MATER DOLORIS
mama de sa suferentzia
parte II
di Giovanna Mulas
-Hmmm
hmmm. Papà ha detto che era appartenuto ad un ebreo
che aveva dipinto l’interno coi simboli della sua fede. Quando voleva
pregare, di nascosto di tutti, lo apriva e VOLA’-
-Voilà.
Si dice voilà-
-Vabbè.Volà.-
-Quel
canterano era il segreto dell’ebreo. Era la sua libertà, capisci Virgi?-
-Allora
non sarebbe male avere un nostro segreto-
-
No, se può servire a renderci libere-
-Lei
non lo fa perché è cattiva. E’ solo molto…malata. Sono sicura
che basterebbe che si curasse un poco. Appena un poco-
-La
sua non è una malattia che può essere curata,Virgi. La si ha e basta.
L’altra sera ho sentito dire a quell’idiota di Vincent Cody che la…pazzia-
-MAMMA
NON E’ PAZZA!-
-Vincent
ha detto che suo padre aveva ricoverato il fratello per lo stesso, identico
motivo…perché aveva cominciato a dire e fare cose che non si dicono e non si
fanno normalmente. Gli erano scappate fuori le sacrosante rotelle, ecco. Ha
detto proprio così: gli erano scappate fuori le sacrosante rotelle, a quel
pazzo ubriacone di mio zio. E l’hanno rinchiuso in una stanza coi Muri Senza
Rumore-
-Mur…?-
-Già.
Perché così le sue urla non si sentissero fino a fuori. Eppoi ha pure detto
che la pazzia è una cosa ereditara. E così, adesso, Vincent sta bene attento a
non far perdere la bussola a suo padre che non si sa mai che gli scappino fuori
le rotelle pure a lui-
-Allora
anche noi dobbiamo stare attente a non far perdere la bussola a mamma-
-Noi
dobbiamo scappare,
Virgi-
-Non
possiamo lasciarla sola. L’ha già fatto nostro padre e mamma dice che starà
danzando all’inferno, per questo, adesso-
Sandy
Ann scrutò l’ultima canoa all’orizzonte e la scia morbida, istantanea e
fluttuante sulle acque.
-Papà
non è all’inferno, stanne certa. E’ una persona debole…si
dice debole di carattere, Virgi-
L’altra,
che alla figura trista e perennemente curva del padre per istinto non era mai
stata realmente affezionata; fece spallucce.
-Io
sto con lei-
-Non
l’aiuteremo a stare meglio, così. Bisogna farla curare-
-Abbiamo
undici anni, Ann! Undici!-
-Ho
accennato qualcosa alla signorina Jefferson-
-COSA
HAI FATTO?-
-Lei
ci aiuterà, ha parlato…-
-COSA
HAI FATTO, ANN?-
-Ha
parlato di affidamento temporaneo. E’ una cosa per la quale ti portano in
un’altra…famiglia-
-…Avevi
promesso, Ann…AVEVI PROMESSO CHE NON NE AVREMO FATTO PAROLA MAI CON NESSUNO!-
-Ascoltami…ha
detto che ci porteranno in una famiglia più sicura, adatta ad uno sviluppo
psico fisico sano del bambino e…-
-COSA
HAI FATTO JO…SE LO SA LA MAMMA!-
-Virgi,
è una cosa TEM-PO-RA-NE-A!!! Significa svelta, veloce ecco. Il tempo che nostra
madre stia meglio e sia in grado d’accudirci-
forse
-L’hai
detto prima che non starà MAI meglio, tu…TI SEI FIDATA DI UN’ESTRANEA, ANN!-
-Non
è un’estranea. E’ la nostra insegnante. Ed è la persona più buona che io
abbia conosciuta-
-Si,
ma…-
-Giura
che TU ti
fiderai di me. Ti prego, Virgi-
La
bambina ciondolò la testina scura e le trecce fatte con tanta attenzione
oscillarono sulle spalle gracili.
-Cosa
le faranno?-
-Miss
Jefferson ha detto che verrà curata da specialisti e ha detto che, per come
vanno queste cose, è un bene per entrambe le parti che ci allontanino da lei.
Ha detto che non è bello che ad ogni marachella lei ci faccia passare
(-…vi
fa passare intere notti chiuse in cantina, al buio? Ho capito bene, tesoro? Ann?-
-S…si.-
-No,
non piangere bambina…Oh Signore, vieni tesoro, su. Sei con me,adesso-
-Se
i miei compagni lo…sapessero io…-
-Sono
in cortile per la merenda, siamo io e te sole,Ann; non ti sentirà nessuno se
non lo vuoi-
La
signorina Jefferson era cerea adesso. Le labbra contratte e violacee e gli occhi
sbarrati pareva invecchiata di vent’anni d’un solo colpo.
-Vi
vedevo infelici, bambina mia, e pensavo che fosse colpa dei problemi economici
legati alla partenza di vostro padre…dovevo capirlo prima!-
(non
si dice sempre così in questi casi?”Dovevo capirlo prima”, prima che
accadesse, prima che il male spezzasse in due corpo ed anima innocenti, prima
che…prima che…)
-Ascoltami
bene, Ann.Non sarà facile,tesoro, ma degli assistenti sociali vorranno parlare
con voi, farvi visitare e tu, VOI dovete assolutamente dire tutta la verità. In
caso contrario nessuno sarà in grado d’aiutarvi-)
-E
noi?-
-Dice
che è probabile che temporaneamente (ma può darsi di no!) ci affidino a
due…due famiglie diverse-
-NO!-
-Dàmmi
la mano, Virgi-
L’altra
si voltò verso le catapecchie che affollavano la spiaggia, immusonita.
-No-,
ripetè in un soffio.
-Rammenti
ciò che ti ho detto, Virgi? Io e te siamo legate ed il nostro è un filo
magico. Dài, facciamo il gioco del pensiero-
-No-
-Ti
prego, Virgi-.
Allora
Virginia strizzò gli occhi ed il lago e le catapecchie e le canoe sotto il
tramonto scomparvero come anche la figura rassicurante della signorina Jefferson
e quella spaventosa di sua madre.
Il pensiero schioccò veloce, fulmineo come una frustata che colpì Sandy
Ann in ogni fibra:
Ti
voglio bene.
Ann
sorrise ad occhi chiusi, scuotendo la zazzera scura.
Anch’io
Virgi ma non devi dire nulla alla mamma lei non sarebbe d’accordo e’ il
nostro segreto è la nostra libertà Virgi.
Virginia
riaprì gli occhi esausta.
-Andiamo?-
fece Ann.
-Hai
detto che la pazzia non può essere curata-
-Eh?-
-Prima
mi hai detto che la pazzia non può essere curata. La si ha e basta. Hai detto
proprio così. MI HAI RACCONTATO UN SACCO DI BALLE ANN! E la signorina Jefferson
è una bugiarda peggio di te…ti…ti ho letto bene prima, dentro…c’era
scritto…c’era scritto che mamma
non può essere curata!
E’ una certezza, vero Ann? VERO?-
-Io…è
per il nostro bene. Lo capisci questo? E’ per noi!-
-E
a lei non ci pensi?-
-In
uno scatto d’ira potrebbe ammazzarci…metti che non riesca a controllarsi e
che da un momento all’altro non le basti più buttarci in mezzo ai
topi…metti che
accada!-
-Io
starò con lei-
-VIRGI!-
-Starò
con lei, Ann. Ha bisogno di me-
-Gli
assistenti soc…-
-Appena
torno a casa le dico la verità. Mi porterà a Londra, nella casa di città dei
nonni, lo so. E’ da molto che lo vuole fare…portarci tutte e due lì.
Gliel’ho letto
tante
volte-.
Virginia
arrossì violentemente. Spiò la sorella con sguardo timido e fiducioso.
-Non
devi dire alla Jefferson dove può trovarci-
-Cosa?-
-Non
voglio. Vieni con me,vieni con noi Ann. Siamo una famiglia!-
Ho
bisogno di te
-Non
posso. Non chiedermelo, io…non posso. Non rientro a casa,Virgi. Stanotte dormo
dalla signorina Jefferson. Le avevo dato la mia parola che saremmo andate da lei
assieme-
-E
mamma?-
-Non
se ne accorgerà neanche-
-A
modo suo lei ci ama-
-Ci
fa del male, Virgi. Come la nonna l’ha fatto a lei…addio-
-Mi…mi
lasci così?-
-S…si.
Buona fortuna.-.
Sandy
Ann accennò qualche passo, tirando calci ai sassetti bianchi sulla rena. Si
voltò. Corse incontro alla gemella.
-Chiudi
gli occhi, Virgi- le intimò, e l’altra li chiuse, strizzandoli fino a farsi
male.
Sarò
sempre con te.
Le
strinse la mano per l’ultima volta. S’allontanò trotterellando, pulendo
rabbiosa le lacrime colle mani chiuse a pugno.
Non
lasciarmi Ann
Oddio
Ann ti prego
Pensaci
bene, pensaci ancora Ann
Pensaci
ancora
Ann.
Percorse
circa tre miglia di sentiero sabbioso ed evitando le baracche in cartone e
lastre sbilenche di legno marcio divise dal lago da un reticolato spinato, prima
che le implorazioni di Virginia smettessero di saettarle il cervello.
Passò
all’asfalto bene attenta nell’attraversare correttamente da un ciglio
all’altro del marciapiedi. Camminò per una buona mezz’ora lasciandosi alle
spalle la stazione ferroviaria, un parco giochi incolto, due pub e la Caffetteria
Italiana
(
solo qui The Very Italian Capucino!), i palazzi degli
sfrattati, monotoni e sporchi, disposti in fila, uguali. Trotterellò
fino alla casa su due piani della signorina Jefferson, circondata da un
fazzoletto di terra rossa coltivata a lilium ed edera rampicante. Sandy Ann si
morse il labbro inferiore. Era stanchissima, certo che si. Se le avessero dato
un letto avrebbe dormito tre mesi di fila se per tre mesi di fila è possibile
dormire. Ma era anche preoccupata per Virgi. Erano sorelle gemelle ma delle due
Ann era sempre stata la più indipendente, la più forte. Quella che se c’era
da prendersi una bastonata sulla schiena se l’addossava, pur di risparmiare un
ennesimo dolore a Virginia. Ora che lei era andata via (scappata)
cosa sarebbe accaduto a sua sorella? Come avrebbe sfogato la rabbia cieca sua
madre, questa volta? Il pensiero la fece inorridire. S’affrettò a salire gli
scalini legnosi, bussò così forte al portoncino laccato di verde da farsi male
alle nocchie. Non avrebbe dovuto. Non avrebbe dovuto lasciare Virgi sola;
avrebbe dovuto trascinarla con sé, volente o nolente.
Era
stata una bambina
cattiva, si.
Si
era fatto molto caldo e l’aria brulicava di api.
Sandy
Ann lanciò un’occhiata di lato, fissando lo sguardo sulla facciata di specchi
di un albergo e all’impeccabile portiere che, in marsina, sorrideva ad una
vistosa donna bionda in Porsche, in sosta dinanzi l’ingresso. Ann sentì uno
scorrere di chiavistello e la porta, finalmente, si aprì. La figurina esile di
Stephany Jefferson s’inquadrò sulla soglia. A Sandy Ann sfuggì un sospiro
troppo sommesso per essere un gemito; qualunque debole opzione della signorina,
in quel momento, l’avrebbe fatta scoppiare in un pianto disperato. Ma
l’altra sorrise e allargò le braccia. Ann ci si tuffò in un ansito convulso,
aspirando beata il dolce profumo di vanillina e biscotti cotti al forno.
-E
Virginia?-
-Non
ha voluto seguirmi-
-Mmmmh.
Andremo noi a prenderla. Non devi avere più paura,Ann. Farò tutto il possibile
per aiutarvi…hey? No, piccola. Non piangere-. Stephany Jefferson raccolse
delicatamente il visetto spaventato e pallido di Sandy Ann tra le mani.
-Che
ne dici di una bella tazza di cioccolata calda con una montagna di panna sopra?-
La
bambina acconsentì docile, indugiando rigida come un ciocco di legno, le
pupille dilatate. E l’insegnante fu assalita dal desiderio di cancellarne
completamente, con un abbraccio ed un colpo di spugna il passato. Ma non era
possibile. Poteva però aiutarla ad affrontare serenamente il futuro. Questo si;
questo le era consentito visto che in un certo senso considerava quella bambina
come un dono del cielo; l’unico, da quando sette anni prima aveva perduto il
marito ed il loro bambino di appena dieci mesi in un terribile incidente
stradale. Aveva cambiato stato, lavoro ed abitudini di vita ma non era bastato a
cancellare il
resto. Stephany Jefferson sapeva benissimo quanto, a volte, la vita può
rivelarsi crudele.
-Vieni
dentro, tesoro-, insistette, -C’è una persona che desidera scambiare quattro
chiacchere con te. E’ il signor Edmonds; l’assistente sociale di cui ti ho
accennato ieri in classe. Prenderà la cioccolata con noi, che ne dici?-. Ann
annuì stancamente e la signorina Jefferson fu decisa e ferma e sicura :
-Aiuteremo anche Virginia. Non aver paura, ci sono io vicino a te-.
Gli
occhi della bambina divennero vacui e il pallore si fece mortale, le guance si
colorirono di due chiazze rosse e febbricitanti.
-Ann?!-
-Non
si può più fare niente per mia sorella.
E’
lontana, adesso.
E’
troppo
lontana…-, cantilenò Sandy Ann.
E
svenne.
DE
SA
Chi
bessit intra sos montes.
Sas
perdas antigas ti connoschen bene e si lassan
Mudare
a intro e a foras.
Bentu
che s’alenu de Deus ses durche che fortalesa
De
Deus ses poderosu.
Bentu
làssa-ti inténdere che a melodia ca est sa boghe de Deus,
sa
ch’intendo a intro de mene.
Tue
ses un’alenu ch’incrispat su mare comente alenu divinu
Chi
baddat subra s’abba.
Ispiritu
fogosu chi faghes trémere irriga s’àrbure dae sa terra.
Bentu,
tue chi carinnas custa terra ischidada dae su sole…” .
Ventiquattr’ore prima che l’alluvione avesse la
meglio su uomini, bestie e campi come un castigo del Signore, - e castigo era
stato anche per colpe mai commesse, neppure pensate- correva il 1951, in Santu
Aine*, e dopo che per settimane intere il sole aveva spaccato s’ Oleastra*, sa
terra mea amada*, in sul colle di Santa Maria di Navarra* affondata nei
rosmarini e le lavande; la pioggia aveva preso a scendere malinconica e
continua, molesta, nauseante. Thia Elvira l’ ammentava* come fosse ieri: i
cavalli dietro i recinti e le pecore s’erano fatti strani; fizos ‘e su dialu*,
grugniva suo marito. E figli del demonio parevano davvero gl’ irrequieti;
scalpitanti, furiosi i primi e balentesbelanti* le seconde, dengosas*, una
attaccante l’altra, sovrastarla di spinte autocrati, snaturate. Pressate, le
zampe anteriori ad inanellare ciottoli e sabbia, la lingua di fuori e pupille
grifagne, mammelle vuote di un latte che sapeva d’ acqua; malumaladiu*, saliu*.
