Quel che accade nelle pagine seguenti

Come prima cosa vorrei ringraziarvi per aver deciso di dedicare un po’ del vostro tempo ad un perfetto sconosciuto che s’è inventato di scrivere una storia di quasi 40 pagine……se tutti quanti sapessimo concedere un po’ del nostro tempo a dei perfetti estranei forse il mondo sarebbe davvero migliore…..soprattutto per questo grazie di cuore.

Piero, Natalia, Francesca e Kristian sono i protagonisti di una semplice storia che cerca di esplorare i sentimenti di una società in piena crisi d’identità.

Il buon Piero, in una notte simile a quella che l’Innominato trascorse parecchi anni prima, ci narra di un’amicizia che trova rifugio negli ambienti alternativi della Milano poco conosciuta e spesso disprezzata. Feste estive in vecchi cascinali della periferia, aree dismesse oKKupate abusivamente e strane tisanerie dal sapore magico fanno da sfondo ad una frammentaria ricostruzione di un periodo in cui lentamente il protagonista sente l’esigenza di esplorare nuovi modelli esistenziali abbandonando quelle che fino ad allora erano state le certezze per cui era valsa la pena di vivere.

La successione degli eventi sembra seguire, come se esistesse un sottile filo invisibile, il corso della politica italiana di fine- inizio millennio.

Come accade in quella sinistra, costituita da più anime diverse tra loro ma unite da un comune codice genetico, anche l’amicizia tra i quattro ragazzi sembra inspiegabilmente andare in frantumi.

In quella nottata, che segue l’inaspettato incontro con i tre amici, Piero riscopre le gioie, gli amori e le delusioni degli ultimi anni trascorsi assieme agli altri tre ragazzi, analizzando le motivazioni di un tale inspiegabile insuccesso per arrivare, col nuovo giorno, ad una conclusione più simile ad una vera e propria liberazione.         

Il racconto ci presenta anche due personaggi misteriosi; il Pierce Tamburelli de ”La vera storia di Emmet Zimmer” e di “Uomo” e Giuliano, un misterioso massaggiatore shiatsu che sembra avere poteri di vero e proprio guaritore dell’anima…

 

  I RACCONTI DEL SIGNOR TAMBURELLI

 

Storia di una generazione senza vento

…in quell’istante mi passarono alla mente tutte le riflessioni confuse tra loro: mia madre, Natalia, il vecchio partito, gli amici, la sinistra europea ….

Stavo forse smarrendo anch’io la strada da seguire? Mi domandai perplesso mentre aspettavo di trovar le forze necessarie per rialzarmi da terra…

 

Il prologo

 

  Era il 7 dicembre 2002.

La televisione aveva annunciato che quell’inverno sarebbe stato il più caldo degli ultimi cinquant’anni, ma di certo nessuno si sarebbe mai aspettato una brezza tanto rigenerante dopo le lunghe settimane d’incessante pioggia battente. Quella sera, poco prima d’uscire, avevo sistemato con cura il mio piccolo appartamento; in controluce potei orgogliosamente osservare la buona riuscita di tanto lavoro: il luccichio che s’alzava dal pavimento faceva rimbalzare l’occhio in ogni angolo del soggiorno…ovunque regnava un inconsueto ordine.

Controllai che Lucrezia, la mia gatta, avesse la ciotola colma di latte, la salutai spegnendo la luce e mi lasciai la porta di casa alle spalle. L’incontro con i compagni del liceo era fissato per le nove in Piazza Corelli. Al buio, che si presentava puntualmente alle cinque del pomeriggio e al pallore che marcava i tratti d’ogni viso, si contrapponeva un soffice vento dall’insolito sapore africano. Il risultato di quella piccola ma significativa rivoluzione climatica mi si presentò subito in maniera piuttosto netta: il signor Watchtown non aveva la solita fretta nel rientrare in casa dopo aver  passeggiato per tutta la via coll’inseparabile cane; la signora Trasere bagnava i fiori che le colavano dal poggiolo, senza badare né a quel che facessero i Barnaba che n’erano i diretti dirimpettai, né a chi le passasse sotto casa; il figlio dei Melloni, nonostante l’ora tarda, sgambettava ancora nei giardini pubblici di via Palizzi assieme al padre e a un paio d’amici. Arrivai alle panchine, luogo stabilito per il ritrovo, in perfetto orario, ma del resto della brigata non v’era ancora alcuna traccia. Aspettai pazientemente una diecina di minuti, giusto per non tradire la parola data, diedi l’ennesima sbirciata attorno, sospirai alzandomi da dove stavo seduto e, confortato per quel mancato incontro, mi riversai tra la folla del centro, sparendovi in pochi istanti senza più voltarmi. Non avevo nulla contro quei vecchi compagni di scuola, semplicemente non avrei saputo cosa raccontare loro con l’adeguato entusiasmo…Vagabondai senza precisa meta tra una libreria ed un’altra, quasi a far scorrere il tempo nella speranza che non s’accorgesse della mia presenza, finché non mi trovai ad osservare un gruppo di diseredati sudamericani che, circondando una vetrina di un negozio d'elettrodomestici da poco inaugurato, aspettavano con pazienza l’inizio di non so quale partita, che l’ultra-piatto di nuova generazione era pronto a trasmettere in esclusiva per loro. La curiosità ebbe presto la meglio sulla pigrizia e, senza troppo badare al resto, mi sistemai anch’io di fronte alla tv. I minuti presero però presto a scorrere lenti, facendo svilire le mie chissà poi quali aspettative, deluse sia dalla compostezza degli andini che dallo scialbo andare di un incontro dove i funamboli del soccer latino sembravano esser soltanto un’antica e fantasiosa leggenda. Guardai con disappunto l’orologio e decisi, seppur non fosse affatto tardi, d’abbandonare lo spettacolo anzitempo. Mi sistemai la giacca, strinsi con forza le stringhe delle scarpe, mi passai una mano tra i capelli girandomi verso la strada… quando... tra il vociferare che si levava continuamente dal gruppo, rimbalzò una stridula voce femminile che a chiare lettere invocava il mio nome, richiamando, assieme alla mia, l’attenzione dell’intero piazzale. Francesca mi si presentò davanti qualche secondo più tardi; dietro di lei Kristian e Natalia non si fecero troppo attendere. Tutto quel che mi stava intorno parve quietarsi d’incanto…Sarebbe troppo lungo star qui a raccontar dell’incredula felicità che provai in quei lunghissimi attimi. Mi limiterò per questo, a citare soltanto con quale forza li abbracciai, uno dopo l’altro, stringendoli quasi a voler giunger fino al loro cuore, comunicando le mie emozioni in una sorta d’insolito alfabeto morse….li guardai nell’animo…non erano  cambiati affatto.

 

xxxxxxxxxxxxx

Affermar che conoscessi Natalia, Kristian e Francesca da un’intera vita, non era soltanto un semplice modo di dire. Eravamo cresciuti tutti assieme nel cortile della casa di ringhiera d'un vicolo in periferia, rincorrendo senza mai stancarci, una polverosa palla di pezza bianca macchiata qua e la di un bel nero corvino.. dietro quel pallone si nascondeva un intero mondo…il nostro. A detta di tutti, se c’era qualcheduno capace di tener sempre alto il morale del gruppo, era Kristian. Con lui legai più che con chiunque altro, tanto che ben presto diventò “l’amico di sempre”. Non saprei nemmeno più contare le serate che passammo assieme in poltrona o in qualche centro a scolar birra e vino…L’unico altro interesse che non condividevamo oltre al baseball, solo Dio sapeva come facesse a piacergli uno sport tanto complicato, era quello per gli uomini. Kristian era omosessuale, già, e non fece mai nulla né per ostentarlo né per nasconderlo a sé e agli altri: lo era e basta. Fu a lui che confidai per primo i sentimenti che da tempo nutrivo per Natalia…Il preciso istante in cui m’innamorai di lei non lo ricordavo nemmeno più: mi pareva d’amarla da sempre, ecco tutto. La bionda d’oltralpe, così nominata per quel suo aspetto tipicamente nordico, era l’unica a non aver mai abitato nel vicolo; ci veniva di tanto in tanto per salutare una vecchia zia, e finì coll’affezionarsi a noi e a quella piccola corte come se in quel posto ci fosse davvero nata. Ci fidanzammo che avevamo entrambi meno di diciannove anni e passammo assieme alcuni tra i momenti più belli della nostra vita…Per la Fra, che invece nel quartiere c’era cresciuta, l’amore arrivò più tardi d’ogni pur pessimistica previsione, ma non per questo fu avaro di sorprese...Quando ci disse di aspettare Maya, la pancia le aveva preso a lievitare già da qualche settimana e la storia con Ezio, l’eroe che ne rapì il cuore per un anno intero, era malamente finita da parecchi giorni. La piccola nacque cinque o sei mesi più tardi. Aveva preso, in tutto e per tutto, le sembianze del padre che non poté mai conoscere, ma in fondo agli occhi le s’intravedeva appena la delicatezza di un animo buono, proprio come quello della madre che da sempre l’aveva desiderata. Quanto tempo doveva esser passato……                                                                             

 

xxxxxxx                xxxxxxxxxxxxxxxx

- Goooooaaaaal !!! – un gioioso boato proveniente dal ventre della piazza scosse ogni già precario equilibrio, sfumando i disordinati ricordi e sciogliendo quell’inevitabile imbarazzo prodotto da due anni di silente assenza.

Ci guardammo l’uno con l’altro, sogghignando appena e stringendo un poco le spalle tra loro

- Andiamo! – disse Kris colpendomi amichevolmente sul petto, e senza aggiunger parola prendemmo a camminare…Finimmo in una pizzeria che, a giudicare dalla pochezza dell’arredamento, doveva aver aperto soltanto qualche giorno prima; tutto aveva ancora l’odore di nuovo. Il locale, diviso in tante piccole stanze, era illuminato soltanto da una dozzina di graziose candele sparse qua e là per i tavoli.

- Prego… -  c’invitò un cameriere celando l’impaccio dietro un’elegante uniforme.

