Stava
sempre nascosto in quella specie di boschetto in mezzo al traffico che scorreva
incessante.
Non si poteva vedere, ma lo si potevo solo sentire per quelle note malinconiche
che emetteva dal suo sassofono.
E c'era in ogni stagione, anche con la pioggia, la neve. il
freddo o il caldo torrido.
Passando in auto, note struggenti di vecchie canzoni
riecheggiavano in mezzo al frastuono dei motori e dei clacson.
Incuriosito, ma anche un po’ intimidito, un giorno decisi di
fermarmi di fianco al boschetto, nell'area di parcheggio, e mi diressi verso
quella musica. Si intendevo qualcosa di simile ad uno struggente blues,
ammaliante, davvero struggente.
Lo raggiunsi. Aveva un grosso cane vicino, tranquillo, come se stesse anch'esso
ascoltando quella musica.
Man mano che mi avvicinavo notavo l'uomo.
Era vestito con un paio di jeans ed aveva un giaccone buttato sopra come
casualmente, nonostante facesse caldo.
Sembrava giovane, ma in realtà l'età era indecifrabile.
Ora stavo davanti a lui.
Mi disse in un italiano quasi perfetto:"Ciao amico!".
Amico? Quant'era che non sentivo quella parola. Mi avvicinai.
Aveva sicuramente meno della mia età, probabilmente sui 35 anni.
Smise di suonare.
Gli dissi, sperando che capisse:"Non fermarti"..e lui riprese a
suonare dolcemente una canzone che aveva un qualcosa di decisamente
stupendo.Quasi come se le note si fondessero con l'aria e non si udissero più
rumore, neanche quelle delle macchine che continuavano a transitare senza sosta.
Ascoltavo, come rapito, e non riuscivo a dire niente.
Poi finì la canzone e mi disse qualcosa tipo:"Vuoi?".
Mi stava offrendo qualcosa. Vidi che era pane, solo pane. Dissi, per non
offenderlo:"Grazie, non importa". Fece un cenno d'intesa con la testa
e si mise a sbocconcellare quel pezzo di pane.
Quando finì, cercai di parlare con lui, ma mi precedette.
"E' bella l’Italia, è bella L., con questo suo mare anche quando è in
tempesta e soffia un vento terribile". Parlava piuttosto
bene italiano. Mi incuriosì.
"Ma che ci fai in Italia, a L., a suonare il sassofono in un posto dove
nessuno ti può neanche vedere?"
"Vivo. Questo è quello che faccio: vivo!", rispose.
Mi lasciò esterrefatto. Aveva risposto con l'unica frase che non mi sarei mai
aspettato.
"Ma come vivi ? Non capisco!"
" La notte ho un sacco a pelo e dormo qui oppure riparato; i gendarmi (così
disse)non mi hanno mai detto di andare via".
"E come vivi, se posso?"
"Qualcuno si ferma, ogni tanto, per ascoltare la mia musica e mi offre
qualche soldo"
"E in inverno?"
"No problem…"
Nessun problema. E viveva.
"Perché sei qui?". E lui:
"Non sopportavo l'Olanda; non si poteva vivere; troppi ubriachi e troppa
droga...e niente umanità..."
"E' tanto che sei qui?"
"Da oltre un anno"
In effetti avevo sentito un suono di sassofono. Ma in altri
boschetti cittadini e non ci avevo fatto caso.
"Ma ce la fai a vivere?"
"Sì. Ho per tetto un cielo ed ogni tanto vedo qualche stella che cade: è
bellissimo!"
"Ma non hai caldo o freddo, non hai fame?", incalzavo sempre più
curioso.
"No, amico: ho tutto dalla vita. Vivo, ho la mia musica, qualche altro
amico mi viene a trovare e qualche volta anche mangio. In Olanda insegnavo
psicologia e lingue all'Università dell'Aja. Ma mi ero stufato di esseri umani
tutti uguali, come macchine, che aspiravano soltanto a strizzare i cervelli
degli altri, cioè del prossimo. Ora sono felice. Chi mi viene a trovare mi
tratta sempre bene ed ascolta la mia musica".
"Suoni bene"
"Ho fatto la scuola, quella...come si dice....ah!..il
conservatorio"
E all'improvviso riprese a suonare una dolcissima canzone che aveva davvero
qualcosa di celestiale tanto le note si
confondevano con il boschetto circostante e toccavano l'anima.
Quando ebbe finito, decisi di andare e misi mano al portafoglio.
"No.No amico:è stato un onore averti qui"
"Posso fare qualcosa per te?"
"No: pensa soltanto che la vita è bella ed è sufficiente non avere
padroni e poter suonare in santa pace. Ma grazie."
Feci un cenno di saluto e lui, di rimando, riprese a suonare.
Chi era più folle tra me e lui? Non avevo dubbi: io.
Ma mi colpì quello che aveva detto. E pensare che noi miseri umanoidi tiravamo
solo a campare cercando un posto fisso e uno stipendio a fine mese.
Passai tante altre volte di fianco al boschetto, rientrando a casa, e sempre
intesi quelle note malinconiche.
Poi, in autunno avanzato, cominciai a non sentire più nulla.
Un giorno svoltai verso il boschetto per vedere se c'era ancora.
No c'era più. Il mio suonatore "pazzo" non c'era più. Lo cercai da
altre parti, ma niente.
Poi notai un vecchietto che stava tranquillamente seduto su una panchina ai lati
del boschetto. Gli chiesi:"ma non c'era un uomo che suonava il sassofono
qui?", sperando che sapesse qualcosa.
Il vecchietto sorrise e mi disse:
"Chi il suonatore pazzo? No. E' andato in cielo, quel cielo che
adorava"
"E' morto?"
"No, vive altrove; vive in cielo."
"In cielo?"
"Sì, e se ci fai caso sentirai talvolta le sue note, passando per strada,
anche se lui non c'è più...è diventato una stella."
Pensai che pazzo fosse il vecchietto ed anche io che facevo
domande alquanto strane.
Feci per andarmene poi mi voltai: il vecchietto era scomparso.
Non sapevo che pensare.
Solo allora capii: il suonatore pazzo era morto ed il
vecchietto forse era il suo...angelo.
Ma forse non ero in me. O troppo in me.
Non sentii più il suonatore pazzo e cominciai, qualche volta a guardare
il cielo, cercando...credo...una stella.
Erano due angeli ed il suonatore pazzo era diventato pura luce, ma mi aveva
fatto capire che forse il mondo non è questo, ma è altrove, forse in cielo.
E, sicuramente pazzo anche io, continuai a guardare le stelle fino a quando non
sentii nuovamente quella musica.
Ora capivo.
Avevo capito tutto, anche perché ero in auto e stavo per morire, per mia volontà
naturalmente.
In quel limbo di anime perse li vidi avvicinarsi: il suonatore pazzo ed il
vecchietto.
Era giunta la mia ora.
Anche io sarei diventato un'anima persa e pura luce.
E sorrisi.
Finalmente.