Elvira aveva anche chiamato Padre Pasquale per darci una benedizione a tutti
quanti, casa compresa, ma non era servito a niente. La Madre vedeva –ed eccola
col ricordo riportata lì, al secondo canto di gallo in cima alla collina dove
poggiava sa domo Mele ed i bulbi d’aglio appesi all’ingresso principale a
code lavorate a treccia, la tavola coi fichi secchi e le cipolle sopra, agli
angoli, un paniere di uova di seconda scelta ( le invendibili al mercato chè
troppo piccole) a dare il benvenuto ad ogni visitatore di buone intenzioni-
oltre quel podere chiuso da siepi, alberelli di mirto e corbezzoli, ed i monti
intorno, corone danzanti striate di giallo/purpureo a quell’ora,austere,
prospicienti alle coste; il grasso prete impettito e severo sbucare dalla selva
di querce, carrubi, roveri e lecci col breviario stretto a croce e paramenti,
stanco di sicuro, su meschinu*, delle troppe opere buone già compiute (l’orlo
del camice, visto da lì ed Elvira ci vedeva assai bene, andava imbastito
meglio, strisciava su terra e di quando in quando, in acqua. Domenica, prima
‘e sa missa,* gliene avrebbe cantato all’orecchio a thia Magenta Deriu)e a testa china, sofferto come un Cristo in passione. Eccolo
percorrere con la scorta di chierichetti saltellanti e vociosi (unu fiat Angelu,
su fizu piticu de Adelina Tilloca e del pastore Nanni Boi che collezionava
curiosi idoletti in bronzo raccolti in tempi diversi nella terra dove
tracimavano le pecore*. Padre Pascale gli diceva ad ogni confessione che quegli
idoletti erano peccato, nella forma ignuda e bellicosa e fiera, e nella morale.E
andavano “Resi alla giustizia”, ricoverati in un qualche museo casteddaio,
insomma.”E probabilmente, Nanni meu, per ricoverarli ti daranno moneta di che
camparti.”. Nanni non capiva perché per ricoverare le sue statuine, e quindi
per fargli un favore, qualcuno avrebbe pagato. Quando avevano ricoverato thia
Millia in ospedale da ricchi a Roma, in su continente, perché la sua testa non
funzionava più in grazia di Dio e aveva presa l’abitudine di correre per le
mulattiere, la notte, scalza e senza fazzoletto a coprire i capelli; era stato
lui ed i suoi sette fratelli, unici eredi diretti, a dover pagare. E salato,
pure. Perciò la cosa non gli suonava bene. Così sosteneva che se Iddio glieli
aveva fatti trovare, allora voleva dire che quei bronzetti, quelle statuine,
doveva tenersele in casa. Angelu, di Pascale, s’era messo in capo di seguirne
le orme;ed ora appunto lo faceva con un sacco caricato sulla schiena) il
sentiero che procedeva a serpe per la campagna confinando con gli erriargius* ed
il timido Riu* de Preda, al pascolo le greggi di capre all’osso. Giù, dove
l’occhio arrivava a fatica, l’impronta della strada statale a collegare
Ogliastra e Barbagia, sos sirbones* come formiche diffidenti e radure e arbusti
di lentisco e oleandro. Ancora voltando a sinistra, cicatrice tra ulivi e
ulivastri, il passaggio a livello
delle ferrovie complementari e la cantoniera tenuta da Lillino Pisanu, fornitore
di carne all’unica macelleria de Lanusei . Dal canto suo sfiancato dagli
sbuffi, vuoi per l’età, vuoi per la pancia prominente, vuoi per la ripidità
della salita; Padre Pasquale “peppeddu” Deriu non poteva dire a quei figli
del Signore dal cuore semplice e povero quanto le tasche che durante la notte
era stato, nel giro di cinque ore, a benedire altri sette ovili per scacciarne
le paturnie ai padroni. E ognuno dei suoi parrocchiani aveva ringraziato come
poteva. Pure Maria Vittoria Contu nominata “Sa calledda”, la cagna, ché
bella come il fuoco ( fuori della luce del Signore e dentro quella di qualcun’
altro, più di uno si diceva in paese) aveva voluto ringraziarlo per la
benedizione alle tre capre a modo suo, non avendo altro. Ma Padre Pasquale che
non conosceva peccato, alla tentazione del demonio aveva fieramente resistito,
senza sapere di resistergli.
“Datevi
una sistemata alle vesti o prenderete freddo, Maria Vittoria”.
E
la donna, che degli uomini assieme
alle varie misure di piede e quant’altro ne conosceva anche quelle del
cervello,variabilissime; aveva sorriso alzando gli occhi al cielo e calando le
gonne, e fatte spallucce. Aperta la dispensa , una forma di casu marzu ne aveva
tirato fuori e infilatala lestra nel sacco di Angelu Tilloca.
“Siete
anima buona davvero voi, Pascà.”.
Si.
Don Pasquale era anima pura, dopotutto. L’ unico neo che poteva vantare il
curriculum celeste era quello legato alla gola. Ma uomini siamo e che caspita,
preti o non preti. Dunque don Pasquale, ultimogenito del tenente medico Tonino
Deriu, ucciso in Libia nel 1911 nell’assolvimento del proprio dovere; sorrise
fissando più che la schiena di Angelo Tilloca –destinato anche lui, come gli
aveva confessato in occasione della festa della Madonna delle Grazie di Ilbono*,
a povertà e astinenza- il sacco di
cibarie caricato sopra. La sua vecchia madre sarebbe stata contenta, pro
dominiga*, de mannicare porceddu* buttato a tranci disordinati in su taggéri*,
tacculas* e miele ancora nei favi, di cardo e asfodelo, l’amaro di corbezzolo
di Melchiorre Cannas, avvezzo a pressare la cera in un recipiente da ricotta di
forma tronco/conica schiacciata. Il Cannas, riflettè don Pasquale, che ogni
anno dava a gratis le candele senza stearina a chiesa, fedeli e padre Pascale,
Dio l’abbia in Gloria. Pure in casa a quella povera femmina perduta di Maria
Vittoria, s’incaricava di portargliele personalmente.
Miele
e binu bonu; rubizzo e rubino,reduce della fillossera di quell’anno infame.
“De
su mundu in generali/ses vera speranza e vida,/Ses, Maria, conzebida/Senza culpa
originali./Eva su primu peccau/fait po pagu obbidienzia,/Sa Divina Onnipotenza,/Hat
a Tui preservau:/E cun tui hat riparau/Sa ruina universali…”. Hmmmh. Siii,
si. Duncas pro Pascale Deriu e gratzias a Maria, a su Signore e sos cristianos in primis
fiat fatta sa jerronada sua*.
Aveva
cominciato il vento, appena passato il tramonto, quello appresso la visita di
Don Pasquale. Elvira tornava dal paese in calesse con Anna addormentata sulle
ginocchia che sobbalzava mesta ad ogni affossamento del sentiero ghiaiato,
avvolta nello scialle di lana nero che la copriva fino alle caviglie. La madre
le teneva la mano libera sopra, carezza voluta ma involontaria che si spostava
ora sul viso magro della bambina, ora sui capelli raccolti a treccia, ora sulle
spalle di sonno inquieto. Aveva assistito fino a tardi Giuseppa Serra al parto
della terza figlia, un’altra femmina (“tra qualche mese ci facciamo su
mascru*, aveva dichiarato con solennità religiosa Vincenzu Nonnis, sollevando
il corpicino nudo e piangente al cielo, ché tuttiisantidelparadiso potessero
soffiargli in cuore ognuno la sua benedizione. Anna, alla vista della nuova
cugina, aveva saltellato per tutta la camera spoglia, odorosa di alcool.Poi si
era fermata a scrutare assorta l’Elvira. “Perché piangi, mamma?” “
perché grazie a Dio è andato tutto come doveva andare. Ora usciamo
di qui…puru tue, Vincè*. Giuseppa e la sua bambina devono riposare.”.
L’uomo aveva tirato fuori dalla cantina il suo vino migliore e, stappata la
bottiglia davanti ai compari Milia e Cabiddu, in orgasmo quanto lui e
senz’altro più per la beozia* che per la venuta al mondo di un’altra bocca
da sfamare e neppure produttiva; aveva versato da bere a tutti, donne, parroco e
bambini compresi.). Il parto di Giuseppa era stato lungo, e difficile.
Il
cavallo s’era arrestato all’improvviso in mezzo al sentiero. Aveva rizzato
le orecchie, odorato l’aria e sbuffato, scalciato a vuoto.
S’
era alzato, Eolo, che pareva un rigurgito d’aria, fiato bonaccia da prossima
quiete; eppure, subito, quello stormire di foglie e l’orizzonte scomparso alla
vista ( neoplasia di caligine l’avvolgeva), lo squilibrio delle bestie, erano
già epifania di demoni per le contrade a ballare e ululare, a scornarsi
d’orge crescenti di Satiro e Ninfe. Elvira aveva tremato; la pelle sua sentiva
ciò che la mente non invasava ( e l’ Janas i piccoli capi coi diademi
celavano negl’antri sicuri da uomini e tempi).
Ssssssssssssh,
soffiava il vento. Nella cucina di thia Bonaria Canu fu Francesco, di anni 66;
la padrona di casa, d’intelligenza vivace e lingua lunga, s’inginocchiava
nel pavimento in preghiera, segnandosi. Nonostante l’ora tarda e la mole
s’alzò lestra, raccolse come stabilito sa tascedda de pistadorgiu*, versò
all’interno una grossa manciata di ghiande sgusciate,le lande ‘e perra dalla
quercus ilex, serbate ad asciugare per l’occasione per 21 giorni in una sporta
appesa al caminetto. Prese il sacco per l’imboccatura ripiegata, lo battè con
forza sullo scalino di pietra della cucina e la gatta e i gattini attorno fecero
ala, indolenti. Bonaria aprì sa tascedda, verificò che la camisòla* fosse
staccata del tutto dai frutti.Richiuse il sacco, battè, e battè ancora. Col
grembiale tamponò il sudore dalla fronte, versò le ghiande in un caddargiu e a
parte, in un impastera*, del torco*, raccolto dalla cava di Bau ‘ Porcu. Con
la tulla agitò il contenuto per sciogliere i grumi, aggiungendo acqua. Ecco,
l’infuso schiumoso di Bonaria è color caffellatte. Parte di questo liquido
–grazie al colatori* ed una murga di unundenti de linu*- finisce nella
caldaia, a vestire le ghiande. La vedova scruta oltre i vetri della finestra; (e
da questo momento comincia la cottura vera e propria. Il colore delle ghiande da
rosso mattone diventa nero) al vento e la pioggia che batte incessante da troppe
ore. Non aveva mai conosciuto in vita sua una pioggia così. Se tutto va bene e
se Dio vuole, per domenica, i nipotini in visita dal continente assaggeranno
focaccine di lande cottu* e Bonaria farà loro credere di averle fatte con le
prugne secche e non col cibo dei maiali*, come faceva con Giacomo suo figlio e
padre dei ragazzi. Si. Se Dio vuole.
SSSSSsssh,
parlava il vento a streghe e folletti e i bambini sotto le coltri di lana grezza
e la cenere nel focolare che dormivano accovacciati l’uno all’altro per
darsi calore (Elvira frustò il cavallo, lo frustò ancora)e Frantziscu de
Loceri serrava i recinti a doppia mandata e guardava giù della valle, a bucare,
sondare quell’angolo tra buio e nebbie dove sua moglie riparava.La ripensò,
chissà perché, durante il periodo del loro fidanzamento e prima (“Francesco
ha da farti una domanda”, aveva detto ad Elvira sua suocera, seduta in mezzo a
loro, ed Elvira aveva scrutato il giovane soldato con aria timorosa ma seria,
bambina.
“Vorreste
sposarmi, Elviredda?”
La
ragazzina s’era aggiustata il ritaglio di stoffa sulla crocchia di capelli di
modo che le punte di quello andassero a coprire, perfette, l’accenno
prepotente di seno. La madre aveva annuito solenne, rigida nel suo busto, nello
scialle scuro.
“Se
mamai lu cheret lo cherzo puru deo* “.).
Lei
sedici anni e lui ventidue, mai lasciati soli fino al giorno del matrimonio.
Lei, bella degli occhi sardi di carbone ardente e l’odore del mirto tra i
capelli dai riccioli lunghi, selvatici, tenuti a bada dal fazzoletto di
signorina, di sposa, di madre.
“Torra,
beni in domo nostra, Elvì”, pensò Frantziscu segnandosi e stringendosi nella
giacca di velluto scuro, troppo leggera per quel periodo dell’anno. E fu
l’ultima volta che lo pensò.
Le donne erano scemate,
in silenzio composto. Padre Pascale chiuse il breviario e sospirò alzando gli
occhi al cielo, smorzò i ceri. La modesta chiesa dominava la valle e aveva
pianta a tre navate, divise tra loro da quattro arcate, sostenute da rozzi
pilastri. La nave centrale sopravanzava le laterali ed era conclusa nel fondo da
un’absidiola semicircolare, d’un raggio di circa 1,45 metri e, in alto,
aveva tre finestrelle per parte, che davano luce all’interno.La copertura era
realizzata con tetto a capanna sostenuto da capriate di legno di ginepro
dov’erano ancora visibili, in rosso, i disegni profani di alcune varietà di
pesci, soli e lune, piante. L’altare era di dimensioni modeste, in pietra
arenaria, nel cui interno era custodito un reliquiario d’argento. Il pavimento
era costituito di lastroni di pietra e mattoni mentre una pila per l’acqua
benedetta , nella cui sommità era collocata una rozza vaschetta di arenaria,
spiccava tra i sedili in muratura a ridosso dei muri perimetrali e i pilastri.
All’esterno della chiesa tra olivastri, fusti di fichi d’india ed il canto
assordante delle cicale in estate; ecco is posadas, dove trovavano alloggio i
pellegrini che vi affluivano in occasione della sagra. “Ancora piove”, cogitò
Don Pascale non senza preoccupazione.Mosse per uscire dalla chiesa e chiuderla,
tornare da sua madre che a quell’ora l’aspettava inquieta per il pasto
serale. Poi spiò il reliquiario, armeggiò con la vecchia chiave, l’aprì. Il
gioiello aveva la forma di un cuore, d’argento. Era venuto alla luce
trent’anni prima, gli era stato detto, a seguito della rimozione della pietra
del primo altare, spezzata in più punti per l’esplosione di una mina tedesca,
a venti minuti di cammino da lì.La struttura della chiesa era rimasta
miracolosamente integra; solo l’altare s’era spaccato, come a voler rivelare
l’antico tesoro. “Sa terra s’est tremia tota* e le nostre due vacche al
pascolo c’erano scappate a gambe levate. Due giorni dopo, s’erano fatte
trovare” diceva sua madre segnandosi, ogni volta che ricordava l’accaduto.
Il cuore era conservato in un urnetta di pietra chiusa da un coperchio pure di
pietra, sigillato con cera vergine.Era d’argento niellato, cavo e dorato
internamente, dov’erano celate le reliquie di un santo ignoto. Don Pascale lo
raccolse con dolcezza, le mani un po’ tremolanti. Il gioiello aveva il
coperchio movibile con le attaccaglie originali e, tutt’intorno, in scritta
cubica: “benedizione perenne e favore persistente e beatitudine crescente al
suo possessore”. Don Pascale lo mirò.Lo mirò ancora.Lo baciò, lo fece
scivolare in una tasca della tonaca. Poi l’occhio suo cadde sul crocifisso
severo obbligato lì, sulla parete di fronte. “Signore, c’è bisogno”,
cincischiò l’ometto. “Tu sai quanto c’è bisogno, Signore mio”, soffiò,
“Vero che sai? Questa pioggia interminabile…”. Ma il Cristo, se possibile,
al terzo sguardo gli parve più accigliato di prima. Don Pascale allargò le
braccia e sbuffò,arrossì, annuì con le spalle curve. Levò la reliquia dalla
tasca e la ripose ben bene al suo posto. La mano non tremava più. Due giri di
chiave ed un’ ultima occhiata al Cristo ,“Signore mio…si, si, uomo
anch’io sono”, si scusò il prete. E, tra un inchino e l’altro retrocesse,
senza mai dare la schiena al crocifisso, verso il portone legnoso della chiesa,
battuto dal vento. Camminando come un gambero e, come un gambero, rosso.
Appena
fuori della chiesa Don Pascale notò il silenzio irreale intorno a lui. Non un
uccello cantava né un cane abbaiava. Il vento s’era chetato d’un colpo.
Nell’aria
echeggiarono le grida acute e disperate, ch’erano di cristiani. Don Pascale
indietreggiò e fu con orrore crescente che vide le quattro case raggruppate sul
costone opposto alla valle accartocciarsi tra pini e fango,ondularsi, ansimare
per un lunghissimo istante, in una frazione di secondo scivolare rotolandosi giù,
ammiccare fino alle pendici del monte e perdersi in un fragore che nulla aveva
di terreno, il fiume di fanghi sopra, a sudario. Don Pascale non emise sillaba
e, sacco vuoto di pensiero e speranze, occhi spalancati e vitrei e pallore
mortale, giunse le mani in sulla fronte, pregò finalmente d’anima per le
anime e, di preghiera, pianse a sìngulti.
