LA DONNA IL CRISTO LA TERRA

di Pietro Nonis

Vescovo di Vicenza

Gran parte dei suoi lavori vengono alla luce quando, di notte, il buio avvolge la piccola casa, l'argine del fiume a cui essa sta quasi ad dossata, le acque calme e profonde che scorrono verso il mare non più lontano. Anche il mare di terra che si estende intorno, di giorno a per dita d'occhio coi suoi arati marrone scuro o i campi di granoturco on dulati dal vento, di notte lambito dalla bruma o bagnato da un mi ' te chiarore lunare, gli concilia nel silenzio l'attività produttiva. Boatto è un pittore calmo e rapido. Calmo nella preparazione che si traduce so vente in taciti rimuginamenti, in pacate contemplazioni del mondo vi sibile filtrato dal suoi occhi chiari, il pittore è rapido nella trascrizione del concetto e del segno che dentro all'immaginazione si forma e pre me. So di opere ampie, a progettare le quali egli ha impiegato tempi lunghi, magari in apparente inattività, nate nel cuore di una notte, in poche ore, come certi bambini che rompono col primo pianto vitale la tensione che precede il parto. Quest'immagine della vita che sboccia di notte, questsanalogia col parto e la maternità non mi viene come piccolo stratagemma di retorica d'accatto. La vita la donna la madre la terra sono immagini strettamente collegate anche nella realtà; matrice grembo seno, generazione nascita alimento vi si congiungono spontaneamente. Così è nella mitologia di Boatto. Ho visto le sue prime creazioni, anzi " creature ", quando ancora non lo conoscevo di persona, parecchi anni or sono, da un medico che cura ogni giorno i traumi a lui inflitti dalla visione dei corpi malati, di estranei, con la visione e l'affetto di tre donne inappuntabili, moglie e figlie. In casa sua vidi le prime donne di Boatto, o, meglio, le prime figure monocrome la cui indubbia femminilità era costituita, e per così dire consistente quasi soltanto in due sinuose, silenziose, esuberanti (exuberantes, appunto) mammae. Su di esse, il capo minuscolo, le altre membra appena accennate, la figura, insomma, più indovinata che contornata, tutta ferma e viva attorno a quel sovrabbondante e rassicurante principio di forma e di sussistenza. V' era già, in quelle prime - per me, ma forse anche per altri - raffigurazioni, una candida dichiarazione programmatica, più che un richiamo all'alma mater, alla mamma che nutre e protegge, fa crescere e continua a proteggere anche il figlio che, non più bambino, s'illude di poter fare da solo. Il programma, non obbligatoriamente consaputo, anzi bambinamente intuito ed accennato, di uno che sente di potere, anzi di dover attingere forza e motivi alle sorgenti stesse della vita, da sempre identificabili o almeno riferibili al duplice attributo materno, al grembo che accoglie, al petto che alimenta. Veniva da qui, fino a poco tempo fa, la fluente sinuosa abbondante produzione pittorica di Boatto, solo episodicamente intenta a grandi opere illustrative di temi religiosi, in funzione liturgica per lo più. In fondo, quella sorgente era unica, anche se poi si tripartiva, nella direzione della femminilità sinuosa, della religiosità liberatrice e della terra, altrettanto rassicurante e alimentatrice quanto lo è Alma mater. Forse si adopera una chiave sbagliata, o un passe-par-tout generico, dal momento in cui si pretende di entrare nell'arte di Boatto attraverso l'indicazione e l'analisi dei contenuti. Ma forse si può anche dire che il pittore è il primo a riconoscere non completamente assorbita dalla preoccupazione formale l'intenzione che lo muove, non sufficientemente interrogata la sua pittura da chi vi cerchi solo il segno-colore, l'espressione di una trasposizione, o trasfigurazione, semplicemente estetica. La casa sull'argine, dove vive oggi con la Madre, e la terra che le si estende intorno, il mondo dell'infanzia col quale da anni Boatto si è riconciliato (o, se mai l'aveva abbandonato, al quale ha fatto anche fisicamente ritorno), e quella donna che gli ha dato vita e alimento, e quante altre donne possono aver meritato un posto nel suo cuore (una, almeno, la conosco anch'io, e mostra di possedere le qualità che le permett ono di entrare in questo discorso); e, inoltre, nel cuore della sua giovinezza maturata fuori casa, le speranze che l'hanno sostenuto