Ci accomodammo e ordinammo in tutta fretta; le pizze arrivarono poco più tardi. Accanto a me Kris non esitò a prendersi burla di com’ero vestito e del mio goffo portamento. Natalia invece, che forse più di tutti aveva motivo di portarmi rancore, fu di poche e sterili parole…Probabilmente più per timore che per vero imbarazzo, lasciammo scivolare la serata senza neppur accennare a quegli anni trascorsi senza mai vederci. Era come se avessimo avuto paura di scoprire quelle vecchie ferite che ormai da qualche tempo sembravano non far più così male. I meritocratici brindisi e le spontanee risa che seguirono la cena, ci trascinarono al momento dei saluti senza che neppure potessimo accorgerci del tempo che era passato. L’orologio impietosamente segnava già le due e trentacinque. Altro non ci rimase che di saldare il conto e uscire. L’aria di strada s’era fatta un poco più fredda. Tutti parevano aver timore d’accennar parola…

- ...A presto...- esordii interrompendo gli indugi

- D’accordo..- replicò la Fra stringendomi una volta ancora

Guardai Natalia. Sembrò sorridermi.

- Date un bacio alla piccola Maya…- strozzai in gola prima che potessero girare l’angolo.

Mi chinai a raccoglier la carta di una gomma da masticare che era caduta dalla tasca di Kristian; la strofinai tra le mani, sorrisi e presi a correre cercando di domare le idee che zampillavano impazzite nella mia mente senza che potessi più controllarle. Arrivai a casa pochi minuti più tardi; accesi lo stereo a basso tono e m’avvicinai alla credenza per stappare l’ennesima birra. Ero stanco e sentivo gli occhi gonfi di fatica, ma sapevo che quella notte non sarei riuscito a prender sonno con la consueta facilità. Presi, così, le fotografie che gelosamente custodivo in una polverosa scatola d’alluminio colorato, mi sdraiai sul letto e, facendomi accompagnare dai ricordi fin all'ultimo anno trascorso assieme a quelle tre anime, ripensai a quei preziosi momenti quando nulla poteva ancor lasciar presagire quel che sarebbe poi accaduto, ma quando tutto, lentamente iniziò a cambiare….. 

Quanto tempo doveva esser passato…..

 

 

 

Maya

 

25 novembre 1999

Eran da poco scorse le tre del pomeriggio quando Natalia mi chiamò per avvertirmi che avrebbe portato Francesca in ospedale. La telefonata fu svelta ed essenziale. Le contrazioni, mi disse emozionata, si ripetevano già da un paio d’ore e nulla lasciava pensare si sarebbero più fermate. Provai ad immaginare la Fra mentre con quel pancione preparava le valigie e ascoltava una musica dolce, respirando profondamente nel tentativo di non perdere la calma. Appena mi fu possibile mi precipitai alla clinica; lasciai il lavoro e mi feci inghiottire dal traffico cittadino. Il tempo in macchina scivolò leggero, senza mettermi fretta, forse per permettermi di gustare quei momenti con la dovuta serenità. Arrivai a giusta destinazione verso le quattro, quando il sole era già scomparso dietro le grosse nubi. Un’infermiera, dopo una breve ricerca, mi fece accomodare appena fuori una delle tante sale d’aspetto. Nell’istante in cui la porta s’aprì, anche se visibilmente affaticata, Francesca m’accolse con un caldo sorriso; sospirò e mi abbracciò delicatamente.

-E’ il gran giorno! – mi sussurrò all’orecchio – mia figlia  nascerà al più tardi questa notte – continuò

- I dottori…che dicono i dottori? Andrà tutto bene??…-  domandai evidentemente con eccessiva ansia.

- Non preoccuparti …- ..m’interruppe la Nata - ora andiamo nella sua camera e… sarebbe meglio se ci armassimo di pazienza… soprattutto noi due…. non pensi..?! – mi strizzò l’occhio.

Le parole di Natalia mi diedero l’adeguata scossa e le ultime scorie di tensione uscirono dalla mia mente di conseguenza.

- Uhm..uhm..- annuii convinto- vorrà dire che vi farò da infermiere personale….. ..dove la posso portare Milady ? – dissi spingendo una carrozzina abbandonata lì a fianco.

Una salutare risata ci accompagnò fino al terzo piano.

- Dinn –

L’ascensore aprì le sue porte.

Il corridoio che ci si presentò davanti ci apparve così dritto e lungo da sembrar disperdersi nel buio. Dalle pareti, ridipinte di recente di uno spento verde acqua, trasudava ancora il profumo pulito di vernice fresca, e dal soffitto, che pareva sbirciarci dall’alto, la luce dei neon faticava ad illuminare per intero il locale. Giungere nella sala travaglio fu quasi una liberazione; finalmente, potemmo posare l’ingombrante valigia e sistemarci un po’ più a nostro agio. L’organizzazione del reparto sembrava esser pressoché perfetta. Ogni mezz’ora un medico veniva a controllare che tutto procedesse per il meglio e anche se le cose promettevano d’andar per le lunghe, null’altro lasciava presagire il contrario. Tra una visita ed un'altra si fece presto l’ora della cena e con essa la fame non tardò a segnalare il proprio arrivo. Promettendo di portare un qual ché di buono anche per Natalia  mi affrettai verso l’uscita lasciandomi in pochi attimi alle spalle i bagliori di un ospedale in apparenza deserto. Sarebbe stata questione di pochi minuti, pensai salendo in macchina…Corsi al primo bar di zona, mangiai voracemente un tiepido pezzo di pizza accompagnandolo ad una birra ghiacciata, presi un panino zeppo di verdure e scappai di nuovo verso l’auto. Appena giunto sulla soglia del pub ebbi però un sussulto; non sapevo come, ma la mia macchina se ne stava immobile, di fronte a me, accartocciata ad un’altra, sbuffando di continuo un terribile fumo nero dall’odore acre. Mille pensieri attraversarono la mia mente; rischiai la paralisi mentale. Lo sguardo si soffermò distratto su dei fogli che svolazzavano allegramente nell’aria mentre tutti guardavano increduli i due mezzi distrutti.

Una mano sulla spalla mi ridestò di colpo.

- Un bel botto, eh??!!- disse un giovane ben vestito.

- Già, ma come diavolo… questo…questo.. – dissi scuotendo il capo -  la mia…la mia macchina…era lì, ferma.. – balbettai

- Lo so bene - mi rispose

-  … Chi è il proprietario…?. Chi è il responsabile di tutto questo… ? – gli domandai con avidità.

Nessuno si fece avanti.

- E’ lui, quello alto con la giacca chiara! - echeggiò qualcheduno dalla piccola folla accorsa a vedere l’inconsueto spettacolo. Il gruppo si aprì in due ali e un energumeno dai capelli biondo platino mi si presentò davanti con fare bonario. Mi strinse la mano in tono amichevole e… - E’ colpa mia…eh…. non so cosa dire se non… – …attaccò con le scuse di rito.

– Ma come diamine hai fatto?…- scossi nuovamente il capo -… Tu ..stai bene?……-

- Sì, sì, non so come ma…una bicicletta … l’ho vista all’ultimo istante e… – allargò le braccia - mi spiace veramente, non so cos’altro dire…- aggiunse indicando le due auto.

- Nulla…… oramai…. – dissi grattandomi il capo

Non avevo altro tempo da perdere.

Proposi di far  spostare le macchine per aggiornarci poi il giorno successivo con più calma. Il giovane chiamò l’officina più vicina. Aspettai per quasi un’ora il carro che doveva trasportare le due macchine  all’autoparco di competenza, poi liquidai il gigante biondo con una banale scusa e presi a correre a perdifiato verso l’ospedale.

Erano le 21.35, ed ero tremendamente in ritardo. Non ascoltai né il vento che soffiava a tagliarmi le guance, tantomeno il freddo subito  pronto a penetrarmi fin dentro le ossa e in men che si potesse dire potei trovarmi davanti al grosso orologio d’ingresso della clinica che, cortesemente, mi diede il benvenuto presentandomi alle due rampe di scale che ancora mi separavano dalle due donne.

Francesca e Natalia erano già in sala parto.

Quando entrai due giovani infermiere mi sorrisero, chissà come  rinfrancate dal mio arrivo. La stanza era quasi completamente al  buio. Su di un angolo girava un grosso lavandino in ceramica bianca affiancato da una piccola bilancia su cui v’erano adagiati una serie di lunghi asciugamani intonsi. Nel mezzo accomodata su di uno strano letto, l’amica aspettava giungessero le contrazioni.

A breve Francesca avrebbe partorito la propria figlia.

La Fra spingeva con quanta forza aveva in corpo, mentre noialtri  pareva volessimo trasmigrare in lei tutte le nostre energie stringendole le mani e carezzandole i capelli. Il respiro di tutti, col passare dei minuti, si fece sempre più affannoso e ognuno cercò di trovare come meglio poteva un poco di quell’ossigeno che ormai nell’aria cominciava a scarseggiare.

- Ci siamo - esclamò tutt’un tratto l’ostetrica - ancora poche spinte e….- ripeté eccitata.

- Sia ringraziato il cielo – supplicò la dolce Francesca con le lacrime agli occhi – non pensavo esistesse tanto dolore… Aaaahh !!!!!!! – l’urlo annunciò l’arrivo di una nuova contrazione.

 Fu la spinta decisiva; la donna teneva stretta tra le proprie gambe la testa della figlia

- Su un’altra spinta e……- promise l’ostetrica

- Aaaaaaahhh!!!!!!!!!!!! – Con un ultimo sforzo la Fra riuscì ad espellere dal proprio utero quel corpicino violaceo che, ancora  tutto imbrattato da un misto tra muco e sangue, si affacciava al mondo ignorando chi realmente fosse e quel che davvero le stesse capitando. Con una destrezza che ne dimostrò l’inaspettata esperienza, l’infermiera  accompagnò  delicatamente l’uscita o l’ingresso, come dir si voglia, della neonata alzandola su per i piedi e mostrandola quasi fosse un trofeo. Appena venuta alla luce la piccola si liberò in un fragile pianto, segnando con i primi suoni una vita che chissà quant’altro avrebbe avuto ancora da dire. Mi domandarono se volessi tagliare il cordone che ancora la teneva legata alla madre; rifiutai cortesemente. I medici la lavarono, l’asciugarono e la pesarono constatando che tutto fosse andato per il meglio.

- Ecco, ora è pronta – la presentarono alla giovane madre – è una bambina, di tre chili e otto etti, e…è tutta sua… prego – gliel’appoggiarono sul petto.

Un attimo di commozione colpì tutti indistintamente.

La piccola, di lì a poco, venne adagiata su di un’accogliente culla tutt’ovattata, per esser poi trasportata fin alla nursery all’ultimo piano; a noi, invece, diedero ancora qualche minuto per salutare Francesca, giusto il tempo necessario a farle luccicare nuovamente le pupille; poi, a malincuore, fummo costretti ad andare.