Pardula, quel gattino smilzo regalato
ai bambini dell’Elvira dal dott. Alfonso
Fabbri, il veterinario continentale sposato a Lanusei con una bella e
onesta figliola del luogo conosciuta a Firenze durante il suo corso di studi;
grattava la porta per uscire (non ne voleva sapere di partire), miagolava d’
epicèdio ( con la bambina tra le braccia abbandonò cavallo e carretto in mezzo
al sentiero e i VorticiEolici alzarono vesti, e foglie e pensieri e scialli e
capelli) e a mezzo miglio da loro Iside Mureddu, vedova e attitadora*, e la sua
unica figlia, brutta d’aspetto e di modi che s’impiegava quotidianamente per
adeguarsi allo stato d’animo della madre; pregavano forte (“troppaacquatroppaacquatroppaacqua…”)
ad ogni grano del rosario ché la notte precedente Iside aveva fatto un sogno
strano, di mare e di morte. Pregavano per abitudine, fissando il centro della
parete di cucina come che il Cristo dovesse materializzarsi dinanzi loro da un
istante all’altro. Pregavano aspettando che passassero il vento e la pioggia,
e la paura, l’abitudine alla solitudine.
La
crepa tagliò in due la parete e ne seguirono altre in uno scricchiolìo
sinistro. Le mura grinzirono ed espandettero a fisarmonica, rivoli d’acqua
putrida colarono tra gli anfratti nuovi.La crepa s’allargò come una bocca
spalancata. Iside allungò la mano verso Gavina, non parlò e la guardò
soltanto e la parete di fronte esplose in uno schiocco come di sparo, le
travolse di fango gelido e mattoni.
SSSSSSssssh…vieni
fuori (e giù, nella valle, ecco un primo tumulto.E un secondo. Elvira si volta
e stringe forte al petto la bambina e la bestia nitrisce e parte col carretto
all’opposto del bosco, gli uccelli notturni si alzano in volo in gruppi
sparsi, la pioggia che picchia i cinghiali, nuvole e siepi)
SSSSsssssh
…non è l’uomo padrone (è il fiume che scalpita e ora scavalca, la pioggia
chè forte, più forte che arranca… Frantziscu e sos pitzinos*!)
Ssssssssh…chi
è padrone? Padrone è chi comanda (Tra i vetri e finestre e i tronchi e le
bestie… “Anna, svegliati…SVEGLIATI!” “Mà…ite ba*…?” “In su
troncu…toca, monta inie…DERETA!”. Anna, spinta dalla madre, s’arrampica
sul ramo alto del faggio…NaturaNaturaNatura, “PERCHE’,Signore?Dovevo
capirlo prima che stava per accadere…DOVEVO CAPIRLO PRIMA!”)
Sssssssh…adesso
sono io, Dio, e tu sei gatto e io sono vento e solo la terra può farti da
grotta, prima che l’acqua t’invada.
“Ma…BENI
MAMAI!”
(e
nel cimitero appena fuori del paese thia Pillotta ch’era lì a sistemare i
crisantemi al figlio defunto ulula alla convulsione improvvisa della terra sotto
i suoi piedi, cade all’indietro e la voragine si spalanca davanti, grande è
la crepa e dalla crepa zampilla acqua, schizza fuori più forte e le lapidi
rovesciano una ad una, cadono come birilli avanti e indietro e di lato sui vasi
e i graniti e i cipressi attorno s’ergono sbilenchi scoprendo radici che sono
denti neri e thia Pillotta stringe il capo con le mani e tiene gli occhi chiusi
e balbetta le ultime preghiere e l’unica statua del San Michele Arcangelo si mòve,
tentenna, è un boato e thia Pillotta apre gli occhi e vede che tra i sassi e il
fango le bare stanno saltando fuori delle fosse “GesusuGesusumeuuuu!” grida
ma non ha fiato e San Michele Arcangelo ancora trema, s’inchina, si spezza
alla base del tronco. Va incontro alla donna. E thia Pillotta l’accoglie.)
Elvira
punta la bambina in salvo sul tronco e in direzione della sua casa e il bosco,
il cielo con occhi, sensi spalancati da leonessa all’erta, punta l’aria e
l’odore Elvira, la pioggia…acqua…odora di acqua e morte e fango e fa per
lanciarsi verso la valle e il marito e i figli e il rumore e…
“MAMAI!”
Il
rombo
SssssssGaaaattoooooh…
.
Elvira
saltò sul tronco; unghie ficcate, piedi incespicanti sulla corteccia su, a
raggiungere Anna accovacciata in cima. Un istante prima che l’immensa onda
d’acqua e detriti arrivasse, in un rombo furioso, a mangiare terra e
cristiani.
Sssssssiiiiiissooscriistianoooos…
.
“NNNNOOOOOOooooooooo,
MALAITU SIAS, DEU!!!” ruggì
Elvira.
Passò
la notte e passò un giorno di pioggia, prima che i soccorsi poterono giungere a
salvare la donna e la sua bambina aggrappate fradice e stremate all’albero
immerso nei fanghi.
Passarono
ancora due notti prima che Elvira potesse rivedere ciò che restava della sua
casa e della terra d’intorno. E Mama de sa Suferentzia* cadde in ginocchio sul
deserto di fango, pietre e legni, non un cadavere da piangere, e strappò il
fazzoletto dai capelli e i capelli li strappò a ciocche e le ciocche le affidò
al fango perché potesse inghiottirle come i figli suoi, e a Iddio chè potesse
serbarle, battè i pugni sul cuore e allargò le braccia, crocifissa, il volto
alto al cielo, e fiero, nessuna lacrima, non un sospiro, né più un urlo suo
echeggiò. E così rimase, e rimase. E rimase.
*
* *
Bentu…*=
“Vento che carezzi questa terra risvegliata dal sole/che
nasce tra le montagne./Le antiche pietre ti conoscono bene/e si lasciano
trasformare dentro e fuori./Vento come l’alito di Dio sei dolce,/come la forza
di Dio sei impetuoso./ Vento fatti sentire come una melodia/che è la voce di
Dio che sento dentro di me./Sei un respiro che agita il mare/come soffio divino
che danza sull’acqua./Spirito impetuoso che fai tremare sradica gli alberi
dalla terra./Vento, tu che carezzi questa terra risvegliata dal sole…”
(“Su bentu” – canto della tradizione popolare sarda. ), Santu
Aine*= ottobre, S’Oleastra*= (o
Ollastra) L’Ogliastra. Sa terra…*= la mia
amata terra, Santa Maria di Navarra*=Il
Tenente Generale Angelino Usai, primo storiografo d’Ogliastra, così scrive
sul suo “Baunei”,Ed. Fossattaro, 1968: “La chiesa di Santa Maria di
Navarra sorge vicino al mare su una dolce collina ricca di colori e di profumi,
serena e tranquilla, fra olivastri
plurisecolari”. Il Fara così ne dipinse la storia, risalente al XI secolo:
“Altero deinde anno, nempe 1052, regis Navarrae filia, e
paterna domo rapta et tempestate in Sardiniam acta, sedes suas cum sociis
collocavit in regione Ogugliastri, ubi Sanctae Mariae, Navarrese indi dictae,
templum ab ea conditum adhuc cernitur. Has sedes postea ob malignitatem loci,
mutare coacta, in Arborensem regionem maritiman encontratae, Sancti Marci de
Sinis dctae, secessit et oppodum a Saracebis desertum incoluit”. Desidero a
questa notizia aggiungere, per il piacere del Lettore, una trista leggenda
riportata in un manoscritto conservato nella biblioteca comune di Cagliari;
“Cartulari de Arborea” – f. 55 V (cronaca inedita del 1585):
“Nell’anno 1036, il Re di Navarra indignato verso la figlia amatissima,
caduta in peccato d’amore con un cavaliere del Regno, dava ordine di
ucciderla. Poi, indotto dalle lacrime della Regina e di altri familiari,
consentiva che fosse esiliata presso certi parenti che stavano nel Levante. Così,
in compagnia di molti cavalieri e donzelle, la giovane partì. Le navi, sfuggite
ad una tempesta nel Golfo del Leone, approdarono in una località detta
Ollastre. Quivi sostarono per riposarsi. La giovane, affranta dai dolori e dal
viaggio, meditò allora di uccidersi prima che gli altri ripartissero, ma
essendosi confidata col suo precettore, questi, accordatosi con altri cavalieri,
fece scaricare dalle navi tutte le vettovaglie e gli effetti, prospettando
l’opportunità di prolungare la sosta per dar modo alla principessa di
riprendere forze. Poi di notte, valendosi di uomini fidati, fece affondare le
navi, così che tutti rimasero sul posto con la principessa. Dopo una diecina di
giorni, riuniti a consiglio, decisero di elevare una chiesa cui posero il nome
di Santa Maria di Navarra, e ultimata questa cominciarono a costruire le case.
Resisi però conto che la terra non era troppo buona, tutti, o quasi tutti,
decisero di partirsene; ed infatti postisi in marcia giunsero e si stabilirono
‘en contrada de Sancto Marco de Sinis’, ove erano molte case costruite dai
mori.”, Ammentava*= Ricordava, Fizos
‘e su…*= Figli del
demonio, Balentes*= sbruffone, prepotenti, Dengosas*= Noiose, lagnose, lamentose, (vogliose di
attenzioni) , Malumaladiu*= CattivoMalato,
Saliu*= Salato, Meschinu*= poverino
(semplice),‘e sa missa*= della messa, Pecore…*=
mi riferisco indirettamente ad una curiosa figura d’uomo, della quale
ho sentito parlare spesso dalle
vecchie del luogo e di cui ho trovato traccia nello stesso A. Lamarmora in
‘Itinerario di Sardegna’ del 1868: “Un antico parroco di Baunei, il
Rettore Marcello, è stato il primo a raccogliere una certa quantità d’idoletti
in bronzo nel territorio di sua parrocchia; questa collezione venne in seguito
collocata nel Museo particolare del Viceré, il Duca del Genovese (Rif. Carlo
Felice / Duca del Genovese, dal 1799 al 1821 -di fatto, solo fino al 1816- resse
la Sardegna come Viceré).Essa ha servito d’incominciamento alla bella e
numerosa serie degli idoli sardi, che attualmente formano il più ricco
ornamento del R. Museo d’Antichità di Cagliari”. Trovo interessante la
teoria di Angelino Usai, primo storiografo d’Ogliastra, in merito alla vera
identità del parroco in questione. Ancora da ‘Baunei’, 1968: “Finora si
era ritenuto che il benemerito Rettore fosse Don Pedro Josef Marcello Carta che
nel registro dei battesimi amministrati l’8 novembre 1768 si firma ‘Vicario
Parrocchiale della villa di Baunei y su annexa Triei’, mentre il 5 luglio
1790,nell’atto di nascita di Maria Efisia Murru, si firma ‘Rettore’. In
data 28 dicembre 1793 troviamo Vice Rettore di Baunei don Francesco Marcello,
che firma l’atto di battesimo di Giovanni stefano Incollu, mentre il 15
febbraio 1795, l’atto di nascita di Maria Grazia Murru è firmato dal Rettore
don Brontu Cadello. Il Lamarmora ha certamente commesso un errore, perché se la
raccolta degli idoletti fu fatta dal Rettore di Baunei egli avrebbe dovuto
scrivere ‘Don Carta’ o ‘Don Pedro Josef Marcello Carta’ e non ‘Don
Marcello’ (che era uno dei tre nomi e non il cognome del Rettore); se invece
voleva riferirsi na ‘Don Francesco Marcello’ avrebbe dovuto scrivere ‘dal
Vice Rettore Don Marcello’. A meno che non si tratti addirittura di Don Juan
antiogo Pau Marcello, che fu curato di Baunei nel 1740. Nella relazione del
primo battaglione, formato dallo stamento Militare e comandato dal Marchese
Rippoll Neoneli, è detto :’ oltre ai suddetti Capitani ed Assistenti di Campo
si presentarono spontaneamente in qualità di volontari senza menomo soldo …
Don Francesco Tolu di Seni (forse Seui –NU-), il quale presentò seco 15
uomini di Baunei, spesati dal M.to R.do Don Pietro Marcello, suo zio Rettore di
detto villaggio, coi quali prestò servizio finchè esistì il battaglione’.
Anche qui si è ripetuto l’errore di scrivere ‘Don Pietro Marcello’ anziché
‘Don Pietro Josef Marcello Carta’. A questo punto sorge il dubbio se sia
stato Don Carta a modificare il proprio cognome o altri che preferivano
chiamarlo ‘Don Marcello’ … . Il Reverendo don Pedro Josef Marcello Carta,
fu il primo a comprendere il reale valore storico ed artistico degli idoletti in
bronzo e, a differenza di altri religiosi che per toglierli alla vista dei
convertiti al cristianesimo li sotterrarono nelle chiese o li fusero per farne
campane, ne raccolse alcune diecine … fra questi bronzetti, che ebbero
illustrazioni anche all’estero, il geologo e paleontologo tedesco Georg
Munster riconobbe le figure del Dio Luno e Diana con stimoli siderali ai piedi,
la Venere di Cipro di Macrobio, la Dea Astante con i rapporti della luna e,
infine, la Luna e il Sole che rappresentano i due principi fecondatori”. Erriargius*=orti,
Riu*= fiume,
Sos
sirbones*= i cinghiali, Ilbono*=
paese dell’Ogliastra nuorese, Dominiga*=
Domenica, De
mannicare porceddu*= di
mangiare carne di maiale, su Taggéri*= vassoio
rettangolare di ontano o castagno, ancora molto usato nelle famiglie come piatto
da portata o di uso collettivo quando si tratta di mangiare carne arrostita o
patate o fave lessate col lardo, Tacculas*=
dolci tipici ogliastrini al mirto, De
su mundu…*= Del mondo intero/Sei speranza autentica e vita/ sei,
Maria, concepita/ senza colpa originale./ Il primo peccato, Eva/ compì per
disobbedienza/ l’Onnipotenza Divina/ ti ha preservata (conservata): /E grazie
a te ha risparmiato/ dalla distruzione (rovina- Rif. diluvio universale), Duncas…*=
Dunque per Pasquale Deriu e grazie a Maria, al Signore e ai cristiani in
primis; era fatta la sua giornata (il suo lavoro, la sua opera era compiuta.), su
mascru*= il maschio, Beozia*= la
bevanda, Sa tascedda*…= sacchetto di pelo
di capra a striscie alternate di colore grigio e nero, Camisòla*=
pellicola gentile che avvolge e tiene unite le due facce della ghianda,Impastera*=
conca di terracotta confezionata dai figuli di Tortolì (NU), Torco*=
argilla, Colatori*= passino , Murga
di…*= pezzo di tela di lino, lande cottu*= pane
di ghiande (si veda nota iniziale.),Cibo dei
maiali*= le ghiande sono cibo prediletto dai maiali,”Se
mamai…”= “Se mia madre lo vuole, lo voglio anch’io”, Sa
terra s’est…*= la terra tremava tutta, attitadora*=
prefica. L’usanza di ‘attitare’, cioè di tessere le lodi dei morti
prima della sepoltura, occupa una vastissima area di diffusione e sopravvive,
oltre che in Sardegna, in tutta l’Italia meridionale, nelle altre regioni è
quasi scomparsa. Il canto viene eseguito dai congiunti oppure da donne
(raramente da uomini) che posseggono bella voce e buona vena poetica per
improvvisare versi di cordoglio o, nei casi di morte violenta, d’incitamento
alla vendetta. Anticamente il canto funebre si svolgeva, in coro, anche in
chiesa, prima e durante la sepoltura. Pizinos*=Bambini
Ma…*= Ma…che c’è?, In su…*= Nel
tronco, forza! Monta lì, in fretta!, Beni…*= Vieni,
mamma! Nooo…*= Che tu sia maledetto, Dio.
