TRA TENEBRE E SOLE

OGNI STORIA D'AMORE E' UN ROMANZO

 

di Sergio Marconi

 

PREMESSA

Come nasce uno scrittore? Come nasce un romanzo? In cosa si differenzia questo romanzo d’amore rispetto a tanti altri pur essendo simile a tanti altri? Perché l’esigenza di una inconsueta prefazione in un romanzo d’amore?Che messaggio voglio trasmettere attraverso questo romanzo? Cosa mi attendo da questo romanzo?

Nelle prossime righe tutte le risposte a questi interrogativi.

Non so se io sia realmente uno scrittore. Se per scrittore si intende colui che scrive in senso stretto ovviamente lo sono. Altra questione, con risposta più complicata, è se io sia un grande scrittore. Non spetta certo me a dirlo anche se, in tutta coscienza, non credo certo di esserlo.

Sono uno del mucchio, uno tra i tanti. Ma comunque, come tutti lo sono se pur in un mucchio, come tutti lo sono se pur tra tanti, unico, con qualcosa da dire. Si perché ciascuno di noi ha qualcosa da dire agli altri. Ciascuno di noi, attraverso la propria personalissima esperienza di vita, ha qualcosa da comunicare agli altri, può essere di esempio ad altre persone, può trarre lezioni di vita da altre persone.

Sono convinto, ma è una mia semplice opinione, che un essere umano dia il meglio di se quando è realmente innamorato, quando vive una grande storia d’amore. Almeno questo è ciò che è capitato a me. E’ così che è nato il mio romanzo. E’ una storia vera, una mia vera storia d’amore. I riferimenti a persone reali sono ovviamente stati modificati ma tutta la storia è veramente accaduta. Non ad un altro, a me. Non nella fantasia, nella realtà dei fatti.

Il mio romanzo nasce per scherzo, per gioco, per una attestazione, credo originale, d’amore, per strappare un sorriso, un bacio, per conquistare un cuore.

Una mattina parte una mia e-mail per una ragazza. Contiene una storia, immaginata, descrive una situazione fittizia che ha per protagonisti me e questa ragazza. La storia inventata è breve, contenuta in poche pagine, con un finale. L’effetto di questa storiella è sorprendente per lei, è entusiasta, mi dice di non aver mai ricevuto un regalo simile, mi dice che è un pensiero splendido. E’ sorprendente anche per me, sia perché sono ovviamente contento della reazione suscitata in lei, sia perché, rileggendola, sentivo che era una creatura viva, era come se il mio cuore palpitante per lei fosse trasmigrato sulla carta attraverso l’inchiostro. Così decido di romanzare quella storiella, di ampliarla, di togliere il provvisorio finale. Era in pratica nato il primo capitolo di questo libro, avevo iniziato a scrivere un romanzo.

Già ma cosa raccontare in seguito? Decisi di lasciare al destino questo compito, decisi di descrivere, romanzandoli, i fatti che realmente sarebbero accaduti, mentre accadevano. Ecco che allora le sensazioni descritte dai protagonisti sono vere, così come le emozioni che provano, così per i loro sentimenti, angosce, dubbi esistenziali.

So di non aver scoperto l’acqua calda, immagino che tanti romanzi siano nati nello stesso modo. Sono cosciente che in questo romanzo non sono contenuti valori così alti da poterlo commisurare alle grandi opere letterarie del passato o del presente. E’ simile a tanti altri ma, contemporaneamente, è diverso da tanti altri.

Sicuramente si differenzia da quelli che descrivono storie totalmente inventate. Questo romanzo, come detto, rispecchia quasi fedelmente successioni di fatti realmente accaduti. Si differenzia da tutti gli altri, ed ecco il senso di queste righe, perché contiene un invito, rivolto a tutti, di trasferire agli altri le proprie esperienze, di descrivere le proprie storie d’amore, immortalarle su carta, renderle in questo modo eterne e fruibili dagli altri.

La memoria umana, da una parte crudelmente, da una parte per fortuna, non è imperitura. Fatti, sensazioni, sentimenti, con il passare del tempo, si spengono inesorabilmente nelle menti della gente, vengono cancellati dall’erosione dell’esistenza. In questo modo invece non moriranno mai, saranno eternati, riusciranno a mantenere viva una persona, e con essa la sua anima, per sempre.

Ma questo libro non vuole essere solo un originale omaggio ad una ragazza, non vuole solo invitare tutti a descrivere la propria storia d’amore, i propri ideali, la propria filosofia di vita. Non mi attendo nemmeno il successo in termini di vendita, di popolarità. Lo scopo è un altro.

Se riuscirò, con le mie parole, a dipingere la bocca di qualcuno con un solo sorriso, a far scendere dal volto di qualcuno una lacrima, a far provare a qualcuno un solo sogno d’amore, a suscitare una emozione, un brivido, una riflessione, allora, e solo allora, la mia modesta opera non sarà stata inutile e potrà dirsi consacrata ad arte.

Sento che ho delle cose da dire, non ne capisco le motivazioni, ma è quello che sento. In questo libro non c’è solamente contenuta una storia d’amore. C’è tutto me stesso, i miei ideali, i miei valori di vita, il mio pensiero di normale, comune, essere umano. Ma ogni essere umano, comune e normale, ha un proprio mondo che può, anzi deve trasferire agli altri, ricevere dagli altri, per trarne un reciproco tesoro per il proprio cammino esistenziale.

Ho piacere quindi a condividere un mio pezzetto di vita con chi mi leggerà e spero di ricevere in cambio le vostre sensazioni, emozioni, idee, un semplice parere, una obiezione, perché no una critica.

