Léopold Sédar Senghor    DONNA NERA

 

Donna nuda, donna nera

Vestita del tuo colore che è vita, della tua forma che è bellezza!

Sono cresciuto alla tua ombra;

la dolcezza delle tue mani mi bendava gli occhi.

Ed ecco che nel cuore dell’Estate e del Meriggio

Ti scopro Terra Promessa, dall’alto di un alto colle calcinato

E la tua bellezza mi folgora in pieno cuore come il lampo di un’aquila.

Donna nuda, donna oscura

Frutto maturo dalla carne piena, estasi cupa di vino nero,

bocca che rende la mia bocca lirica,

Savana di puri orizzonti,

savana che fremi alle carezze ardenti del Vento dell’Est

Tamtam scolpito, tamtam teso che tuona sotto le dita del Vincitore

La tua voce profonda di contralto è il canto spirituale dell’Amata.

Donna nera, donna oscura

Olio che alcun respiro riesce a increspare,

olio calmo sui fianchi dell’atleta, sui fianchi dei principi del Mali

Gazzella dalle giunture celesti,

le perle sono stelle sulla notte della tua pelle

Delizie dei giochi della mente i riflessi dell’oro che rosseggia

sulla tua pelle che si screzia

All’ombra della tua capigliatura si rasserena la mia angoscia

per il sole vicino dei tuoi occhi.

Donna nuda, donna nera

Canto la tua bellezza che passa, forma che fisso nell’Eterno,

Prima che il destino geloso ti riduca in cenere

per nutrire le radici della vita.

 

 

 

  

Léopold Sédar Senghor   ASSASSINI

 

Sono là distesi lungo le strade conquistate,

lungo le strade del disastro,

Come snelli pioppi, statue cupe di dèi

drappeggiati nei lunghi martelli d’oro,

I prigionieri senegalesi tenebrosamente coricati sulla Terra di Francia.

Ma invano fu stroncato il riso tuo,

il fiore più nero della tua carne,

Tu sei il fiore della bellezza prima,

in tutto questo vuoto deserto di fiori,

Sei fiore nero dal sorriso grave,

diamante d’un’epoca perduta.

Voi siete il limo e il plasma della primavera virente del mondo

La carne siete della coppia primigenia,

il ventre fecondo, il seme

E la foresta irriducibile, vittoriosa di fuoco e folgore.

Il canto vasto del sangue vostro vincerà macchine e cannoni

La vostra parola palpitante, i sofismi e le menzogne

Senz’odio voi che ignorate l’odio,

senza astuzia voi che ignorate l’astuzia.

O martiri neri, razza immortale,

lasciate che dica parole che perdonano.

 

 

 

Léopold Sédar Senghor   E IL DISCO INFUOCATO DEL SOLE

 

E il disco infuocato del sole declina nel mare vermiglio.

Ai confini della foresta e dell’abisso,

mi perdo nel dedalo del sentiero.

L’odore m’insegue forte e altero,

a pungere le mie narici

Deliziosamente.

Mi insegue e tu mi insegui, mio doppio.

Il sole si immerge nel’angoscia

In una messe di luci, in un’esultanza

di colori e di grida irose.

Una piroga sottile come un ago

nella ferma intensità del mare,

Uno che rema e il suo doppio.

Sanguinano le rocce di Capo Nase,

quando lontano si accende il faro delle Mamelles.

Al pensiero di te, così mi trafigge la malinconia.

Penso a te quando cammino e quando nuoto,

seduto o in piedi, penso a te mattina e sera,

La notte quando piango e sì, anche quando sono felice

Quando parlo e mi parlo e quando taccio

Nelle mie gioie e nelle mie pene.

Quando penso e non penso,

penso a te.

 

 

 

 

Léopold Sédar Senghor E MUOIONO DI FAME

 

Vedevo nel sogno paesi

fino ai quattro angoli dell'orizzonte

sottomessi alla riga,

alla squadra, al compasso;

falciate le foreste,

distrutte le colline,

nei ceppi valli e fiumi.

Per quanto è grande la terra vedevo

paesi

sotto una griglia di ferro tracciata

da mille rotaie.

E poi vedevo i popoli del sud

formicaio in silenzio al lavoro.

È santo il lavoro

ma non va più col gesto

ritmato dai tam-tam

e dalle stagioni che tornano.

Gente del sud nei cantieri, nei porti,

nelle miniere,

nelle officine,

segregati la sera

nei borghi miserabili.

Accumulano

montagne d'oro rosso,

montagne d'oro nero:

e muoiono di fame!

 

 

 

   

Leopold Sédar Senghor  DITA DI LUCE

 

Dita di luce hanno sfiorato le mie palpebre di notte

e il tuo sorriso s’è alzato sopra le nebbie

che dal mio Congo alitavano fitte.

Il mio cuore ha fatto eco al canto vergine degli uccelli dell’alba

come il mio sangue un tempo scandiva il canto bianco

della linfa nei rami delle mie braccia.

Ecco il fiore di macchia e la stella nei miei capelli

e la benda che cinge in fronte l’atleta-pastore.

Mi farò dare il flauto che culla la pace degli armenti

e tutto il giorno seduto all’ombra delle tue ciglia

accanto alla Fontana di Fimla

devoto pascerò i muggiti biondi delle tue mandrie.

Perché stamani dita di luce hanno sfiorato

le mie palpebre di notte

e per tutta la giornata il cuore ha fatto eco

al canto verginale degli uccelli.

 

 

  

 

Leopold Sédar Senghor - CANTI D’UCCELLO SALGONO

 

Canti d’uccello salgono

lavati nel cielo primitivo,

sale il profumo verde dell’erba, Aprile!

Sento il soffio dell’alba

che smuove le bianche nubi delle mie tende

e la canzone del sole sulle mie imposte melodiose,

sento come un fiato il ricordo di Naett

sulla mia nuca nuda che si commuove.

Il sangue complice mio malgrado  sussurra nelle vene.

Sei tu amica mia: ascolta il respiro già caldo

dell’aprile di un altro continente,

ascolta quando scivolano ghiacciate d’azzurro

le ali delle rondini migratrici,

ascolta lo strepito bianco e nero delle cicogne

nell’alto dei loro voli distesi,

ascolta il messaggio primaverile

di un’altra età, di un altro continente,

ascolta il messaggio dell’Africa lontana

e il canto del tuo sangue!

Io ascolto la linfa d’aprile che canta nelle tue vene.

 

 

 

  

Leopold Sédar Senghor - NOTTE DI SINE

 

Donna, posa sulla mia fronte le tue mani balsamiche,

le tue mani più morbide della pelliccia.

In alto le palme oscillano, stormiscono appena nell'alta brezza notturna.

Non s'ode neppure il canto della nutrice. Ci culli il silenzio ritmato.

Ascoltiamo il suo canto, ascoltiamo battere il nostro sangue oscuro, ascoltiamo battere il polso profondo dell'Africa

nella bruma dei villaggi perduti.

Ecco, declina la luna stanca verso il suo letto di mare disteso

Ecco che si assopiscono gli scoppi di riso,

gli stessi narratori ciondolano il capo

come il bimbo sul dorso della madre

Ecco che i piedi dei danzatori si appesantiscono,

si fa pesante la lingua dei cori alternati.

È l'ora delle stelle e della Notte che sogna

Si appoggia a questa collina di nubi,

drappeggiata nel suo lungo perizoma di latte.

I tetti delle case luccicano teneramente.

Che dicono, così confidenziali, alle stelle?

Dentro, il focolare si spegne nell'intimità di odori acri e dolci.

Donna, accendi la lampada dall'olio chiaro

perché parlino intorno gli antenati come i genitori i bambini nel letto.

Ascoltiamo la voce degli Antichi d'Elissa.

Come noi esiliati non hanno voluto morire,

che si perdesse nelle sabbie il loro torrente seminale.

Che io senta, nella casa fumosa visitata da un riflesso di anime amiche,

la mia testa sul tuo seno caldo come un dang tratto fumante dal fuoco

che respiri l’odore dei nostri Morti,

che raccolga e ripeta la loro viva voce,

che apprenda a vivere prima di discendere, più in là del tuffatore,

nelle alte profondità del sonno.

 

 

 

 

Leopold S. Senghor - L'URAGANO

 

L'uragano tutto svelle intorno a me

l'uragano svelle in me foglie e parole futili.

Turbini di passione sibilano in silenzio

ma pace è nel tornado arido, nella fuga dell'invernata!

Tu Vento ardente Vento puro, vento-della-bella-stagione,

brucia ogni fiore ogni pensiero vano

quando la sabbia ricade sulle dune del cuore.