Mama de sa Suferentzia*= Madre della Sofferenza.
Jim McCarter aveva mani da musicista.
La
prima cosa che in Sandy Ann aveva provocato un certo turbamento durante il primo
incontro col futuro marito, erano state proprio le mani di lui .
…E
nella situazione c’era ben poco di emozionante. Fuori dello Store un incidente
stradale aveva coinvolto un Taxi, uno scuolabus ed un centauro norvegese,
volgare e sbraitante. Sandy Ann che dall’interno, con la coda dell’occhio e
attraverso la grande vetrata, assisteva alla “scena del centauro” (
disarcionato dalla sua Harley faceva gestacci e sbraitava in vichingo epiteti
verso autisti, passanti e bobby) e contemporaneamente tirava calci alla
macchinetta delle bibite perché, per l’ennesima volta, si era mangiata le sue
brave due sterline e mezzo senza in cambio rilasciarle la lattina di Diet Pepsi.
Jim, che s’aveva goduta la scena astenendosi dal fare commenti, era infine
scoppiato a ridere di gusto.
-E
lei che diavolo ha da ridere?- l’aveva minacciato un’Ann rabbiosa che
lasciava comunque trapelare tutta la sua vulnerabilità con le braccia serrate
al petto e gambe fasciate dai jeans, divaricate da guerriera .
-Lasci
stare, signorina.Probabilmente preferisce una mano maschile-
Sotto
l’espressione che ora oscillava tra l’ironico ed il perplesso di Sandy Ann,
Jim era riuscito ad ottenere, con una semplice pressione del pulsante di
selezione, la lattina di bibita incriminata.
-A
lei.
Lavoro
al Change dietro l’angolo e purtroppo ho a che fare quotidianamente con Diane-
-Diane?-
-La
macchina.In ufficio la chiamiamo Diane…un nome aristocratico,sa.
Perché
non ama concedersi facilmente-.
Ann
aveva accennato un sorriso, infine era deflagrata in una sonora risata buttando
all’indietro la lunga massa di riccioli selvatici.
-Credo
sia semplicemente masochista, la sua Diane-
-Mmmmh.
Ama le maniere forti.
Ma
con noi del Change ha trovato pane per i suoi denti. Rendere l’impossibile
possibile è
il nostro motto-.
Si.
Jim
McCarter aveva mani da pianista ed ora, quelle mani, sfioravano i petali rosso
fuoco di una delle tre rose poste a centrotavola tra calici e caraffe di Cristal
d’Arques, porcellane Limoges e posateria d’argento.
Il
maitre in smoking e fascia di seta nera in vita guidò la donna in un’elegante
gimcana tra un tavolo e l’altro, divisi da gustosi e rari separé di lini
decorati d’ Hong Kong. Il locale era illuminato a giorno, profumava
d’incensi alla lavanda e patchouli, cera bruciata e lusso.Un violinista sulla
quarantina con camicia candida, gilet e baffetti perfettamente disegnati
allietava i clienti cogl’accordi dolci de La Vie En Rose. Sandy Ann ne notò
le unghie macchiate di nicotina.
Jim
le lanciò uno sguardo ammirato e fiero. S’alzò dal tavolo, fece un cenno di
capo al maitre che si ritirò annuendo e spostò la sedia per farla accomodare.
-Sei
bellissima-, le bisbigliò in un orecchio e lei ridacchiò, rabbrividendo
compiaciuta.
Sedette
anche lui, sistemò il nodo alla cravatta. La fissò.
Ann
si accorse subito dell’espressione tesa dell’uomo.
-Sei
sicuro che va tutto bene, Jim?-, osservò finalmente.
*
* *
Tutte le ombre della cantina, per uno strano gioco di prospettiva, le apparivano
distorte e spaventose.
All’esterno
(fuori)
udì
il rombo di un tuono.
Virginia
sapeva che un solo indizio di debolezza da parte sua in quel momento avrebbe
potuto rappresentare la fine definitiva della sua sanità mentale.Tre isolati
appresso al suo, appena svoltato l’angolo che dava sul parco giochi intitolato
a R.L. Stevenson “Padre Amoroso della letteratura d’avventura e dal fascino
ambiguo, di forte tensione morale,
Edimburgo 13.11.1850 – Upolu 3.11.1894”; c’era la vetrina di un
negozio chiamato frigidaire
dove Virginia, il pomeriggio di qualche giorno prima (mentre sua madre
schiacciava un pisolino), aveva adocchiato un abito che non era niente male.Una
specie di tubino. frigidaire. Che nome strano.Non l’avrebbe comprato mai, quel
tubino, né avendo i soldi per poterlo fare e neppure avendone la misura giusta
che, almeno dalla vetrina, doveva essere quella di una terza di
reggipetto.Minimo. E il petto di Virginia, ora come ora, pareva avesse mandato
tanti saluti al mondo. Comunque il tubino originale frigidaire aveva una stampa
che alla bambina era piaciuta moltissimo.Aveva i fulmini.Tanti piccoli fulmini
neri su fondo giallo .Una lacrima sgusciò dalle ciglia, le colò sulla guancia.
Si. Era un bel tubino; molto allegro. Bello da avere nell’armadio più che da
indossare di modo che una mattina, non avendo nient’altro d’importante da
fare, si apre l’armadio e si dice “ tò, il tubino”.E si fissano i fulmini
del tubino. Fulmini.Cielo. Aria. Libert… .
Virginia
strinse i denti. Un borbottìo indistinto al basso ventre le ricordò che era
viva.Ancora.E che aveva fame, una fame terribile.Avvertì un fruscio lesto sui
piedi. Potevano essere i topi.Ma non ne era sicura. (potrebbe essere…una
folata di vento,ad esempio.Vento e non zampine di…)
-La
finestrella della cantina è chiusa-, mormorò Virginia per udire un suono
familiare alle proprie orecchie ma l’effetto che ottenne fu solo quello di una
vocetta aliena, stonata e gracchiante.
(Va
bene. La finestrella è chiusa.Ma per tutti gli angeli del cielo…potrebbe
essere anche il gatto della signora Smith; quella che ha la casa di fronte al
Drugstore.Rammenti la signora Smith, Virgi?).
Virginia
annuì.
(Okay.
Quante volte hai sentito tua madre gridare alla signora Smith di stare ben
attenta a non fare più entrare quel maledetto gattaccio nel suo pezzo di terra
o gli avrebbe strappato i peli uno ad uno con le sue mani? Può darsi che oggi
il maledetto gattaccio sia riuscito ad intrufolarsi non solo in giardino ma
anche nella cantina perché sai com’è, cara,la cantina è piena di topi e i
gatti sono stati creati per cacciare i topi).
Virginia
lasciò che le lacrime avessero la meglio.La gola secca le faceva male.Aveva
sete e un mal di pancia terribile, le dolevano anche i polsi, proprio nel punto
dove sua madre
(non
era in lei)
aveva
avvolto
(pazza.quella
donna è)
il
fil di ferro
(pazza).
Si
sforzò di smettere di piangere, possibilmente di NON PENSARE per non peggiorare
le cose.
(Ann)
(ANN)
(
A N N !)
Aiutami
Ann aiutami ti prego!
Ancora
un fruscio.Buio.E silenzio. Virginia pensò di offrire la mano. Già. Fosse
stato necessario, ai topini simpatici, avrebbe offerto la sua manina.
Sacrificata, come quel tizio di cui aveva parlato la signorina Jefferson…come
si chiamava? Muzio Scevola.Un poco a te e un poco a me. Poi basta perché, cari
miei, il resto mi serve.Per vivere. Per continuare a vivere.E a sperare.
Sua
madre non l’aveva neppure picchiata. L’aveva semplicemente acchiappata per
il bavero della giacchetta.
(-Dov’è
Ann?-
-N….non
lo so, mamma-
-Siiiiiii,
che lo sai-
-Mamma-
-Siete
due bambine cattive.MOLTO
cattive. Come vostva nonna e vostvo padre-
-N…o-
-Siiiii
che è così.Cattive.E le bambine cattive stanno coi topi-.).
Virginia
se la figurò inarcando come al solito le sopracciglia nel modo altezzoso tipico
di chi è perennemente convinto di
dichiarare la sacrosanta verità.E sospirò.Un altro tuono.Buio.silenzio.(Ticchettare
sui vetri?) pioggia.Ticchettare ritmico della pioggia sul vetro.
Intravide
una sagoma più scura in fondo alla cantina.
Apparve
la luce fioca e tremolante di una candela, la figura entrò. Le altre ombre
danzarono attorno ad ogni suo passo.
Selena
Howard andò a sedersi nella sedia a dondolo in mezzo alla stanza, tra ad una
lunga pila di vecchi libri ed un consunto orso Teddy rovesciato da un lato, col
suo bel papillon a fantasia scozzese ed una zampa strappata.
Virginia
sentì la pelle d’oca correrle su braccia e schiena.Gemette.
-Non
sei stata una bvava bambina, Vivgi baby-
-Mam…ma-.
Selena
dopo un lunghissimo silenzio cominciò a far dondolare la sua poltrona.
-Voi
non volete bene alla vostva mamma-. Raccolse l’orsacchiotto, passò le dita
sul morbido peluche e fissò la bambina legata al canterano con doppia passata
di filo di ferro. E Virginia s’accorse che la follia si era completamente
impossessata di sua madre.Ann Ann Aiutami Ann dove sei vieni a prendermi vieni a
distolse
lo sguardo dal volto coi tratti corrotti, occhiaie vistose e trucco sbavato,la
pelle tagliata da graffi profondi e il sangue raggrumato in più punti.
“Nessuno
mi vuole bene”, lesse Virginia suo malgrado in quell’intrico distorto
ch’era divenuto la mente della donna.
-Mamma…-
bisbigliò Virginia. Tentò di muoversi ma non ci riuscì. Se solo avesse potuto
abbracciarla, se solo avesse potuto! Tante volte, in passato, durante una crisi
più forte delle altre di sua madre l’aveva consolata stringendola a sé, come
fosse lei l’adulto e non una bambina terrorizzata dalla vita e di soli undici
anni…se solo avesse potuto. Tentò di divincolarsi dalla morsa ferrosa
ricacciando in gola un grido di dolore.Niente. L’odore di umido e muffa si
fece forte,insopportabile.Svenne.Riemerse dall’incoscienza senza sapere quanto
tempo fosse trascorso, nulla era cambiato. L’odore era ancora insopportabile,
non riuscì a trattenere un conato. Si voltò di lato e vomitò convulsamente
liquido biliare e sangue, sporcando quel che restava di pulito della sua tuta e
la camicetta bianca preferita dalla mamma che non battè ciglio. Ora le guance
chiazzate di porpora di Virginia si fecero giallastre. Poi bianche. Sgranò gli
occhi.
“Seistataunabambinamoltomoltocattivavivginiavivgibabyechiècattivononmevitapvopvionientedallavitasi.iosonoimpevfettapevciononmiamanessunoetupovevinalamiabambinafavailamiastessafinesipevoiononlopevmettevòpiccolavivginiamia”
-Mamm…a,
ti prego-, esordì cupamente Virginia con le ginocchia indolenzite e
sanguinanti, -Io ti capisco, mamma.E ti voglio bene e te ne vuole anche Sandy
Ann
(Aiutami
Ann aiutami ti prego aiutami Ann)
ma
è che tu sei…-
(pazza)
-…Sei
malata, mamma.Hai bisogno di curarti e-
Ma
Selena Howard aveva raggiunto il confine. E valicato.
Si
erse dalla poltrona a testa china come un toro pronto alla carica, raggiunse la
figlia con passi strascicati.Alla luce della luna che filtrava da una fessura
sulla parete sinistra, Virginia notò dell’intera silhouette solo le mani, coi
dorsi ricoperti malamente di garza e cerotto macchiati.
AnnAnnAnnAnnAnnAnnAnnAnnAnn
-MAMMA!-,
gridò. Si agitò goffamente sul freddo della superficie granitica grassa e
polverosa e Selena proruppe in una risata acidula che le gelò il sangue.
“nonavevepauvacavafinivatuttopvestoepoistavemobenefinalmentebenesisisis..”
Virginia
la guardò a bocca aperta e fu pervasa da un forte senso di déjà
vu.Visto.Tutto già visto come in un film; letto e riletto nella testa di sua
madre ogni volta che, per puro sbaglio, ci aveva fatto capolino. Hey, ciao mà,come
va? Tutto okay,Vivgi baby. A pvoposito, sai che ho una tevvibile voglia di
AMMAZZAVTI? Pevchè ho pevse le votelle,cava.Ho vevamente pevso le votelle e non
cvedo pvopvio che sentivò la tua mancanza.Sandy Ann l’aveva
previsto, l’aveva detto
Dove
sei Ann?
e
lei non aveva voluto darle retta
Ann!Ann!
Era
solo colpa sua e sua madre…
Non
è più lei Ann dovresti vederla Gesù non è più lei!
Le
dita di Selena, imbrattate di sangue coagulato artigliarono il collo della
bambina ficcando le unghie nella carne.
Fu
in quell’istante che i vetri della finestra esplodettero in uno schiocco, la
porta rovesciò in avanti
e nello scantinato irruppero varie forme in ordine sparso.
-SELENA
HOWARD!- intimò il capo degli agenti, un nero sulla sessantina,alto e robusto,
puntando la pistola. -GO! GOOO!- urlò e fece cenno con la mano libera perché
gli altri circondassero la donna.
Selena
li scrutò di sbieco, vacua, mentre Sandy Ann correva ad abbracciare la
sorella.Ma prima che la squadra potesse intervenire le mani della donna ebbero
un guizzo e apparve una scheggia di vetro.Un fiotto di sangue investì Virginia
in pieno viso e la testa di Selena si staccò parzialmente dal collo, ciondolò
sul corpo e si rovesciò all’indietro.
-God
Damn’t!- Mormorò uno degli agenti, bocca aperta e occhi sgranati.
“final…mente”,
pensò Selena Howard prima di morire.
-NOOOOOOOO
NOOOOOOOO NO;NO,NO,NOOOOO- singultò isterica Virginia e a Sandy Ann il fiato
smorzò in gola, coprì gli occhi della gemella con le mani
-ssssh.shhh,ssssh,
Virgi Virgi Virgi è finita è finita è finita Oddio è finita!!!-
-Le
bambine, Cristo! PORTATE VIA LE BAMBINEEE!!!- ululò l’ispettore Hewitt agli
agenti.
Virginia
pianse isterica per ore, terrificata.
Per
aver perduto l’unico amore che fino a quell’istante le era stato concesso di
conoscere.
*
* *
Ann nascose il viso tra le mani e chiuse gli occhi senza muoversi, respirò
appena.
-…In
seguito, le nostre strade si divisero definitivamente-, sussurrò, fissando il
petalo screziato della rosa e deglutendo a vuoto.
-Virginia
venne data in affido ad una coppia di coniugi senza figli, gente timorata di
Dio, mi venne riferito. Marito e moglie trasferitisi in un secondo tempo
nell’Arkansas in una fattoria lasciata loro in eredità da uno zio della
donna.
Io
venni adottata dalla signorina Jefferson. Ma queste sono cose che sai già.-.
Jim
posò una mano sui capelli setosi di lei, annuì in silenzio.
Sandy
Ann ebbe un debole sorriso.
-Inizialmente
ci scrivevamo tutti i giorni. Rammento che quando passava il portalettere e
pedalava veloce perché…perché c’era Rhum, il nostro bastardino che ogni
santissima volta gli abbaiava appresso bhè; rammento che correvo anch’io e
spalancavo la grande porta verde e Gesù…poteva venire giù la neve o la
pioggia o tutta l’IraddiDio ma io ero lì che aspettavo la lettera della mia
Virgi.-
Represse
un singhiozzo. Aprì la pochette argentata, levò una sigaretta e la portò alle
labbra.
-Un
giorno, all’improvviso, la grande porta verde della signorina Jefferson
divenne più piccola e Rhum tanto vecchio da non riuscire più a correre
appresso allla bici di Mister Quickly.