 

CAPITOLO 1

Sembra una mattinata come tante altre: le solite pratiche, telefonate, visite, scartoffie, documenti e via dicendo. Ma quando il destino ha deciso di venirti a trovare, quando l’imprevisto vuole sfondare le fragili pareti di una esistenza apparentemente tranquilla, una mattinata come tante può trasformarsi in una esperienza unica, travolgente, con la forza devastante di una tempesta di dimensioni mai viste prima.

Melany è impiegata in una grande azienda. Ha un lavoro che le da soddisfazione e la rende economicamente autonoma, le permette di avere contatti con tanta gente, di diversa estrazione e cultura: operai, impiegati, rappresentanti, clienti, fornitori, politici, sindacalisti, amministratori di Provincia, Regione, Stato, addirittura di nazionalità estera. Difatti conosce alla perfezione tre lingue e passa da una all’altra con una naturalezza e proprietà a dir poco imbarazzanti.

E’ una ragazza di 31 anni anche se ne dimostra di meno. Sarà per il suo carattere così solare; sarà per la sua bellezza così lunare come testimonia la sua carnagione chiara; sarà per la gioia di vivere che sprizza dai suoi occhi che brillano di felicità, sempre e comunque, accesi non da quel sorriso stolto di chi è preda dell’incoscienza, al contrario consapevoli del bel dono che è la vita che lei riesce ad apprezzare in pieno in tutte le sue sfumature.

Fisico asciutto, scolpito dal flamenco, ballo che ha coltivato, con passione e il suo consueto serio attaccamento, per numerosi anni, che lei ora  insegna a privati come secondo lavoro nelle ore serali. Ballo caldo, sensuale, coinvolgente, che inneggia alla vita, all’allegria al divertimento. Ballo che sembra fatto su misura per Melany, che, meglio di qualunque altro, le consente di esprimere ed esaltare la sua femminilità.

E’ alta 170 cm, forse qualcosa meno, ma la sua positività la fa sembrare più alta, più bella.

Il suo spirito ottimistico la fa distaccare dal terreno quando cammina, non con la superbia di chi si ritiene superiore agli altri, ma con la leggerezza di un angelo. Uno spirito puro che ben coglie il significato delle effimere quanto inconsistenti banalità provenienti dalla materia, dalla fisicità, ed esalta, piuttosto, la spiritualità delle cose e delle circostante con una profondità che sembra appartenere solo a lei e che pochi sanno capire. Proprio come un angelo volteggia libera e sorridente, quasi come ad evitare istintivamente le barriere psicologiche, gli ostacoli della superficialità, sui quali la maggior parte della gente inciampa.

Eppure è una persona come tante altre: semplice, genuina, fresca. Come quei beni alimentari prodotti da aziende agricole non ancora altamente industrializzate e standardizzate, ma che, proprio perché artigianali, proprio perché adoperano tradizioni tramandate da padre in figlio, riescono a trasferire il proprio amore, frutto di generazioni e generazioni di esperienza, nel proprio lavoro, così che il risultato non può non essere di ottima qualità.

Allo stesso modo lei. Frutto di una educazione sana, di due genitori di ampia apertura mentale, anch’essi semplici, ma proprio perché semplici rari in quanto, in una gara mondiale a complicarsi la vita con paranoie esistenziali in cui alla fine tutti perdono, hanno sempre fatto della semplicità, della trasparenza, della genuinità, della lealtà i propri motti di vita.

In tal modo hanno superato indenni la lotta al massacro della società consumistica, la continua rincorsa a prevalere sul prossimo, l’irrefrenabile regresso della moralità, lo scadimento generale dei valori più sani, lo svilimento dei costumi e delle tradizioni più genuine.

Due genitori che hanno instaurato con Melany, fin dal momento in cui riuscì a pronunciare le parole “Mamma, papà”, un dialogo aperto, senza tabù. Le hanno inculcato molti valori fondamentali, rari nella nostra società, come l’amicizia, l’amore, il senso della famiglia, del dovere, della responsabilità. Sono riusciti a trasferirle il bellissimo messaggio che la vita è un dono e che bisogna sorridere ad essa. Che la vita è un frutto che va addentato, giorno dopo giorno, istante dopo istante, a piccoli morsi, lentamente, per meglio assaporarne il contenuto.

Melany è conscia di tutto questo. E’ consapevole di quanto sia stata fortunata a capitare in una famiglia così. Altrettanto consapevole che non tutti hanno avuto questa fortuna. Nutre un profondo rispetto per i suoi amabili genitori, per gli altri e per se stessa, in quanto sa che se non si riesce a rispettare se stessi non si può nemmeno rispettare il prossimo.

La sua carnagione chiara rispecchia la purezza del suo animo, quasi a voler dire: “Sono così! Sia dentro che fuori”.

Così è in realtà. Le parole da lei proferite non conoscono il tarlo della falsità. E’ spontanea, dice sempre quello che pensa e soprattutto pensa quello che dice; non si deve mai pentire di una frase uscita dalla sua bocca, perché è comunque pronunciata con sincerità, semplicità, senza artefici o calcoli di convenienza.

E’ una persona sensibile, sognatrice. Tanto. Forse troppo. Lo dimostra anche quella foto del cane dei cartoni animati, Spank, lì vicino al suo computer, ritratto in una espressione da innamorato con gli occhi a forma di cuore.

Ma non si tratta di una bambina ma di una donna matura. Si è conquistata da sola tutto quello che ha ottenuto dalla vita. Si è sempre, responsabilmente, rimboccata le maniche ed è andata avanti a testa bassa, senza ascoltare le chiacchiere della gente, ascoltando i consigli di tutti, ma rielaborandoli con la propria testa, grazie alla sua perspicacia ed innata intelligenza.