Eravamo pieni di gioia.

Appena usciti dalla sala parto un'ostetrica, che pareva solo attender il nostro arrivo, ci fece segno di seguirla – ..su…- ripeté avvertendoci di far silenzio. La seguimmo arrivando ben presto fin all’ultimo piano, dove Maya dormiva già beatamente; ci accostammo al vetro che divideva il corridoio dal reparto. Tutto taceva.

- E’ bellissima – ammise l'ostetria indicandola tra gli altri

- Già ….- concordai serenamente

- Ah…- si scurì un poco in viso aggrottando le sopracciglia - mi spiace l’aver equivocato ….si….ecco.. avevo immaginato che lei fosse il padre…e invece… – aggiunse guardandomi  in volto –…...spero di non esser stata inopportuna…. ..-

- No… per nulla…– sorrisi –.. e poi… un poco… mi ci sono davvero sentito padre… o almeno …….

Sorrisi nuovamente guardando la piccola. La mezzanotte era scorsa ormai da un pezzo quando decidemmo d’andar via…Sulla culla il nome “Maya” risaltava a chiare lettere, così come i capelli scuri, la carnagione olivastra e quegli splendidi occhi leggermente a mandorla. Sperai che potesse fare sogni magnifici per l’intera notte che restava, riposi quell’immagine tra i pensieri più profondi nel tentativo di custodirla per sempre e stringendomi a Natalia m’avviai definitivamente verso l’uscita.

 

 

 

Natale

Era la notte che precedeva quella della vigilia del Santo Natale.

Maya era nata già da un mese.

Quella sera io, Natalia e Kristian pensammo che rifugiarsi in quella vecchia tisaneria pubblicizzata nel pomeriggio alla radio, potesse esser un buon modo per scrollarsi di dosso i rumori di una giornata a dir poco stressante. Mai vi fu scelta più azzeccata. Il locale, allestito con cura, straripava di quadri di pregevole fattura che si riflettevano su di un lucido parquet bruno; le sedie e i tavolini, nella loro essenzialità, erano sparsi qua e là per la stanza, senza un preciso ordine e nel bel mezzo della sala, a dir la verità in modo alquanto imbarazzato, troneggiava una vecchia poltrona da barbiere che pareva inchinarsi di fronte al bancone dove, orgogliosamente, erano esibite centinaia delle tante miscele miracolose di cui il posto andava tanto fiero. Tutto era stato predisposto a dovere per  sollevare lo spirito affaticato d’ognuno che vi fosse entrato. Persino nella scelta delle stoviglie non era stato lasciato nulla al caso; le tisane ci furono servite in tre tazzine rifinite a mano, con raffigurate alcune tra le scene più significative della Bibbia. Si diceva che ad ognuno appartenesse la propria e che ne  rappresentasse lo stato della propria anima… non erano soltanto sciocchi mezzi per attirare la gente … in quel posto aleggiava davvero qualcosa di magico. Mentre Kris ci stupiva, rivelandoci di un nuovo importante amore, sentivamo quell’intruglio scendere lentamente in ogni angolo del nostro corpo nel tentativo di scaldarci  fin nelle viscere. Fu quella la prima volta che Kristian ci parlò di Pierce; lo fece con voce roca, spezzata da strani sussulti, elogiandolo d’ogni prodezza e sottolineandone le qualità più nascoste. Stentai nel crederlo ma… Kris si era di nuovo innamorato. Mi venne, così, alla mente il dì in cui incontrammo il giovane americano al parco di quartiere; soltanto ora comprendevo come quell’impaccio e quell’emozione non dovessero esser soltanto figlie di un’eccessiva timidezza….Uscimmo dal “Mandala” giusto in tempo per acciuffare l’ultima corsa del treno; il cielo si era coperto di grosse nubi che non lasciavano trasparire nemmeno l’ombra di una stella. Salutammo Kristian, fin troppo frettolosamente, e correndo prima che le serrande potessero chiuderci fuori, c’inabissammo tra le arterie della metropoli cittadina nella speranza di raggiungere casa il prima possibile. Di per se il metrò era uno di quei luoghi in cui mi trovavo più a mio agio; il posto in cui mi lasciavo alle spalle il freddo, il vento, la pioggia trovando un sicuro riparo per riordinare le idee e tirare un poco il fiato. Ci trovavo un non so ché di familiare tra quei misteriosi vicoli che serpeggiavano sottoterra. Ci accomodammo, silenziosamente, sugli scomodi seggiolini di plastica blu guardando lo scorrere veloce delle fermate che via via arricchivano il vagone di nuova gente e ne smarrivano altra diretta per chissà dove. Attorno a noi un manipolo di sconosciuti ci accompagnò invece per tutto il viaggio; eravamo circondati da un magnifico miscuglio d’etnie differenti: africani, asiatici, americani non erano certo più una novità, ma ogni qual volta trovavo affascinante constatare di quante facce fosse dipinta la razza umana….Natalia poggiò la testa sulle mie gambe, chiudendo gli occhi infastiditi dai freddi neon che illuminavano l’intera carrozza; sembrava esser più serena del solito.

-…Piero…- m’incoraggiò all’improvviso alzando il capo -… vieni con me..- proseguì tirandomi per un braccio

- Dove vuoi andare ? – le chiesi piuttosto stupito

  La nostra fermata era ancora lontana.

- Ufff…- sbuffò sorridendomi

La seguii.

Scendemmo dal treno, che ripartì velocemente per la sua corsa e uscimmo dal sottopassaggio correndo su per le scale; davanti a noi si presentò, nascosta tra i banchi di una soffice nebbiolina, l’imponente collina da cui si poteva dominare l’intera città; ci affrettammo a salire e, gradino dopo gradino, rampa dopo rampa, in men che non si potesse dire, arrivammo proprio fin sulla cima. Ci tuffammo nell’erba gelata cercandoci l’un l’altro per riscaldare i nostri corpi; le baciai le guance bisbigliando parole dolci nel tentativo di non svegliarmi da quel che avevo timore potesse essere soltanto un sogno. Ho sempre trovato piacere nel pensare che in quei momenti il parco intero fosse lì a mirar la pienezza di tanto sentimento. Tutta l’energia di cui eravamo in possesso si trasformò presto in amore, amore grezzo, quello per cui forse l’uomo sapeva distinguersi dalle altre specie, quello che sapeva come annullare le altre sensazioni, l’amore per la vita, l’amore per l’amore, e un turbinio di passioni travolse le nostre giovani anime. In quella nicchia circondata dai cespugli, ricoperti soltanto da qualche maglione di lana, Natalia ed io gustammo, per la prima volta, i piaceri dell’amore. Tutto fu proprio come l’avevo sempre desiderato, il resto in quei momenti non contò più nulla.

 

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Solitamente  quando la mattina mi svegliavo tardi, non ero quasi mai di buon umore, ma quella volta, ancora ubriaco di gioia, ripresi la giornata col piede giusto. M’alzai sbirciando che ora fosse: l’orologio segnava le tre del pomeriggio. Quella sera avremmo festeggiato la nascita del Cristo a casa di Francesca degustando, come la tradizione imponeva, una succulenta cenetta accompagnata a del buon vino portoghese che da qualche tempo conservavo in cantina. Kris s’era ripromesso d’invitare anche Pierce. Mi sciacquai il viso con un’abbondante gettata d’acqua gelida, mi vestii alla svelta infilandomi in una calda maglia di lana e acciuffando in qualche maniera Lucrezia, discesi le scale fin al piano terra con la bici a tracolla. La città aveva ripreso il solito andirivieni e fiumane di gente si dirigevan per gli ultimi acquisti fin verso la piazza del Duomo; il castello vestito a festa d’un manto di luci chiare non era meta delle consuete visite guidate, e la fontana, anch’essa rallegrata dallo spirito gioioso di quei giorni, sospingeva l’acqua più in alto di quanto non avesse mai fatto prima d’allora. Arrivai dalla Fra che eran già le cinque del pomeriggio. Pierce, con competenza, aveva cucinato quello che sembrava essere del buon pesce al forno e stava finendo di soffriggere in padella un sugo dal profumo assolutamente invitante. Mi guardò con compostezza e mi salutò pacatamente. Passammo quelle ore che ancora ci separavano dai festeggiamenti ascoltando musica e conversando del più e del meno, fin quando il cuoco, battendo con un mestolo sul fondo d’una pentola, non riunì tutti i commensali  nel salone per presentare, a gran voce, quella che sarebbe stata la cena:

- In onor di tanta cortesia e altrettanta grazia - pronunciò guardando le due padrone di casa - per festeggiare il Santo Natale e la piccola Maya, sono lieto di mostrarvi il menù di quella che ricorderemo come la nostra prima vigilia del Natale trascorsa assieme.

- Dunque..- si schiarì la voce – …la carta prevede

-  Linguine al sugo di pesce

-  Tortino di verdure

-  Cardi al forno

- Orata al cartoccio       

-  Ananas con panna

-  Pandoro farcito alla crema

-  Frutta secca e agrumi siciliani

...la signoria vostra é pregata d’accomodarsi…. e soprattutto – sorrise - di preparare lo stomaco…- concluse strofinandosi le mani. Tutti quanti applaudimmo.

La serata fu magnifica…

Pierce si rivelò da subito un gran intrattenitore, e di questo Kristian ne andò parecchio fiero; Maya dormì quasi per tutto il tempo nascondendo timidamente la testa tra le braccia di Francesca; Natalia ed io ci gongolammo nel fresco ricordo della notte precedente assaporando ogni istante di quella splendida compagnia...L’aroma rilasciato allo stappare d’uno dei nobili vini di vecchia data che avevo portato, aizzò ulteriormente il buonumore che covavamo nelle viscere trasformandolo ben presto in disordinata allegria. Fu a quel punto, se non vado errando, che il giovane italoamericano iniziò a parlarci d’alcune storielle che amava raccontare agli amici e ai parenti, in quelli che chiamava i sermoni domenicali durante le rimpatriate familiari…

- Avanti..- lo spinse orgogliosamente Kristian – parlagli di quell’ebreo… come sì chiamava…quello…-

- Emmet..- rispose il menestrello

- Già… Emmet…forza..- lo incoraggiò di nuovo

- Si… insomma… io amo presentare i miei personaggi.. ma non credo sia davvero il caso….- disse cercando consenso tra i nostri volti.