R…rientravo
dal college, quel giorno. Era la vigilia di Natale e tutto era così illuminato;
le strade, le vetrine e la gente. Chissà perché sotto Natale ti sembrano tutti
più buoni e belli…che sciocchezza.-
La
mano di Ann prese a tremare impercettibilmente.
Sbuffò.
-Fortuna
che ho smesso di fumare.-. Tolse la sigaretta di bocca.
-Erano
tutti più belli. La sera prima avevo avuto il mio primo appuntamento e quasi mi
dispiaceva non poterlo rivedere subito, le sera appresso…anche se era la
vigilia. Lui si chiamava Danny, aveva diciotto anni e una Cabriolet scassata e
per me, appena quattordicenne, era bellissimo. Non vedevo l’ora di dirlo alla
signorina. Sapevo che avrebbe sorriso dicendomi “sono davvero felice per te,
Ann.Però stai molto attenta.Ti ho già parlato di…certe cose,no?”. E
sarebbe arrossita al posto mio.
Alla
vecchia bottega di Mr Paper, tra la ferrovia e la banca, comprai un pacchetto di
gomme da masticare alla menta piperita e rosa, volevo assaggiarle perchè le mie
amiche ne parlavano tanto; le pubblicizzava alla radio quel sosia di Elvis, quel
Woolf che ballava così bene!-
Ann
rovesciò il contenuto della borsetta sul tavolo, raccattò il rossetto e la
cipria, un flacone di Matricaria Chamomilla concentrata in capsule monodose. Ne
ingollò due, buttò giù mezzo calice di Evian gassata.
-Avevo
addosso, sotto il cappotto, la nuova maglia siglata dai Chicago Bulls…portata
dalla grande mela e solo per me da quella pazza d’una yankee Mary “Cherry”
Rhoad. Regalo di Natale alla sua amica di studi. La prima della classe in
letteratura inglese.
Non
la cambiavo da due giorni la felpa, volevo che la signorina Jefferson la vedesse
e mi dicesse “quanto sei cresciuta stavolta, Ann? E quanto sei diventata
bella!”. Ogni volta lo diceva.
Trovai
il vecchio Rhum che guaiva furiosamente fuori della porta d’ingresso.
“Rhum,
piccolo…bentrovato!”, dissi. “Che ci fai sbattuto qui, in mezzo alla
neve?Oggi è la vigilia”, dissi, “e devi essere felice anche tu”.
Poi
guardai gli occhi lucidi del cane e sentii. Dentro me sentii qualcosa. Non
chiedermi perché o come lo sentii perché non saprei dirtelo. Entrai e pensai
ch’era strano che nell’aria non ci fosse il solito profumo di tacchino al
forno. No. Salii le scale. Ma …ma non arrivai neppure alla cima della rampa.
La signorina Jefferson era lì, tra il decimo e l’undicesimo scalino. Seduta.
Era seduta con gli occhi aperti e una mano adagiata sul petto, il capo chino
sulla parete. Era bellissima e sembrava…sembrava sorridesse Jim. Sembrava
bisbigliarmi “scusami tanto, Ann cara, se non ce l’ho fatta ad aspettarti.
Ma l’avrei voluto, questo si.Vai avanti tu, per me, cara”. Il medico legale
diagnosticò che era morta da quattro ore. Un infarto. “non ha sofferto”, mi
disse, “e’ stato tutto molto veloce”. Come che uno non senta comunque che
è arrivata la sua ora, veloce o meno.
Anche
se breve, ricordo il periodo passato con la signorina Jefferson come il più
bello della mia vita. Il più sereno. Ma come tutte le cose belle, è finito
troppo in fretta.
Di
mia sorella non seppi più nulla. Ad un certo punto non ricevetti più sue
notizie, il signor Benson e sua moglie mi parlarono di cattive compagnie, di
strade lontane dalla luce del Signore intraprese da Virginia. Qualche tempo dopo
venni a sapere indirettamente di un ulteriore cambiamento di residenza della
famiglia Benson ma all’ufficio informativo della Contea non seppero o non
vollero dirmi altro in merito…insistetti per anni ma fu inutile.
Personalmente
credo che Virginia abbia voluto tagliare i ponti col suo passato e col dolore
che questo le ha provocato. E il suo passato includeva…anche me.-.
Gli
occhi sfocati fissarono un punto imprecisato nello spazio.
-Usciamo-,
mormorò.
-Come?-
Sandy
Ann sorrise. Tese il dito indice e il medio, li mosse avanti e indietro.
-Camminiamo,
signore. Le va?-
-E
l’ordinaz…-
-Un
panino. Ho voglia di mangiare un panino. A lume di candela, parbleu-
-Okay,
okay- fece Jim con uno sbuffo, allentando il nodo alla cravatta.
-So
che se non venissi lo mangeresti comunque, il tuo panino. Magari offrendone uno
anche al primo barbone che incroci per strada.-
L’altra
sorrise: –Mmmmh, è un’idea.-.
Al
giovane cameriere che si avvicinava col vassoio degli aperitivi Jim dissentì
col capo.
-Signore?-
-Un
imprevisto e dobbiamo andare, Robin. Mettete sul mio conto, grazie-.
Il
ragazzo scrutò di sbieco Sandy Ann.
-Benissimo
signore-, replicò.
Uscirono
nell’aria fredda della sera, costruendo nuvole col respiro.
-Benissimo
signore- scimmiottò Ann con la voce in falsetto.
-Fà
il suo lavoro-
-Non
lo sopporto, quel Robin. Questione di pelle. E lui non sopporta me. Abbiamo
stesse origini plebee, dopotutto. Forse non gli va che lui, nonostante questo,
debba essere il cameriere mentre io…la signora. Non mi abituerò mai a…a…-
-Ne
abbiamo parlato mille volte, Ann. Ho un nome ed un ruolo da sostenere a Londra-
-Ma
ce la farai?-
-Che
vuoi dire? Attenta alla pozzanghera.-
-Ad
avere accanto per tutta la vita una gatta selvatica come me?-
L’uomo
si fermò,costringendo la compagna a fare lo stesso. Le sfiorò dolcemente la
guancia con una carezza.
-Guardami
negli occhi, gattina-
Ann
sorrise. –Mmmmmh. Ti guardo.-
-E
tu ce la farai?-
La
donna fece spallucce, strinse forte la mano di lui ed il sorriso si allargò.
-Penso
che dovrò farcela-
-Ti
amo.-
-Anch’io
ti amo…calzette bianche-.
Scoppiarono
a ridere.
-Allora,
dove si va?-
-McDonald’S?-
-Huuuuuuh.
Roba fine-
-Vai
al diavolo, Jim McCarter-
-Okay.Vada
per McDonald’S. Dopo non sorprenderti se, in piena digestione, non risponderò
delle mie azioni-.
Ann
tentò di colpirlo sull’avanbraccio col pugno. Jim deviò il colpo, le passò
il braccio attorno alle spalle. Camminavano rasentando il marciapiedi, ogni
tanto accostando i volti in moto inconsapevole, lasciandosi aprire il varco
dalle luci basse e calme dei lampioni, in silenzio.
-Voglio
sapere perché hai insistito tanto per…sapere-, esordì seria Ann.
-Sarebbe
strano il contrario visto che fra cinque mesi devi diventare mia moglie.-.
Jim
McCarter sbuffò. –Capisco benissimo che è una fetta della tua vita che non
vuoi ricordare, Ann. Lo so. Non ti amerei come ti amo se non lo sapessi. E ho
sempre accettato per questo motivo che tu non me ne parlassi. Ma adesso, se le
cose stanno come penso io, sarai costretta a ripensare al tuo passato più
frequentemente di quanto credi.
E
non significa che sarà spiacevole farlo.-
-Cosa
intendi dire?-
Erano
arrivati dinanzi i tre piani vetrati ed illuminati a giorno del McDonald’S. In
mezzo al rumoroso viavai di vetture, autobus e taxi neri; Jim la tirò verso una
panchina ferrosa, isola modesta e circondata da etnie in continuo, nervoso
movimento.
-Vieni,
Ann. E’ meglio che siedi-. Lei obbedì come un automa.
Jim
la scrutò con amore, le spostò una ciocca ribelle dalla fronte alta.
-Durante
la pausa pranzo, stamani. Alla mensa.
E
pensare che normalmente del Times sfoglio solo la pagina di borsa-
-Deformazione
professionale. ‘Mbhè?-
-Era
appena un trafiletto, Ann. Mischiato ai necrologi e le previsioni del tempo. Mi
sarebbe sfuggito se non vi fosse caduta della senape…accidenti a me e alla
senape-
Ora
Ann lo fissava con aria apertamente interrogativa.
-La
prima cosa che mi ha colpito, nella foto, è stata l’incredibile somiglianza
con te. Si parlava di una donna, una certa Virginia Benson di trent’anni-
-VIRGINIA!-
-Ascolta,
Ann.
Lei
è a Londra. In sala rianimazione al Saint James Hospital. A quanto pare si
trova in città già da una decina d’anni-
-Virginia-,
bisbigliò Ann.
Eri
qui e sapevi che ero qui.E non mi hai cercata. …Mai.
Chiuse
gli occhi. Il tono si fece duro, l’espressione contratta.
-Perché
in ospedale?-
-Ecco,
sai come sono i cronisti. Arricchiscono sempre gli articoli di tanti di quei
fronzoli che magari-
-Perché?-
-Ha
subìto un grave choc. Suo figlio si è suicidato in casa. Si è impiccato ed è
stata lei a trovarlo.Vivevano loro due, soli, in uno squallido bilocale
affacciato sui Docks-
-Ges…-
-Sarebbe
morta d’inerzia col cadavere del figlio nella stanza accanto se l’odore non
avesse richiamato l’attenzione dei vicini. E’…lei è in condizioni
abbastanza critiche-
-Che….che
vuol dire ABBASTANZA CRITICHE, Jim?-
-Vuole
dire che è in grave stato di denutrizione e assuefazione. Ha ingollato soltanto
Valium e alcool per quasi quattro giorni-.
-Oh
no- esclamò Ann, con la vista improvvisamente offuscata e le guance albine,
gelide.
Una
folata di vento sollevò un turbine di foglie secche, rami e carta di giornale.
Ora
gli occhi di Ann scandagliavano la notte.
-Virgi-,
mormorò.
Virginia dormiva con una copia stropicciata di Vanity Fair abbandonata sul
grembo. La rivista si sollevava e riabbassava al ritmo composto del suo
respiro.Un’infermiera di colore bassa ed esageratamente tozza armeggiò con
l’ago della flebo e la garza.Virginia non si mosse. L’infermiera requisì
lestra il Vanity Fair. Lasciò la camera affievolendone le luci. Virginia udì
il ciabattare strascicato lungo il corridoio. Sollevò il plaid fino al mento,
pregando per morire.
Sandy Ann posteggiò l’auto nelle budelle sotterranee che erano le
21.15. Attese l’arrivo dell’ascensore insieme ad un ragazzino biondo e
grazioso con berretto e divisa da college, zaino sulle spalle e Il mondo di star
Trek rilegato
in brossura tra le mani. Le porte dell’ascensore si spalancarono.
-Piano?-,
domandò Ann distrattamente.
-Ventiseiesimo,
grazie-.
Silenzio.
Undicesimo,
dodicesimo.
Come
stai, Virgi?
Il
ragazzino soffiò il naso.
Diciassette.
Uno scossone. Le porte si aprirono.
Un
infermiere meticcio coi capelli raccolti in una coda di cavallo e sigaretta al
mentolo tra le labbra.
-‘Sera-,
mugugnò, dando la schiena ad entrambi. Prenotò per il ventiquattresimo.
Ventidue.
Il
collegiale ravviò un ciuffetto da sopra l’occhio destro.
Ventiquattro.
Scossone.
-‘Sera-
mugugnò il meticcio. Gettò la sigaretta ed uscì.
Venticinque
Come
stai Virgi?
Ventisei.
Scossone.
-Buonasera,
signora-, salutò diligentemente il ragazzino.
-buonasera.-.
Ventisette
Ventotto.
Scossone.
Ann
imboccò un lungo corridoio stretto dalle pareti verde acqua. Dietro un angolo
il corridoio s’allargò a spirale, su entrambi i lati le camere in fila come
reclute, odore di detersivo per pavimenti, caffè brasiliano ed alcool. Dalle
stanze chiacchiericci e pianti sommessi, televisore mignon acceso su La Ruota
Della Fortuna. Un carrello di medicinali in un angolo, alla destra tra la cabina
di un telefono a scheda e un ficus sparuto di almeno mezzo metro di diametro.
Poster malamente affisso su Droghe e C.., allieva infermiera rossa e snella,
penna e block notes in mano. Sguardo torvo. Infermiera nera e grassa, copia di
Vanity Fair sotto il braccio e siringa sterile in pugno, ciabattone da
desaparecida. Sbirciata attraverso i vetri delle camere.
-Signora?-
Sandy
Ann trasalì.
Era
l’infermiera grassa con le ciabatte deformi.
-L’orario
delle visite è passato da un pezzo-
-Lo
so, mi scusi.E’ che…cerco Benson.Virginia Benson…l’articolo sul Times…è
mia parente e-
-Si-,
tagliò corto l’altra scrutandola da capo a piedi con vivo interesse. Non le
scappò la straordinaria somiglianza tra le due giovani donne.
-Si-,
ripetè, -La bella addormentata. Ho sentito dire che il mondo non è stato molto
gentile con lei, ultimamente. Mi segua. Le farà piacere avere un po’ di
compagnia; da quando è buttata su quel letto non ha ricevuto neppure una
visita…se un certo bancario non avesse pagato per l’assicurazione anche
l’assistenza sanitaria le avrebbe dato il benservito.-.
Ann
ringraziò mentalmente Jim, e per l’ennesima volta in quella giornata.
-Venga,
venga. Spesso le parlo…fesserie, sa. Quattro chiacchere tanto per tirarle su
il morale ma è difficile. Quell’uccellino ha perso le ali, creda a me signora
e se glielo dico io può crederci. Parola di Claretta Bloom che di gente pronta
a camminare sui cornicioni ne ha vista tanta. Ai problemi sono bella vaccinata,
signora mia.Come lavare i deretani, ad esempio. Dovesse vedere la faccia di
certe allieve,oh signore!
‘E
quando dovrete lavare i santissimi di vostro marito, come la mettiamo?’, dico
io. Ma i giovani non danno retta a nessuno. Se vogliono lavorare in questo posto
–e ne ho visti di peggio,altro che crepe sui muri e blatte nei cessi!- le
signorine Alice Nel Paese Delle Meraviglie devono imparare a lavare i deretani.
Comunque questo pomeriggio sono riuscita a farle cadere in pancia due cucchiai
di sbroda. A sua sorella, intendo.
E’
sua sorella, vero?-
L’altra
annuì pensierosa.
Svoltarono
l’angolo.
-La
camera è quella laggiù. Ha la fortuna di avere una reggia tutta per sé, la
bella addormentata. Una stanza discreta. Bhè, forse un poco triste…ma mi dica
lei dove mai ha visto una camera d’ospedale allegra. Accidenti. Più passa il
tempo e più mi accorgo di quanto sia difficile lavorare in questo posto ma
tant’è. Sette figli da mantenere, signora mia. E un marito che fa davvero il
marito una volta l’anno e torna a casa solo per dormire.
Per
bere gli basta stare fuori.
La
mia primogenita è morta di overdose. L’anno scorso di questi tempi, che il
Signore abbia pietà della sua anima. So bene cosa prova la bella addormentata
ma bontà sua, deve farsi forza. Nessuno può e vuole farlo per lei. Eeeeh, il
mondo è
dei vincenti, cara mia.Come quella canzone dei Queen, ricorda? We
are the champions. Già già. A mia figlia piacevano molto, I Queen. Ecco
la 401c. Faccia in fretta perché se ci passa il dottor Kildare in questione
sono casini. Soprattutto
per me.
Al
dottor Kildare le infermiere piacciono alte e bionde.
Ah,
signora-.
-Mi
dica-.