E’ capace di piangere di fronte ad un tramonto. Melany non subisce passivamente la vista di un tramonto. Lo vive. Ne coglie la profonda essenza. Come un’ape trae il nettare vitale da uno stupendo fiore di campagna, così fa lei con le esperienze di tutti i giorni, i contatti con la gente, avendo imparato a saper valorizzare le sfumature delle cose e delle circostanze.

Sa ascoltare con l’anima lo scorrere di un ruscello di montagna, fresco e spumeggiante come lei. Sente scorrere il ruscello dentro di lei, diventa una sola cosa con esso e con la natura. E’ parte della natura, parte di un disegno di vita globale, in cui non è estranea ma anello di congiunzione, conscia che ogni anello di una catena, anche immensa, è importante quanto gli altri, in quanto basta che un solo anello salti affinché svanisca tutta l’utilità della catena intera.

È per questo che sa apprezzare la vita, la natura. Capisce che è parte di essa. Si rende conto che il suo contributo quotidiano, se pur piccolo, se pur come una goccia d’acqua in un oceano, rientra in un disegno di immenso respiro.

Ecco, pertanto, che diventa sorridente con tutti, portatrice di vera parola di conforto e sostegno verso chiunque incontri nel suo cammino di vita, spontaneamente, non per calcolo. Ignora quasi il significato della parola “no” che sostituisce sempre con un “si” ed un ampio sorriso, rivelatore di massima disponibilità e bontà d’animo.

In un cassetto della sua scrivania c’è un libro di parapsicologia. E’ difatti attratta dall’occulto, dal mistero, dal soprannaturale, da ciò che non si può comprendere immediatamente, ad ulteriore testimonianza che non si ferma all’apparenza ma trascende l’essenza fisica delle cose per perseguire la conoscenza di valori superiori. Mescola, in una miscela inedita, la complessità con la semplicità, riconducendo il tutto ad un risultato sorprendente quanto lineare, la verità.

C’è una nube nel suo sereno orizzonte. Una nube carica d’acqua che staziona attualmente nel suo cielo, con la stessa pericolosità di un asteroide, dalla parabola errante, incerta, che rischia di cadere sulla Terra provocandone la quasi certa estinzione. Una nube che al momento non sembra destinata a sparire e che costituisce l’unica eventualità che la porta, talvolta, ad abbandonare il suo onnipresente sorriso. Almeno interiormente, in solitudine, perché un sorriso, uno sguardo affettuoso e comprensivo, lo dispensa sempre a chiunque e in qualunque occasione.

Quando si trova in questi momenti si sente come il pagliaccio di un circo, alla presenza di un pubblico che è li solo per lui, per ridere, per dimenticare i propri problemi quotidiani, per passare minuti spensierati ed allontanare, momentaneamente, problemi di qualsiasi tipo. Tutto questo il pagliaccio lo sa, come sa che non può sottrarsi al suo dovere. Magari ha la morte nel cuore per aver appena vissuto la scomparsa del proprio fratello trapezista, deceduto mentre stava provando una piroetta aerea particolarmente difficile. Così piange dietro quella buffa maschera. Il pubblico non se ne avvede. Continua a ridere a squarciagola, finchè non gli dedica, divertito, appagato, compiaciuto, un ultimo fragoroso, scrosciante applauso, fino a che il nostro clown, il nostro giullare di corte, esce mestamente di scena e si ritrova ad affrontare da solo la disperazione che pervade il suo animo. A lui, che per lavoro deve far ridere la gente, non è concesso al momento ridere. A lui che ha il compito di mettere in fuga i nuvoloni delle preoccupazioni dal cielo della vita dei suoi spettatori, non è concesso godere di un orizzonte sereno.

Melany è fidanzata. Vive un rapporto sentimentale che sta attraversando una fase difficile. Forse ad una svolta. Forse ad una necessità di verifica. E’ questa la sua nube che scarica a volte anche temporali di intensità spaventosa, che turbano il suo animo, per il quale non ci sono ombrelli o rifugi adeguati in cui trovare giusto riparo.

E’ stata tradita! E per più di un anno! Lei, che non conosceva nemmeno il senso di questa parola. Lei che non concepisce il significato che questa parola esprime trovandola una cosa assurda, ignobile.

Parola che pur esiste perché la realtà di tutti i giorni continuamente porta a sentire di queste e ancor peggiori esperienze. Ma un conto è apprendere queste notizie dai mass media, o da quegli stupidi giornalini scandalistici che sopravvivono, come sciacalli, nel rivelare questa o quella situazione di tradimento, redatti da persone senza cuore e dignità, letti da persone la cui vita è talmente misera e incolore che il loro unico senso di gioia è tratto dal provare un sadico piacere nelle disgrazie altrui; altro conto è vivere sulla propria pelle queste esperienze così brucianti, che lasciano una cicatrice profonda, una ferita che non si rimarginerà mai. Si perché il tradimento è la cosa più vile, più indegna che ci possa essere, ed è, crudelmente, ancor più facile riservarla ad una persona buona di cuore come Melany.

Come può difatti una persona che condivide con te la vita, la quotidianità, che ti guarda profondamente negli occhi e ti dedica un “ti amo” apparentemente sincero; che ti regala un bacio che dice contenere un universo di amore; che sostiene di voler costruire un bel castello insieme, di far crescere nell’amore una famiglia, dei figli; che si unisce, nel corpo e nello spirito, con il partner mentre fa l’amore, mentre scambia reciprocamente gioia e piacere con la persona che ama, in quel momento in cui due identità confluiscono in una sola; come può questa persona fare le stesse cose contemporaneamente anche con un’altra? Facendo magari le stesse promesse ad un’altra. Mentendo così non una ma due volte, a due persone diverse. Commettendo un doppio, imperdonabile, vigliacco errore. Per di più ripetutamente, come se non bastasse compiere questa violenza alla natura umana in unica isolata circostanza.

