguatezza alla
norma dominante, al giudizio dominante per l’approvazione sociale allora
qualsiasi cosa può essere realizzata, qualsiasi scelta può essere compiuta.
Vivere all'ombra dell'altro
dominante, agire per adeguarsi al volere di altri, coincide con la fine di ogni
possibilità di un’identità autonoma. La persona spende le proprie energie per
ammansire, per omaggiare, per guadagnare un giudizio positivo; il comportamento
è volto non a realizzare una possibilità personale, non ad entrare veramente in
contatto con il se stesso agente, non ad esprimere le proprie potenzialità.
L’esagerato bisogno di
approvazione sociale crea una situazione di estrema vulnerabilità e di
fragilità dell’io. Gli altri divengono il punto di riferimento da cui dipendono
gratificazione, rassicurazione, sicurezza. Nel momento in cui si assegna agli
altri la possibilità di una valutazione decisiva sulle proprie scelte, sul
proprio modo di essere, si è del tutto vulnerabili, ogni difficoltà prostra,
ogni critica diviene decisiva, esiziale.
Nel bambino la progressiva
definizione dell’io e dell’autoconsapevolezza delle capacità, del proprio
valore, dipendono dalle risposte delle figure dominanti del sistema familiare.
Tali figure parentali con la loro disapprovazione, con i loro rifiuti,
inibiscono certe azioni e ne promuovono altre. Il bambino fa proprie le norme
dominanti attraverso un processo di evitamento della punizione e della
disapprovazione. Un aspetto decisivo di questa dinamica sistemica si realizza
allorché la disapprovazione viene caricata di un significato emotivo,
affettivo, quando si determina la sovrapposizione tra il piano della realtà e
il piano delle emozioni. Questa problematica è tanto più decisiva, quanto più
esiste una rigidità all’interno del sistema familiare con la volontà degli
adulti dominanti di indirizzare completamente la vita di ciascuno nel sistema,
fino al modo stesso di pensare di ciascun individuo del sistema familiare, in
un processo di sovradeterminazione coercitiva della personalità. Un’impotenza
appresa è il risultato di tali comportamenti, di comunicazioni che indeboliscono
l’individualità e la sicurezza dell’io. La necessità di differenziarsi, di
conquistare un’autonomia personale si scontra con la necessità di non perdere
la sicurezza emotiva e affettiva, che viene continuamente resa instabile da una
contrattazione in funzione del comportamento. La personalità si scinde tra il
bisogno di conquistare una propria identità e la necessità di conservare la
sicurezza dell’io, tra la continuità dell’essere al mondo e la stabilità delle
relazioni nel sistema familiare.
Se questi modelli di
comunicazione e di relazione divengono i punti di riferimento essenziali del
sistema familiare, il bisogno di indipendenza e di definizione dell'io si
traduce in un conflitto perenne e sotterraneo, l’affermazione progressiva di un
io personale si costituisce come una competitività sempre più accesa, in un
rifiuto, nella contrapposizione. D'altra parte il bisogno di sicurezza dell’io
si trasforma in una dipendenza nevrotica dall’approvazione sociale, con un
attaccamento a rapporti consolidati e nocivi. Da una parte c’è la disposizione
ad affermare e a definire un io personale dall’altra la paura della critica per
i propri comportanti autonomi, con la sostanziale perdita della capacità di
desiderare sinceramente qualcosa, perché i desideri vanno in direzioni
divergenti, inconciliabili, e questa contraddittorietà non riesce a sciogliersi
in una linea coerente di scelte e di scopi. Scegliere risulta impossibile, la
situazione è simile a quella di chi al centro di un crocicchio di vie con tante
strade aperte e percorribili, non sa più avanzare in alcuna direzione, perché
non riesce ad assumere alcuna meta personale.
Scrive Ronald Laing:
“Il padre e la madre della
paziente ci rivelano oggi, senza possibilità di equivoco, che ciò che essi
considerano soprattutto come sintomo di malattia è ciò che noi invece
consideriamo come normale sviluppo della personalità, realizzazione di sé,
autonomia, spontaneità; e per loro stessa testimonianza, tutto sta a indicare
che anche nel passato è stato così. Questi genitori hanno sentito come
problema, non già la perdita, ma lo sviluppo dell’io della paziente...
A giudizio del padre i guai
cominciarono quando Mary aveva quindici anni. La ragazza era sempre stata molto
sottomessa, compiacente, ma ora aveva cominciato a mettere in discussione
l’autorità dei genitori, a mostrare mancanza di rispetto nei loro confronti,
insomma, ad assumere, un atteggiamento di sfida…
A giudizio della madre tutto
andava nel migliore dei modi finché Mary non cominciò ad allontanarsi dai
genitori, divenne egoista, ribelle, troppo piena di sé, sfacciata”.
La trasformazione che si
realizza nel passaggio dal bisogno assoluto di sicurezza dell’io all’autonomia
emotiva e affettiva, dal tempo della simbiosi al distacco, stabilisce le
coordinate per lo sviluppo dei caratteri precipui dell’io, le specifiche
modalità con le quali l’io reagirà alle situazioni problematiche, alle
difficoltà esistenziali. Tale dinamica ha il proprio centro esplicativo in un
processo di differenziazione.
Per coloro che nel sistema
coprono i ruoli dominanti a volte è arduo riconoscere la ricerca dell’autonomia
dei soggetti che finora erano in una quieta posizione di subalternità, e questo
anche in aspetti ovvi della vita: punti di vista, desideri, bisogni personali.
