IL RISCHIO DELL'UOMO

di ALESSANDRO PRONZATO

scrittore

Un giorno gli ho domandato perchè non si decidesse, anche per accontentare un suo pubblico, a dipingere paesaggi. Mi ha risposto, con voce sommessa, agitando un poco la zazzera bionda: - Non ne sento il bisogno. Preferisco la figura umana. Non ti pare che il volto di un uomo sia il più bel paesaggio esistente al mondo? Se vuoi , ci puoi leggere tutto... La sua arte, in fondo, rappresenta un'affascinante esplorazione nell'immenso, inesplorato "territoriouomo". Uno dei più originali pensatori dell'Oriente cristiano, 0. Clément, denuncia la più grave minaccia della società e della cultura contemporanee: quella contro il volto umano. E stabilisce un parallelo tra la "morte di Dio" e questo attentato contro il volto umano. "La folla dei totalitarismi - un impasto informe - e la folla solitaria delle metropoli smisurate, finiscono ugualmente per cancellare il volto dell'uomo. Una civilizzazione di fuga dinanzi alla morte - e dinanzi al mistero - lo annega nel grassume dei rumori, delle immagini, dei nutrimenti, di tutto quel gioco, che si svolge alla superficie dell'esistenza, delle aggressioni nervose e delle pesantezze carnali compensatrici". E uno studioso di fama, Max Picard, fin dal 1929, notava come il viso umano fosse sparito dalla pittura contemporanea, che aveva collocato delle "pietre sepolcrali sulla faccia asfissiata dell'uomo". Antonio Boatto, in questo senso, è un ribelle. Rifiuta una pittura - e una filosofia - in cui l'uomo è ridotto a denti, unghie, mani, sesso, artigli, usati per azzannare, tenere, arraffare, spremere piaceri effimeri. Sa che una società senza il "culto del volto" è una società che rende schiavi. Non per nulla, nell'antichità greca, lo schiavo veniva chiamato "aprosópos". Letteralmente: colui che è privo di volto. Un monaco dei primissimi secoli cristiani, il grande Macario, dovendo presentare gli uomini "decaduti", li raffigurava come prigionieri 22 legati schiena contro schiena, in modo da essere condannati a non potersi mai guardare in faccia. Come a dire: l'inferno è la privazione del volto. Boatto sa che "le ideocrazie e la bomba regnano su un'umanità senza volti" (0. Clément). Lui è convinto - come lo sono lo - che un terrorista può uccidere un uomo soltanto se non lo guarda in faccia. e se osserva, che so?, la sua camicia o le sue scarpe. Così come un torturatore riesce a compiere il suo rito infame fisgando lo sguardo sulla lunghezza della capigliatura, sul colore della pelle o sulla tessera di partito o ideologica della sua vittima. Ma non ha certamente il coraggio di guardarla in volto. Nella sua pittura anticonformista e inattuale, Boatto torna a scommettere sull'uomo e sul suo volto. Prima ancora di prendere in mano i pennelli, questo artista schivo, allergico alle chiassate pubblicitarie e alle smargiassate esibizionistiche di troppi suoi colleghi, quest'uomo dall'aria dolce, remissiva, compie un'operazione fondamentale: strappa l'individuo di mezzo alla folla anonima e baccagliante. Lo "isola", lo elegge, lo chiama (una specie di "vocazione" ad essere uomo, non numero, non pedina nel gioco dei potenti), lo sottrae alla massificazione, all'essere scheda destinata all'elaboratore elettronico, oppure oggetto o sacco da nempire con le propagande più alienanti. Gli restituisce il nome, il volto, unico, irripetibile. Dal gregge tira fuori la persona. Dalla piazza estrae Pessere umano nella sua singolarità, nella sua originalità. Dal caos libera, "crea" la bellezza e l'armonia di un volto. Direi che l'arte di Boatto è profondamente religiosa proprio perchè compie quest'opera insolita di consacrazione che è, in termini biblici, "Separazione". Infatti "separa" l'uomo dalla folla che tende a inghiottirlo, dalla macchina gigantesca che cerca di divorarlo, da tutte le strumentalizzazioni che pretendono di asservirlo. Antonio Boatto, ossia il rispetto del valore sacro della persona. Rispetto del "mistero del volto". E noi ci troviamo a fare i conti con questa pittura scomoda, inquietante, che non concede nulla al divertimento, all'evasione. Impossibile sfuggire alla provocazione di quei volti. Dolenti e tragici, dolci e severi, struggenti e melanconici, stupiti disincantati, mai banali. 