Schiava, ferma il tuo gesto di statua

e voi, fanciulli, i vostri giochi e le risa d'avorio.

A te consumi la voce insieme col corpo,

asciughi il profumo della tua carne

la fiamma che illumina la mia notte,

come una colonna, come una palma.

Brucia le mie labbra di sangue, Spirito,

soffia sulle corde della mia Kora

che il mio canto si alzi puro come l'oro di Galam.

 

 

 

  

Wole Soyinka  MIGRAZIONI

 

           Ci sarà il sole? O la pioggia ? O nevischio?

           madido  come il sorriso posticcio del doganiere?

           Dove mi vomiterà l’ultimo tunnel

           Anfibio? Nessuno sa il mio nome.

           Tante mani attendono la prima

           rimessa, a casa. Ci sarà?

           Il domani viene e va, giorni da relitti di spiaggia.

           Forse mi indosserai alghe cucite

           su falsi di stilisti, con marche invisibili:

           fabbriche in nero. O souvenir sgargianti, distanti

           ma che ci legano, manufatti migranti, rolex

           contraffatti, l’uno con l’altro, su marciapiedi

           senza volto. I tappeti invogliano ma

           nessuna scritta dice: BENVENUTI.

           Conchiglie  di ciprea, coralli, scogliere di gesso

           Tutti una cosa sola al margine degli elementi.

           Banchi di sabbia seguono i miei passi. Banchi di sabbia

           di deserto, di sindoni incise dal fondo marino,

           poiché alcuni se ne sono andati così, prima di ricevere

           una risposta  -  Ci sarà il sole?

           O la pioggia? Siamo approdati alla baia dei sogni

 

 

 

  

Wole Soyinka       NOTTE

 

La tua mano è pesante, o notte, sul mio ciglio,

Non ho un cuore mercuriale come le nubi per sfidare

Il solco acerbo del tuo misterioso aratro.

Donna, come una morsa, sull'arco del mare

Vidi il tuo occhio geloso estinguere la fluorescenza

Del mare, danzare sul palpito incessante delle onde.

E io rimasi lì, stremato,

Sottomesso come le sabbie, sangue e sale

Precipitando alle radici.

Notte, tu piovesti.

Fitte ombre attraverso umide foglie,

Finché, immense nella calda effusione delle tue cellule variegate

Sensazioni di pena mi colsero,

senza volto e silenziose come ladri notturni

Nascondimi, ora, quando i  folletti della notte vagano sulla terra

Non devo sentirne alcuno!

Questi richiami indistinti un giorno saranno

La mia rovina; nudo, non invitato alla nascita silenziosa della notte.

 

 

 

  

Wole Soyinka  LA STRADA

 

Siate anche voi come la strada. Appiattite

la vostra pancia con la fame di un giorno infausto,

date forza alle vostre mani con la conoscenza della morte.

Nel torrido del pomeriggio quando il bagliore

innalza false foreste e un rifugio con acqua,

lasciate che l’evento si dipani ai vostri occhi.

Soli e abbandonati nella polvere,

quando fantasmi di camion vi passano accanto

e le vostra urla e le lacrime s’infrangono

contro cruscotti sordi e la polvere le inghiotte.

Bagnatevi nello stesso catino dell’uomo

che fa il suo ultimo viaggio e col dito rimescola

e tremola sull’acqua il riflesso di due mani,

riflesso di due mani ma di un solo volto.

Respirate come la strada, siate la strada.

Spiegate un ampio lenzuolo per la morte

con la lunghezza e il tempo del sole

finché l’unica faccia si moltiplichi

e l’unica ombra sia proiettata da tutti i dannati.

Respirate come la strada, siate la strada,

la strada stessa.

 

 

 

  

Wole Soyinka  CONVERSAZIONE TELEFONICA     

 

Il prezzo sembrava ragionevole, il luogo

indifferente. L'affittuaria aveva giurato di vivere

fuori sede. Non rimaneva nulla

se non la confessione. "Signora" avvisai,

"detesto buttar via tempo in viaggi inutili - sono africano."

Silenzio. Trasmissione zittita di

buone maniere pressurizzate. La voce, quando venne,

spalmata di rossetto, pigolio di lungo

bocchino dorato. Ero stato beccato, che imbecille.

"QUANTO SCURO?"... Non avevo sentito male... "LEI È CHIARO

O MOLTO SCURO?". Bottone B. Bottone A. Tanfo

di respiro rancido di pubblico nascondino telefonico.

Cabina rossa. Cassetta rossa. Autobus rosso

a due piani che schiaccia l'asfalto. Era vero! Svergognata

dal silenzio scortese, la resa

spinse lo stupore a pregare semplificazione.

Lei era piena di riguardo, variando l'enfasi -

"LEI È SCURO? O MOLTO CHIARO?".

Venne la rivelazione.

"Lei intende - come cioccolato semplice o al latte?".

Il suo assenso era clinico, schiacciante nella propria leggera

impersonalità. Rapidamente, regolatomi a quella lunghezza d'onda,

scelsi. "Seppia Africano occidentale" e come pensiero aggiunto,

"Come dice il mio passaporto." Silenzio per spettroscopico

volo di fantasia, fino che la sincerità fece risuonare il suo duro

accento sulla cornetta. "COS'E'?" concedendo

"NON HO IDEA DI COSA SIA." "Tipo castano."

"È SCURO, GIUSTO?". "Non del tutto.

Di faccia, sono castano, ma signora, dovrebbe vedere

il resto di me. Il palmo della mia mano, le piante dei miei piedi

sono di un biondo ossigenato. Lo sfregamento, dovuto -

che stupido pazzo - allo starmene seduto, ha reso

il mio sedere nero corvino - un momento, signora!"- percependo

il suo ricevitore rizzarsi in un fragore di tuono

fin nelle orecchie: "Signora," supplicai, "non vorrebbe piuttosto

controllare di persona?".

 

 

 

Wole Soyinka VIAGGIO

 

Non penso mai di essere arrivato,

anche se sono alla fine del viaggio.

Ho preso una strada lontana

dalle vette ma fatta di domande

e che mi porta giù

verso una casa, a quell’altra terra.

So che la mia carne

intaccata dai morsi è scampata alla frenesia

dei pesci dentro la ruggine delle chiglie…

Ma me li sono lasciati dietro nel mio cammino

e così è andata col vino e col pane.

Non li ho mai divisi con la sconfitta

né con la fame

Me li sono lasciati dietro nel mio cammino.

Non penso mai d’essere arrivato

anche se un segno d’amore e di benvenuto

mi attraggono verso casa

Gli usurpatori brindano nella mia coppa

Ogni banchetto un’ultima cena...

 

 

 

  

Antonio Agostinho Neto  - IL CAMMINO DELLE STELLE

 

Seguendo il cammino delle stelle

lungo la curva agile del collo della gazzella

sull'onda

sulla nuvola

con le ali primaverili dell'amicizia

Semplice nota musicale

indispensabile atomo d'armonia

particella

germe

colore

nella combinazione multipla dell'umano

Preciso e inevitabile

come l'inevitabile passato di schiavo

attraverso le coscienze

come il presente

Non astratto

incolore tra ideali senza colore

senza ritmo tra le aritmie dell’irreale

inodore

tra le selve prive di aromi

dei tronchi senza radice

Solo

Ma concreto

vestito del verde

del profumo della foresta dopo la pioggia

della linfa del fulmine del tuono

le mani che proteggono la germinazione del riso

nei campi della speranza

La libertà negli occhi

il suono nelle orecchie

delle mani avide sulla pelle del tamburo

in un ritmo chiaro e accelerato

di Zaire Kalahari montagne di luce

rosse di fuochi infiniti nei campi violentati

armonia spirituale delle voci

tam tam in un ritmo chiaro dell'Africa.

Così il cammino delle stelle

sull’agile curva del collo della gazzella

per l’armonia del mondo.