- A me sembra una buona idea.. – replicò subito Natalia

- Anche a me – aggiungemmo in coro Francesca ed io

- E sia allora.. ma non dite che non v’avevo avvertito…. – e… incrociando le braccia appoggiandole al tavolo attaccò con il racconto dal titolo…

 

La vera storia di Emmet Zimmer

La vita in caserma non presentava grandi emozioni e tutti, ogni sera, aspettavamo la libera uscita per scrollarci di dosso tutto quell’inutile perfezionismo di cui i generali si davan tanto vanto. L’unico a voler restare sempre rinchiuso tra quelle mura era un ebreo, un certo Emmet Zimmer, un ragazzo tanto sospettoso da non riferire mai parola con nessuno  …si vociferava addirittura fosse muto. Malgrado l’argomento Zimmer alimentò fin dal principio le notizie di radio-anfibio (d’altro non si trattava che di un appena più complesso passaparola), per giorni non m’accorsi neppure di quella silenziosa presenza, credendola più che altro figlia d’uno stupido misticismo. Emmet era una persona metodica. Durante il giorno non lo si vedeva se non per la ginnastica e per i servizi obbligatori; nessuno sapeva neppure dove e cosa mangiasse; la sera poi quando noi uscivamo, si spogliava della pesante divisa, si lavava con cura e si nascondeva sotto le coperte aspettando pazientemente il proprio momento…Il soldato Emmet Zimmer era la matricola 18022000

21 giugno.  La grande scoperta.

Anche quella sera, le luci si spensero puntualmente dopo il suono del silenzio e come sempre, le fragorose risa si tramutarono presto in sottili bisbiglii che lentamente sfumarono in un tombale silenzio. Tutti s’addormentarono e il tempo sembrò fermarsi. Io dovevo scoprire chi fosse in realtà Emmet Zimmer ….Dovettero passarne di minuti, eccome se ne passarono, ma l’attesa non fu per nulla vana; poco dopo la mezzanotte qualcosa cominciò a muoversi. Sbirciai tra le sbarre dei letti stando ben attento a non far il benché minimo rumore; eran proprio le sue lenzuola. Sicuro che nessun altro fosse ancora sveglio a quell’ora, il giovane uscì da sotto le coperte guardandosi distrattamente attorno; stiracchiò l’esile corpo ben vestito di un pigiama in lino sottile ed estrasse dalla fodera del cuscino quello che a prima vista mi sembrò esser un libro, ma a ben guardare si rivelò un vecchio e rattoppato quaderno gonfio di parole; lo pose sul petto, quasi fosse una reliquia, con le mani giunte tra loro restando immobile per qualche minuto immerso in quella che aveva tutta l’aria d’essere una preghiera; spalancati gli occhi, poi, si sedette a cavalcioni del cuscino e attaccò avidamente a scrivere isolandosi completamente da quel che lo circondava. Non sapevo esattamente quel che stesse facendo, ma inspiegabilmente sentii il cuore tronfio d’emozione. L’eccitazione per ogni frase trovata, i ricordi più intimi, le immagini di paesi sconosciuti, gli amori finiti, gli affetti traditi, tutto m’apparve limpido, la paura si sciolse liberando la mia anima in un mondo che non m’apparteneva…Quella notte provai ciò che non avevo mai vissuto. La mattina seguente, di buon ora, fermai il soldato Zimmer sul viale che  accompagnava al refettorio.

- Dì…- esordii sicuro camminandogli al fianco – mi piacerebbe leggere quel tuo quaderno… –

Si fermò di scatto

- E tu che ne sai…- rispose infastidito, riprendendo subito a camminare

- Più di quanto tu possa immaginare…- ribadii

- Non dovresti interessarti di ciò che non è affar tuo….. -

- …forse non hai torto…  guardandoti ieri sera…però…-

-  Cosa…?- brontolò - …quindi m’avresti spiato..!!! –  proseguì aggrottando le sopracciglia – hai un bel coraggio a presentarti… -

- Se vuoi metterla così…- lo interruppi - comunque non è questo il fatto…-

- E quale sarebbe …? -

- Non so come…- dissi fermandomi nel mezzo di Piazza Armi - ma in qualche modo - proseguii - mi sono impossessato delle tue emozioni…-

Entrambi per un istante ci facemmo seri.

- ..Ne avevo sentite d’idiozie…ma questa in ordine d’assurdità le supera tutte quante…  –

- Sei libero di non crederci ma ti assicuro… le ho provate come fossero state mie…anche se… ne sono certo.. non lo erano affatto –

-  Ora basta… ti sono stato ad ascoltare fin troppo…-

Non potevo più aspettare.

-…..Federica… – iniziai - …dolce amor mio, saperti altrove mi lacera lo spirito e non mi discolpa affatto dalle mie viltà, ma immaginarti felice mi degna di una vita che altrimenti non meriterebbe d’esser vissuta se non nelle pene e nella menzogna…-

All‘udir di quelle parole Emmet ebbe un sussulto, si fermò e mi fissò guardandomi in volto con gli occhi sgranati…quelle erano le sue frasi, i suoi pensieri, le sue e le mie emozioni. Non ci spiegammo in quale modo, ma nella notte precedente le nostre menti erano evidentemente venute in contatto ….Da quel dì in avanti, diventammo inseparabili e riuscimmo a trasformare ogni momento libero in un pretesto per stare assieme. C’incontravamo ogni sera sui gradoni della palestra, lontano dagli sguardi indiscreti e dalle malelingue che inevitabilmente s’alzarono dal resto della brigata e lì passavamo il nostro tempo parlando, senza mai annoiarci e ascoltando con piacere ciò che l’uno avesse da dire all’altro; Emmet lentamente, uscì dall’oblio in cui sembrava essersi nascosto e imparò a districarsi meglio tra le malignità che lo vedevano continuamente bersaglio. Capitò addirittura che lo sorprendessi a rider di gusto; aveva uno strano modo di farlo… quasi non ne fosse abituato…

 

xxxxxxxxxxxxxx

Un pomeriggio, uno come tanti, Emmet fu chiamato a rapporto dal comandante di battaglione. Questioni di normale routine, ipotizzammo entrambi, per questo lo aspettai fino ben oltre il tramonto sull’uscio della mensa; l’inquieto sopraggiunger delle tenebre però mi presagì che doveva esser accaduto qualcosa di grave…..La notte che seguì fu l’ultima che passai con lui. Le camerate si riempirono velocemente, e subito dopo aver ascoltato “il silenzio” lo stanzone cadde nel sonno più profondo. Guardai un’ultima volta il letto vuoto di Zimmer e m’assopii pur io.

- Pssss…pssss…- sentii bisbigliare dai piedi del letto

- Emmet – sussurrai alquanto stupito – ma dove…? -  

- Ora non è più un problema…piuttosto sai che giorno è oggi? – mi domandò sorridendo

- Certo che lo so…ma che centra adesso…? –

- Rispondimi allora..-

- E’ il 20 settembre…-

- Sii più preciso – mi riprese

-  E’ giovedì 20 settembre.. e con questo…?-  

- Uff…- sbuffò -…oggi è il 21 settembre, la mezzanotte è passata già da un pezzo…è il primo giorno d’autunno – sospirò – la notte delle fate…non dire che non lo sapevi….-

- Che vorresti dire ? – chiesi perplesso

- Seguimi e lo scoprirai con i tuoi stessi occhi….-

Esitai un istante… poi…

- Avanti, fidati di me -… mi lasciai convincere.

Il suo volto si fece da subito più sereno, e nel tentativo di far il minor rumore possibile, mi prese delicatamente la mano accompagnandomi dinanzi alla sua branda.

- E ora…. – sussurrai

- Sta a guardare.. – pronunciò orgogliosamente aprendo la serratura del proprio armadietto.

Come per magia una luce chiara illuminò per intero la stanza costringendoci a serrare gli occhi nel tentativo di proteggerli.

-Emmet – urlai…. e assieme passammo fin oltre la soglia della realtà delle cose.

Riaprimmo le palpebre lasciandoci il bagliore alle spalle e scoprimmo davanti a noi  un lunghissimo viale lastricato da piccole pietre che, ad ogni passo, stridevano l’una contro l’altra; sui due lati la strada era ben scortata da migliaia di fiori colorati e alberi di cui non si riusciva neppure a vedere la cima. Non potevamo credere ai nostri occhi. In quel fantastico mondo nulla sembrava aver più la forma cui eravamo stati abituati, era come se ogni legge della fisica, che fino ad allora pensavamo governare lo stato delle cose, d’improvviso fosse stata sovvertita in un luogo in cui anche il tempo sembrava essersi dimenticato di scorrere. Il sole, il cielo, persino l’aria in quel posto non esistevano più…. Strane creature dalle dimensioni e dai contorni più stravaganti ci passavano al fianco senza nemmeno accorgersi della nostra presenza; incredibili cascate piombavano da chissà dove esalando inaspettati vapori colorati e profumi dal sapore antico; persino la pioggia cadeva solo a tratti per portare il giusto conforto alle piante più bisognose. In lontananza mi parve addirittura di vedere la neve… Camminammo per un lungo tratto, ammirando quegli inconsueti scenari e approfittando dei succosi frutti dal sapore dolciastro che incessantemente cadevano dai rami che ci facevano da copricapo.

- Perché mi hai portato qui con te? – domandai ad Emmet asciugandomi la bocca

- Dove pensi d’essere? – m’interrogò a sua volta

- Non lo so, ma dovunque sia non voglio più tornare indietro… – ribattei

Emmet sorrise, appoggiò un braccio sulla mia spalla e m’invitò a proseguir la marcia.

La stanchezza ben presto ci costrinse ad una sosta sul ciglio di quella strada che sembrava non portare a nulla. Mi stesi addossandomi ad un morbido cespuglio che parve accogliermi con fare materno; mi guardai attorno, tutto sembrava così assurdo.

- Che ci facciamo qui ? – domandai ancora una volta

Non ottenni alcuna risposta. D’un tratto una leggera musica s’insinuò prepotentemente tra le mie perplessità.

- Da dove arriverà?- si chiese Emmet alzandosi ritto sulle gambe senza più ascoltarmi.

Stremato dalla fatica e dalle forti emozioni, pochi istanti dopo, mi feci nuovamente rapire dal sonno più profondo. Mentre serravo gli occhi incorniciai dentro di me l’immagine di Emmet che alzandosi in volo danzando con altri buffi animali assieme ad una splendida fanciulla sorrideva sereno; poi più nulla.