Il suo fidanzato non solo si è macchiato di questo infame crimine, lo ha fatto per un periodo interminabilmente lungo, eterno, fuori dalla comprensione umana e dalla comune decenza.

Ma non per Melany. Lei ha perdonato. Lei ha giustificato, ha compreso. O almeno così crede, perchè nel suo animo c’è qualcosa che non va. Una voce interiormente le parla: la voce del cuore le segnala, come un campanello di allarme, che non tutto funziona come dovrebbe. Le fa provare un retrogusto di tristezza in ogni sua azione. La riporta ad una realtà che lei cerca di ignorare, come nel tentativo giocoso di affondare un pallone nell’acqua che ritorna sempre a galla; non importa quanto profondamente lo si spinga giù, poi finisce sempre per riemergere. Solo che la vita non è un gioco e quando il dolore riemerge è la persona che lo prova che rischia di affondare. Esso provoca e rinnova delle ferite che rischiano di uccidere l’anima e mettono a dura prova la voglia di continuare a vivere, di continuare a sperare, di continuare a credere all’amore.

Per quanto amore si possa provare è possibile giustificare fino in fondo queste situazioni? È possibile perdonare totalmente un tradimento? È  possibile riparare in maniera definitiva gli effetti dissolventi di un’azione così spregevole, meschina? E’ possibile dimenticare l’indimenticabile? È possibile restituire il profumo e la bellezza ad un fiore a cui sono stati crudelmente tarpati i petali? Melany non ha ancora risposte a tutte queste domande. O forse preferisce non darle, perché probabilmente già le conosce e intuisce che le conseguenze potrebbero essere terribili, dirompenti.

Il telefono squilla mentre Melany è immersa, come ipnotizzata, nel monitor del suo computer, con lo sguardo assente, con il pensiero rivolto a queste imbarazzanti domande che suonano fastidiose e cariche di pericolo esattamente come il ronzare di uno sciame di api che si avvicina mentre si è in campagna a consumare, in tutta tranquillità, un pic-nic alla luce del sole, nei pressi di un alveare nascosto alla vista.

“Driiin” e quel secondo squillo fa ripiombare Melany verso la realtà, che fortunatamente la distrae per un attimo dall’altra cruda, dolorosa, realtà. È un interno. E’ la sua collega Marina che le dice: ”Non hai sentito la sirena? Sono le 13 passate. E’ ora di andare a pranzo. Vieni con noi?”

“Ah, … ehm... si … certo… Voi intanto andate vi raggiungo subito. Sistemo delle carte e arrivo”.

Invia un fax, chiude una lettera che ha scritto col computer, inserisce nel raccoglitore delle pratiche sparse sulla sua scrivania.

Nel frattempo sente bussare alla porta semiaperta del suo ufficio. Due colpi secchi. Decisi. Non alza nemmeno la testa. Pensa che sia l’amica che l’ha appena chiamata al telefono per sollecitarle di andare via insieme. Risponde distrattamente. “Arrivooooo”. Ma in direzione della porta non sente provenire alcun suono di risposta se non altri due colpi ancor più decisi e forti: “Toc toc!!!”

Al tal punto risponde, sempre senza guardare. “Uff… entra”. Di nuovo silenzio. Stranamente dall’altra parte non c’è risposta. Eppure ha bussato qualcuno e si chiede come mai.

Alza la testa con un piglio che si può esprimere con le parole: “adesso gliela faccio vedere io a quest…”. Ma non fa nemmeno in tempo a terminare questa  frase con la mente che il suo sguardo si incrocia con quello di un uomo distinto, alto circa 185 cm, statuario.

Egli si erge con la stessa fierezza di un bronzo di Riace. Cappotto in pelle, giacca grigio antracite e cravatta in tinta, stivali neri. Di bello aspetto. Barba incolta di tre giorni. Occhiali trasparenti che lasciano intravedere uno sguardo magnetico dal quale non riesce più a staccare gli occhi. Lui non parla. E’ immobile. Assolutamente privo di imbarazzo, la scruta. Attende la sua mossa.

E’ come un gatto che osserva il topo appena catturato ma libero di muoversi davanti a lui, che guarda il suo bottino di caccia con crudeltà, in attesa di un suo errore, un suo movimento anche impercettibile per riservargli ancora torture, per sottometterlo nuovamente al suo unico potere. Lei è come un bersaglio con fasce concentriche e lui ha colpito con precisione millimetrica il centro del suo animo. La sovrasta. La controlla come un telecomando controlla un televisore.

Melany prova una sensazione nuova, mista di imbarazzo, terrore, perché no anche di piacere, paura, sbandamento: “Chi sarà? Che vorrà? Che devo fare?” si chiede, senza riuscire ad avere la forza di porre nessuna di queste domande al suo interlocutore silenzioso.

Molte immagini scorrono davanti a lei, ma gli occhi di lui, i suoi diabolici occhi, ormai hanno rapito, se pur in pochi istanti, la sua volontà. Melany riesce a raccogliere le sue ultime forze, un po’ provate da una intensa giornata lavorativa, un po’ dai suoi tristi pensieri, un po’ da questa situazione imprevedibile, angosciante. I muscoli facciali si contraggono a fatica, apre le labbra, e, con un inaspettato coraggio, un flebile suono esce dalla sua bocca, appena percettibile dall’orecchio umano:”de-desidera?” balbetta.

Lui non risponde immediatamente. Si toglie con un gesto di sfida gli occhiali, che ricevono, sulla loro montatura metallica color argento, un bagliore di luce riflessa, proveniente dalla finestra che da sul cortile, con la stessa tensione muscolare della mano di un killer che sta per esplodere un colpo mortale di pistola al suo bersaglio umano.