 

 

 

  

Agostinho Neto  SANGUINANTI E GERMOGLIANTI

 

Noi

dell'Africa immensa

al di là del tradimento dei coccodrilli

attraverso foreste maestose invincibili

attraverso il fluire della vita

nel suono armonioso di marimbe in sordina

per gli sguardi gioventù delle folle,

folle di braccia di ansia di speranza

dell'Africa immensa

sotto l'artiglio

sanguinanti di dolore e speranza di amarezza e di forza

sanguinando sulla terra sventrata dal sangue delle zappe

sanguinando nel sudore del lavoro forzato del cotone

sanguinando fame ignoranza disperazione morte

nelle ferite sul dorso nero del bambino della madre dell’onestà

sanguinanti e germoglianti

dell'Africa immensa

nera

e chiara come le mattine dell’amicizia

vogliosa e forte come i passi della libertà

Le nostre grida

sono tam tam messaggeri del desiderio

nelle voci armoniose delle nazioni

le nostre grida sono inni d'amore per i cuori

fecondanti la terra come il sole le sementi

grida d'Africa

grida di mattine quando nei mari crescono i cadaveri

incatenati

sanguinanti e germoglianti

Ecco le nostre mani

aperte alla fratellanza del mondo

per il futuro del mondo

unite nella certezza

per il diritto per la concordia per la pace

Sulle nostre dita crescono rose

con i profumi dell'indomabile Zaire

con la grandiosità dei tronchi del Maiombe

Negli animi

il camminare dell'amicizia per l'Africa

per il mondo

i nostri occhi sangue e vita

rivolti alle mani indicanti amore in tutto il mondo

mani in futuro sorriso ispiratrici di fede nella vitalità

dell'Africa terra Africa umana

dell'Africa immensa

germoglianti sotto il suolo della speranza

creando vincoli fraterni nella libertà di volere,

dell'ansia della concordia

Sanguinanti e germoglianti.

Per il futuro ecco i nostri occhi

per la Pace ecco le nostre voci

per la Pace ecco le nostre mani

dell'Africa unita nell'amore.

 

 

 

  

Agostinho Neto  LOTTA   (prigione di Lisbona)

 

Violenza

voci d’acciaio al sole

incendiano il già ardente paesaggio

E i sogni

si sfanno

contro un muro di baionette

Un’onda nuova si alza

e le ansie si dissolvono

su corpi insepolti

E l’onda nuova si alza per la lotta

e ancora un’altra e un’altra

finché della violenza

resta solo il nostro perdono.

 

 

 

  

Agostinho Neto  - VECCHIO NEGRO

 

Venduto

e trasportato nelle galere

frustato dagli uomini

linciato nelle grandi città

spremuto sino all’ultimo centesimo

umiliato sino alla polvere

sempre sempre sconfitto

È costretto a obbedire

a Dio e agli uomini

si è perso

Ha perso la patria

e la nozione di essere

Ridotto a uno straccio

scimmiottarono i suoi gesti e la sua anima

diversa

Vecchio straccio

negro

perso nel tempo

e diviso nello spazio!

Quando passa con il suo tanga

lo spirito ben nascosto

nel silenzio delle frasi concave

gli sussurrano:

Povero negro!

E i poeti affermano d’essere suoi fratelli.

 

 

 

  

Agostinho Neto    NOTTE

 

Io vivo

nei quartieri oscuri del mondo

senza luce né vita.

Lungo le strade vado

a tastoni

abbarbicato ai miei sogni informi

inciampando nella schiavitù

se appena desidero essere.

Sono quartieri di schiavi

mondi di miseria

quartieri oscuri

Dove le volontà si dissolsero

e gli uomini si confusero

con le cose

Cammino incespicando

per le strade senza luce

sconosciute

sature di mistica e terrore

a braccetto di fantasmi.

Anche la notte è oscura.

 

 

 

  

Agostinho Neto  CIVILTÀ OCCIDENTALE

 

Lamiere inchiodate su travi

conficcate nel terreno

fanno la casa

Gli stracci completano

l’intimo paesaggio

Il sole penetrando le fessure

sveglia il suo abitante

Dopo dodici ore di lavoro

da schiavo

Spaccar pietre

portar pietre

spaccar pietre

portar pietre

col sole

sotto la pioggia

spaccar pietre 

portar pietre

La vecchiaia fa presto ad arrivare

Una stuoia nelle scure notti

gli basta per morire

riconoscente

e di fame.

 

 

 

  

Agostinho Neto  CONTRATADOS

 

La lunga file dei portatori

domina la strada

a passi veloci

Sulle spalle

un pesantissimo carico

Vanno

sguardi lontani

cuori impauriti

braccia forti

sorrisi profondi come profonde acque

Lunghi mesi li separano dalle famiglie

e vanno colmi di nostalgia

e di timore

ma cantano

Stanchi

svuotati dal lavoro

ma cantano

Pieni di ingiustizie

sepolte nel fondo delle loro anime

e cantano

Con grida di protesta

immerse nelle lacrime del cuore

e cantano

Eccoli che vanno

si perdono in lontananza

nella distanza si perdono i loro tristi canti

Ah!

Loro cantano…

 

 

 

  

Chinua Achebe  MADRE E FIGLIO PROFUGHI

 

Nessuna Madonna con Bambino poteva eguagliare

quell’immagine di tenerezza di madre

per un bambino che presto doveva dimenticare.

L’aria era pesante di odori

di diarrea di bambini non lavati

con costole slavate e sederi prosciugati

in lotta con passi affaticati dietro vuoti ventri rigonfi.

Molte lì hanno da tempo cessato

di preoccuparsi, ma non quella madre,

che manteneva tra i denti un sorriso spettrale,

e negli occhi il fantasma dell’orgoglio materno

mentre gli pettinava i capelli rugginosi

rimasti sul cranio, e poi,

solo negli occhi cantando, iniziò

a ripartirli adagio… In un’altra vita

questo sarebbe stato un piccolo atto quotidiano

privo d’importanza tra colazione e scuola;

ora lei lo faceva ponendo fiori

sulla minuscola tomba del bambino.

 

 

 

  

Chinua Achebe   PUNIZIONE DELLA DIVINIITÀ

 

Dai ceppi per la notte una fiammata

raggiunse il letto di paglia del vecchio,

alimentata dal soffio incendiario

di harmattan. Sfidando l’età e

la malattia, accecato dal fumo,

si alzò e diresse verso la salvezza.

Un topo svelto apparve alla porta della sua buca,

guardò rapidamente a destra e a manca,

attraversando di corsa il pavimento

verso i terreni circostanti.

Anche gli scarafaggi, quegli inquilini

sinistri che nulla può far sloggiare,

quel giorno se ne andarono via dagli interstizi

con ali a cui ricorrono solo in fretta mortale.

Soltanto i lari, irrigiditi nel rituale,

neri del sangue dell’incessante tributo,

decorati con festoni di piume,

perirono nell’avvampante rogo

di quella capanna.

 

 

 

  

Chinua Achebe   FARFALLA

 

La velocità è violenza

Il potere è violenza

Il peso è violenza

La farfalla cerca salvezza nella leggerezza

Nel lieve volo ondeggiante

Ma a un incrocio dove la luce chiazzata

Cade dagli alberi su una nuova sfrontata autostrada

I nostri territori convergenti si incontrano

Giungo con forza sufficiente per due

E la dolce farfalla offre

Sé stessa in un sacrificio giallo brillante

Sul parabrezza di silicone duro.

 

 

 

Ken Saro-Wiwa LA VERA PRIGIONE   

 

Non è il tetto che perde

Non sono nemmeno le zanzare che ronzano

nell’umida, misera cella.

Non è il rumore metallico della chiave

mentre il secondino ti chiude dentro.

Non sono le meschine razioni

insufficienti per uomo o bestia

Neanche il nulla del giorno

che sprofonda nel vuoto della notte

Non è

Non è

Non è.

Sono le bugie che ti hanno martellato le orecchie

per un'intera generazione

È il poliziotto che corre all'impazzata

in un raptus omicida

mentre esegue a sangue freddo

ordini sanguinari

in cambio di un misero pasto al giorno;

è il magistrato che scrive sul suo libro

la punizione ingiusta;

è la decrepitezza morale,

l'inettitudine mentale

che concede alla dittatura

una falsa legittimazione;

è la vigliaccheria

travestita da obbedienza

in agguato nelle nostre anime denigrate.

È questo. È questo.

È questo amico mio,

è questo che trasforma il nostro mondo libero

in una cupa prigione.

 

 

 

  

Gabriele Okara   -  PIANO E TAMBURI

 

Quando allo spuntare del giorno in riva al fiume

odo i tamburi della giungla telegrafare

il mistico ritmo, incalzante, doloroso

come carne che sanguina, parlare di

gioventù primeva e delle origini,

vedo la pantera pronta ad assalire

il leopardo che ringhia sul punto di slanciarsi

e i cacciatori in agguato con lance sospese.

E il mio sangue s’increspa, diviene torrente,

travolge gli anni e subito sono

in grembo a mia madre, un lattante:

subito cammino per semplici

sentieri immutati,

aspri, foggiati dal nudo

calore di piedi frettolosi e cuori ansimanti

tra foglie verdi e selvaggi fiori che vibrano.