o rinfrancato o a tratti abbandonato, i dolori che l'hanno certamente colpito, l'impatto con certe istituzioni tanto celebrate quanto deludenti, e poi, chissà, tutto quello che può entrare nella vita di un giovane uomo dei nostri tempi e lasciarvi un segno magari negativo ma pur sempre traducibile, proprio attraverso l'arte, in grida di protesta e riprese di speranza: ecco, tutto questo mi sembra di poter vedere sotto al settoreamore della sua produzione, che è occupato, più che attraversato da pochi temi dominanti: il Gristuspatiéns (vedasi la Via crucis di Biverone) e la Madre - ancora e sempre lei - di lui bambino e qualche rappresentazione agiografica non convenzionale, con predilezione per temi evangelici che disvelano in Dìo medesimo la dimensione paterna (o materna, che è quasi lo stesso, come ebbe a dire papa Luciani). Penso al " Figliol prodigo " di Biverone, alla " Cena " di S. Alò, all'" Annunciazione" di Marsure d'Aviano, composizioni in cui alla ineccepibile obbedienza alle leggi dell'impianto tematico e figurativo consegnato - e perciò consigliato - dalla tradizione (la quale nell'arte religiosa è ben più che convenzione) si disposa un'inventiva formale, un'armonia coloristica che contribuisce non poco all'ermeneutica del soggetto prescelto e a fonderlo in motivo di reminiscenza e insieme di riflessione ascetica ed etica. Anche in questo campo, coltivato da Boatto in pienezza di umanità ed in corrispondenza a radicate esigenze interiori, egli ha modo di documentare come pochi la propria cultura e competenza e pertinenza. Il tema del Cristo sofferente e morto, sopra tutti, gli è consanguineo: nel suo corpo straziato è come se l'artista riscontrasse, presenti e operanti, tutti i dolori ingiusti o ingiustificati dell'uomo, di ogni uomo che si vede, nel mondo, umiliato e offeso, "libero soltanto per la morte", come direbbe Heidegger. Boatto è un uomo mite, affascinato dalla figura e dalla leggenda di Francesco d'Assisi. Ma gli occhi coi quali guarda e giudica il mondo, il mondo dell'avere che ogni giorno mortifica e soppianta il mondo dell'essere, dell'essere umano. sono al tempo stesso mansueti e severi. Gli uomini non sono buoni, pare che egli dica; se lo sono, bastano le forze congiunte dei servi dell'avere - che asservisce a sè i molti, cosificandoli - per svalutarne gli sforzi o per farli apparire vani. Cristo continua ad essere sconfitto in tutti i vinti della vita, e la resurrezione è una speranza destinata a realizzarsi solo nell'ultimo giorno. Ma non è un buon motivo perché questo disarmato Dostoevskij del Basso Livenza (ricordo il Cristo di cui parla Kirìllov ne IDemonì) non consideri doveroso annunciare in pittura la sua morte e proclamare la sua resurrezione nell'attesa della sua venuta. La terra, infine. Da qualche tempo Boatto le dedica un'attenzione più evidente, sempre pudìca, impregnata di riserbo delicato, come certi affetti senza parole. Non è, la sua, la grassa e scura terra di bonifica, già posseduta in sovrabbondanza dal siori della Bassa: la terra nativa, eppure altrui, dalla quale Nane, il povero eroe del poeta conterraneo di Boatto, Romano Pascutto, era costretto ad andarsene per poter sopravvivere. La terra a cui Boatto si volge, per farne il ritratto come a una donna amata, è diafana e lieve, e si confonde con la lieve trasparenza dell'aria. Su di essa, non la copia promettente delle messi, non l'ombra oscura dei grandi alberi di un tempo, ma la luminosità diafana del cielo che si incurva quasi a comunicarle la propria chiarezza, e una pianta esile, riparata dall'argine. Una tenerezza trasfigurante, un modo per immaginare ciò che potrebbe esistere al di là dell'orizzonte, più che per raccontare ciò che un tempo costituiva l'angusto, ma augusto, e perciò indimenticabile, mondo dell'infanzia. Anche la terra, in fondo, è un grande grembo, una mamma che acco glie e alimenta: per questo si dice ubertosa. E la donna ha, pure lei, un cuore che continua a pulsare e a spalancarsi, accogliente, anche per chi lo trascura o l'offende: a somiglianza di quello del Cristo. Per questo mi pare di poter collegare, in un affine se non unico leit-motiv, i tre centri irradianti e attraenti dell'arte di Antonio Boatto, la donna il Cristo la terra, il triplice cuore che genera e alimenta la vita.