23 Sembrano tutti eguali (personalmente ne avrò visti almeno un migliaio, tra disegni, tele e sculture). Eppure ogni volto è diverso, inedito. Ognuno rivela, sotto una crosta di miseria e di umiliazione, la traccia, la cicatrice di una grandezza unica, antica. Ciascuno manifesta (e nasconde, lascia intuire) un suo segreto, una sua storia esclusiva. Boatto corre il rischio del volto, perchè corre il rischio dell'uomo. In quel suo campionarlo di umanità, non esita a sfiorare le note della tenerezza, del sentimento. Senza però mai cadere nel tenerume o nel sentimentalismo da mercato. La sua pittura è facile e difficile al tempo stesso. Riposante e, insieme, impegnativa. Già, perchè l'uomo è impegno, scelta, decisione "per". Nella nostra civiltà dominata dalla fretta, dal correre affannato, per cui tutti sono malati di distrazione e storditi dalla velocità, un pittore dolce ma ostinato, che non segue le mode, che non si è mai lasciato "intruppare", osa sbarrarti il cammino, buttandoti davanti un volto d'uomo. E tu sei obbligato ad accorgerti della sua disperazione, della sua solitudine, del suo diritto all'attenzione, del suo valore, della sua dignità, della sua sofferenza, della sua "sacralità", della sua speranza, delle sue attese. E sei costretto, ahimè, a pensare. Sì, perchè la serie ininterrotta e sorprendente di volti che escono dalla tavolozza delicata di Boatto, ti ricordano anche che dire volto significa dire capacità di pensare con la propria testa, rifiuto deciso di tutte le pillole offerte dalla farmacia dei mass-media contro l'emicrania, il "malessere del pensare". Anche nel nudi, Boatto si rivela rigorosamente, direi asceticamente, coerente alla sua scelta di fondo. Anche quando raffigura un nudo, si rifiuta di ostentare il corpo come "macchina da piacere". Pure lì sei condotto a indovinare un volto, a fare i conti con uno sguardo, a rispettare una persona. Così vieni invitato al superamento. Superamento del possesso nella comunione. Superamento del semplice piacere egoistico nell'incontro con una persona. Dell'istinto del dominio nel dinamismo della libertà. Della ripetitività meccanica nella novità quotidiana. Dell'abitudine nella meraviglia. Dell'avventura effimera nella fedeltà creativa. Boatto sostituisce lo "sfiorarsi" tipico di troppi nostri incontri, con la relazione, il rapporto in profondità. La sua pittura è cristiana - è lo è in maniera sofferta, vorrei dire lacerante - anche quando i temi e i soggetti sono profani. Soprattutto 24 perchè sostituisce alla maschera - a tutte le maschere, anche quelle religiose, anche quelle carnevalesche - il volto. Un volto ripulito, "svuotato - direbbe Kierkegaard - da tutte le sue ipocrisie". Per questo è una pittura scomoda. Quasi irritante. Per questo non sono i pochi quelli che vengono afferrati da una specie di esitazione, quasi paura, prima di appendere in salotto - o in camera da letto - uno di quel volti tormentati e tormentosi, implacabili nella loro serena drammaticità, che ti afferrano e coinvolgono, specchi indiscreti delle tue miserie e della grandezza cui hai abdicato, ma anche "rivelatorl*" delle tue possibilità, della tua immagine più vera. Boatto lo sa. Volesse produrre opere per andare incontro al gusti deteriori del pubblico o per ottenere un successo commerciale, possederebbe tutti i mezzi e le astuzie del mestiere per riuscirvi. Ma Boatto, per fortuna, è uno di quegli artisti che, oltre all'ispirazione, hanno la pessima abitudine di ubbidire alla coscienza. E la sua arte - lo seguo ormai da anni - si dipana lungo una linea di coerenza, in una ricerca assidua e faticata, oltre che appassionata, in una fedeltà a quei valori -non molto quotati nel mercato contemporaneo - cui l'uomo, Partista, il cristiano non intende venire meno e a cui si ostina a portare il proprio pubblico. Non è per nulla disposto a dipingere per "accontentare" qualcuno. Semmai, i segni che traccia sulla carta o sulla tela, sembrano fatti apposta per inquietare. Boatto, a pensarci bene, appartiene alla razza dei pittori di icone. Le sue icone, tuttavia, più che rappresentare volti divini o personaggi celesti, rappresentano di preferenza Puomo, il volto umano, immagine e riflesso della bellezza di Dio. Luorno, mìcrocosmo e sintesi del creato. L'uomo, direbbero gli orientali, mícrothéós. Così, nella prigione di un mondo materialista e volgare, che riduce l'uomo a portafoglio, sesso, forza, numero, i volti di Boatto costituiscono una sfida. L'uomo non può accontentarsi di essere soltanto uomo. qualcos'altro. I volti di Boatto, in questa prigione tetra e soffocante, operano una breccia. Direbbe 0. Clément: uno squarcio di trascendenza. Le prime volte mi stupivo nel vederlo "lavorare" di notte, in un bugìgattolo, alla luce di una piccola lampada polverosa. Ora, non più. Ho scoperto che come luce gli basta quella del volto che dipinge. E, se gli occhi li adoperiamo per vedere, dovrebbe bastare anche a noi.