Odo poi uno struggente a solo

di pianoforte parlare di tortuose sinuosità

in un concerto solcato di lacrime,

di terre lontane

e di nuovi orizzonti con

suasivi diminuendo, contrappunto,

crescendo. Ma smarrito nel labirinto

delle sue complessità, conclude nel mezzo

d’una frase, a un punto cruciale.

E io, perduto nella nebbia mattutina

di un’età in riva al fiume, continuo

a vagare entro il mistico ritmo

dei tamburi della giungla e del concerto.

 

 

 

  

Gabriele Okara   - SPIRITO DEL VENTO

 

Ora giungono le cicogne,

puntini bianchi nel cielo silenzioso.

Migrarono al nord in cerca

di climi più miti per costruirvi le loro case

quando qui pioveva.

Sono di nuovo con me, ora –

spiriti del vento,

oltre il confine delle mani divine

vanno a nord a ovest a est

e l’istinto le guida –

Ma per volontà degli dèi

seduto su questa rupe

le osservo andare e venire

dal tramonto all’alba, con lo spirito

che preme dentro di loro.

Preme, e un laghetto rosso si agita,

e ogni increspatura è

un richiamo vitale dell’istinto,

un desiderio racchiuso

in un milione di cellule.

O Dio degli dèi e di me stesso

non dovrò io ascoltare

il richiamo di questa campana

che recita l’angelus del pomeriggio,

poiché la mia cicogna è prigioniera

di capelli bruciati e pelle scura?

 

 

 

  

Bernard Dadié   FOGLIA AL VENTO

 

Sono l’uomo color di Notte,

foglia al vento, vado in balìa dei sogni.

Sono albero che germoglia in primavera

e rugiada che canta nel cavo del baobab.

Sono l’uomo che dà scandalo,

perché è contro i formalismi.

L’uomo di cui si ride

perché è contro le barriere.

Sono l’uomo di cui si dice: “Ah, quello là!”

Sono l’uomo che non si può afferrare.

Brezza che ti sfiora e sfugge.

Foglia al vento, vado in balìa dei sogni.

Il capitano della nave

che a prua cerca nel turbine delle nubi

l’occhio possente della terra,

la barca senza vela

che scivola sull’oceano.

Sono l’uomo con sogni infiniti

quante sono le stelle

più rumorosi degli sciami d’api

più sorridenti dei sorrisi dei bambini

più sonori di echi nelle foreste.

 

 

 

  

Mudimbe Vumbi Yoka  - MESSAGGIO

 

Quando un giorno

saremo lontani l’uno dall’altra,

quando le mie braccia

non potranno più raggiungerti

perché l’amore si stabilisca e duri fra noi,

quando sarò privato della tua presenza

e l’eco della tua voce più non cullerà

le mie solitudini,

quando arriverà il tempo dell’addio

e mi mancherà la passione dell’amore

Solo ricordi resteranno

del nostro passato

e nel tuo cuore sarò un’immagine morta

che solo nei sogni talvolta ritorna.

Ricordi sfocati che svaniscono

alle soglie del giorno,

forme indistinte prive di volto,

che al risveglio con fatica potrai trattenere.

 

 

 

  

Kama Kamanda  -  VA’ COME UNA NUVOLA

 

Va’ come una nuvola

a decorare il cielo con il tuo sangue

va’ come un poeta

a seppellire i tuoi dolori

nei campi dell'erranza

va' all'ombra della vita

ad affascinare i tuoi nemici

come un sole esploso

l'eternità si mette d'accordo

con il rinnovamento

e l'umanità rigenera sempre

il suo cinismo.

 

 

 

  

Mongane Wally Serote – È UN ARIDA STAGIONE BIANCA

 

È un arida stagione bianca,

le foglie scure non durano,

si inaridisce la loro breve vita

e con il cuore spezzato planano

dolcemente dirette a terra

senza una goccia di sangue.

È un’arida stagione bianca, fratello,

solo gli alberi ne conoscono la pena

quando stanno ancora eretti

ma aridi come acciaio,

coi rami secchi come fil di ferro,

oh sì, è un’arida stagione bianca,

ma le stagioni vengono per andarsene.

 

 

 

  

Rebeka Njaw (Kenya)  - IL VILLAGGIO

 

Kanyariri, villaggio di dura fatica

villaggio di lavoro senza fine

simile a sorgente che non si prosciuga mai

vecchie donne nere curve

si trascinano con le loro zappe

verso i campi di granturco infestato di erbacce.

Giovani spose come muli,

dal canto del gallo al tramonto del sole

si occupano dei loro interminabili lavori,

le loro scarne figure come archi in fila

s'affannano su e giù nei poderi ondulati del villaggio

con carichi sulla schiena e bimbi legati al grembo.

Penosamente s'affaticano nei campi tutto il giorno

rivoltando la terra con le mani e i coltelli

come pulcini che cercano vermi.

Niente qui sembra stare fermo.

Anche la chiesa del villaggio è come un pozzo bianco favorito

dove i “Revivalists” con i loro altoparlanti

non smettono mai di chiamare la gente

a confessare le colpe e bere l’acqua della vita.

All'alba gli uomini se ne vanno lasciando le donne

a custodire le magre capre e i bimbi che piangono.

 

 

 

 

Amar Lakwe  (Uganda) - SAVANA IN FIAMME

 

Il fuoco divampa verso occidente

una magica luce rossa

si riflette nel cielo.

 

Laggiù la foresta si accende

nel mistero della notte

vegliata da tremule stelle.

 

 

 

  

Amar Lakwe  - LA GRU CORONATA

 

Nobile gru

che voli leggera

sulla tua terra,

uccello amico

che ti libri nel cielo

verso il sole nascente.

Il tuo volo

sul fiume

sul lago e sulle montagne,

è una luce

è una voce

che chiama alla riscossa.

 

 

 

  

Jacques Rabemananjara  - LA PAROLA UNICA DELLA VITA

 

La parola unica della vita.

La parola prima, la parola estrema.

Parola che è lancia,

parola che è lampo

antica come la genesi,

nuova come il giorno!

Parola di pura essenza

e di puro splendore,

parola d’eternità

d’innumerevoli sogni!

Parola dell’età dell’oro.

La parola sul diluvio.

La parola che fa ruotare

la terra su se stessa!

La parola del nostro desiderio!

La parola della nostra catena!

La parola del nostro dolore!

Isola dei miei avi,

quella parola è la mia salvezza.

Quella parola è il mio messaggio.

Libertà! Libertà! Libertà!

 

 

 

  

Tahar Ben Jelloun  STELLE VELATE

 

La luce del giorno lentamente traccia sul

campo pudico di terra bianca il contorno di un

corpo amoroso.

Sul corpo nudo scivola la brezza del mattino.

Un vento breve drizza il seno

poi le anche. Sulla cima del ginocchio

impazzisce l’uccello del paradiso.

È un cuore che palpita

o è la terra che si spazientisce?

Il desiderio si è disteso nel letto del fiume lontano.

Corpo d’amore

brace di luce

attendi la notte per l’amplesso solitario.

Sono io che ti invento

ti guardo fremere e muovere

la tempesta ti gonfia le labbra e t’irrigidisce il busto

una palma si china sui tuoi capelli che spandono fuoco

ti so fiume, leggenda e musica.

Ma il tramonto ti ha spento,

ultima stella che accompagnava il sole.

Giunta la notte, nessun pensiero ti esalta.

Questa è la solitudine:

un corpo appena nominato è portato via dalle parole.

 

 

 

  

Tahar Ben Jelloun  LA MIA PATRIA È UN VOLTO

 

La mia patria è un volto

un chiarore essenziale

una fontana di sorgente viva

È mano che attende

trepida il crepuscolo

per posarsi sulla mia spalla

È una voce

di singhiozzi e di risa

un sussurro per labbra che tremano

La mia patria non ha altro orizzonte

che trattenuta tenerezza

negli occhi neri

una lacrima di luce

sulle ciglia

È un corpo di tormenti

preziosi

come un fascio di radici

vicino alla terra calda

È poesia

generata dall’assenza

un paese che nasce

sul bordo del tempo e dell’esilio

dopo un sonno profondo

sospeso a un albero

dai fragili rami

agitati nel vento

La mia patria è un incontro

avvenuto su un letto di foglie

una carezza per dire

e uno sguardo per dormire

paese lontano dalle parole

tanto da calpestare il ricordo

Tra le nostre dita

un ruscello

perché il silenzio sia

Il mio viso è di quel cielo ostinato

vuoto, ferito dall’eleganza del rifiuto

La mia caduta il nostro amore

albero dissanguato

sfigurato dalla grazia spezzata

lo stesso dolore

ha afferrato i nostri corpi

Restano quei versi

cordoglio tardivo

per una patria che non ha più volto.