La mattina successiva, l’adunata suonò puntuale a darci la consueta mal gradita sveglia. Nella camerata intanto, orde d’ufficiali e sottufficiali si dannavano l’anima correndo in tutta fretta per il corridoio. I soldati, dal canto loro, divertiti da tanto chiasso, se ne stavano seduti ciascuno sul proprio letto. Emmet Zimmer era scomparso.  Restai immobile per diversi minuti sopraffatto dalla paura, riuscendo a levarmi dalla branda soltanto quando la calma parve tornar a regnare nuovamente sovrana; lentamente, prendendo coraggio, m’avvicinai all’armadietto dell’amico…nessuno sembrava badare a quel che stessi per fare…aprii timorosamente le ante e…..

…i vestiti che s’adagiavano perfettamente agli appendi abiti e i pochi ammennicoli sistemati minuziosamente in disparte alle divise, indicavano soltanto una cura maniacale per l’ordine.

- Emmet… - sospirai rifugiando lo sguardo verso terra.

Da quel giorno nessuno ebbe più sue notizie.

Radio- anfibio ipotizzò le teorie più fantasiose, che servirono soltanto a riempire i discorsi pomeridiani tra gli annoiati commilitoni. I comandanti, da parte loro, aprirono ufficialmente un’inchiesta. Io spesso lo andavo ad aspettare sui nostri gradoni. Quell’anno finì presto, e ognuno tornò alla propria vita come se nulla fosse accaduto. Non so in quanti, oltre a me, possano ricordare ancora questa strana vecchia storia. Ancora oggi quando ripenso a quel ragazzo mi sorprendo nel vederlo acciambellato sul proprio letto con quel prezioso quaderno in mano; lo vedo sorridere e agitare quelle pagine ingiallite per sventagliarsi un po’ d’aria fresca sul viso; poi chiudo gli occhi un istante e, nel riaprirli, tutto scompare senza lasciar alcuna traccia se non nel mio cuore…..

 

 

Fine 

 

 

La stanza cadde in un imbarazzato silenzio.

- Bé… vi avevo avvisato.. – disse Pierce versando un po’ di vino in ciascuno dei nostri bicchieri.

- A chi non vuol smettere di sognare… – propose alzandosi in piedi

Dedicammo il brindisi al giovane ebreo e affollammo nuovamente il salotto di risa.

 

xxxxxxxxxxx

Arrivammo al dolce ch’era già scoccata la mezzanotte e, mentre Maya s’appisolava nuovamente tra le braccia di Francesca, brindammo per la venuta del Cristo. Solo qualche minuto più tardi il vino e la stanchezza l’ebbero vinta su tutti noi; le risa si fecero sempre più svogliate, i discorsi meno interessanti e la tavola imbandita di tutto tondo, pareva essere soltanto un lontano ricordo colorata com’era da numerose chiazze violacee e da un’infinità di gusci vuoti di frutta secca. Vi fu soltanto il tempo per un ultimo caffè. Le prime ad addormentarsi furono Natalia e Francesca, e quando anche Kristian e Pierce si sistemarono sul divano capii che presto sarei stato l’unico a rimaner sveglio.

Tutto, poi, si quietò.

Spensi le luci accontentandomi del chiaror di una sola candela e del fumo d’una sigaretta; Lucrezia si accomodò subito tra le mie gambe mentre chissà come mi venne di pensare all’amore, a quel sentimento che da sempre l’uomo custodiva dentro di sé. Quella casa, quella sera, era zeppa d’amore. Guardai per un’ultima volta Natalia, Pierce e Kristian, la Fra e Maya; li salutai idealmente pregando per loro. M’alzai dalla sedia soffiando sulla candela quel po’ di aria che m’era rimasta nei polmoni e mi gettai sulla poltrona della cucina dove certamente Morfeo sarebbe stato pronto ad accogliermi tra le sue calde braccia regalandomi chissà quali altri sogni.

 

Quotidianità

Che durante l’inverno non fosse facile tener testa a tutti gli impegni, lo avevamo imparato da tempo. Quello che ancora nessuno immaginava era fino a che punto Maya avrebbe cambiato le nostre abitudini. Andò comunque meglio del previsto; la piccola, infatti, portò con sé una ventata d’aria fresca e le rinunce per starle accanto non si rivelarono in realtà poi tali. Una sera di febbraio Kristian mi venne a chiamare che ero a casa di Francesca e Natalia, e dal tono grave con cui mi parlò al citofono, capii che qualche cosa non stava andando per il verso giusto. In una manciata di secondi scesi in strada e lo abbracciai.

- Pergola ? – proposi

- E sia…- rispose

C’incamminammo verso la prima fermata del bus. Il Pergola, come benevolmente era chiamato per la vecchia tettoia che ne copriva quasi per intero il vialetto d’ingresso, era un centro situato poco distante da dove abitavamo noialtri, proprio nel cuore della Milano bene. Sul cortile s’affacciavano “il  baretto”, un immenso stanzone dove tra le altre cose si poteva gustare dell’ottima birra irlandese e un buio scantinato, all’occorrenza destinato ad accogliere improbabili concerti punk o vecchi dischi dall’inconfondibile sound  jamaicano. Tutto il resto lo faceva la gente del posto. La prima volta che v’entrai avevo soltanto sedici anni. Fin ad allora avevo sentito parlare dei centri soltanto dalla televisione e di certo non per declamarne le qualità più nascoste. Per questo m’aspettavo d’incontrare soltanto orda di sbandati e immigrati che dopo essersi impadroniti di quei luoghi, tramavano il modo di conquistare l’intera   città…questo era quello che mi avevano fatto credere ……il perché lo fecero me lo chiesi solo dopo quell’illuminante serata. I sorrisi, i graffiti che inneggiavano alla pace, i colori dell’arcobaleno dipinti sulle decadenti mura e sulle facce dei partecipanti a quel meraviglioso incontro d’etnie, l’inebriante profumo di spezie dal sapore orientale, a tutto avrebbero potuto far pensare fuorché a qualche cosa di pericoloso.          

Ognuno, in quel luogo, era libero. Per la prima volta potei assaggiare un pizzico di quella che le generazioni passate amavano chiamare con il misterioso termine “Anarchia”. Fu una delle sere più belle della mia gioventù.

- Sbzzzz- le porte dell’autobus ci si aprirono davanti. Kris  nel più assoluto silenzio fu il primo a salire.

- Problemi seri ?- domandai di lì a poco per cercar di toglierlo dall’imbarazzo

- No…..cioè sì…ma  ….non adesso…- sentenziò

Il viaggio sembrò più breve del solito. Scendendo dal pullman ci si aprì la desolante panoramica di un vicolo deserto preso a discarica comunale; il fetore ci fece allungare il passo. Entrammo al Pergola ch’era già passata la mezzanotte, rendendo giusto omaggio ai tanti amici che ci aspettavano al baretto e bevendo, assieme a loro, almeno un paio di birre gelate. L’alcool prese subito a circolare nelle nostre vene e ben presto, aiutato dagli olezzi che incendiavano un ambiente già saturo di fumi, quietò le nostre menti trascinandole in cortile ad ammirar le stelle.

- Le notti sono tutte bellissime ultimamente… non trovi ? - mi chiese Kristian con la punta del naso rivolta all’insù.

- Già…- risposi educatamente

- Non pensi mai a come le giornate sembrino così ripetitive; gli stessi problemi, le medesime aspettative, tutto identico…poi…. basta che una variabile muti e tutto si rivoluziona; le priorità diventano altre ….. ciò che prima era scontato sembra irraggiungibile…chissà se un contrattempo, una dimenticanza o una casualità qualsiasi riescano realmente a far prendere alla vita strade differenti…- s’interrogò – ….sembra tutto così perfetto…

….Eppure….eppure  alle volte gli imprevisti ci fanno in un qual senso uscire di scena, ci vediamo suicidi in una vita che continua ad avanzare senza tener più conto dei nostri pensieri, delle nostre paure, delle nostre emozioni, come se fossimo bloccati in una sorta di limbo dal quale non riusciamo più a districarci… lo vuoi sapere….ultimamente mi sto sentendo proprio così, in balia delle onde in un mare in tempesta - concluse il monologo appoggiando il bicchiere a terra.

- Capisco…..- dissi senza guardarlo in viso - tu e Pierce…. insomma…-

- Si… – ribatté con tono sofferto – … non stiamo più assieme… le cose stanno così…come sempre d’altronde… forse ha ragione lui quando afferma che in una società come questa non ci sarebbe stato posto per  il nostro amore ma…. – alzò il tono della voce -… ne sono certo… la realtà è un’altra …. non ha avuto il coraggio d’amarmi…eccola la verità – sentenziò sputando a terra l’ultimo sorso di birra.

Restai in silenzio.

-Sbronnnn – il cielo emise il suo responso; capitava spesso  d’inverno che il clima cambiasse improvvisamente e l’ultima cosa che desideravamo quella sera era di prendere un sonoro acquazzone.

- Andiamo ….- s’alzò appoggiandosi alle mie spalle.

Ci coprimmo e fuggimmo verso il bus che arrivò puntuale. Sul pullman l’atmosfera sembrava compressa in una sorta di vuoto esistenziale. Kris se ne stava apparentemente tranquillo, girato di spalle davanti a me. Io riflettevo la mia stanca immagine sul vetro che mi affiancava, osservando distrattamente l’asfalto liscio scivolare sotto quelle possenti ruote che cavalcavano la strada. Come si poteva vivere in una società che non ti permetteva neppure d’amare; dov’era finita la libertà di cui tanto andavamo orgogliosi….come si poteva ancora discriminare un individuo soltanto per il colore della pelle, per la religione di cui si faceva culto o per le personali scelte sessuali … quant’era ridicolo, pensai, ghettizzare una persona solo per come faceva l’amore….

- Dinn – il fastidioso suono del campanello indicò ch’eravamo giunti a destinazione.

- Andiamo…presto!! – m’avvisò l’amico che intanto era sceso;

- Sbzzz……..sbzzzz….- le porte si chiusero troppo velocemente intrappolando il mio corpo sugli scalini d’uscita. Un istante dopo, di scatto, si riaprirono, liberandomi dalla morsa; con un balzo schizzai fuori.

- Vai vai ….che mamma t’aspetta….- urlai nei riguardi del malcapitato autista spolverandomi il cappotto.