Da quel momento Melany percepisce e subisce in tutta la sua profondità, e con maggior forza di prima, quello sguardo così tagliente, penetrante, come una lametta di rasoio pericolosamente affilata. E’ come se un raggio laser l’avesse colpita e legata a lui senza possibilità di scampo.

Il misterioso quanto silenzioso intruso, fa un passo in avanti verso di lei. Si ferma. Rotea la testa come per sgranchirsi il collo come un consumato pugile che sta studiando il suo avversario nel contemporaneo tentativo di intimorirlo ma senza mai staccare gli occhi da quelli di lei.

E’ quasi indispettito, quasi infastidito dalla sua risposta. Il suo sguardo sembrerebbe dire: “ Come hai osato proferire parola? Ora ti faccio vedere io”.

Trascorrono istanti interminabili che a lei sembrano delle ore: “Perché non risponde? Chi è? Cosa vuole?”

Lui, abile scrutatore dell’animo umano, coglie prontamente il suo imbarazzo. Pronuncia un inquietante monosillabo: “Te!” puntando l’indice contro di lei come un lanciatore di coltelli in occasione di un suo spettacolo.

Melany è persa. La sua mente smette di pensare. Non ha più volontà. Il sangue le si gela nelle vene. Un brivido freddo saetta sulla sua schiena. La sua fronte si imperla di sudore. Non riesce a dire una parola, è impietrita.

Ma… che succede? La ragazza si sta alzando in piedi! E’ sorpresa perché pensava di non averne la forza. Percepisce immediatamente la ragione per cui lo ha fatto: lei era seduta e lui in piedi, situazione palesemente in contrasto con quella che si era spontaneamente creata, ossia la netta, indiscussa, superiorità di lui. Era come se lui le avesse ordinato silenziosamente di alzarsi. Non è ammissibile infatti che rimanga seduta di fronte a lui che la domina. Deve immediatamente ristabilire quanto meno la parità di valore, ammettendo a se stessa che, dal momento che lo ha visto, ha percepito la natura dominante di lui, sovrastante sulla sua.

Il suo levarsi dalla scrivania è lento, meccanico. Lo fa senza pensarci. E’ la volontà di lui che glielo fa fare. Ora è in piedi, dritta davanti a lui.

Lui sembra un attore. Inizia a muoversi dritto verso di lei, lentamente, ma con incedere sicuro, fiero. Sembra il Gringo del miglior “Mezzogiorno di fuoco”. Il battere dei suoi tacchi sul pavimento riecheggia sinistramente nella stanza, e rimbomba nel cervello di lei con la stessa intensità di un martello pneumatico. Il battito cardiaco aumenta. La pressione sanguigna anche. Il cuore le batte in gola. “Che vorrà fare di me?” riesce a malapena a pensare.

Si ferma. Con lui sembra fermarsi anche il cuore di lei.

Il suo persecutore fa un gesto con gli occhi del tutto somigliante al significato di quello dei messi imperiali che segnavano le case presso cui doveva essere commesso, nel corso della notte, l’infanticidio della “strage degli innocenti”, quasi appunto a individuare, con precisione chirurgica, la vittima predestinata.

 Melany è davanti il suo cospetto adesso. Percepisce dapprima il profumo che ha indosso: speziato, intenso, aromatizzato. Poi il suo odore di uomo, maschio, virile. Per la prima volta da quando lo ha visto, inaspettatamente, avverte, con sua massima sorpresa, un lieve senso di eccitazione.

“Spogliati!!!” Tuona inaspettatamente lui. Per poi tornare immediatamente nel silenzio, come per non sprecare altre parole. Tutto quello che lei doveva sapere l’aveva saputo, non c’era bisogno di aggiungere altro.

Quella unica, terribile parola ha per Melany un suono paragonabile a quello del fragore di un grandissimo fulmine esploso all’improvviso nel pieno della notte, in pieno sonno, quando un solo istante prima non c’era nessun rumore, non pioveva ancora, e la quiete, ovattata, della notte viene spezzata da questo incontenibile suono e si viene svegliati, bruscamente, improvvisamente.

Adesso la situazione è decisamente peggiore. Se ci si accorge di un temporale in arrivo si torna a dormire perché si riacquista la consapevolezza di una situazione, tutto sommato, normale, familiare. Ma qui cosa sta per succedere? Cosa vorrà colui che lei, nel suo animo chiama Mysterio? O meglio, lei intuisce quello che potrebbe volere, ma ciò che più la sorprende e al contempo la spaventa, è che non è del tutto dispiaciuta di quello che potrebbe accadere. Forse un po’ per incoscienza, forse per naturale coraggio, forse un po’ per istintiva curiosità, forse per tutte queste cose messe insieme.

Non esita nemmeno un istante. Si spoglia lentamente, sia perché la sua volontà, annullata, rende i movimenti più lenti, sia perché la sua innata sensualità vuole compiacere, vuole trovare riscontro nell’approvazione di Mysterio.

Mentre Melany si spoglia lui le gironzola intorno. Per la prima volta da quando è li, stacca gli occhi da quelli di lei. La scruta millimetro per millimetro, sempre lentamente, come un orafo di comprovata esperienza esamina con la sua lente monocolare tutti i particolari di un gioiello per accertarne l’autenticità.

Nessuna emozione trapela dal suo volto. Non vuole dare la minima soddisfazione alla sua “preda”. Sospende il suo giudizio, in attesa che lei completi l’opera.

Melany ha una piccola esitazione quando rimane in slip e reggiseno. Si ferma per un piccolo, infinitesimo, impercettibile istante, ma per lui sufficiente ad esplodere un’altra unica parola, sillabata, pronunciata con la stessa forza della precedente, che ha su di lei lo stesso effetto devastante di prima, che, ancora una volta, la fa ripiombare alla sua mercè: “Tut-to!!!”