 

 

 

 

 

Tahar Ben Jelloun  SUL SENO NUDO

 

Sul seno nudo di una fanciulla addormentata

il mattino si è posato lentamente.

Una carezza, un bacio proibito

all’insaputa della notte sollevando il velo del sogno.

Sulla spalla la bianca spuma del giorno

ricordo dell’ultimo abbraccio

brucia di un respiro silenzioso

corpo solitario che la luce sottomette

nudità fiera abbracciata dal calore

in questo oceano di sabbie segrete.

Punta di dolcezza in questa passione senza testimoni

il fuoco e la lingua leccano i piedi e la roccia

il ginocchio leggermente piegato fa ombra

sul ventre liscio e ardente delle sabbie

E io veglio sulla collina,

la polvere del tempo sulle palpebre

sul desiderio.

 

 

 

  

Tahar Ben Jelloun  COME UNA GOCCIA

 

Come una goccia di pioggia s’attarda

un filo di luce contorna i tuoi seni.

Illumina le parole che scintillano sul greto.

È il sole che sgocciola sul tuo ventre

sul foulard di seta intorno ai tuoi fianchi

velo di zingara che nel pudore gioca le carte del desiderio.

Prigioniera e isolata

solare e trasparente

nella solitudine della carne restituita alla terra

perché celeste è l’agitazione dell’amore alla morte data.

Corpo eretto nel dolore e nell’ebbrezza

la bellezza brucia la sabbia

per fiorire nello sguardo del nomade.

 

 

 

  

Tahar Ben Jelloun  DEI NOSTRI RICORDI

 

Dei nostri ricordi archiviati, imperlati di desideri,

abbiamo fatto l’unico asilo.

Linfa amara dell’albero malato

che trasportiamo nelle valige,

l’esilio con mani nude e fredde

ci avvolge sotto il cielo bianco dell’insonnia.

Il paese tira la pelle sul nostro volto

la solca di percorsi ingrati.

Il nostro paese ci sta sulla fronte:

ogni ruga è un fiume

che irriga la nostra memoria.

 

 

 

  

Tahar Ben Jelloun  VOLTA LE SPALLE

 

Volta le spalle al paese

i nostri occhi non ne vogliono più sapere.

Guardano l’orizzonte fatto di sabbia e di fuoco.

Camminiamo, senza paura, senza gioia

verso l’integrità del deserto.

Il cielo fa razzia dei nostri pensieri ad uno ad uno.

Procediamo senza nominare il desiderio.

Alcuni, maledetti delle terre assetate, hanno invaso le città

con bambini sulle spalle sulle braccia tra le gambe.

Hanno teso la mano sulla porta delle moschee

le ragazze sono cresciute nel bisogno e nella paura

vendono le mani e il corpo

piangono tra le mura dove hanno lasciato l’anima.

Crudele la faccia del bisogno

quando la disgrazia si posa su ogni cosa.

E noi, espulsi dal vento,

aneliamo al nulla, al deserto assoluto,

esilio estremo,

per sempre separati da coloro che hanno offeso

e affamato l’uomo e noi.

 

 

 

Tahar Ben Jelloun  QUELLA DUNA È UNA CASA

 

Quella duna è una casa, un’isola dalla lingua scorticata

ci si entra dai vicoli della notte.

L’occhio semichiuso è più largo della fronte.

È una barca all’orizzonte. È inclinata su un fianco.

Così tutta la sua memoria si è versata.

Ciò che si stende come un lenzuolo tra la roccia

e l’istante è la schiena. Graffiata. Striata.

La faccia, raggrinzita per i morsi del tempo, s’è staccata.

È l’esilio e l’oblio.

Chi ricorda le incisioni praticate nella nuca

per estirparne il male e il sangue?

Un liquido verde e spesso

sta nel cavo di una mano immobile.

L’isola circondata da specchi naviga sulla sabbia.

Essa è silenzio e astro decaduto.

Una volta all’anno uomini nudi ci vengono per piangere.

Credono di alimentare il fiume dell’infanzia.

 

 

 

 

Birago Diop   (Senegal)  I MORTI NON SONO MORTI

 

Ascolta più spesso ciò che vive,

ascolta la voce del fuoco,

ascolta la voce dell’acqua

e ascolta nel vento

i singhiozzi della boscaglia :

sono il soffio degli antenati.

I morti esistono, essi non sono mai partiti,

sono nell’ombra che s’illumina,

e nell’ombra che scende

nell’oscurità profonda.

Sono nell’albero

e nel bosco che geme,

sono nell’acqua che scorre,

sono nell’acqua stagnante,

sono nelle capanne, sono nelle piroghe.

I morti non sono morti,

non sono mai andati,

sono nel seno della donna,

sono nel bambino che vaga

e nel tizzone che si infiamma.

I morti non sono sotto la terra:

sono nel fuoco che si spegne,

sono nelle erbe che piangono,

sono nella roccia che geme,

sono nella foresta, sono nella dimora.

I morti non sono mai andati.

Ascolta più spesso le cose.

La voce del fuoco si sente,

ascolta la voce dell’acqua,

ascolta nel vento

i cespugli in singhiozzi.

È il respiro degli antenati.

 

 

 

  

David Diop (Senegal)  AVVOLTOI

 

A quel tempo

tra gli inni alla civiltà,

aspergendo d’acqua santa le fonti assoggettate,

celando le unghie nel buio,

gli avvoltoi alzarono l’edificio di sangue

dell’epoca coloniale.

A quel tempo il sorriso dell’uomo

morì nell’inferno ferrato delle strade

e i monotoni ritmi delle preghiere coprirono

il lamento degli schiavi nelle piantagioni.

Che amaro ricordo, conservi

i baci briganteschi

e le promesse spazzate via dal vento delle mitraglie.

Stranieri, non eravate uomini!

Conoscevate tutti i libri del mondo ma non l’amore.

Non sapevate che le vostre mani

fecondano il seno della terra,

non sapevate che le vostre mani

hanno radici profonde, come la rivolta.

Non sapevate, macellai,

che sotto le vostre boriose canzoni

nei villaggi negri che predavate,

nell’Africa squartata

maturava la speranza, nostra sola fortezza.

Non sapevate che dalle miniere di Swaziland

alle officine d’Europa, ove scorre il nostro sudore,

sotto il nostro passo chiaro

nasce il corpo della primavera.

 

 

 

 

Patrice Lumumba   PIANGI, FRATELLO NEGRO AMATISSIMO

 

O Negro, da millenni bestiame umano

le tue ceneri continuano a spargersi in tutte le latitudini

e tu continui a costruire cappelle funerarie

dove i carnefici dormono il loro sonno eterno.

Inseguiti e braccati, scacciati dai propri villaggi

sconfitti in battaglie dove la legge del più forte

significava per te la schiavitù o la morte,

ti eri rifugiato nelle profonde foreste

dove l’altra morte incombeva sotto la maschera

impaziente

per le zanne del felino o nella morsa immonda

e fredda del serpente.

E poi venne il Bianco, sornione scaltro

e più avido

che scambiava il tuo oro per paccottiglia

violentando le tue donne

ubriacando i tuoi guerrieri

ammassando nei suoi vascelli i tuoi figli e le tue figlie.

Il tam-tam mormorava di villaggio in villaggio

portando in lontananza il dolore

seminando lo smarrimento

raccontando la grande partenza verso fiumi lontani

dove il cotone è Dio e il dollaro Re

condannato al lavoro forzato come bestia da soma

dall’alba al tramonto sotto un sole infuocato.

Ti fu insegnato a cantare le lodi di Dio

e questi diversi canti, ritmando il tuo calvario

ti davano la speranza in un mondo migliore..

ma nel tuo cuore chiedevi solo

il tuo diritto alla vita e la tua parte di felicità.

Tu danzavi, folle, nell’umidità della sera.

Da questo sole che tu ami sempre

soffocherai il tuo dolore

e tu farai del Congo una nazione libera e felice

al centro di questa grandiosa Africa nera.

 

 

 

  

René Philombe     (Camerun)   NEGRITUDINE

 

Lungamente beato sotto la vecchia cavezza

che mi distruggeva i pigmenti

finalmente mi sono svegliato

con gli occhi rossi

al rosso

rombo

dei gong

interiori.

Mi tocco il polso e sento

tutte le pentite braccia

del mio sangue

che picchiano picchiano sodo

il lungo tam tam delle inviolate sorgenti.

