Sonetto n.90

Odiami dunque adesso, se lo vuoi,
ora che il mondo a contrastarmi seguita,
piegami giù, fa' lega con la sorte,
non affacciarti per estrema perdita.
Oh no, se scampa a queste strette il cuore
non dar rinforzi a un'angoscia in disfatta,
non dare a un vento buio alba di pioggia
a tardare, già certa, la catastrofe.
Se vuoi lasciarmi non lasciarmi all'ultimo,
di già sfiancato da futili pene,
ma assalta primo, perché prima io gusti
di possente Fortuna il più e il peggio.

E ogni altra angoscia che ora par mortale,
di fronte al perder te, non parrà uguale.

 

Sonetto n.97

Come un inverno è stata la mia assenza
da te, dolcezza dell'anno che fugge:
quali ghiacci ho provato, quali tenebre
e che squallore del dicembre ovunque!
Pur quel tempo diviso era l'estate,
l'autunno che, di pingui frutti greve,
degli amorosi mesi la pregnanza
recava come grembo in lutto, vedovo
del suo signore; una speranza d'orfani
m'appariva la stessa sua abbondanza:
ché te corteggia dell'estate il volo
e muti son gli uccelli se tu manchi

o, se cantano, al lor molle lamento
sbianca le foglie un brivido d'inverno.

 

Sonetto n.115

Mentono i versi che una volta ho scritto,
dissi:" Di più non ti potrei amare";
ma all'intelletto era allora incredibile
ch'io, sì colmo, avvampassi ancor più chiaro.
Guardando al tempo, che in vicende a mille
scongiunge i voti e muta legge ai re,
scurisce la beltà sacra, i più fini
stempra, i forti nel suo flusso traveste;
ah del tempo implacato nel timore
come non dirti: "Ora t'amo nel culmine"
quando l'incerto m'era certo e l'oggi
incoronavo, del futuro in dubbio?

E' un bimbo Amore, non dire dovevo,
lasciar pienezza a quel che ancora cresce.

 

 

Sonetto n.116

Alle nozze sincere di due anime
impedimenti non so. Non è amore
l'amor che muta se in mutare imbatte
o, rimovendosi altri, si rimuove,
oh no: è faro che per sempre è fisso
e guarda alle bufere non dà crollo,
amore, è stella ai vaganti navigli,
nota in altezza, nel valore ignota.
Non è zimbello al tempo, s'anche a teneri
labbri s'incurva quella falce e chiude,
non tramuta con l'ore e i giorni brevi
ma inoltra sino all'estrema sventura.

Se errore è questo, e su di me provato,
io mai non scrissi, e mai nessuno ha amato.

 

Sonetto n.128

Quando musica tu suoni, mia musica,
su quel beato legno che alle dita
gentili replica mentre conduci
la vibrante armonia che mi smarrisce,
quanto invidio quei tasti che in su e in giù
tenendo il cavo di tua mano baciano -
e dal raccolto le mie labbra escluse,
lì accanto, si fan rosse a tanta audacia.
Ben situazione e stato muterebbero,
purché tu le sfiorassi, con quei rapidi
in danza - e tu scorri sì che lieto
fai morto legno più che vive labbra.

Se tanta sorte hanno quegli sfrontati,
dà lor le dita, a me le labbra al bacio.

 

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