- ..Si vai…ma vedi un po’ d’andare……- non si trattenne Kristian

Ci guardammo in viso, l’uno appoggiato all’altro, ridendo di una notte in cui la città sembrava dormir tranquillamente. La luna regnava ancora alta nel cielo e un’interminabile fila di semafori lampeggianti colorava il viale fin all’orizzonte; entrambi quella sera avevamo motivo d’esser un po’ più tristi e un po’ più felici di quanto non lo fossimo di nostro solito, confusi, ma sicuri di non essere soli al mondo e consapevoli che questo di per sé non fosse affatto poco.

 

Maggio

Ancor prima che potessimo accorgercene  arrivò la primavera.

Non che avessimo qualcosa di personale contro il clima invernale, semplicemente preferivamo il caldo…. magari anche afoso…. ma che fosse caldo; soltanto Dio sapeva quant’amassimo star fermi sotto il sole per sentirne i raggi scalfire dal nostro corpo quel torpore accumulato durante tutta la stagione fredda. In una di quelle sere di fine maggio rincontrai il buon vecchio Pierce. Era il gran giorno dell’apertura annuale della Kascina. Quella sera i prati che abbracciavano la zona erano vivacemente avvolti da un centinaio di sfumature rossastre dettate da un sole talmente basso da sembrar un tutt’uno con la terra. La strada sterrata che portava al malandato cancello dal quale si accedeva all’allegro cascinale era disseminata di mendicanti, ai quali Natalia non esitò d’offrire un po’ di compassione. Dovemmo attraversare un intero campo lasciato incolto prima di trovare delle facce sorridenti pronte ad accoglierci. Versammo loro il giusto compenso in una grossa cassa di cartone colorata ed entrammo. Le bancarelle, come ogni anno, sostavano sul prato davanti all’ingresso aspettando ordinatamente che i primi curiosi mostrassero un qualche interesse per la merce esposta. Sullo sfondo, affiancato da un’alta colonna di fumo che s’alzava dal ristorante multietnico, sorgeva la consueta birreria, che a quell’ora si preoccupava d’ospitare soltanto un paio di ragazzini ben vestiti. Nel bel mezzo della corte, accerchiato da panchine e grossi tavoli di legno, pulsava il cuore della Kascina: un’accozzaglia di casse ammucchiate l’una sull’altra era pronta a dar voce ai vari cantanti, cabarettisti, politicanti… che a turno di serata in serata si sarebbero esibiti sul palco. Aspettammo l’arrivo delle tenebre facendo le dovute provviste di candele profumate e d’incensi dal sapore esotico, finché, mentre gustavamo due rigeneranti birre doppio malto…

- Ed ora  accogliamo il primo dei sette scrittori che si alterneranno per presentare le tanto attese fatiche invernali  …-

…. la Kascina s’accese .

- Dunque, dunque…il primo a salire sul palco… – enunciò un piccolo uomo con moderato entusiasmo –...dovrebbe essere… – continuò sfogliando un  disordinato malloppo di fogli –… eccolo..- precisò sicuro del fatto suo – signori…- ci guardò fissi -.. Pierce Tamburelli…...prego signor Tamburelli… – e, indicandolo, gli mostrò un grosso sorriso accogliendolo con un fraterno abbraccio. Natalia ed io ci guardammo perplessi senza aggiunger parola.

- Grazie – rispose preoccupato all’applauso che un folto gruppo d’appassionati gli aveva rivolto - buonasera e grazie a tutti…- s’accomodò, su quella che a ben guardare sembrava esser proprio un’elegante poltrona da salotto.

– se siete d’accordo preferirei iniziare subito col leggervi una breve storia della “Raccolta di Racconti” che per l’appunto é il titolo del mio libro – lo agitò per aria facendone risaltare la copertina. Il pubblico convenne con lui. Per la serata, in questo scenario fiabesco…per come ognuno interpreta le favole… s’intende… - disse con tono pacato guardandosi attorno -  vorrei  proporvi quella che preferisco a tutte le altre.. forse perché un poco mi rappresenta.. - disse accennando un sorriso - .. dunque.. dunque..- aggiunse girando delicatamente le pagine del testo che teneva tra le mani – ..eccola…- pronunciò alzando gli occhi verso il pubblico, e con evidente emozione iniziò a parlarci del suo…

 

Uomo

Per Carlo Verdi, quella, non fu esattamente una notte come tutte le altre. Il gentiluomo, la cui storia mi venne tramandata dai racconti di mio nonno, era  senza alcun dubbio un uomo tutto d’un pezzo, gran lavoratore e, a detta di chi lo conosceva da tempo, persona dai sani e rigorosi principi morali. Non era tipo da lasciarsi trasportare dai facili divertimenti e se ne stupì persino la moglie quella sera, vedendolo tirar tardi con amici che non vedeva da chissà quanti anni. Quando i vecchi compagni se n’andarono, la mezzanotte era passata già da una ventina di minuti. Come abitudinariamente amava fare prima di coricarsi, dedicò il giusto tempo alla pulizia del proprio corpo…era assolutamente necessaria, ripeteva spesso, per un tale della sua tempra. S’intrufolò nel letto soltanto più tardi, stando ben attento a non provocare il benché minimo rumore; tutti già dormivano e l’amata moglie sbuffò leggermente infastidita dall’agitarsi delle lenzuola fresche.

- Dovrei controllare le sveglie….- pensò di lì a poco - non vorrei che con tutto questo trambusto… potrei arrivarci…. se solo riuscissi…..ecco …bene …- entrambe erano puntate come sempre alle cinque e quaranta. Pochi minuti dopo s’addormentò beatamente anche lui. Alle due e nove minuti il Verdi  riaprì gli occhi per la prima volta.

- Accidenti!!!.- si agitò svegliandosi di colpo con la lingua impastata contro il palato -.. dev’essere quella dannata pizza – concluse assaporandone ancora il gusto salir dalle viscere e in men che non si potesse dire saltò giù dal letto, si diresse in cucina e, tirata fuori dalla credenza una bottiglia d’acqua, attaccò a berne fin ad ingurgitarne, d’un fiato, un litro e forse più. Erano le  due e  quattordici minuti quando se ne tornò in camera, ben dritto sulle proprie gambe.

Il colloquio….- cominciò a pensare il signor Verdi una volta coricatosi - …andrà bene …. come sempre d’altronde – si quietò subito.

Il suddetto era a capo del reparto montaggio pezzi meccanici di precisione di una multinazionale tedesca; non che fosse un lavoro dalle grosse responsabilità, ma ogni tre mesi doveva fornir dettagliate spiegazioni ai diretti superiori, sui risultati ottenuti in fabbrica. L’ammanco col quale copriva i debiti di gioco, questa volta, era superiore al previsto… il sonno tardò ad arrivare…Si eran fatte le tre e diciotto minuti quando il signor Verdi si trovò a considerare, alquanto perplesso per dir la verità, che la casa, chissà come, aveva cominciato a ruotare vorticosamente attorno alla propria testa; non poco spaventato decise d’alzarsi nuovamente a riordinar le idee. Raggiunse senza difficoltà la porta della camera e, una volta chiusala con delicatezza, accese la luce del piccolo disimpegno; le palpebre infastidite si strinsero di colpo e chissà come gli tornò alla mente un giovane alto, magro, dai capelli lunghi e scompigliati che con naturalezza amava alzare lo spirito dei propri compagni …. . Sbuffò senza darvi granché peso ed entrò nel bagno che gli si presentò lucido e pulito come sempre.  Si sciacquò il volto con dell’acqua fredda e, alzando il capo ancora gocciolante, incrociò il proprio sguardo sullo specchio incastonato tra dei pregevoli listelli di marmo.

- Mio Dio..- sobbalzò incredulo.

I capelli, ancora unti da quell’intruglio rinforzante con cui si cospargeva il capo ogni sera, lasciavano trasparire una calvizie ormai avanzata e le occhiaie parevano addirittura sporgere dalla linea di confine tra realtà e  riflesso. Il colore grigio cenere di cui s’era spento il viso, arrossato a tratti solo da una brulicante dermatite, rese il tutto ancor più preoccupante.

Istintivamente pigiò l’interruttore posto al fianco del lavello e tutt’intorno calò nuovamente il buio.

Non avrebbe mai potuto affrontare il consiglio di fabbrica del giorno successivo in quello stato…. rifletté…. aveva senz’ombra di dubbio bisogno di riposare o almeno... Aprì le persiane sicuro che un po’ d’aria fresca gli avrebbe giovato.

- Yawnnn…- sbadigliò osservando le infinite luci che tenevano ancora sveglia la città.

Si sentì meglio. I pensieri a quell’ora, s’erano intanto fatte le quattro e dodici minuti, potevano certo esser sconnessi ma il dolore che sembrò squarciargli in due il petto…quello no.. e che diamine!… si sarebbe certamente accorto se fosse stato soltanto un sogno….Il Verdi qualche anno prima, era stato ricoverato in clinica  per gravi problemi cardiaci che avrebbero dovuto compromettere, almeno a sentir parlare il medico, il desiderio di fumare…

- Non dargli retta…- ripeteva spesso alla moglie nell’accendersi l’inseparabile compagna  – che vuoi che ne sappiano quelli..- borbottava miseramente.

Fortunatamente il respiro riprese il proprio corso e i battiti del cuore si fecero più regolari. Se l’era vista brutta…s’addormentò stremato….Al signor Carlo parve d’udir il suonar della sveglia; erano le cinque e sette minuti quando accese la fioca luce che usciva dalla graziosa abat-jour per controllare…era ancora presto…

Alle cinque e ventisette minuti non v’erano ormai più scuse e, anche senza aspettare il quotidiano trillo di buongiorno, decise ugualmente d’alzarsi. Come da ventisette anni a quella parte faceva, s’intrise la paffuta faccia di bianca e soffice schiuma da barba, vi fece scivolare sopra il lucente rasoio che il padre, prima di morire, gli aveva lasciato in eredità, si coprì il viso con un asciugamano inzuppato d’acqua bollente e, prendendone un altro pulito, si asciugò con cura guardandosi compiaciuto allo specchio. Una volta uscito dal bagno passò a salutare i  figli che dormivano ancora come angeli e si diresse verso il soggiorno per indossare la camicia e i pantaloni che, come sempre, aveva preparato dalla sera precedente. Si vestì di tutto punto e, mentre annodava la cravatta profumata d’amido, pensò a quanto tempo avesse trascorso tra quelle mura, in quella casa, con la stessa donna e gli tornò alla mente ancora quel ragazzo dai capelli lunghi che urlava al vento preziosi sogni ….ma quella ….. quella, pensò tra sé, era una storia lontana…troppo lontana… La caffettiera, appena caricata, chiedeva soltanto che fosse acceso il gas, per sprigionare l’aroma di cui poteva vantarsi e il signor Carlo Verdi non mancò d’adempiere al proprio compito. Subito dopo, seguendo il consueto rituale, acchiappò il pacchetto rosso fuoco che l’aspettava come sempre accanto alla finestra, fece per estrarre una sigaretta e ..– 

…Che fine avrà fatto il mio accendino?… - si chiese perplesso….