Mi invitano al minareto i tabù

della rigenerazione

mi invitano

lassù

io e i miei totem

sotto l’occhio intatto dell’Aurora

per il totale incenerimento delle spine.

La mia ciotola spumeggerà

delle pure linfe

dell’ebano

la ciotola ora mia

e non avrò più sete

di me stesso.

 

 

 

  

René Philombe     HO BUSSATO ALLA TUA PORTA

 

Ho bussato alla tua porta

ho bussato al tuo cuore

per avere un letto

per avere del fuoco

perché mai respingermi?

Aprimi fratello!

 

Perché domandarmi

se sono dell'Africa

se sono dell'America

se sono dell'Asia

se sono dell'Europa?

Aprimi fratello!

 

Perché domandarmi

quant'è lungo il mio naso

quant'è spessa la mia bocca

di che colore ho la pelle

che nome hanno i miei dei?

Aprimi fratello!

 

Io non sono nero

io non sono rosso

io non sono giallo

io non sono bianco

non sono altro che un uomo.

Aprimi fratello!

 

Aprimi la porta

aprimi il tuo cuore

perché sono un uomo

l'uomo di tutti i tempi

l'uomo di tutti i cieli

l'uomo che ti somiglia!

 

 

 

 

Amal Musa (Tunisia) CINGO I MIEI FIANCHI

 

Cingo i miei fianchi

per essere una tela che si allarghi nell’ora dell’ira

e che si ritiri quando mi acquieto.

Chiesi al fuoco che divampa dentro di me:

quale uomo può sopportarmi

quale donna trovarmi amica

quale bambino che il mio stupore non possa uccidere

quale padre dare alla luce una simile a me

o quale nome contenere il mio aspetto

e quale verbo domarmi.

O fuoco

cosa ti spegne?

Una goccia sgorga da me

oppure una fiamma che dentro mi brucia?

 

 

 

  

Beika Ag Moummou (poeta tuareg XIX sec.)   SULLA MIA CAMMELLA

 

Sulla mia cammella

che ha riflessi d’oro

avanzo lungo le colline solitarie

dal colore di crema;

e di là si stende la vallata.

Alla vallata, dietro gli alberi,

voglio arrivare

quando il giorno declina.

Sogno lei, la ragazza che amo,

lei che mi aspetta

più bella di un’antilope nutrita con frutti di acacia.

Penso a te,

e con le redini batto la cammella,

con lo staffile che duole sui fianchi.

 

 

 

 

  

Abd al-Karim Tabbal   (Marocco) POESIA D’ACQUA

 

Disegno nell’acqua

un volto di pietra

più bello del volto dell’acqua

diafano svela il segreto

roseo… come un sogno

ma appena compiuto

dato il frutto la sua ombra

riempiendosi gli occhi ride

del mio vecchio volto

del mio pennello bambino

chiedo con rabbia repressa

la voce rotta

perché ridi di cuore

sei creatura mia ombra

piume delle mie ali

risponde

tu non hai dipinto un volto

né hai infuso vita con l’alito

sono pietra assoluta

ero qui… prima del sorgere di Eridano

ho d’acqua il corpo

che il tempo non logora

ho parole d’acqua

che il vento non cancella

e tu sei un monello

che disegna nella sabbia.

 

 

 

 

  

Abd al-Karim Tabbal   VECCHIO

 

Piano di gabbiani

lacrima che si prepara negli occhi di una nuvola

rosa che la rugiada piange

albero nudo

voce alla fine di un canto

non v’è altro che fumo nei carboni ardenti

non v’è altro che nubi nella neve

 

 

 

  

Madiya Faik-Nzuji   ILLUSTRI BUGIARDI

 

Sono scomparsi tutti

uno dopo l’altro

Se ne sono andati

ubriachi dei loro crimini

Non crederemo mai più a quegli illustri bugiardi

Con le dita di aquile

hanno trapassato le nostre carni

Prigionieri, assiderati

fremiamo di terrore

Chi mai verrà ancora

a strapparci gli occhi?

 

 

 

  

Muhammad Bennis (Marocco) SONO IO CHI ASCOLTA

 

Sono io chi ascolta la dissolutezza del puro sono io a salmodiare

è il mio sangue che conserva questa preghiera di fuoco

mi spinge alle volte del suo giro mi possiede

il canto saturo del profumo d’arancio

un’ala liberata nelle cavità

dei polmoni fascio

le mie membra

con sussulti

stolti filosofi

poeti eretici

sufi

geomanti

selgiuchidi

pazzi nudi

abbiamo cantato

per voi stanotte

amen.

  

 

 

  

Muhammad al-Ash’ari  (Marocco)  UNA NUVOLA STUPIDA

 

Una nuvola scarna si estende fino alle mie dita

sgela come pezzo di ghiaccio sul fondo di un bicchiere vuoto

una nuvola bianca, fragile e stupida

balla fra il mare e il tetto della mia stanza

una nuvola sterile

si denuda davanti al vento privo di desiderio

ulula il suo utero perforato come lupa

per aver perso i cuccioli

o nuvola che sei senza piogge

o nuvola bianca fragile stupida

guardami dentro

contempla tutte queste nuvole grigie

compresse dentro di me

come tempesta esiliata in profondi abissi

dove non c’è altra voce che il pulsare di un cuore sommerso

dall’acqua

 

 

 

  

Muhammad al-Ash’ari    IL CANTO DELLE NUVOLE AMARE

 

Pace a te esiliato in una morte senza rive.

Lascia che rovisti nella tomba non ancora asciutta

per mostrare l’abito nero

e la camicia bianca

e del pugnale lo squarcio insanguinato.

Lasciami riesumare i tratti della storia

perché non muoiano nell’oblio i dettagli

La tua casa conficcata fra le fatiche degli amici

angolo che appare e tavola bruna

la tua strada di occhi armata

e di alberi puntati

i testimoni sedotti da voci e sogni

e tu… e quelli in agguato

tu e la terra, frutti maturi nella cesta dei tiranni.

Eppure resta incompiuta l’immagine

lacerata, non smuove,

non è nella sete dei villaggi,

non si propaga, non viaggia,

resta ferma sul tuo sangue

 

 

 

  

Abdalla Zrika  (Marocco)  GOCCE DI CANDELE NERE

 

Dammi un bicchiere

che beva questo vuoto

E un braccio

che misuri questa separazione

Preparami un letto

di vetro

che scivolino i miei incubi

Non voglio leggere lettere

non rette dinnanzi agli occhi

come chiodi

Darò la mia mano a questo cane

che viene a prendersi un dito

Lascerò molto bianco nei miei scritti

alla prostituta che passa

(Questa non è una penna

ma piccone che demolisce il poeta

in me tiranno)

marceranno le formiche al mio funerale

lascerò la mia tomba a qualcuno che non trova dove dormire

lascerò tanto bianco nei miei scritti per illuminare

l’oscurità che viene con la notte delle parole

Lascerò il bianco al giorno delle vostre nozze

 

 

 

  

Matial Sinda  (Eritrea)   SILENZIO

 

Sempre silenzio.

Non parliamo più

Non danziamo più

Non gridiamo più

Perché non siamo liberi.

Perché non siamo più liberi in casa nostra.

O Africa d'un tempo!

O Africa domata!

O Africa, Africa nostra.

Tam-Tam Tam-Tam Tam-Tam

senza sosta per sempre.

Africa paese delle tristezze!

Africa paese senza danze senza canzoni!

Africa paese di pianti e lamenti

Tam-Tam Tam-Tam Tam-Tam

Senza sosta

suonati per sempre

per rianimare tutta l'Africa

Per risvegliare quest'Africa addormentata

fino alla creazione d'un'Africa Nuova

ma sempre Nera.

 

 

 

  

Henri Boukoulou LAMENTO DI UN PRIGIONIERO

 

Ascolta con me la notte farsi muta

come un lutto sul cielo piatto

L’aria non ha neanche più quella dolcezza

da noi così spesso sognata;

la sua carezza somiglia a catene incorporee

sui nostri corpi allacciati.

Ti guardo come tu mi guardi

quando mi ami;

e nei tuoi occhi, che guardano il mondo,

vedo raccogliersi l’ombra delle minacce,

vedo cercar rifugio le anime braccate

La notte resta così silenziosa!