L’infermiera
indicò la stanza con le pareti screpolate verde muffa. Accennò un sorriso
vago.
-Appena
esce da qui la porti su quel
lago. Mentre dorme parla sempre di un lago conosciuto da bambina. La
porti su un lago a dondolare la sua brava barchetta di carta e a pescare qualche
bel pescione benedetto da Dio, sotto il sole di maggio.
Le
farà bene, creda a me-.
Sandy
Ann si sforzò di sorridere, annuì.
Fissò
la porta e la vetrata.
Distolse
lo sguardo con timore, quasi con fastidio.
Sarà
felice di vederti, Ann.
Deglutì,
avvertendo la secchezza insistente alla faringe.
Prendi
lucciole per lanterne, cara mia.
Come
può esserne felice?
Una
vita. E’ una vita che non ti vede e posso davvero assicurarti che in cuor suo
non ne ha sentito minimamente la mancanza.
Indugiò
sulla soglia.
Dentro
la luce era bassa, appena percettibile. Se l’avesse trovata addormentata, bhè,
se l’avesse trovata addormentata Ann avrebbe lasciato che continuasse a
dormire.
Semplicemente.
Silenziosamente.
(“La
porti sul lago”)
No
problem. La porterò sul lago, signora Clara Claretta Bloom.Certo che la porterò.E
l’aiuterò.
Ma
siamo certi che lei voglia essere aiutata?
Sandy
Ann finalmente s’affacciò all’uscio. Profumo di cedro. Pareti verde
smacchiato e una crepa accanto ad un’orribile stampa di paesaggio inglese con
due due? Dame che prendono il the in mezzo ad un prato.
Tenne
gli occhi incollati alla stampa senza accorgersi di aver cominciato a stringere
troppo forte la catenella dorata appesa al collo ed in particolare il ciondolo
di questa; un unicorno alato.
-Ciao,
Ann-, sussurrò una voce dolcemente afona, nel buio. Ann avvisò una falciata
alle gambe che presero a tremolare, inquiete.
-Vienimi
vicina, Ann-.
In
quel letto giaceva la Bella Addormentata. Che non vedeva da una vita.Quella
ribattezzata da sua madre la Bvava Bambina.
Titubante
staccò la mano dal ciondolo nel momento stesso in cui
Vide
sua madre flettere gli arti per balzarle addosso.
Sandy
Ann soppesò il sasso sulla destra, portò il pugno indietro e fece partire il
proiettile con quanta forza aveva in quei muscoli di bambina.
Il
sasso colpì il bersaglio ad una coscia. Selena Howard mugolò di dolore, vacillò
incespicando sull’orlo fuori misura dela vestaglia di cachemire nero. Cadde
lunga distesa sul pavimento con la luce della luna ad illuminarle irregolarmente
la schiena, i capelli radi e sparsi sulle spalle.
Nella
tasca posteriore dei calzoncini rosa il ciondolo dell’unicorno alato pareva
pulsare di vita propria..
(brava
Ann.Le hai dato ciò che meritava).
Sandy
Ann prese coscienza solo in quel momento di ciò che aveva fatto. Strabuzzò gli
occhi e s’inginocchiò bruscamente al fianco della madre.
-Mam…ma-
sussurrò in un soffio.
(le
hai dato ciò che meritava.E forse l’hai anche uccisa.Ooooh, si,baby Ann
Baby.La tua piccola e cara coscienza sporca ti fa notare, nel caso non te ne
fossi ancora accorta, che la mammina dolce è FERMA.Respira? Non ti saprei dire
ma forse l’hai uccisa.FATTA FUORI, come dice quell’idiota di Vincent Cody
quando accoppa una mosca. “l’Ho fatta fuori, Ann”.Hai fatto fuori tua
madre con un colpo di sasso sulla coscia.E quando Virgi torna dalla messa serale
cosa dirà? OdddioDioDio.Non vorrei essere proprio nei tuoi calzoncini rosa,
piccola Ann.E i vicini cosa diranno? Diranno che sembravi una bambina
tranquilla.”Una bvava bambina, agente Stewart”.E quel Signore con la S
maiuscola che stà lassù tra una nuvola e l’altra cosa dirà, secondo te?
Povera piccola Ann che ha FATTO FUORI la sua mammina dolce. E nulla da eccepire
sul fatto che lo meritasse.)
Sandy
Ann respirò rantolando, sibilando come un pesce tolto dall’acqua e lasciato a
contorcersi sulla sabbia. Sentì un liquido caldo bagnarle la parte interna
delle gambe.
(OdddioDioDio.La
piccola ASSASSINA se l’è fatta ADDOSSO. Hai superato ogni limite, cara mia).
-Mam…-,
bisbigliò Sandy Ann ormai al culmine della disperazione. Agitò il busto di
Selena Howard meccanicamente.
-Maaaaaaammaaaaaa
non fare cosìììììììì…alzatiiiii mammaaaaa-
(non
voglio andare in cantina mamma.In cantina ci sono i topi che mi rosicchiano le
dita e io non voglio lasciarmi ROSICCHIARE a poco a poco, mamma.
Non
è stata colpa mia.Non è stata SOLO colpa mia mamma… vuoi sempre pettinarmi
sempre sempre sempre mamma e la tua spazzola fa tanto male non voglio più
andare in cantina al buio mamma. HO PAURA di te mamma. DI TE.)
-Mammaaaaaa-
gemette Sandy Ann.
(l’unicorno
alato è mio e di Virgi.Ce l’ha dato papà prima di andare via –scappare- e
ci ha detto che saremo rimaste sempre le sue adorate bambine.
“Qualunque
cosa accada.” Così ci ha detto papà. E ci ha chiesto scusa “Per non
essersi comportato come la circostanza avrebbe richiesto”.Così ci ha detto al
telefono papà. Per “non essersi comportato da vero uomo”.)
-Svegliati
mam- (“Ma
vedrete che le cose cambieranno, piccole mie; vedrete che tempo un mese al
massimo papà tornerà a riprendervi e vivremo assieme in una vera casa”, ci
ha promesso così papà. Ma di mesi ne sono passati quasi undici, è trascorso
quasi un anno mammina e ieri notte lui ha richiamato per la prima volta e sai
cosa mi ha detto mammina? Mi…mi ha detto di scusarlo ma è successo un fatto
strano è successo che quella che doveva farci da Mamma Buona, quella con le
minigonne che piacciono tanto a Virgi, non ci vuole più.No.Non ci vuole più
mammina, e noi dobbiamo scusarlo per “non essersi comportato da vero
uomo”.Ha detto così.E piangeva, il povero papà.Piangeva e non ha detto dove
vive come vive cosa fa per vivere non l’ha detto però ha detto di scusarlo
che ci vuole sempre bene perché io e Virginia saremo sempre le sue adorate
bambine. Non posso darti l’unicorno alato mammina e non devi chiudermi in
cantina per questo.No.Non è giusto.)
-Seeeeii
stata una bvuuutta bambina cattiiiva, ann-, sibilò Selena Howard allungando le
dita ad afferrare sua figlia per il colletto ricamato della camicia color cielo.
-E
tu sssai dove vanno le bvutte bambine come te, non è vero che lo sai baby Ann?
Lo sai?-.
E
baby Ann lo seppe.
Titubante
staccò la mano dal ciondolo nel momento in cui sentì l’altra commentare con
tono assolutamente privo di energia “Avevo voglia di vederti, Ann”.
Fece
una pausa poi aggiunse: -Vorrei tanto che tu mi credessi-.
Sandy
Ann udiva il ticchettìo regolare di un orologio sul comodino.
Una
brutta imitazione di Rolex.
(sarà
dell’infermiera chiacchierona.Ma perché deve essere proprio
dell’infermiera, Ann?Che Cristo credi che sei l’unica ad avere i soldi per
comprarti un orologio, tra l’altro un orribile imitazione di Rolex?No cara.
Non sei per niente l’unica ed anzi, ultimamente gli orologi fino a prova
contraria ti vengono regalati.Non sei per niente l’unica però Virgi ha
vissuto in un bilocale affacciato sui Docks con il cadavere del figlio appeso a
riposare alla trave del soffitto. Non penso che, tra un Fish & Chips e
l’altro avesse i soldi per comprarsi una brutta imitazione di Rolex.
E
in ogni caso tutto questo ora è relativo, cara).
Cercò
una sedia nella quasi oscurità della camera. Non la trovò. Sedette in pizzo al
letto, schiena diritta e pancia in dentro, accavallò le gambe fissando la
parete di fronte.Cambiò posizione, trovandone una apparentemente più comoda.
Evitando di guardare la sorella in volto disaccavallò le gambe e restarono così,
in silenzio.
Le
mani fredde di Virginia sgusciarono fuori delle coperte, a tentoni giunsero a
sfiorare quelle di Ann. Solo sfiorare in una lunga, morbida carezza. Poi le
strinse forte, reggendole tra le sue. Virginia percepì il profondo turbamento
dell’animo di Ann; lo percepì con la stessa intensità con la quale percepì
il suo. Sorrise stancamente.
-Andrà
tutto bene, Virgi-
Silenzio.un
sospiro.
-Credo…di
si-.
Sandy
Ann sentì la terribile voglia di una sigaretta. S’alzò dal letto, accostò
le tendine di cotone a minuscoli non-ti-scordar-di-me. Contemplò a lungo le
squallide pareti in penombra e tornò a migrare lo sguardo alla finestra.
(“Parola
di Claretta Bloom che di gente pronta a camminare sui cornicioni ne ha vista
tanta” “Quell’uccellino
ha perso le ali,signora”).
Ha
perso le ali. Virginia ha perso le ali, Ann signora. E se, da un momento
all’altro, quelle ali avessero premuto per uscire fuori di nuovo? Da lì
l’altezza era abbastanza anche per chi riesce a camminare sui cornicioni. Ann
rabbrividì.
Non
può. Non DEVE. Ci sono io adesso, con lei.
Schiarì
nervosamente la gola. Era più pallida che mai, le vibravano le palpebre. Era un
tremito lieve, certo, ma c’era.
-Sei
bella, Ann- disse Virginia e scoppiò a ridere debolmente.
-scusami.
Non ci vediamo da-
-Diciannove
anni-
-Diciannove
anni. Già. E la prima cosa che riesco a dirti è quanto sei bella-. L’aveva
mormorato in una voce gutturale e bassa che non le apparteneva.
Sandy
Ann risedette sul letto. Fece per aumentare l’intensità della luce.
-No
Ann. Lascia perdere.Preferisco di no-
-C…come
vuoi-.
L’altra
era tradita da un pallore malsano, dalla perdita d’elasticità muscolare che
la faceva sembrare vecchia, prevedibile nei movimenti convulsi delle palpebre.
-Non
aver paura-, disse Virginia con impazienza, - Non ho nessuna intenzione di
buttarmi dalla finestra. Non ancora anche se, appena finito l’effetto del
Valium, sono rimasta per… parecchi giorni con propositi non tanto rosei.
Fisicamente sto meglio, comunque. E’ un’altra la parte di me che sento
spenta, e non ho la forza di accenderla. Non lo voglio e…non devo-
-Ho
saputo e-
-Si-
-Mi
dispiace-
-S…si.-.
Silenzio.
-Apri
il cassetto del comodino, Ann. Il primo.-.
L’altra
obbedì, incerta.
E
sorrise.
Raccolse
il tesoro, lo strinse forte nel pugno.
-La
scatola cinese!-. Ann avvertì il forte tremito nella propria voce.
Sorprendentemente
provò l’eccezionale impulso di scappare, imboccare la porta a vetri e darsela
a gambe da quella stanza che trasudava angoscia, dalle malattie, da
quell’ospedale e chi s’è visto s’è visto. Da Virginia Vivgi baby. Aprì
la bocca ma la richiuse subito, trovandosi del tutto incapace di parlare. Gli
occhi di Virginia catturarono i suoi.
-Sei
sempre stata con me, Ann-.
La
porta cigolò leggermente, Jim McCarter fece per entrare.
Virginia
battè le palpebre più volte per mettere a fuoco la figura alta e slanciata di
lui. Sollevò il mento e sulla bocca si disegnò un sorriso timido.
-Vieni-,
lo invitò Ann, sentendosi inquieta. E senza comprenderne il motivo.
Jim allacciò la cintura di sicurezza, mise in moto la Rover Coupè
marrone.
I
tergicristallo spazzavano la neve con gli scatti noiosi di un metronomo.
Lasciarono
il parcheggio.
-Perché
me lo chiedi?-, ribattè seccato.
-Bhè,
se ne sarebbe accorto anche un bambino, credo. Ti guard-
-ALT.
Fermati qui, Ann. So dove vuoi andare a parare e non è così, te lo assicuro.
Per quanto mi riguarda ho provato la strana sensazione che può provare
qualunque uomo trovandosi di fronte l’esatto doppio della donna amata.
Virginia ti somiglia più di quanto avessi immaginato. Fisicamente, intendo.
Quando ci ho parlato ho compreso immediatamente che la vostra somiglianza si
ferma lì-
-Scusami,
Jim.
Ho
sempre creduto di essere più forte di lei ma… dopo tutto quello che ha
passato, sinceramente non so se crederci ancora-.
-Hmmmmh.-.
gli occhi di lui erano fissi sulla strada.
Aveva
ricominciato a nevicare.
-Che
vuol dire “Hmmmm”?-
-Devo
essere sincero?-
-Sempre-
-Fino
in fondo?-
-Jim-
-Okay.
Mi ha dato l’impressione di una bomba ad orologeria. Prendila come una
semplice impressione legata all’ istinto, Ann.-
-Una
bomba ad orologeria-, ripetè lei in un soffio.
-Una
semplice impressione.Tutto qui. Ma, come hai detto tu, dopo quello che ha
passato penso sia normale il suo atteggiamento. Molto normale-.
Si
sistemò meglio nello schienale. Ann studiò la sua espressione con un miscuglio
di scetticismo ed interesse. Si sforzò di sorridere, di allentare quel filo di
tensione che le aveva cucito i pensieri dal momento in cui aveva rivisto
Virginia. L’atteggiamento della sorella era stato rassicurante ed in tutti
quegli anni passati lontane l’una dall’altra l’aveva comunque pensata. Così
aveva detto e Ann le credeva. Voleva crederle, e disperatamente; perché
Virginia rappresentava il microcosmo dei suoi affetti, l’unica cosa bella del
suo passato. O ciò che ne restava. Lei era, adesso assieme a Jim, tutta la sua
famiglia e avrebbe fatto il diavolo a quattro pur di non perderla ancora.
Ma
gli occhi.
I
suoi occhi… .
Il
silenzio invase l’abitacolo dell’auto. Nel tempo che era occorso alle sue
elucubrazioni d’inseguirsi frenetiche, le lacrime avevano fatto il loro bravo
ingresso trionfale tra le ciglia di Ann. Le asciugò con un dito sperando che il
gesto sfuggisse all’uomo.
Ma
lo scoprì a scrutarla di con la coda dell’occhio. Alzò le mani in segno
d’impotenza, scosse la testa.
-Ann-
mormorò lui dolcemente.
-Davvero,
Jim. E’ difficile. Ho pensato che-
-Che
ce l’abbia a morte con te-
-Non
lo so-
-Cerca
di capirla. Sei una donna realizzata, Ann. Hai combattuto in nome di tutto ciò
a cui credevi, e hai vinto.-.
-Anche
lei ha combattuto. Ma non è stata altrettanto fortunata-
-Esatto.
O forse semplicemente ha combattuto nella direzione sbagliata-
-Cosa
intendi dire?- obiettò Ann.
-Passami
dell’Evian…lì nel cruscotto, al solito posto.
Grazie-.
Jim
scalò di marcia portando la bottiglia alla bocca. Tracannò avidamente.
-Cristo…i
toast di Mr Benth. Avrei preferito il tuo McDonald’S…tieni. Chiudila bene.
L’altra mattina ho trovato l’ultimo romanzo della scrittrice sarda…-
-Mmmmh.
Non ricordo mai il nome-
-La
Mulas.-
-Mulas.Già.
In
pieno naufragio da Titanic.-.