Non ha scelta, ormai la sua volontà è quella di Mysterio, i suoi pensieri sono quelli di lui. Obbedisce prontamente. Era come una nuova recluta, appena arrivata in una rigida caserma militare, che si trova costretta ad obbedire all’assurdo ordine ricevuto dal tenente di compagnia di gettarsi nel fango, corpo e faccia, per una esercitazione.

Adesso non ha più veli, abiti. Indossa solo la sua delicata pelle e il suo dolce profumo, che riflette la dolcezza del suo carattere e la femminilità del suo corpo, che proietta la stanza in una oasi paradisiaca.

Accenna solamente ad un gesto istintivo, protettivo, sposta le sue braccia per proteggere alla vista di Mysterio le sue parti intime. Ma capisce istantaneamente che sarebbe del tutto inutile: Mysterio sarebbe sicuramente infastidito da questo suo gesto non autorizzato, lo porterebbe ad alterarsi costringendolo ad impartire un nuovo ordine. Pertanto, con movimento di rassegnazione, fa scivolare, sempre molto lentamente, le proprie braccia sui fianchi in completo e remissivo atteggiamento di resa incondizionata.

Per la prima volta il volto di lui cambia di espressione: è ovviamente compiaciuto della vittoria ottenuta. Assapora il gusto prelibato del trionfo, così che accenna un ghigno di soddisfazione, deciso, sicuro, di superiorità, conscio di avere annullato una volontà con la sua. La lascia lì per un attimo. Lei rimane immobile, ha pensieri contrastanti, teme e desidera allo stesso tempo ciò che potrebbe accadere, paura ed eccitazione si alternano.

Lui si allontana da lei per avvicinarsi alla sua scrivania. Si siede sulla poltrona dove si distende comodamente. Appoggia i piedi sul tavolo. La scena si è nettamente capovolta: lui ora è seduto, con fare ed espressione potente, misteriosa, dominante; Melany in piedi davanti a Mysterio, completamente nuda, impaurita ma mai sfiorata minimamente dal desiderio di scappare: un po’ perché la paura blocca e paralizza i suoi movimenti; un po’ perché in realtà forse non vuole, in fondo, la situazione, non afferrandone esattamente il perché, tutto sommato le piace.

Torna ad occuparsi degli occhi di lei. La fissa come prima, vuole studiare le sue emozioni. Legge il suo animo. Le sue pur rare ed appena percettibili espressioni facciali gli rivelano tutto, a lui profondo conoscitore delle debolezze umane. È come una sfida. E’ come se il suo sguardo dicesse: “ Cosa pensi che accadrà? Cosa pensi che possa fare di te? Lo sai che posso fare tutto quello che voglio di te?”

Lei avverte queste domande che la terrorizzano. Rimane li in attesa. Immobile. Attende la sua prossima mossa, consegnandogli non solo il suo corpo ma anche il suo destino.

Lui distoglie per un attimo lo sguardo dalla venere nuda. La sua attenzione è momentaneamente distratta da un oggetto presente sulla scrivania: la borsa di lei. Sorride come per dire: “Vediamo voi stupide donnette cosa vi portate appresso in queste dannate borse”. La apre e per lei quella nuova violazione della sua intimità assomiglia all’irruzione di un ladro in una casa, laddove, al danno dell’eventuale scasso e furto, si somma il danno psicologico dell’intrusione nell’intimità del proprio focolare domestico, che racchiude affetti, oggetti che ci ricordano bei frammenti di vita, da parte di un estraneo che non ha rispetto invece per la vita e per i valori fondamentali dell’esistenza.

Rovista, controlla il contenuto. Esamina oggetto per oggetto. Ad ogni ritrovamento fa corrispondere un ghigno come per dire: “quante cianfrusaglie inutili”. Poi estrae dalla stessa un acceso rossetto fucsia e lo lancia verso i piedi di lei, ordinandole con un cenno del capo di raccoglierlo.

E’ un ennesimo gesto di umiliazione: non lo ha infatti lanciato in direzione delle mani di lei per permetterle di tentare di prenderlo al volo, ma per terra, in modo tale che lei sia costretta a chinarsi, in segno di riverenza, a lui.

Lei sconfitta, allo stesso modo di un legionario romano costretto a passare sotto le “forche caudine” in segno di riconoscimento di vittoria e di sottomissione al popolo sannita che aveva appena trionfato in battaglia, si china per raccoglierlo. Non appena è di nuovo ritta, lui la incalza così: “Mettitelo!”

Non trascorre nemmeno un secondo dall’ennesimo tuonare del suo carceriere che Melany si accinge, con una punta di malizia e compiacimento tipicamente femminili, a spalmare, sulla sua carnosa bocca, il trucco colorato. Lo fa lentamente. Con la gestualità tipica di una donna che sa di piacere al suo uomo, che vuole piacere al suo uomo, così come il successivo, obbligato, sensuale atto di chiudere e schiudere le labbra per permettere al rossetto di amalgamarsi al meglio sulle stesse.

Fatto. Lui torna a scrutarla. In silenzio. Senza far trasparire emozione alcuna.

Dopo secondi? Minuti? che a Melany sembrano ore di immobilità, lui ha un guizzo. Un lampo accende per un istante i suoi occhi. Tutto il suo corpo è in una frazione di secondo in tensione. Come se si preparasse all’azione. Allo stesso modo di una macchina di formula uno apparentemente immobile alla griglia di partenza, che fa rombare il proprio motore, pronta all’accelerata decisiva per l’inizio della gara.

Ha in mente qualcosa. Lei non sa cosa. Pensa: “Il mio destino si sta per compiere”.