Senz’altro si compiace di contemplare

i tuoi occhi da cui sgorgano

tutte le parole che le nostre labbra non hanno più

Diritto di pronunciare e neanche di cantare

 

 

 

  

Henri Boukoulou   DOMANI, LA SPERANZA

 

Domani, la speranza

e nel cielo in lutto

vedo i suoi occhi, calmi e dolci

come una carezza,

ascolto la sua voce, pura e bella

come una notte costellata,

leggo il suo messaggio, serio e nobile

come una leggenda greca.

O, divina speranza!

Ecco che nel singhiozzo disperato del vento

si tracciano

le prime frasi del più bel poema d’amore

e domani, è la speranza!

 

 

 

  

Henri Boukoulou   LE STRADE DI SOWETO

 

C’era un fanciullo vestito di nero

che si contava le costole

in fondo ad una camera chiusa

sulla dolcezza della sera.

 

C’era un cane grosso come la disperazione

che aveva perso una zampa

sognando i resti che avanzavano

da un pranzo ufficiale.

 

C’era un soldato dal portamento drammatico

che ingoiava le pallottole del suo fucile

per non vedere più ai suoi piedi

donne morire, col figlioletto in braccio.

 

C’era una prigione tutta bianca

con una cella tutta nera

dove uomini, dimentichi del loro nome,

erano rinchiusi e mai processati.

 

C’era una donna dallo sguardo spento

in attesa dei suoi undici figli

sulla strada del cimitero

dove non aveva potuto seppellirli.

 

C’era una voce bella come la vita

che cantava la libertà su di un’aria

che suonava come un incubo

nell’orecchio del condannato a morte.

 

 

 

 Abu’l-Qasim Al-Shabbi (Tunisia)  VOLER VIVERE

 

Se un giorno alla gente venisse voglia di vivere

allora il fato dovrà rispondere

e la notte dovrà aprirsi

e le catene spezzarsi.

Chi desidera vivere non trattiene il corpo,

s’evapora e svanisce nel vasto cielo della vita.

Gli esseri, gli esseri tutti, così mi hanno detto,

così mi ha parlato il loro spirito celato

in cima alla montagna, nel più segreto albero,

nel mare scatenato ascoltano il mormorio dei venti.

Che io mi volga verso un luogo al mondo,

indossi la speranza, mi spogli di prudenza.

Non temo sentieri rigorosi

né fuochi alteri.

Rifiutare le alte vette

non è vivere per sempre nel fossato?

 

 

 

  

Georges Ombinda   OMAGGIO A MOLOISE

 

Lampo!

Tuono!

Un gigante è stato fulminato,

Ai piedi dell’Africa

Al margine della foresta vergine

Una fumata funesta

Si eleva dai piedi dell’Africa.

Come una scia di polvere

Che da Città del Capo

Al mondo fa capo.

In piedi! In piedi!

Dannati della terra

In piedi! In piedi!

Proletari di tutto il mondo.

Andiamo! Andiamo!

Ai piedi dell’Africa

Catturiamo l’Apartheid.

 

 

 

 

Jean Royal Kississou-Boma    SOWETO AMORE MIO

 

Sono laggiù, tanti, tantissimi,

Da lungo tempo, lunghissimo tempo,

Dietro i chiavistelli, nelle miniere, i loro dormitori

Tutti, quasi tutti sottoposti alla loro razione di randello

Per la signora Libertà

Respirano il gas, il gas industriale

L’ossigeno è sconosciuto e proibito,

Sono là, animali che appartengono a uomini disumani.

Ma sono là, creature nobili perché umane

Sono là, che respirano l’odore della terra innocente.

Portatori dell’onore dei loro avi e del prestigio del passato,

Simboli del coraggio di un presente

Specchio della fierezza della razza e simbolo dell’eroismo.

Versando il loro sudore dorato

Perdendo il loro sangue di eroi

Sono là

A Soweto

Vittime dell’orrore

E della follia del colore.

Sono là vittime degli appetiti del capitale

Difensori della ragione e della giustizia.

 

 

 

  

Tania Van Schalkwyk   INCOMMENSURABILE

 

C’è un oceano incommensurabile

e ti inghiotte

quando ti bacia

In questo mare ci sono scogliere con

sponde che cadono in buchi scoscesi

Puoi sederti sul corallo

tenere i tuoi piedi a penzoloni sul precipizio

lasciare che le tue caviglie vengano mordicchiate

guardare le ombre dell’azzurro confondersi tra loro

ascoltare l’uomo nel mare chiamarti a sé

e tu puoi immergerti nelle sue fredde e dure braccia

affondare nella storia senza fine dei suoi occhi scuri

bere nel suo sale

giacere distesa sul fondo del suo letto

o puoi attendere che una corrente ti porti via

ti spinga lontano dal suo abbraccio

ti spinga sempre più lontano verso il mare aperto

continuare a galleggiare, nelle profonde

braccia spalancate verso il sole

coi capelli che sfiorano la superficie

potrai trovar pace

potrai pensare che ti sei lasciata andare

finché ti accorgi di non essere sola

i fruscii e gli spruzzi di una pinna

il bagliore di una bocca che ha fame di te

uno strattone nei tuoi riccioli, i tuoi arti tirati

ti rammentano che lui è lì, ti fanno ricordare

della discesa, del giorno in cui verrai divorato

della notte in cui ti arrenderai, della volta in cui

smetterai di camminare, smetterai di nuotare

E ti lascerai annegare, incommensurabile.

 

 

 

 

 

Iman Mersal (Egitto)  HO UN NOME MUSICALE

 

Forse la finestra alla quale mi sedevo

preannunciava una gloria straordinaria.

Sui miei quaderni scrivevo:

Iman…

Iscritta alla scuola elementare “Iman Mersal”

né la lunga bacchetta dell’insegnante

né le risate provenienti dai banchi in fondo potevano

farmi dimenticare la questione.

Pensavo di intitolarmi la nostra via

a condizione che le nostre case venissero ampliate

e che venissero costruite stanze segrete

affinché i miei amici potessero fumare a letto

senza essere visti dai fratelli maggiori.

Dopo aver abbattuto i soffitti per alleggerire le pareti

e avere tolto le scarpe delle nonne defunte, i vasi

e le scatole vuote che le madri hanno estratto dalla vita

dopo avere a lungo servito in altre strade.

È anche possibile colorare le porte d’arancione

come simbolo di gioia…

e aprire dei fori affinché ciascuno

possa osservare le famiglie numerose

cosicché nessuno possa sentirsi più solo nella nostra strada.

“Gli esperimenti storici

sono frutto di grandi menti”

Così mi descriverebbero i passanti

mentre passeggiano sul bianco marciapiede

della strada che reca il mio nome.

 

 

 

  

Iman Mersal  ESERCIZI DI SOLITUDINE

 

Ho minacciato tutti coloro che mi hanno amato

che mi sarei uccisa

qualora mi avessero lasciato.

Non credo che morirò mai per qualcuno.

I suicidi - non v’è dubbio -

si fidavano della vita molto più del dovuto

e credevano che li aspettasse altrove.

Non me ne andrò prima che egli muoia innanzi a me.

Appoggerò l’orecchio sul suo petto dove il silenzio è più forte

di ogni tentativo di farmene dubitare, neppure

un gatto ha gli artigli di una donna delusa

che cerca di rovesciare il cestino della spazzatura colmo

degli avanzi

della nostra giornata insieme.

Metto il cestino fuori dalla porta

per dimostrare ai vicini che ho una famiglia tranquilla.

Prenderò le tue dita,

osserverò la precisione di un chirurgo

che non ha bisogno di bisturi

per rimuovere piaghe in un corpo che si divora.

Metterò la tua mano in un contenitore per il ghiaccio in cui

non vi sono brividi

e me ne andrò da qui

avvolta nella perdita e nella luce.

  

 

 

  

Perpetue Kassy  NAMIBIA

 

È là in quel paese che ho atteso il momento della rivolta.

Il momento di tutto e di niente,

solitaria, guardo l'Africa

Dio! Sdraiarmi per strada

All'ingresso della Vita.

Questa vita che non ho chiesto.

Nascosto sotto le coltri dell'angoscia

Giace il mio Amore, annegato nel sudiciume.

Certo, lo sapevo,

Seduta sul marciapiede,

Guardo ancora quest'Africa.

Non aver paura, mi dice la voce,

Il mio cuore è grande come il mare.

E per questo

Io ti saluto; Namibia guarda

Il volo ritmato della mia mano.

Giro per le tue strade nere e bianche,

Sento che le tue radici manifestano vigore e debolezza;

Nel mio corpo, nella mia testa, nel mio sangue,

E tutto in me lo afferma:

Non so da dove vengo,

Ma so che arrivo.

