CORRISPONDENZA

di Cucciolo

Ciao caro mio,

     Come vedi non ti scrivo né l’indirizzo, né la data. Mi chiedi perché? Perché non ha alcuna importanza adesso, non serve che tu sappia dove io sono per capire il mio stato d’animo. Ti basti pensare soltanto che sono gravemente malato. No, tranquillo, nessun male fisico! Sono depresso, fortemente depresso, in balia di ciò che mi accade attorno, ma troppo chiuso in me per accorgermene. Fino a qualche anno fa scrivevo di non voler aspettare il domani, ma di continuare a sperare che un domani tutto potesse cambiare, ricordi? “Domani, domani…io sgorgavo da una fonte e ho raggiunto nel mare la fine, libero come acqua corrente”. Ero davvero convinto di poter raggiungere il mare, ma solo adesso io mi rendo conto che quel mare è pura follia, quell’oceano, quella mia casa, quel mio fine a cui tendevo naturalmente, adesso è come se fosse inquinato, o forse sono io troppo inquinato per poter aspirare alle marine onde. Basta guardarsi attorno per vedere come va il mondo, per vedere la follia divenire normalità e la quotidianità ridursi a paradosso. Non ha senso dirti quando ho iniziato a scrivere questa lettera, non serve a nulla dirti che ti scrivo da Palermo piuttosto che da Milano. Che ti cambia? Ormai il male è globale e ciò che non è globale è ancora peggio. Ormai non c’è più il senso del limite e del buongusto. Prevale su tutto la necessità (malcelata arbitraria volontà) di vendersi al miglior offerente. Ormai non ci crede più nessuno alle regole della morale, dell’onestà. E’ più bravo chi con meno parole riesce a venderti il suo imbroglio, vince chi, con meno parole, ti convince che tutto all’improvviso cambierà. E’ diventato un lavoro fregare la gente, fregarla così tanto da fregarsi da soli per sentirsi meno in colpa con se stessi. E’ una materia di studio, ti danno un diploma per fare tutto questo. Mi guardo attorno e ciò che vedo è l’ipocrisia, quella che fa davvero male, non la piccola bugia detta smentendola sotto i baffi. Il mare è sempre più lontano, allontanato dalla falsa promessa di arrivarci senza sudare, senza contaminare le proprie dolci acque della terra e del fango delle sponde. Ti imprigionano in fredde vasche, dicendoti che quello è il mare, che quello è l’obiettivo che stavi cercando. Molti ci credono o vogliono crederci, perché non c’è più l’abitudine a guadagnarsi il futuro. Ciò che hai in cambio è cloro al posto del sale, nessuna onda da schiumare, nessuna spiaggia su cui riposare il tuo liquido corpo. Ti pescano come un pesce, ti feriscono la bocca con l’amo, in modo che tu non possa più parlare o ribellarti e ti lasciano lì in un angolo, a soffrire, ad attendere di essere venduto, cadavere in mezzo agli altri. Pensi che quella almeno sarà la fine e che poi potrai volare nel mare del paradiso. Così, senza accorgertene, invece impari a respirare, impari a campare senza la tua realtà marina, e loro che fanno? Ti rigettano in mare, i tuoi polmoni non serviranno più in mezzo alle schiume, così ti pieghi ancora, soffrendo, paghi tutto ciò che hai al Dio dell’inganno per poter tornare a respirare l’azzurro più scuro del fondo, lui che dall’alto ti guarda, ti dona, misericordioso, le tue branchie, così tu ricominci a vivere, il tuo dolore è mitigato da quel nuovo dono divino, da quel miracolo fatto solo per te. Passano i giorni e lo stesso Dio ti ripesca, ti sfregia ancora il muso, ti ammutolisce sanguinosamente, ti riporta fuori dall’acqua e ti rimette lì, in quell’angolo. Ti accorgi che ci sono tantissimi altri pesci come te che fanno la stessa fine? Quel miracolo non è proprio niente, ti viene soltanto restituito un diritto che avevi già! Come te e me ci cadono tanti altri poveri pesci, di tutti i tipi sai? Ah si! Dai più grandi ai più fragili, tutti nella stessa rete, nello stesso tubo, nello stesso vortice fatto di vere bugie. Tutto è brutto, ti fanno pagare per toglierti ogni cosa e il bello è che tu non lo capisci e ti fai spogliare pagando ed indebitandoti perché non puoi sostenere le spese della rapina che ti stanno facendo. Vedi? A cosa ti serve sapere da dove e quando è partita questa lettera? Pensa invece insieme a me, cerca di capire come si può uscire da questa follia. Pensa, tu che hai una mente fresca, pensa come possiamo convincere tutti quei fiumi e tutti quei pesci ad aiutarsi a vicenda. Cerca la soluzione affinché gli uni dissetino gli altri e gli altri popolino la solitudine degli uni. Tu che ne sei capace, tu che sei ancora vergine di esperienza, tu che sei così pulito, prova a lottare, così, a piccoli passi, ma continui, contro questa gente con il diploma di imbroglione. Tu che sei ancora capace di indignarti, di sentirti rivoltare le viscere, cerca la soluzione ai nostri guaii. Provaci tu, perché io non ne sono più in grado e mi faccio trascinare tra le dighe ed i bacini dei potenti, sognando impotente il sapore del mare. Provaci per me, perché sono un povero pesce che nel momento in cui ha imparato a respirare fuor d’acqua, è stato rigettato nel fondo del mare e adesso muore soffocato.

 

Ciao caro mio, dalle profonde oscurità dei maligni abissi da cui ti ho scritto.