-Ammiro
Virginia. Ha amato molto qualcuno ed ha avuto il coraggio di crescere da sola un
figlio, in mezzo alla miseria-
-Non
sappiamo esattamente come si siano svolti i fatti.-.
-Si,
ma…insomma anche lei ha dimostrato che gli ideali aiutano ad esistere-
-Sai
benissimo che anch’io la ammiro per il suo coraggio, Ann.
Ma
vivere per gli ideali non porta da nessuna parte. Forse avrebbe dovuto mettere
da parte l’orgoglio e chiederti aiuto. Dopotutto, sei l’unica persona che ha
al mondo. Le saresti rimasta accanto-.
Accese
l’autoradio senza aggiungere altro. I
Police suonavano Every Breath You Take. Ann notò che aveva smesso di
nevicare.
(Sei
sempre stata con me, Ann)
Okay.
D’accordo.Sono sempre stata con te ma… perché?
Perché,
Cristo?
Sono
sempre stata con te ma i tuoi occhi, Virginia, dicevano un’altra cosa.
Il
lato sinistro della strada era costituito da un terrapieno ricoperto di neve
ammucchiata, grigiastra e sporca, mista a fango. Una Playmouth voyager rossa
sterzò per superare. I fari lampeggiarono.
-Non
ci pensare-, tagliò corto Jim.
-Una
doccia eppoi a nanna. Domani è un altro giorno-
La
spiò, sorrise sornione, -Bhè, se proprio insisti posso restare a dormire da
te, stanotte-
-Era
a Londra e sapeva che c’ero anch’io-
-Okay.
Vista l’insistenza oltre a dormire possiamo fare qualcos’altro-
-Jim!-
-La
vacanza a Primrose Lake non le farà che bene, credimi. Hai avuta una buona
idea, in proposito. Avrete modo di ritrovarvi e chiarirvi su tutto; passato e
presente.-.
E
futuro?.
Ann
osservò la cima degli olmi intirizziti dal gelo, il planare sparso di corvi
affamati su cime ferrose e i fili della corrente elettrica.
Avvisò
le palpebre pesanti.
-Ann?-
Riaprì
gli occhi che l’auto imboccava la gioiosa confusione di Piccadilly. Un bobby,
rigido nella divisa d’ordinanza, fece cenno col capo di passare. Jim non se lo
fece ripetere due volte.
Sbuffò.
-Devi
essere stanchissimo…scusami. Quanto ho dormito?-
-un’ora,
più o meno.
Oggi
il traffico è più infernale del solito.-.
-Ho
un mal di testa tremendo-
-La
solita scusa delle donne… .
Pensi
troppo, Ann. Prendi due aspirine e fila a letto-
-E
la palestra?-
-Chiedi
a Silvie di sostituirti. La paghi anche per questo, no?-
-Teoricamente.
L’ultima volta che ha preso il mio posto la signora Cleary-
-Cleary
la moglie del ministro?-
-Proprio
lei-
-La
tua clientela migliora di giorno in giorno-
-So
benissimo che sei stato tu a consigliare al marito di farla iscrivere da me-.
Ann scoppiò a ridere.
-Che
c’è?-
-Niente.
“Mio marito mi ha assicurato che la sua è la migliore palestra di
Londra.Quanti chili potrei perdere, da qui ad un mese? Sa, mia figlia tra poco
compirà sedici anni ed il suo Ballo delle Debuttanti…ecco…comincio a
sentirmi vecchia”. Mi ha detto così ma…la vedessi-
E
giù un’altra risata
-Embè?-
-Centodieci
chili, poveraccia-
-Cent…?-
-La
sera che ha fatto aerobica con Silvie ha subìto una lussazione all’anca. Mi
ha detto che, a suo parere, “la mia sostituta usa metodi troppo arcaici e
crudi, perché funzionino”.
Quando
è successo ho saputo che ha inciampato nel suo tappeto ed è rovinata addosso a
Steph-
-Stephany
Power? Gesù. E’ magra come un chiodo-
-Puoi
immaginare il resto-.
I
due risero complici. Jim percorse il tratto di strada che li separava dal viale
d’ingresso dell’edificio vittoriano dove viveva Ann ad una certa velocità,
scalò di marcia e imboccò l’accesso al vasto e curato parco adiacente la
costruzione. Posteggiò nella striscia coperta e riservata a Miss S.Ann Benson,
6 H, come riportato dalla fine dicitura color oro, slacciò la cintura
flemmaticamente.
-Gesù.
Ancora un chilometro e crollo sul volante-
-Ti
rammento che anch’io so guidare, basta chiederlo-
-Ooooh,
niente da eccepire sul fatto che guidi. Il mio eterno dilemma pencola sul come
guidi-
-Al
diavolo, Jim. Mi piace la velocità. Tutto qui-
-Lasciamo
perdere-
-Sali?-
-Se
insisti…-
-Insisto.
Chiamo
Silvie e poi ci prepariamo qualcosa. In frigo dovrebbe esserci del tonno-
Jim
premette il pulsante dell’ascensore.
-Interessante-,
bofonchiò, -e se finissimo la cena lasciata in sospeso al Chéz Maxim?No? Okay,
okay.Vada per il tonno.
Tu
mi vuoi male.-.
E
il pensiero arrivò veloce nella mente di Ann come una frustata:
jim
finalmente sarà nostro soltanto nostro senza la schifosa faccia di topo dàmmi
il cinque vivginia!.
Ann
ebbe un sussulto. Dal naso uscì un rivolo color rubino.
Sei
così…puva e bella, bambina.
Ann
roteò le pupille verso l’alto ma prima di svenire tra le braccia di un
inebetito Jim, nella disordinata catasta dei suoi pensieri se ne ficcò un
altro, spina tra i rovi.
-ANN!-,
proruppe Jim.
Ann
vagava come sonnambula in un corridoio lungo e nero, avviluppata dai fumi di
nebbie di palude. Stringeva l’unicorno con entrambi i pugni e la sua tutina
tutina? Rosa aveva le bretelle calate sulle spalle gracili, le trecce disfatte e
le guance accese di febbre, la bocca sòcchiusa in una smorfia di terrore.
C’era qualcuno, oltre il corridoio, qualcuno cattivo da evitare come la peste,
da girarsi e scappare a gambe levate chè le bambine hanno paura del Babau
cattivo cattivo. Voltati e scappa, Ann!. Ma quel qualcuno l’attirava come una
calamita e i suoi piedini si muovevano da soli. Poi, tra le nebbie prese forma
la figura della mamma MadreDolore e
quella più piccola e docile di Virginia aggrappata al suo braccio.
Voltati
e scappa, Ann, più lontano che puoi!
-Vieni
con me, Virgi-, mormorò tremolante Ann, -Vieni via con me-
-Oh,
no- disse la mamma, -Vivginia E’ MIA , cava-.
E
soffiò quel “cava” come sibila un vento gelido, in una notte d’inverno
popolata di ombre.
-E’
mia e tu non mettevti in mezzo, piccola stvega.E’ inutile che tu ti metta in
mezzo pevchè è tvoppo tavdi.Tvoppo tavdi pev tutto-.
-VIRGI!-
urlò Ann e fece per buttarsi addosso alla sorella, per strapparla al male, per
aiutarla, per… .
Virginia
alzò la manina.
-NO!-,
la fermò serena e in un sussurro, -Ha vinto, Ann-.
Ann
le vide indietreggiare verso una porta di ghiaccio, quella si aprì lentamente.
Le
inghiottì.
E
le nebbie scomparvero.
Ora
Jim l’agitava convulso ed il respiro gli usciva in un ansito roco.
-ANN!
ANN!-.
Lei
sollevò le palpebre ed il porpora dei velluti dell’ascensore quasi l’accecò,
incrociò l’espressione sorpresa e preoccupata di Mr Chippendale, portiere
dello stabile, e la sua giovane e dolce moglie indiana Savhi con la bottiglietta
dei sali in una mano.
-Sto…bene-
farfugliò e Jim la studiò stranito. La strinse in un abbraccio furioso e
pieno, rabbrividendo con lei.
Sei così pura e bella, virginia.
Virginia
spalancò gli occhi nel buio, girò la testa da una parte all’altra in segno
di diniego.
L’ombra
aveva un fianco poggiato allo stipite della porta. Sogghignò.
Virginia
non lo vide espressamente il suo sogghigno, ma per lei fu come vederlo.
Come
l’aveva visto centinaia di volte anni prima.
Sei
così pura e…bella
ripetè l’Ombra, così bella da stordirmi ma dio mio,hai dodici
anni…sono certo che è stato il signore a mandarti da noi .Per mettermi alla
prova, si. E io non lo deluderò ma tu
la mano callosa era scivolata fin sopra la coscia di Virginia. Si era
fermata.
Tu
non devi più mettere queste gonne così… corte da svergognata. Ra vivi in
casa Benson e finchè ci vivi devi attenerti alle MIE regole.sono stato chiaro?
Virginia
aveva annuito in silenzio.
Vestirsi
così è attirare il demonio sulla nostra famiglia.
-Non
pensavo di fare del male, signore. Tutte le mie amiche le portano e-
-Le
tue amiche sono FUORI DELLE STRADE DEL SIGNORE,Virginia. Fila a cambiarti, prima
che rientri mia moglie.
E
stasera a letto senza cena, per purificare lo spirito. E rammenta la Bibbia sul
comodino, Virginia-
-La
rammenterò, signor Benson-.
Lo
rammenterò, signor Benson.lo rammenterò.Non metterò mai più una
minigonna.Non mi truccherò mai, signor Benson.I capelli?I capelli li raccoglierò
in una sobria coda di cavallo, signora Benson.Si,uguale alla sua.Li raccoglierò
perché non voglio tagliarli. Ma da voi non mi farò più vedere coi capelli
lunghi sulle spalle.
Dov’è
la signora Benson, signore?
E’
rimasta in camera,Virginia; ha la febbre e comunque stasera salirò io stesso a
leggerti qualche passo della Bibbia.
Va
bene, signor Benson.
Sei
così pura e bella,Virginia.
Così
pura
E
bella.
-Così…pura
e bella- balbettò Virginia reprimendo una lacrima. L’ombra era scomparsa.
Sentì un tocchéttare incerto sulla porta.
Ecco
il faccione scuro di Claretta Bloom.
-Posso
entrare un attimo, Bella Addormentata?-
-Oh,
avanti-.
La
donnona mosse verso il letto strusciando sul pavimento fresco di detersivi le
sue maxi pantofole da homeless.
-il
mio turno è finito uccellino, ma ho pensato di portarti una cosuccia.
Ti
piace la pasta italiana?-
-Grazie.
Ha un buon odore-
-Mmmmh.
Raviolini in scatola riscaldati…a buon intenditor poche parole, Bella
Addormentata. Comunque meglio della sbobba quotidiana che ti passano qui. Mia
figlia, che il Signore l’abbia in Gloria, ci andava pazza
per i raviolini, mi diceva: quando è che mi fai un bel piatto di
raviolini, Mama Clara Bloom? Una volta ne aveva mangiati talmente tanti (e per
carità…erano così cotti da essersi attaccati alla pentola) da aver passato
tre giorni a letto coi crampi alle budella, oooh si.
Ecco,
sistemiamo il vassoio…mmmh, così. Ti stai riprendendo bene, eh?. Vedo un
po’ più di carne, in quel petto.
Buon
pro ti faccia, uccellino-
-Grazie-
-Dovere.-.
Smise di pedalare.
Tamponò
il sudore su fronte e collo, buttò giù un sorso copioso di Energade al
mandarino e sbuffò. Scese dalla cyclette coi muscoli indolenziti ed
estremamente tesi, la testa pesante. Sgranchì braccia e gambe con quattro
flessioni feroci.
-Maledizione-
disse Ann a denti stretti, -Maledizione!-.
S’arrestò,
gironzolò un attimo tra un angolo e l’altro della moquette verde scuro, scrutò
da una delle due grandi vetrate il traffico impazzito su Kensington, le dita
tamburellarono inquiete lungo la coda del pianoforte.
-al
diavolo-, mormorò e raggiunse il telefono.
Dalla
sua borsa, abbandonata su di una poltrona stile Luigi XV; distillò accendino e
pacchetto di sigarette al mentolo. Ne estraette una, l’accese ed aspirò, le
parve orrenda. La spense. Dal cassetto sotto il telefono tolse un foglio di
block notes giallo, lo fissò pensierosa. Accese un’altra sigaretta, inspirò
sforzandosi stavolta di tenerla tra le labbra almeno un minuto. Sollevò la
cornetta e lentamente compose il numero riportato sul foglio. Attese.
-Si?-.
Rumore di lavastoviglie in funzione, radio col volume esageratamente alto.
-Signora
Benson?
Mary
Benson?-.
Breve
esitazione all’altro capo del filo.
-Chi
parla?-
-Mi
fa piacere sentirla, signora.
Sono
Sandy Ann Johnsonn, la sorella di-
-So
bene di chi è sorella…chi…chi le ha dato il mio numero?- tagliò corto la
voce, secca.
-La
vostra parrocchia; il reverendo…-
-E’
da anni che non ho più niente a che fare con…con QUELLA! .
IBRAHIM…
ABBASSA QUELLO SCHIFO DI RADIO!!!-
Ann
tossicchiò, -Ecco,
MrS Benson, l’ho chiamata per farle sapere che Virginia è ormai fuori
pericolo e…e visti I rapporti che sono intercorsi fra voi-
-AH!
Provi
a parlare dei nostri rapporti con quella piccola sgualdrina di sua sorella,
signorina Johnsonn eppoi ci risentiamo-
-Ma
so che lei e suo marito-
-Mio
marito è rinchiuso da quindici anni nel Penitenziario di Could Mountain, grazie
alle bugie di Virginia…e pensare che era stato come un padre, per lei!
Quella…
QUELLA SGUALDRINELLA CHE NON E’ ALTRO!!!-
Ann
non capì, non riuscì a capire e la cornetta restò a mezz’aria, le parole
della donna anche.
Sospirò
debolmente.
-signora
Benson…?-
-Ci
lasci in pace, signorina.E per quanto riguarda sua sorella penserà il Signore,
a farle pagare il dovuto… e quel giorno sarò io a ridere e ballare alle sue
spalle. Soltanto IO-.
Ann
rabbrividì, l’altra riattaccò con un Click
ostile.
Provi
a parlare dei
nostri rapporti con quella sgualdrina.
Sgualdrina.
Restò
in piedi, poggiata allo stipite della porta laccata spiandone caparbiamente i
contorni, il pomello dorato sul bianco totale della tinta.
La
chiave.
Qual’era
la chiave?.
(-Cosa
ne sai TU della vita,Ann? Per te è sempre stato tutto così…maledettamente
semplice-
-Non
è vero, Virgi.Ognuno ha avuta la sua brava fetta di sofferenza-
-Sofferenza.
La verità è che ti dà fastidio che la tua sorellina acciaccata e bisognosa
d’affetto ritorni a ricordarti cos’eri davvero…ti dà fastidio che il tuo
passato ritorni, Ann-
-Virgi-
-La
Virgi che conoscevi non esiste più, Ann. E’ morta da un pezzo e ti giuro che
non intendo fare nulla per resuscitarla. E non lo devi fare neppure tu. I
fantasmi del passato possono essere molto cattivi, credimi.-).
Ann
aspirò l’ennesima boccata dalla sigaretta. La scandagliò con odio, la spense
sopra il numero scribacchiato del foglio giallo.
-…Nei momenti di maggiore stress i muscoli della schiena si
irrigidiscono e la tensione si concentra in un preciso punto collocato tra la
nuca e le spalle. La tecnica migliore per liberare l’energia negativa è
quella del Palming: appoggiate le palme delle mani a coppa sulle palpebre
chiuse…okay, così.
Poi
roteate gli occhi molto, molto lentamente e respirate e
SIGNORA
CLEARY!-
-Ma
che tipo di ginnastica è questa? Io non riuscirò a dimagrire roteando le
pupille, Ann cara!!. E pensare che mia figlia fra meno di un mese ha il suo
ballo delle debuttanti, Oh Signore!-
-Questa
ginnastica è yoga, signora Cleary e anche se non sono pagata per illustrarvi
alcune delle regole basilari di questa antica disciplina penso sia meglio per
tutte, riuscire ad essere più rilassate-
-Ommmmpf!-
-Okay,
signore.