 

 

 

  

Perpetue Kassy  RISVEGLIO (ALLA DONNA AFRICANA)

 

Soweto!

i nostri figli innocenti sono caduti.

Sharpeville

guai a voi!

I nostri mariti emettono grida di dolore.

I messaggeri di pace piangono amaramente.

Le case sono abbandonate.

Mandela, dove sei?

 

Donne d’Africa!

Quando finiremo di tollerare

la furia delle Nazioni Armate?

I nostri cadaveri esalano fetore

le nostre strade grondano del loro sangue.

Benjamin Moloise, Steve Biko sono morti.

Sono morti per te, Africa

allora donne d’Africa!

Svegliatevi!

 

Ecco qui coloro che dettano le loro leggi immonde

coloro che trascrivono ingiusti arresti

per tenere i poveri lontano dai giudizi

e derubarli dei loro diritti, per fare delle vedove la loro preda

e degli orfani il loro bottino.

Donne d’Africa!

 

Asciugate le lacrime

alzate la voce

l’aurora si risveglia

al di sopra dei grattacieli di Johannesburg

ascoltate il canto del gallo

il tamtam piange

il tamtam risuona, ascoltatelo!

Le lacrime sono là

 

 

 

 

Sipho Sepamla  SILENZIO

 

Sferzi la mia perversità con una frusta

una rozza correggia di carne essiccata

sino a che le rosse ferite mi invogliano

a piangere

Ma non mi uccidi a colpi di silenzio

 

Ai morsi della mia fame

neghi il pane ed il suo lievito per la vita

Al punto che io sia disseccato come una

foglia d’autunno

Ma non mi uccidi a colpi di silenzio

 

Lusinghi le mie orecchie con promesse

Infiorate da una lingua esperta

Perché forse io canti come vuoi tu

Ma non mi uccidi a colpi di silenzio

 

Oh! I nostri occhi non guardano

coloro che colpiamo con il silenzio

Perché noi siamo sposi del tempo

che si affretta e galoppa

Giorno e notte

Mentre il nostro silenzio langue in prigione.

 

 

 

 

  

Roli Hope Odeka   VITA GALLEGGIANTE

 

Che cosa vivrò per l’oggi o il domani

Una vita dolce, un dolce cammino, senza problemi.

Vedere, incontrare volti sorridenti

 

Evitare cose che portano problemi

Non una vigliacca ma augurandomi il meglio

andare insieme alla corrente galleggiando

e a volte andare contro corrente.

 

La mia vita sta galleggiando liberamente nel nulla

 

Non mi piace cercare gli ostacoli

Stendo le mie mani per raggiungere soltanto

ciò che posso ottenere e toccarlo forte

Guarda, o vieni con me che galleggio

Non voglio annegare

 

La mia vita è un galleggiare.

 

 

 

 

  

Fatima Na’ut (Egitto)  UN FIORE SULLA MANO DI UNA DONNA

 

Ogni volta che muore un uomo

sboccia un fiore

sulla mano di una donna.

 

La tua assenza

giunge sempre a testa bassa

vaga come al solito per le stanze

prima di chiedere la cena e il caffè

si accerta che i piccoli siano dentro di me

e il perdono

dietro le mie orecchie

poi si affaccia al balcone

e caccia gli angeli che si sono accalcati dietro le finestre

ogni volta

solleva il soffitto di qualche centimetro

e non fa nulla.

Ho forse detto che viene a testa bassa?

Forse ho esagerato un po’

la tua assenza non viene

è qui.

 

Il tuo corpo è stato consumato dalle donne.

Il mio corpo

È stato consumato dalla ruggine.

 

 

 

 

 

Wafaa Lamrani ( Marocco) RADICE GENESI CORPO AMORE

 

Radice

Sono nata da un sentimento che non assomiglia né all’amore

né all’odio: spesso assomiglia all’orgoglio

non mi volevano, ma sono arrivata.

Con forza sono spuntata nel momento che volevo.

Prima di iniziare ho chiarito con tono di sfida

ho annunciato che io e l’età siamo sempre state separate sull’orlo

dell’alienazione

che io e il tempo siamo stati per sempre due volte…

 

Genesi

Dall’intuito avvio

la mia genesi

mi estendo su uno spazio più angusto della cruna dell’ago,

fingo di essere permeabile nella mia stessa sostanza.

Il vento del vuoto non proviene né dall’est né dall’ovest.

E io parto:

la partenza non potrebbe portarmi via

né il transito sfuggirmi

né l’arrivo sotterrarmi.

 

Corpo

Ogni volta in cui la voce del corpo entra in estasi

la femminilità della saggezza fiorisce

e di rose riveste le sue parti

che restano sognanti nella loro ritrosia.

Sello i passi per il desiderio cocente…

 

Amore

Il mio libero tenero cuore

ho inviato sulla cima più elevata dei monti dell’Atlante

perché le fetide iene

e le alture spesso fanno venir loro

vertigini e nausea…

Il mio cuore è un fiore minato di fragranza

ma chi lo raccoglie è un freddo cronico ordinario.

 

 

 

 

  

Fatima Mahmud (Libia)  QUEL CHE NON ERA CONCEPIBILE

 

In armonia

siamo entrati nel clima dell’acqua

in armonia con la legge

dell’albero.

In armonia

abbiamo pronunciato erba, recitato

Siepi.

In armonia un orizzonte

di garofani.

Un mazzo di lavanda.

Abbiamo bussato al silenzio

di giardini abbandonati.

Camminato

mentre la strada massaggiava la schiena

con l’unguento del sole

e fissava i marciapiedi

soffocati.

Il poliziotto

abita

la prima fila,

succhia il sangue del linguaggio,

priva l’alfabeto dei punti diacritici

e strappa

le piume del discorso.

Confisca gli stami del narciso.

avvolge le corolle dei fiori,

seppellisce vivo il gelsomino che spunta

dai giardini del nostro sguardo.

 

 

 

 

 

Ndjock  Nagama  (Camerun) BELLEZZA NERA

 

Amo il tuo sguardo di fiera

E la tua bocca dal gusto di mango

Rama Kam

Il tuo corpo è pepe nero

Che attizza il desiderio

Rama Kam

Al tuo passaggio

La pantera è gelosa

Del caldo ritmo del tuo fianco

Rama Kam

Quando danzi nel chiarore delle notti

Il tam-tam

Rama Kam

Ansima sotto l’uragano Dyunung del griot

E quando ami

Quando ami Rama Kam

È il tornado che s’abbatte

E tuona

E colmo mi lascia del respiro di te

Rama Kam.

 

 

 

 

  

Ndjock Ngana    COLUI CHE TUTTO HA PERDUTO

 

Risa di sole nella mia capanna

E le mie donne belle e flessuose

Erano palme alla brezza della sera

Scivolavano i figli sul gran fiume

profondo come morte

E le mie piroghe lottavano coi coccodrilli

Materna, la luna s’univa alle danze

Frenetico e grave del tam-tam il ritmo

Tam-Tam di gioia Tam-Tam spensierato

Fra i fuochi di libertà

Poi un giorno, il silenzio...

Del sole i raggi parvero oscurarsi

Nella capanna d’ogni senso vuota

Le bocche rosse delle mie donne premevano

Le labbra dure e sottili dei conquistatori dagli occhi d’acciaio

E i figli miei lasciarono la quieta nudità

Per l’uniforme di ferro e di sangue

E più non ci siete, neppur voi

Tam-Tam delle mie notti, Tam-Tam dei miei padri

Le catene della schiavitù hanno straziato il mio cuore!

 

 

 

 

  

Ndjock Ngana A UNA DANZATRICE NEGRA

 

Negra mia calda voce d’Africa

Terra d’enigma e frutto di ragione

Danza per la nuda gioia del tuo sorriso

Per l’offerta del tuo seno e di segrete virtù

Danza per l’aurea leggenda di notti nuziali

Per i tempi nuovi e i secolari ritmi

Negra infinito trionfo di sogni e di stelle

Amante docile alla stretta dei Kora

Danza per la vertigine

Per la magia delle reni che il mondo ricominciano

Danza sei

E intorno a me bruciano i miti

Intorno a me le parrucche del sapere

In gran fuochi di gioia nel cielo dei tuoi passi

Danza sei

E i falsi addii ardono nella tua fiamma verticale

Sei il viso dell’iniziato

Che sacrifica la follia ai piedi dell’albero-guardiano

Idea del Tutto sei e voce dell’Antico.

All’assalto delle chimere gravemente protesa

Sei il Verbo che esplode

In razzi miracolosi sulle rive dell’oblio.

 

 

 

 

 

 

WOLE SOYINKA

 

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