Alle cinque e trentanove minuti il sopracitato morì, smarrendo gli occhi a fissar il soffitto.

Ore cinque e quaranta minuti…

-Drinnnn drinnnn-  il fastidioso suono della sveglia lo ridestò di colpo. Il Verdi sembrò non ricordarsi nulla…

Non aveva mai dormito così profondamente, pensò, alzandosi dal letto. Come ogni mattina si rase il viso, si lavò con cura e indossò quei vestiti che dalla sera prima lo aspettavano in salotto. Com’era piacevole annusare il fresco profumo dell’amido…Preparò il caffè accomodandosi sulla sedia che ancora riposava nascosta sotto al tavolo. Si guardò attorno cercando con lo sguardo il pacchetto di sigarette che sarebbe dovuto esser sul davanzale interno della finestra, quando i suoi occhi si soffermarono incuriositi sull’orologio nuovo della cucina. Segnava le cinque e trentanove e la lancetta dei secondi rimbalzava continuamente sullo stesso, identico punto…senza sosta.. -…. Ma allora…..- si zittì ripensando a quanto fosse realmente accaduto….In quell’istante tutto gli fu chiaro. La caffettiera cominciò a reclamare sempre con maggior insistenza la necessaria tregua e le sigarette sparpagliate al suolo sembravano avide d’attenzione, ma al momento il signor Verdi sembrava troppo impegnato a rimirar il soffitto….. la casa restò perfetta, muta… tutto quanto sembrò esser finalmente al proprio posto, come il signor Carlo, uomo tutto d’un pezzo e dai rigorosi principi morali, sognava fosse da ormai parecchio.

  Fine

 

Pierce alzò il capo e si fece silenzioso. Lo spontaneo scroscio d’applausi che si levò dal pubblico identificò il grado d’apprezzamento ottenuto dal racconto.  

 - Presto..-  disse Natalia interrompendo gli indugi. 

 La seguii d’istinto. In un attimo ci trovammo sotto il palco; aspettammo pazientemente un paio di minuti in un angolo…finché non fu Pierce ad avvicinarsi a noi. L’imbarazzo e l’emozione ebbero la meglio sulla voglia di sapere e il silenzio fu scelto all’unanimità come unico mezzo per non ferirsi. Scorsero secondi di grande intensità emotiva senza che nessuno pronunciasse parola….  

 - Signor Tamburelli…..signor Tamburelli…- echeggiò poco dopo qualcuno dal retro del palco.

Pierce si girò facendo segno che sarebbe arrivato a momenti. Il suo volto si fece appena più disteso.

- Devo proprio andare  ..- ci disse in maniera garbata - salutatemi tutti quanti... mi raccomando.. a presto..- ci congedò stringendoci la mano.

- Ciao!! – rispose con cortesia la Nata.

- A presto signor Tamburelli.. – dissi tra i denti quando ormai era lontano.

Qualche istante dopo sparì tra la folla che lo accerchiava. Dieci giorni più tardi Pierce invitò Kristian ad uscire; dovevano averne di cose da raccontarsi...Dopo quella sera il loro amore, sempre che non fosse mai appassito, poté rifiorire in tutto il suo splendore.

 

Giovane eroe pagano

 

 

xxxxxxxx

 ...Stavo a terra, immobile, sdraiato sul pavimento; contavo le gocce che lentamente colavano giù dalla mia fronte prima di precipitare in quel pozzetto rosso che ormai m’inzuppava tutta la testa. La vista s’offuscava sempre più, vedevo la casa ruotare vorticosamente su se stessa……pensai…..é la fine….

 

xxxxxxxx

Era una sera come tante altre d’un freddo giorno di giugno. In poco meno di mezz’ora Natalia ed io arrivammo sotto casa di Francesca. In realtà avremmo dovuto vederci verso la mezzanotte, ma la pioggia e la calca di gente che spingeva per entrare al Leonka ci convinsero ad anticipare la visita. Sistemammo l’auto che il campanile segnava le dieci in punto, alzammo lo sguardo verso la facciata del palazzo per controllare se le luci nell’appartamento fossero accese e, senza perdere altro tempo, ci lasciammo il portone alle spalle cominciando a salire su per le scale…

- Ci sei? - chiesi a Natalia con tono sofferente, ancorato alla balaustra che girava sull’ultimo piano.

- Ancora un istante e….- senza aspettarmi, la Nata s’arrampicò velocemente per quei pochi scalini che ancora mancavano ad arrivare, rimbalzò sul pianerottolo, spalancò la porta ed entrò in casa.

Un urlo lacerò il silenzio di quella notte. Istintivamente mi precipitai verso l’appartamento. Nel momento in cui l’ingresso della casa si aprì anche al mio sguardo, un raccapricciante fotogramma s’impressionò istantaneamente sulla mia retina restandovi fisso per qualche secondo… il tempo in quel preciso istante sembrò frenare il proprio corso…La Fra stava con le ginocchia piegate a terra, le mani protese verso l’alto a coprire il volto, e gli occhi gonfi che silenziosamente urlavano clemenza. A cavalcioni sopra di lei, tenendola ben salda per i capelli, Ezio stava per sferrare l’ennesimo colpo; ci guardammo e…. il tempo poté riprendere a scorrer con naturalezza…Agii d’istinto e senza troppo riflettere mi scagliai contro il ragazzo colpendolo fin a farlo ruzzolare sul pavimento. Il giovane si rialzò di colpo, stupito; mi guardò con occhi sbarrati e… con un rabbioso scatto, fuggì lontano da noi e da quella casa. Tutto attorno, i resti di qualche vaso e le tovaglie sparpagliate qua e là sul pavimento, ci diedero idea di quel che doveva esser accaduto e di ciò ch’eravamo riusciti ad evitare. Natalia si precipitò subito dalla piccola Maya; dormiva ancora tranquillamente. Io abbracciai Francesca.

- Bastardo... Bastardo...- sentenziai tra me senz’appello.

I singhiozzi della fragile amica diminuirono progressivamente col passare dei secondi e gli occhi poterono sgonfiarsi dalle lacrime fin ad allora faticosamente trattenute. Tlock. Natalia accostò la porta dell’anticamera. Nella stanza per qualche minuto, il ticchettio nervoso della lancetta dei secondi scandì incontrastato il lento scorrer del tempo… poi, presa una grossa boccata d’ossigeno...

- Sembrava venuto per salutare…. –….. Francesca cominciò a raccontare..

- …. Mi aveva chiesto cortesemente di poter entrare, ripetendomi con garbo che presto sarebbe dovuto partire per il Nord America dove si sarebbe sposato con una canadese che un poco mi somigliava ….che stupida ..  l’ho lasciato salire…dopotutto pensavo potesse esser giusto…insomma…- sospirò riprendendo a singhiozzare copiosamente.

-… poi non so…tutto d’improvviso iniziò a cambiare… . Vantava d’essersi arricchito, fantasticando su posti incantevoli in cui avrebbe voluto far crescere la figlia… aveva riflettuto a lungo… diceva con maggior convinzione… l’avrebbe portata con sé… sempre che…. Il suo tono si faceva sempre più minaccioso, iniziavo ad aver paura…  gli chiesi d’andarsene…. cercai di farlo uscire….. la paura lentamente si stava trasformando in terrore..….Maya era sola nella sua stanza e lui si avvicinava sempre di più …..oh Dio..… cominciai a tremare, indietreggiai, finché lo sentii prendermi per un braccio… non so come, ma riuscii a divincolarmi….corsi verso la credenza per afferrare qualunque cosa  potesse aiutarmi, ma era troppo tardi….mi era già addosso. Lo implorai di lasciarmi andare, ma più mi sentiva soffrire più mi strattonava, sembrava una furia che s’alimentava del mio dolore …ogni minuto durava in eterno ….pareva che i capelli si potessero staccare da un momento all’altro dalla mia testa…..poi mi colpì …una, due…tre …non so più nemmeno quante volte…..non vedevo più nulla …cercavo in qualche modo d’aggrapparmi a lui …ma…..non c’era niente da fare…poi.… ringraziando Dio siete arrivati voialtri - concluse trattenendo la testa tra le mani. Al racconto, straziante quanto la scena cui avevamo assistito, nessuno riuscì ad aggiunger sillaba.

Quella notte decisi di rimanere a casa loro. Anche se forse non aveva granché senso, c’era qualcosa che mi spingeva a pensare che Ezio si sarebbe ripresentato prima di quanto avessimo potuto immaginare…Natalia, stremata dalle forti emozioni, s’addormentò prima del suo solito. Francesca mi abbracciò, un'ultima lacrima le segnò il viso cadendo al suolo e, prima di allontanarsi, accostò la sua bocca alla mia. Tutti quanti andammo a coricarci.

Poco più tardi, mentre mi cullavo sul morbido divano assaporando il gusto salato che m’avevan lasciato le lacrime dell’amica, m’addormentai profondamente facendomi trasportare da uno strano sogno fin nella città vecchia de Il Cairo…Vicina per certi versi alla cultura africana, per altri a quella europea, e più marcatamente a quella mediorientale, l’Egitto fu dal principio una lieta sorpresa.Faceva caldo, anzi la calura era davvero insopportabile. 

Me ne stavo in un chiassoso pulmino di ritorno dallo splendido scenario delle piramidi di Giza; assieme a me c’era Kristian. Le grandi moschee, da cui i minareti sbuffavano continuamente incomprensibili preghiere e il grande mercato erano, a detta della guida, una meta da non perdere dopo un così lungo viaggio aereo; all’unanimità, quindi, decidemmo di far  sosta nel cuore della capitale. La grande moschea non mi colpì come m’aspettavo facesse. Il mercato invece non deluse le attese. Ogni via brulicava di turisti e i commercianti cercavano di vender loro la merce ben esposta su traballanti banconi ammassati l’uno sull’altro; macellai, fruttivendoli e droghieri, lasciavano maggior spazio ai piccoli artigiani e alle tante bancarelle di cianfrusaglie, sonnecchiando sicuri d’avere un miglior mestiere tra le loro mani. Mi giravo di continuo attratto dagli odori che s’alzavano dai bar dove, fumando beatamente i propri arghilè, flotte d’anziani facevano ribollire la grappa nella piccola ampolla di vetro senza troppo badare ai flash con cui gli irriguardosi turisti continuavano a tempestarli. I colori poi, con cui eran disegnati i papiri e le stoffe che s’alzavano col andare del vento, mi fecero ripensare a vecchie favole che mia madre mi raccontava quand’ero bambino.