La situazione è come quando uno scacchista, dopo una interminabile ora di studio, in cui è immobile e scruta alternativamente, ora la scacchiera, ora gli occhi dell’avversario per capire se ha paura di lui, alla fine, con sorprendente improvvisa decisione, muove il pezzo sulla scacchiera infliggendo all’avversario uno scacco matto, dopodiché la partita ha termine. Con due differenze: in questo caso la partita sta appena per iniziare. L’avversario, Melany, ha già perso in partenza.

All’improvviso lui si alza, con un guizzo rapido si avvicina ad essa con la stessa fulmineità e intenzione mortale di un ghepardo che, avvistata la preda in lontananza, nascosto tra le foglie di una folta giungla, le balza addosso per infliggerle il colpo decisivo, mortale, che non lascia scampo. Melany chiude gli occhi. Riesce a sbiascicare solo due timide, impacciate, soffocate parole: “E’ finita…”

Rimane immobile come chi, di fronte ad una macchina che sta sopravanzando a tutta velocità contro di te, perfettamente consapevole che non può schivarla e che sta andando incontro alla sua morte, chiude gli occhi e attende, impotente, l’impatto mortale, attende quell’attimo che segna la fine della vita, dei sogni, dell’esistenza.

Con sua meraviglia però, si accorge di non essere, almeno per questa volta, l’oggetto delle sue attenzioni. Lui infatti si è diretto verso la porta. Lei è ancora di spalle, incredula che, per ora, l’ha fatta franca. Non osa girarsi, non osa vedere cosa il suo giustiziere stesse eventualmente macchinando.

Dei rumori, identici, però la fanno calare irrimediabilmente nella tragica realtà: Mysterio infatti ha appena chiuso la porta. I rumori che Melany sente sono quelli della chiave che gira due volte nella serratura.

“Tac!”, e le sembra di essere calata in una prigione di massima sicurezza, ed esattamente nel braccio della morte, ove sta per essere rinchiusa in quella stanza laddove muore ogni speranza, laddove un carcerato sa che l’attende lo strumento di morte.

“Tac!”,  una seconda volta, e le pare di udire le urla disperate del nuovo recluso che implora invano il proprio carceriere di farlo uscire, di donargli ancora una speranza di vita, carceriere che ignora le suppliche e lo lascia in preda alla sua più profonda disperazione.

Cala di nuovo il silenzio e con esso il terrore. Il destino sta per compiere la sua opera.

 Non c’è più nessuno negli uffici attigui. Ormai sono tutti usciti per il pranzo. Nessuno che può correre in soccorso. Gridare sarebbe inutile. Ma tanto la ragazza non ha più la forza di gridare. Le corde vocali non rispondono ai comandi, il fiato non riesce a farle vibrare per emettere alcun suono. Mysterio l’ha privata, appena entrato in quella stanza, appena entrato nel destino di lei, di qualsiasi forza, di qualsiasi espressione di volontà. Melany, carne da macello inerme, ne è perfettamente consapevole.

Passa interminabili secondi in quella posizione. Le sembra che l’intera vita scorra davanti. Si chiede se per caso essa stia per volgere alla fine. Si interroga su quello che le sarebbe potuto accadere. Silenzio.

L’orologio che è nella stanza è l’unico rumore che si avverte:”Tic, tac, tic, tac…”” e quell’incedere periodico le suona come quella tortura della goccia cinese, rivolta ad una persona costretta a rimanere ferma in quella posizione per molto tempo finchè la goccia, con la sua lenta ma inarrestabile e implacabile forza corrosiva, non arrivi al cervello e conceda la morte liberatoria da così immane sofferenza.

“Tic, tac, tic, tac…” E questo ticchettio, che ormai scolpisce la sua mente, si sostituisce a quello del battito del suo cuore in attesa dell’inevitabile.

Ha un’umana reazione di rassegnazione. Volge il suo capo verso il carnefice per consegnarsi sconfitta a lui, per andare incontro al suo destino. Ma… sorpresa delle sorprese, non c’è nessuno! Mysterio non c’è più! Nella stanza ora c’è solo lei.

Indubbiamente è felice. Le sue funzioni vitali ritornano, lentamente, gradualmente alla normalità. Poi pensa che lui potrebbe essere ancora lì, magari dietro la porta. O che sia scappato e la abbia chiusa lì. Si veste in fretta e va coraggiosamente alla porta. Con sua rinnovata sorpresa la trova aperta. Dietro di essa non c’è nessuno. Mysterio è andato via. Poi riflette sulla serratura. Si ricorda di aver sentito i rumori di due mandate. Ma come si spiega? Cos’era successo?

Lentamente si avvicina alla verità: si era trattato di un sottile quanto crudele gioco psicologico. La prima mandata infatti era servita per chiudere la porta, la seconda per aprirla. Per poi scappar via e richiudere silenziosamente. Ma Melany doveva credere che il suo carnefice fosse ancora con lei nella prigione, senza possibilità di fuga né di aiuto.

Mille interrogativi trafficano la sua mente somiglianti al correre frenetico di migliaia di automobili in una metropoli nell’ora di punta: “ Chi era? Che voleva? Perché è scappato? Perché non ha approfittato di me?”. Tutte queste domande, seppur pronunziate inizialmente con paura, venivano intercalate da sensazioni di normalità, di ritorno alla vita di sempre. Almeno  apparentemente, fintanto che non si pone nuove inquietanti domande che le riempiono di nuovo il cuore di preoccupazione: “Tornerà? Mi farà del male? Dovrò ancora confrontarmi con Mysterio?” Domande a cui solo il tempo saprà trovare una risposta, forse anche terribile.