Respirate
in modo costante e profondo riempiendo e svuotando il torace.
La
vostra schiena aderirà perfettamente al tappeto diventando un tutt’uno alle
gambe. E la tensione si allenterà.
Bravissime.
Un
buon aiuto per sconfiggere lo stress può venire anche dalla musica-
Una
ragazzetta nera dalla seconda fila alzò la mano.
-I
Genesis, Ann?-
Risolini.
Sandy
Ann sollevò un sopracciglio, reprimendo un sorriso tenero.
-Non
proprio, Alannis. Cerca di respirare più profondamente. Mmmmh. Brani New Age,o
Mozart ad esempio. Mozart usa più di ogni altro musicista i suoni acuti, gli
stessi che percepiamo nel ventre materno. Nell’uomo adulto quelle sonorità
aiutano a ricaricare i nervi.
Così,
Tessa. Perfetto.
La
tolleranza allo stress fa parte delle 19 capacità che gli uffici del personale
valutano nel fare un’assunzione, signore mie. E anche se buona parte di voi
non ha bisogno di lavorare è mio dovere farvelo sapere comunque.
Va
bene. Per oggi basta.
Sciogliete
le righe, su. A venerdì, alla stessa ora.-.
Le
donne si ritirarono in buon ordine verso le docce.
-Mmpf-,
sbottò Ann.
Praticò
una semitorsione del busto allungando la mano destra verso il piede destro.
Dondolò un attimo. Con uno scatto tornò alla posizione d’origine. Chiuse gli
occhi e prese a massaggiarsi la tempia dolente con la punta delle dita. Il
ricordo di Virginia ricomparve ad inquietarla
come dalle prime ore di quella mattina e le tracce del pensiero sentito,
profondamente sentito
prima di svenire tra le braccia di Jim le fece scorrere l’adrenalina in
corpo.
Provi
a parlare con QUELLA.
Sgualdrina.
Da
quando era che Ann sentiva i pensieri di Virginia? Non se lo era mai chiesta. O
forse si; forse dal giorno in cui suo padre aveva regalato loro il ciondolo
dell’unicorno, poco prima di sparire definitivamente dalla circolazione e
dalle loro giovani vite. Aveva letto in qualche rivista specializzata che
secondo le tribù dei Bangwa, in Camerun, il passaggio dall’infanzia
all’adolescenza è il momento in cui capacità medianiche e poteri magici si
manifestano con particolare intensità e violenza. Secondo loro le nascite
gemellari sono segni certi di stregoneria. Già. Ma per Dio, Ann, siamo alla
soglia del 2005. E non siamo in Camerun.
Ma
i pensieri che ci scambiavamo.
Immaginazione.
Fervida immaginazione.
A
volte capita di fissare intensamente una persona e studiarne i gesti, i
movimenti degli occhi. E dedurne come questa persona reagirebbe di fronte ad un
evento, positivo o meno. Dedurne. E’ istinto. E’ risaputo, Ann. Qualcuno lo
chiama Sesto Senso, il tuo istinto.
Basta
una particolare sensibilità per capire se stai sulle scatole ad una persona.
Prendi
la signora Cleary, ad esempio. E’ il metodo degli strizzacervelli di qualità
interpretare le frasi non dette ma semplicemente gettate lì, come si getta un
amo. Sei uno strizzacervelli mancato, Ann. Eppoi non si può trovare una
risposta a tutto. Semplicemente perché non c’è.
Giusto.
Era
una cosa perfettamente ovvia, a ripensarci qui. Adesso. Eppure, a ripensarci
bene l’insieme di tutte le cose era come una papera di gomma che torna a galla
ed è inutile spingerla e respingerla sul fondo della vasca. Perché ritorna a
galla.
Quella
precisa situazione era una papera di gomma.
Il
suo passato era una papera di gomma. E anche se Ann pregava i pensieri
d’abbandonarle finalmente quella casupola bislacca montata su tra un neurone e
l’altro, i pensieri non l’ascoltavano, non volevano effettivamente
ascoltarla. Un ammutinamento in piena regola era in svolgimento nel cervello di
Sandy Ann quasi in McCarter. E Dio solo sa se avrebbe voluto liberarsene
definitivamente.
Dio
solo sa.
-Dio solo sa se vorrei portarvi con me, bambine-.
Frederick
Johnsonn assestò gli occhiali sul naso aquilino, sottrasse lo sguardo e serrò
la mascella.
-Ma
per ora non saprei neppure dove farvi dormire, cosa farvi mangiare e-
-Non
ha importanza papà…possiamo mangiare anche panini tutti i giorni. Non puoi
lasciarci così-, fremé Ann percependo una lacrima farle capolino tra le lunghe
ciglia scure, -Non puoi-.
-Ascoltate
principesse…venite qui, attorno a me-.
Virginia
e Ann erano scivolate al suo fianco. L’uomo aveva frugato nella tasca
dell’impermeabile fino a tirare fuori due scatoline di plastica rossa.
-Una
è per te,Ann. E una per Virginia.
Apritele-.
-Che
belloooooo!- aveva cincischiato Virginia rimirando il ciondolo a forma
d’unicorno alato.
-SSSSSsssssh,
principessa. Non urlare o la mamma si sveglierà…porta il rotolo del filo,
Ann-.
Frederick
Johnsonn legò le estremità delle rudimentali catenine all’esile collo delle
figlie.
-Le
ho pescate da un robivecchi, giù a Chinatown. Mi ha assicurato che portano
fortuna…leggi qui, Virgi-
La
bimba lesse: “divise ma sempre unite”.
Il
padre annuì soddisfatto. –“Divise ma sempre unite”, si.
Me
ne dia due per le mie splendide principesse, ho detto io.Si vendono solo in
coppia, signoLe , ha detto il vecchio cinese.E io le ho prese. Erano destinate a
voi-.
Un
clacson suonò impaziente, in strada. Frederick Johnsonn contemplò la finestra,
reprimendo un sorriso soddisfatto.
-Voglio
farvi conoscere una persona, principesse-.
Aveva
dato la mano ad Ann e presa Virginia per un braccio era uscito dalla casa per
dirigersi al lato opposto della strada verso una Mini Minor dalla carrozzeria di
un marrone smorto chiazzato di ruggine. La prosperosa bionda aveva un seno
enorme ed il sorriso falso.
-Queste
sono le mie principesse, Talisa-
-Mmmh.
Che
Carine.
Si
va?-
-Certo,
certo-. Frederick Johnsonn aveva lasciato la mano di Ann e poggiata Virginia sul
marciapiedi.
-Qualunque
cosa accada rimarrete sempre le mie adorate bambine.Vedrete che le cose
cambieranno, principesse.Tempo un mese al massimo e papà tornerà a
riprendervi, vivremo assieme in una casa vera e Talisa vi farà da mamma.Una
mamma buona, non è così, Tali?-
-Mmmh.-.
-E’
così, certo. Fate le brave.Vi chiamerò presto. Vi voglio davvero bene,
principesse-
-Anche
noi pà-, un singhiozzo, -C…ciao papà-.
Nonostante l’ora tarda, nello spazioso studio del dottor Conrad
un’infermiera era intenta ad archiviare documenti, una seconda a scaricare
delle pratiche nei files. All’ingresso di Ann e del medico l’infermiera al
computer fece una smorfia, s’alzò dalla scrivania.
-Ha
appena chiamato Clarissa James, dottore.
Vorrebbe
informazioni circa la specializzazione di Albert Ashmore-, represse un risolino
complice, -Ha detto che visto che lei qui è verboten,dovrebbe saperlo-.
L’infermiera
all’archivio distolse lo sguardo. Sul polso sinistro aveva un minuscolo
tatuaggio; una farfalla chiusa in un cuore con un nome: Wesley ed
una rosa inerpicata sulla y.
Il
dottor Conrad si strinse sulle spalle, sganciò il cercapersone dai pantaloni.
-Hmmmh.
Non
lo conosco personalmente, comunque…- da uno scaffale a muro tirò giù una
voluminosa cartella grigiastra.
L’aprì.
-…Ashmore…Ashmore…
. Tossicologia. Albert Ashmore è specializzato in tossicologia. Richiami la
dottoressa James e riferisca.Ora scusateci e non passate telefonate. Venga con
me, signorina Johnsonn. Prego.-.
Entrarono
in uno studio comunicante col primo tramite un’unica porta, più intimo e
discreto e arredato da un’elegante boiserie in noce, un divano e due poltrone
in pelle nera, un’ampia scrivania con computer portatile e fax in un lato del
ripiano di cristallo ed una vasta libreria ad occupare l’intera parete destra.
-Si
accomodi-, la invitò il dottor Conrad e a sua volta sedette su una delle due
poltrone in pelle, di fronte alla finestra. Accavallò le gambe, con una mano
sostenne il mento.
Era
un uomo sui cinquantacinque/ cinquantasei anni, con le spalle larghe e
carnagione e barba scure, da arabo. Ann sapeva che godeva di ottima reputazione
tra i colleghi seppure odiasse, come le aveva confermato più volte
l’infermiera Bloom, qualunque prassi politica o burocratica. Terribile
biglietto da visita, per un medico.
-Gradisce
del caffè? E’ una brodaglia incolore ma a quest’ora è meglio che niente-
-Grazie
dottore,No. Devo ringraziarla per aver acconsentito a ricevermi così tardi-.
-Non
ho famiglia e la mia vita è incentrata esclusivamente sul lavoro. Che amo più
di quanto amerei un’ipotetica moglie. Dovrò pensare seriamente di trasferire
qui in ospedale la mia residenza.-.
Sandy
Ann annuì accennando un sorriso, puntò il soffitto. Giocherellò con
l’anello di fidanzamento, sfilando ed infilandolo al dito.
-Lei
è mancina?- esordì il dottor Conrad.
-Man…?
Si.-
-Sua
sorella Virginia ha il braccio destro lievemente più sviluppato del sinistro.
Teoricamente
sarebbe destra.-
-Lo
è infatti…
amava
prendermi in giro per la mia particolarità-
-Sua
sorella è mancina, Ann. Come lei. E tutto mi fa supporre che lo sia diventata,
non nata. Nonostante abbia la concreta possibilità d’utilizzo della destra,
vuole la sinistra.
Sua
madre era mancina?-
Si,
lo era.
-Non…
non ricordo- mentì lei, evitando lo sguardo attento dell’altro.
-Vive
a Londra da molto tempo?-.
-Abbastanza
da conoscerla come le mie tasche.
Mi
sta vivisezionando, dottore?-
L’uomo
sorrise, si voltò a metà verso la scrivania. Raccolse
la Mont Blanc.
-Ben
lungi da me questo proposito, signorina. Ma vorrei riuscire a capire meglio sua
sorella e visto che lei rappresenta, ora come ora,l’unico filo col suo
passato… . Sono convinto che capisce ciò che intendo dire e non mi perderò
in preliminari. Voglio essere sincero con lei fino in fondo.-
Ann
strinse gli occhi.
-E’
chiaro che Virginia non è riuscita ad inglobare il trauma subito.E fin qui
niente di strano, visto che è accaduto poche settimane fa ed il detto il tempo
ricuce tutte le ferite è sostanzialmente vero. Ciò che mi preoccupa è che a
lei non interessa interiorizzarlo-
-E’
molto magra, la farò mangiare di più e la costringerò a fare un po’
d’allenamento sa, io ho una palestra e-
-Non
ci siamo capiti.
Io
non parlo del suo corpo. Fisicamente Virginia è ancora debilitata, certo. Ma
penso di potermi sbilanciare dicendo che ha superato brillantemente il peggio.
Tenerla qui, adesso, è un placebo. Non le stiamo più facendo alcun esame e ho
deciso, di comune accordo coi miei colleghi, di dimetterla presto. Anche domani-
-Oddio…grazie!-
-Virginia
ha bisogno di qualcuno che l’aiuti a superare l’ansia e il dolore. Ad
accettare finalmente l’accaduto e non a dimenticarlo, attenzione. Accettarlo
come un percorso di vita purtroppo comune a mille altre persone come lei, o più
sfortunate di lei. Accettare il trauma per maturare, per far nascere una nuova
Virginia e con lei una nuova vita.
Deve
creare con sua sorella un rapporto tale da poterla soccorrere se avrà bisogno
di lei-
-Nostra
madre era…-
-Si.
Ho letto la relazione sul ritrovamento in cantina di Virginia e il suicidio di
vostra madre. Era accompagnata da diapositive-
S’irrigidì,
fece una pausa.
-Virginia
potrebbe diventare come…lei?- Ad Ann parve di annaspare nella melma.
Il
dottor Conrad riflettè un istante; l’atteggiamento rimase freddo e analitico.
-Ho
fatto ascoltare a Virginia i nastri delle proprie sedute terapeutiche e ha
dichiarato di non trovarci niente di strano. In effetti, apparentemente,
sembrerebbe la verità.
Ma
è la calma con cui lo dichiara, che non mi convince. Virginia è portatrice di
una costituzione psicologica eredo-biologica nella quale prevalgono gli elementi
razionali: tende cioè a rarefare i rapporti interpersonali e a finalizzarli.
Dall’analisi
dell’intelligenza risulta che il rapporto disposizionalità-efficenzialità è
spostato a favore del secondo termine; sua sorella tende a risolvere le
situazioni non tanto ricorrendo a risorse personali quanto utilizzando gli
schemi che ha appreso e dei quali ha fatto esperienza in situazioni
precedenti.E’ sostanzialmente un’insicura; soffre di una marcata tendenza
all’autosvalutazione per cui di fronte a stimoli particolarmente pressanti
tenta di sfuggire all’assunzione di responsabilità dirette, di farsi da
parte. Di non mettersi in gioco.
Virginia
ha una personalità complessa, esposta ad oscillazioni. Taluni tratti
d’insicurezza e apprensività possono essere controllati fino a che non si
trova in situazioni di forte stress.
Personalmente
signorina, sono sicuro che c’è dell’altro dietro i problemi d’adattamento
di Virginia e i demoni sopiti della vostra infanzia.Ma le mie sono solo
supposizioni legati a trenta sacrosanti anni di carriera-.
Sorrise
rassicurante,scribacchiò un numero un foglio. lo piegò in quattro.
-Tenga.
Qualunque problema si presenti non esiti a chiamarmi. E come un padre, le
consiglio di parlare molto a Virginia. Di farla parlare, sfogare su quel pezzo
di vita che non ci ha permesso di sondare. Mi auguro che lei, come sorella,
riesca dove la medicina ha fallito.-
-Non
so come ringraziarla, dottor Conrad-
-Tenti
di riconciliarla con la vita. Per farlo con sé stessa può riuscirci soltanto
volendolo lei, senza l’aiuto di nessuno-
-crede…crede
che ci riuscirà?-
l’uomo
sottrasse lo sguardo.
-Aiuti
sua sorella a vivere-, disse –E farà bene anche a lei, signorina.
Al
vostro ritorno da Primrose Lake intendo visitare Virginia ulteriormente, e
magari far avviare un ciclo completo di sedute-.
-Ne
parlerò con lei. Grazie dottore-.
L’uomo
la scrutò e annuì. Aprì una scatola legnosa sulla scrivania e acchiappò un
sigaro. Lo spuntò.
L’accese.
Ann rientrò nella stanza dalle pareti verde scrostato. Virginia dormiva,
Jim era in piedi, di spalle, davanti la finestra intento ad osservare
l’incessante lavoro degli spazzaneve giù, su una delle mille diramazioni d’
una Londra illuminata a giorno.
Ann
mirò la sagoma sotto le coltri calde, con ansia crescente.
-E’
riuscita ad addormentarsi solo dieci minuti fa-, bisbigliò Jim, -l’infermiera
ha dovuto somministrarle un sedativo-.
-Oddio-
mormorò Ann.
-Oddio,
ripetè portandosi una mano sui capelli.