UN POSTO, UNA STORIA

 

di Carlo Salvadorini

 

Quando cominciò la storia non avevamo un posto. Ancora non ne sentivo la mancanza. O se la sentivo la scacciavo come si scacciano certe farfalle scure. Con un poco di fastidio.
Le strade non erano strade. Ma un interminabile nastro privo di qualsiasi incombenza esterna. E così riscoprii certi angoli che non ricordavo. O certi altri dove il cuore si era, di volta in volta, creato un nido.Di gioia o no.Ma dove comunque l'occhio riconosceva una luce e il piede una fossa sul selciato. Dove c'era un brandello di vita. O anche solo un sentimento fugace.
E poi scoprimmo il mondo. Fatto di sguardi inesorabili, di
giudizi. Di pigrizia. La avvertii questa pigrizia e mi sconcertò capire che non c'è posto per una bella storia. L'invidia di poterne vivere una e il riconoscimento della propria incapacità rendono ingenerosi. Così avvertii acuto il desiderio di un posto.
Ti condussi un giorno, scavalcando la tua diffidenza, dove
avremmo potuto costruire le nostre ore. In angolo dimenticato, vecchio, sconcertante. Abbandonato in un'isola di campagna ad un battito di cuore dalla città.
Un posto per ingenui sogni da ragazzi. Finché si crede nei sogni dei ragazzi e nella loro ingenuità. Per me andava bene. Così decadente, addirittura un residuo di patio e vecchi stucchi,Una magnolia con dei fiori.Immensi e bianchi.Come la mia voglia di possedere questa strana storia. C'erano anche dei gatti, tanti gatti ed il tuo divertente timore di essi.
Mi dicesti che ero pazzo. Con tenerezza.Forse lo ero.Lo sono.Ma quelle rovine per me non erano rovine.Ombre di altre vite.
Qualcosa da scoprire, edificare nei sogni. Ci ho vissuto con forza, determinazione quella mia vita che è la più vera.Lontano dalle regole, dal perbenismo.Senza maschere.Scoprendoti a poco a poco.Lasciandoti per ritrovarti.Sapendo che al primo cespuglio avresti preso la mia mano e avresti gridato ai ragazzi di finirla con le cerbottane.Che sono pericolose.Conoscendo la tua impazienza, le tue labbra,le tue mani. I tuoi capelli spettinati.Conoscendoti così bene da non conoscerti affatto.Perché un giorno il posto non ti bastò più.Vedesti solo una vecchia villa ormai fuori uso, muri scrostati,crepe. Sporcizia. Vedesti occhi che scrutavano.Bimbi che non erano innocenti. Siringhe.Già perché qualcuno si serviva del nostro posto per sogni diversi.
Vedesti quanto di miserevole c'era intorno. Quanto avevo io ignorato per poter vivere Così non esistono più la decrepita scala, i fichi che i ragazzi andavano,spericolati,a rubare sugli alberi,il corpo spezzato di una statua.
Mi sono domandato e ti ho domandato se esiste ancora la nostra storia.Tu dici di sì.Ma per me è così diverso.
Qualcosa è finito.
Qualcosa che non torna.
Qualcosa che non vorrei aver avuto solo io.