Ancora un ritorno alla quotidianità: “E’ tardi. Mi aspettano per il pranzo. Saranno tutte preoccupate…”

Prima di procedere all’azione, prima di mettere in moto le proprie gambe verso la mensa aziendale una terza serie di domande, la più imbarazzante di tutte, si insidia nella sua testa e coinvolge adesso la totalità dei suoi pensieri: “Non è possibile, non oso pensarci: non mi è dispiaciuto, anzi probabilmente mi è piaciuto. Ma… ma io… no… non posso nemmeno pensarci… sono fidanzata. No… è una impressione. Ho scambiato la paura per eccitazione. Si… si deve essere andata così. Io sono fidanzata non posso provare piacere per qualcun altro. Ho sicuramente frainteso… deve essere andata in questo modo…”

Tra un senso di colpa, un dubbio, una paura, una domanda, fa per avviarsi verso la mensa. Mentre cammina, riacquista lentamente ma gradualmente fiducia in se stessa. Arriva addirittura a chiedersi se fosse stato tutto un sogno, un frutto della sua immaginazione, tutto sommato un suo intimo desiderio di dare una scossa alla sua vita che stava diventando piatta, insoddisfacente, a tratti triste. Passa davanti ad un ufficio attiguo e avverte un intenso odore. Si ferma. Si gira in direzione della provenienza dello stesso. Nota una piccola macchia di una sostanza liquida sullo stipite della porta. Si avvicina. La annusa. Pietrificata ha un flash-back. Ripiomba in un battibaleno nella stanza del suo ufficio, quando era completamente nuda, perché riconosce in quell’odore il profumo che portava Mysterio.

Ritorna nel panico: “Allora era tutto vero! Magari è ancora qui. Cosa devo fare? Perché ha impregnato la porta del suo profumo? Cosa vuole fare? Cosa vuole dirmi? Che vuole da me? Perché proprio me?”

Tutti questi interrogativi che avrebbero fatto scappare qualsiasi altra persona non mettono però in fuga la nostra eroina, che coraggiosamente valica quella porta per vedere se Mysterio sia li. Chiude gli occhi. Tonfo al cuore. Li riapre in attesa del verdetto. Niente, Mysterio non c’è.

Si guarda intorno per l’ufficio, come una panoramica effettuata dalla telecamera di un abile regista che scruta lo scenario circostante a 360 gradi per mettere lo spettatore in condizione di immedesimarsi perfettamente nell’ambientazione. Ma di Mysterio nessuna traccia. Si tranquillizza. Fa per girarsi per ritornare sui suoi passi e dirigersi a mensa, quando, compiuto il giro, vede dei piedi davanti a se. Alza di scatto il capo e… Mysterio!

“Cercavi me?” esclama lui con il solito tono autoritario e deciso. Si stagliava fiero davanti a lei, come l’iceberg responsabile di aver affondato il Titanic, con in mano una boccetta di spray con la quale aveva spruzzato il suo profumo sulla porta. Prima che lei possa pronunciare alcuna parola, cosa difficile che potesse accadere perché era di nuovo rapita dal terrore più completo, lui aggiunge: “Ce ne hai messo di tempo. Ti stavo aspettando”.

Melany è di nuovo pietrificata. Allo stesso modo in cui un comune mortale viene trasformato in pietra allo scorgere il volto maledetto della mitologica Medusa, che porta al posto dei capelli un casco di velenosissimi serpenti. Non una parola di lei. Non una parola di lui.

I due si fronteggiano silenti. Si osservano.

Lui ha un braccio dietro la schiena. Sta per muoverlo. Il raggrinzarsi della sua giacca testimonia che ciò sta per avvenire. Lei se ne accorge e si chiede: “Cosa ha dietro di se? Un coltello? Una pistola? Vuole uccidermi? Torturarmi? Violentarmi? O peggio ancora vuole tutto questo?”

Lui completa il movimento. Lei non osa guardare e chiude gli occhi.

Non succede nulla.

Dopo qualche frazione di tempo riapre gli occhi con lo stesso gesto impacciato di un bambino che, appena combinata una marachella, temuta la punizione della madre che però non è stata inflitta perché è sopraggiunto il suo perdono, per verificare che il pericolo è scampato, dischiude lentamente prima un occhio e poi l’altro. Vede lui davanti a se con il braccio teso verso di lei.

Mysterio la investe con queste domanda: “ Non devi andare a mensa? Hai dimenticato la tua stupida borsetta!”

Il suo tono di voce è decisamente irritante. L’inclinazione della stessa fortemente canzonatoria. Le parole pronunciate altamente denigratorie.

Con un gesto mescolato alla stizza di una donna toccata su di un aspetto personale e con il rinnovato terrore per la presenza di un personaggio così strano, dalle intenzioni ancora non chiare, Melany non ci pensa su due volte. Tenta di prendere la borsa e andarsene. Non ci riesce. La borsa è come incollata alla mano di Mysterio, mano che, nonostante il tentativo di presa di Melany non ha subito nemmeno un impercettibile spostamento, ad indicare la forza e la decisione del misterioso individuo.

“Calma” aggiunge lui. Consegna delicatamente la borsa nelle mani di lei, come a dire: “Tu non fai nulla, nemmeno il più piccolo gesto senza la mia autorizzazione.”

Melany “S-si…”

“Ora puoi andare!” Conclude frettolosamente lui con tono perentorio.

Lei senza farselo ripetere si allontana. Prende la strada per abbandonare l’edificio. Cammina lenta, per non indispettire Mysterio, per non voler dare l’impressione che stesse fuggendo da lui, anche perché in realtà forse lei non voleva fuggire da lui.

Dopo qualche decina di metri Melany volge delicatamente la testa indietro come per controllare cosa stesse nel frattempo facendo il suo persecutore. Con uno sguardo misto di rilassamento, paura, delusione, e rinnovata sorpresa, constata che è scomparso.