Anche queste semplici, innocue differenze possono venire caricate di
significati emotivi, di ricatti affettivi, fino a bollarli come cattiveria,
egoismo, ribellione, sfacciataggine, testardaggine e nelle situazioni più
estreme: malattia mentale. All’individuo subordinato nel sistema si impedisce
di vivere la sua vita personale, di avere le proprie idee autonome, di
realizzare e definire il proprio io.
Lui stesso può acquisire
progressivamente timore di esprimersi, di esternare i propri desideri e le
convinzioni personali. In determinati sistemi relazionali, il controllo sullo
sviluppo dell’io può spingersi talmente in profondità da compromettere o
addirittura distruggere le capacità essenziali di azione, di pensiero, di
decisione, di scelta con un progressivo indirizzamento esaustivo di guida
totalizzante in ogni campo fino all’interpretazione stessa della realtà, di ciò
che è reale e di ciò che è solo immaginazione, di quanto si può e si deve
pensare e volere e di quanto bisogna evitare.
La chiusura del sistema, in particolare
del sistema familiare, costituisce il punto decisivo per impedire
l’acquisizione di una sicurezza dell’io e quindi ne definisce la fragilità
strutturale.
Si può sciogliere, in maniera
abnorme, il nodo delle tensioni che sorgono in una dinamica sistemica che mina
la sicurezza dell’io scindendosi tra un io esterno che esprime condiscendenza e
un io interno permeato di ostilità e aggressività. Una condizione simile vede
l’individuo spaventato dal conflitto e nello stesso tempo impegnato a negare, a
contrastare questa sua disposizione mentale di sottomissione.
Con l’insicurezza e la fragilità
dell’io si determinata la risposta del distacco, dove il confronto-conflitto
con l’altro viene sostituito dalla separazione, dall'allontanarsi, dal
rinchiudersi in una fortezza inaccessibile. E tanto più generale diviene questa
scelta di separazione, tanto più allora nulla può essere fatto, nulla può
essere deciso, nulla può essere scelto: ogni comportamento esprime la stessa
assenza di significato, la stessa valenza di una sconfitta già annunciata.
L’individuo si sente impotente e non sa nemmeno avere desideri diversi, non sa
ribellarsi alle decisioni e alle situazioni che condizionano negativamente il
suo io, ma sente questo processo come la propria fine. C’è un gioco relazionale
troppo forte in queste dinamiche sistemiche, per cui le uniche alternative sono
di accettare l’umiliazione o di umiliare.
Tali comportamenti si sviluppano
in situazioni che vedono gli adulti significativi esprimere una continua
duplicità di atteggiamenti: una compiacenza affiancata da un odio sotterraneo,
una disponibilità di facciata che cela un disprezzo di fondo, un’impotenza
segnata da un esorbitante bisogno di potere, di condizionare, di fare assumere
all'altro le proprie decisioni per verificare ancora una volta la sua
subordinazione.
Queste dinamiche psicologiche
creano atmosfere di falsità, di confusione, di mistificazione, e al fondo di
fragilità e di insicurezza dell’io. Allorché non c'è soluzione al conflitto tra
sottomissione e aggressività, tra dipendenza e falsità, tra amore e odio, tra
dipendenza e autonomia, sentimenti opposti vanno di pari passo e si combinano e
coesistono nello stesso rapporto con l'altro. Ogni sentimento perde valore e
significato.
L’individuo che nel proprio
sviluppo dell'io ha subito queste dinamiche relazionali, divenuto adulto, le
rivive quando si confronta con persone che nei suoi confronti assumono un ruolo
dominante: la primordiale condizione di sottomissione permeata di aggressività
inespressa, di ansia di fronte al giudizio dell’autorità ripercorre le modalità
di espressione dell’aggressività individuale che risultano deteriorate,
distorte. L’aggressività viene inibita fino a essere neutralizzata la stessa
capacità di difendersi in situazioni in cui viene posta realmente in pericolo
la personalità.
Attraverso discredito,
squalifiche, attacchi destabilizzanti, l’aggressività si tramuta in forme
abnormi di distruttività, odio, sadismo.
Nella persona che mantiene una
duplicità di comportamenti e di disposizioni psicologiche, nasce un contrasto
di fondo tra un’apparente sollecitudine e un’effettiva mancanza di interesse
verso l’altro, tra un atteggiamento di sfiducia profonda e un’implicita
tendenza a disporre degli altri con il bisogno di eccellere, di umiliare, di
vendicarsi.
Un bisogno nevrotico di
approvazione, di affetto è l’alter ego di un’aggressività sotterranea. Tali
ambivalenze determinano uno stato di perenne instabilità dell’io, di ansia, di
insicurezza, con l’accumulo di collera repressa, di rabbia verso gli altri e
verso se stessi per la propria mancanza di assertività con un rovesciamento
verso l'interno, verso lo stesso io personale, che non si riesce a definire e a
realizzare, la distorsione dell’aggressività. È l’ultimo atto della subordinazione,
della limitazione profonda dell’essere al mondo con la fragilità strutturale
dell’io.
BIBLIOGRAFIA
Gregory Bateson “Verso
un’ecologia della mente” Adelphi
Gregory Bateson “Mente e natura”
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Ronald Laing “L’io e gli altri”
Einaudi
Ronald Laing “L’io diviso”
Einaudi
Ronald Laing “Mistificazione,
confusione e conflitto” Eianudi
Ronald Laing, Aaron Esterson
“Normalità e follia nella famiglia” Einaudi
Paul Watzlawick “Pragmatica
della comunicazione umana” Astrolabio
Paul Watzlawick “Change”
Astrolabio