VIVO IN CITTA'   

 di Farfallina

Vivo in città. In un grande costruzione di cemento grigio scuro,con un lato sulla strada e un lato su un altro palazzo, identico al mio, dove le finestre sono sempre chiuse, che se non fosse per qualche vestito, steso fuori ad asciugare, giurerei disabitato.

Dal mio anonimo 2° piano, apro la finestra. Alzandomi sulle punte e sporgendo leggermente il capo, guardo giù e vedo un piccolo cortile.

Uno di quei cortili che servono a separare i palazzi.

La gente ci passa accanto e non gli presta molta attenzione. A volte i cani, racimolando qualche minuto prima del rientro in casa, si fermano ad annusare quel po’ d’erba che invade il marciapiede. I bambini invece lo notano quasi sempre. Li ho visti aggrapparsi alla gonna delle mamme ed indicare le margherite, “No, amore, la mamma ti porta al parco, quello grande, quello dove ci sono i giochi!” e i bambini in un attimo perdono il loro interesse, si scordano delle margherite e sognano altalene e grandi prati affollati.

Sarà per questo che lo considero il mio cortile. Mi piace pensare che la Natura si sia data appuntamento proprio lì. Come l’unico bar in un piccolo paese, un’oasi nel deserto, un piccolo puntino verde nel grigiore del mio quartiere.

E’ così denso di vita che immagino guerre di territori, passaggi sotterranei e segni di demarcazione, rifugi di qualche notte, nascita, morte, scontri e incontri d’amore; Ci puoi trovare di tutto, farfalle ed uccellini di ogni specie, api, mosche ed insetti di ogni tipo che volano a gruppi, da un estremo all’altro, file interminabili di formiche circolano freneticamente si infilano nei buchi escono e ritornano, qualche gattino corre su e giù improvvisando buffe capriole e piccole lucertole brillano al sole restando immobili per ore.

Sulla sinistra, non proprio al centro, c’è un pino.

C’è sempre stato. Non è molto alto e nemmeno robusto. Il proprietario deve averlo piantato in fretta perché il tronco pende visibilmente da un lato e deve averlo piantato in ritardo perché metà dei suoi rami sono irrimediabilmente secchi. Lo immagino ugualmente bellissimo, sul suo piedistallo, al centro di un grande salone, in bella vista, agghindato con luci e festoni natalizi, ricoperto di attenzioni, ammirato, lustrato e coccolato. Peccato che il Natale dura poco e che un pino in una casa non è di moda.

E così come è venuto così se ne và. Talvolta qualcuno, passa, gli lancia un’occhiata e scommette che non supererà l’inverno ma quel pino ha del carattere, ad ogni primavera testardamente fiorisce, un tentativo goffo di farsi notare perché, segretamente, io credo, spera ancora di tornare su quel piedistallo.

E’ il 24 Luglio, sono passati 3 mesi e finalmente sono a casa.

Un altro viaggio, un'altra città, altro smog, altro cemento, altre finestre chiuse, altri volti tutti uguali.

Sono le 20,30 e non sto + nella pelle. Ho lasciato la valigia sul letto, ho aperto la finestra, mi sono alzata sulle punte e sporto leggermente il viso. Mi mancava il mio angolo di libertà. Mi mancava aprire la finestra, andare a sbattere con la Natura, osservare quel ritaglio di verde ed esserne gelosa, respirare vita laddove la vita è fatta solo di case, strade e rumori.

Poi, quasi per un attimo, mi manca il respiro.

Nel mio cortile, quel cortile anonimo che serve a separare un palazzo dall’altro, ci sono 2 panchine. Una di fronte all’altra, perfettamente uguali. Posso sentire l’odore fresco di vernice. Sono bianche con le spalliere ricamate, alla base c’è una piattaforma di cemento per poter appoggiare i piedi senza imbrattare le scarpe. Un po’ nascosto, un cestino, di quelli verdi, con il sacchetto dell’immondizia nero bene in vista. Le margherite sono rimaste in poche, adesso i bambini in attesa di andare al parco possono fermarsi a giocare e raccoglierne un bel mazzetto mentre la mamma chiacchiera con la vicina.

Mi affaccio ancora un po’, le punte mi fanno male… ma non riesco a vederlo. Al suo posto c’è un lungo palo nero con un cappello satinato, si vede che è acceso perché una debole luce giallina disegna strane ombre sul marciapiede.

No, proprio non c’è. Mi illudo che sia tornato sul suo piedistallo ma al Natale mancano ancora troppi mesi. Forse è stato piantato altrove, magari in qualche bosco insieme a tanti altri pini o forse il proprietario temeva che non avrebbe superato il prossimo inverno e lo ha regalato a qualche amico che vive in campagna. Già…

E’ già notte. Una coppietta si alza e si incammina abbracciata verso la strada, il lampione si spegne all’improvviso. Esco.

Mi raggomitolo sulla panchina e resto in silenzio.

Fisso il mio cortile.

Adesso lo chiamano giardino. E non passa più inosservato.

Qualcuno, all’improvviso, si è accorto di poterlo sfruttare, lo ha compresso, schiacciato, modellato, gli ha dato un senso, lo ha reso utile. Perché non si può vivere senza un ruolo ben preciso e ciò che appare diverso, diverso e troppo raro, proprio come quel piccolo coriandolo di verde, spaventa.

Gli si impone uno scopo e ci si illude di avergli dato un’apparenza di normalità, si crede di averlo piegato e ci si aspetta che faccia il suo dovere. Ma la Natura, anche quella di un piccolo cortile, è prepotente, finge di essere sottomessa ma non si intimorisce, aspetta paziente e si ribella. E nella ribellione rinasce ancora più bella e più forte, come in questa notte d’estate in cui, come per magia, tutto si rianima, si sveglia, si popola.

Farfalline notturne si addormentano attaccate al vetro del lampione ancora caldo, le formiche, con la stessa frenesia del giorno, escono in cerca di provviste, piccole lucciole giocano a nascondino, appaiono e scompaiono nel buio sembrano stelle, il canto dei grilli insistente e rassicurante incoraggia qualche animale ad uscire allo scoperto. Arriva il solito gattino gironzola un po’ intorno al palo, mi lancia un’occhiata distratta, si accoccola comodamente sulla panchina e si addormenta.

Sorrido. Raccolgo un ramo secco, di un pino che aveva carattere e penso che non sarà poi tanto dura dividere questo angolo di libertà con il mondo perché tanto, di notte, resterà sempre il mio cortile.