L’Egitto era fantastico.

Le strade brulle che s’intrecciavano l’una con l’altra per il mercato si facevano sempre più strette, rendendo ancora più difficile il passaggio e il filtrare della luce; ben presto fui sopraffatto dalla confusione e, girando senza più una guida, cercai soltanto di non farmi gabbare dalla frenesia e dalle urla dei commercianti. Ad un tratto, non so come, fui attratto come d’incanto in un vicolo dove il chiasso e la luce sembravano essersi dispersi altrove. Ero solo. Il mercato a pochi passi continuava a scorrere come se nulla stesse accadendo; davanti a me v’era soltanto una piccola tenda nera appoggiata ad un muro che chiudeva la strada. M’avvicinai senza eccessiva ansia; un buon odore aprì le porte alla mia curiosità; bussai, inghiottii una buona quantità di saliva, afferrai un lembo della sottile stoffa per dar un’occhiata all’interno, quando…. una mano  acchiappò il mio braccio.

- Kris – esclamai voltandomi - …santissimo… sapessi che spavento mi hai fatto prendere -

- Senti chi parla.. - rispose col sorriso - ...andiamo su….ci stanno tutti aspettando -

Lo seguii, rituffandomi tra il baccano di quella magnifica fiera d’oriente…Mi risvegliai  disturbato dal pianto della piccola Maya. L’orologio segnava le 8:00; ero tremendamente in ritardo. Presi in tutta fretta le chiavi dell’auto, il telefono e dando appuntamento per ora di cena uscii di corsa dall’appartamento. Arrivai a casa mia dieci minuti più tardi, dovevo procurarmi dei ciclostilati da portare in ufficio; sarebbe dovuta esser questione di pochi secondi soltanto…pensai...Mi abbassai per rovistare tra i cassetti, aprii i documenti con soddisfazione, mi rialzai distrattamente per raggiungere l’uscita ….quando… un dolore improvviso mi lacerò il capo lasciandomi cadere a terra quasi privo di sensi. Ezio m’aveva colpito con un grosso bastone che tenevo di fianco al camino.

Presto le figure che incontrava il mio sguardo persero la consueta nitidezza e un rigagnolo di sangue cominciò a scendermi fin sul volto; Stavo a terra, immobile, sdraiato sul pavimento; contavo le gocce che lentamente colavano giù dalla mia fronte prima di precipitare in quel pozzetto rosso che ormai m’inzuppava tutta la testa. La vista s’offuscava sempre più, vedevo la casa ruotare vorticosamente su se stessa……pensai…..é la fine.

- Non fai più l’eroe ….dov’è finita tutta la tua boria…alzati…avanti…- iniziò a farneticare il ragazzo

-…Hai una gran paura bastardo comunista…non è vero…perché non chiami i tuoi amici negri , magari ti aiuterebbero volentieri…..– continuò sputandomi addosso - …e quella tua troietta…- proseguì - dille di ficcarsele nel culo le sue stronzate …siete solo capaci di parlare… parlate e basta voialtri porci…- attaccò con una risata isterica -…non riuscite mai a concludere un cazzo….bisogna prendersele le cose quando le si desiderano…non pensi….pensate sempre di esser nel giusto non è vero ….!! ..Vi rifate a grandi ideali e non vi rendete conto d’esser fuori dal mondo…guarda …guarda i tuoi miti, gli eroi di cui vai tanto fiero…. Guevara, Ghandi, persino Gesù Cristo, cos’hanno risolto con le loro vite….e non raccontarmi le solite cazzate …vuoi sapere la verità…te la dico io …non hanno risolto nulla, sono stati  traditi dagli stessi popoli che dicevan d’amare….dovete farvene una ragione: ciò in cui credete è morto….mi hai capito….morto!!!

Assieme a quelle parole sentii il rumore degli anfibi sbattere ripetutamente contro il mio costato.

- Tu…..tu non sai niente hai capito…niente!!!- urlò con maggior insistenza - Nessuno può   capire quel si prova a non saper nemmeno d’esser padre…dovevi starne fuori…tutti quanti lo dovevate fare………..- lo sentii piangere….poi… più nulla. Quando mi risvegliai dovevano esser passati parecchi giorni. Mi spiegarono, in seguito, che la buona sorte aveva vegliato su di me innescando chissà con quale carambola il numero di Kristian sul mio telefono. Secondo i medici m’aveva salvato da morte certa. Le sere in ospedale, quando rimanevo solo, andavo spesso ripensando ad Ezio e alle sue parole -…. non saper neppure d’esser padre…- già….E se fosse stato proprio così ? Mi domandavo di continuo…Nessuno, fuorché la Fra, m’avrebbe mai potuto rispondere. Spesso  mi chiedevo se davvero quell’angelo avesse potuto mentire, negando un padre alla propria figlia. Poi, mi bastava guardarla negli occhi limpidi, osservare i movimenti dolci con cui accudiva la piccola Maya per sorridere e, come d’incanto, accantonare tutti i sospetti e le perplessità altrove.

 

Shiatsu

Le giornate di quell’autunno ci scivolarono addosso lente. Dell’estate appena scorsa non v’era rimasta alcuna traccia. Il sole faceva capolino dietro la sottile linea dell’orizzonte prima ancora che potessimo sederci al tavolo per la cena e sulle strade era tornato puntuale come ogni anno il consueto nervosismo; il tempo aveva ripreso a scorrere normalmente dopo che ognuno, per un istante, aveva assaporato il melenso gusto della libertà. Anche per me, che quell’anno potei soltanto carezzare l’illusione estiva, era giunto il momento dei bilanci: i capelli cominciavano nuovamente a scaldarmi la testa, le ferite rimarginavano a vista d’occhio e solo un leggero mal di schiena di tanto in tanto mi punzecchiava fastidiosamente. Ma non era certo di quello che più mi preoccupavo…In quei giorni Natalia si trasferì a casa mia per prendersi cura di me e di ogni mio bisogno imparando, per la prima volta, anche quel che volesse dire condividere sul serio la propria vita con quella di un’altra persona….Ci trovammo spesso a discutere su banalità di cui prima non sembravamo accorgerci neppure, riuscendo a tenerci il broncio anche per ore. Sembravamo essere così lontani. In quelle occasioni mi sorprendevo a pensare a cosa ci stesse tenendo ancora assieme dopo così tanti anni…i ricordi, l’amore o semplicemente l’abitudine…

Fu durante una di quelle noiose serate autunnali che il buon vecchio Pierce mi parlò per la prima volta di un tale, un certo Giuliano, un massaggiatore shiatsu dalla fama, almeno a sentir lui, di vero e proprio guaritore. Sembrava esser talmente convinto declamandone le qualità che, più per curiosità che per vera e propria necessità, decisi di prender un appuntamento nella sua palestra. Il giorno seguente lo chiamai al telefono… aveva uno strano modo di parlare…. come se dietro  ad ogni parola si celasse chissà quale segreto...La sua voce  scorreva lenta, quasi svogliata per le centinaia di metri di linea che ci dividevano, fin a giungermi stanca, stremata per un così lungo viaggio.

- Bene………dunque….ci vediamo questa sera….direi…si…ti chiami….Piero ... sì giusto…allora a più tardi...-

Intendendoci più che altro a monosillabi, fissammo l’incontro all’ “Astrid Gym” e ci salutammo quasi fossimo vecchi amici. Una strana eccitazione mi rallegrò l’animo non appena chiudemmo la conversazione; per questo, pensai bene di fare un lungo bagno caldo, d’infilarmi in una comoda tuta di cotone e di catapultarmi con largo anticipo nel classico, caotico traffico metropolitano. Non vedevo l’ora d’incontrarlo…

Quella che mi si presentò davanti al mio arrivo, era una buffa insegna che indicava senza troppa convinzione una piccola porta appoggiata su di un vecchio muro malconcio; Giuliano stava già lì fuori, pronto ad accogliermi. Giulio, come tutti lo conoscevano, era un uomo di mezz’età,  alto, anzi altissimo e longilineo; le tempie dovevano essersi scoperte da ormai chissà quanti anni e il viso era limpido senza nemmeno un pel di barba; le mani ben curate e le unghie evidentemente appena lucidate, mi fecero pensare che probabilmente non avessero avuto bisogno di lavorare un granché nella vita. Ci presentammo sull’uscio, quindi m’invitò ad entrare e senza perdere altro tempo andò a cambiarsi d’abito. Nella stanza dove l’aspettai, regnava un buon sapore d’incenso al sandalo e risuonava una rilassante musica dai toni giapponesi.

-   Eccomi… - disse rientrando nella piccola sala -…dunque, dunque.. - proseguì sedendosi alla scrivania -.. che te ne sembra? -

- Strano ma… piacevole! - risposi guardandomi un poco attorno -… è la prima volta che entro in un posto simile -

- Bene…-  disse incrociando le braccia - … per cui non conoscerai neppure quel che s’intende con il termine shiatsu ? – mi domandò sgranando un poco gli occhi

- Non proprio anche se…. - risposi imbarazzato

- Beh….allora penso sia giusto tu ne sappia qualcosa in più...- e così dicendo, mi presentò quella che a suo dire era una tra le arti più nobili dell’intero sol levante….

-…Vediamo….!! Come direbbe il mio grande maestro Ohashi, lo shiatsu è  un antico massaggio orientale che, in bilico tra medicina e misticismo attraverso una mirata digito-pressione su precisi punti del corpo chiamati tsubo, cerca d’alleviare dolori, tensione e fatica che quotidianamente affliggono l’uomo in quanto essere vivente.

Fin dalle civiltà più antiche in Giappone si consideravano tutti i fenomeni naturali divisi in due fondamentali sotto mondi: lo Yin e lo Yang.  Il bianco e il nero, il bene e il male…tutto era catalogato in questo modo; lo shiatsu si prodiga da sempre per far sì che queste forze restino in equilibrio tra loro per permettere al nostro corpo, non più considerato soltanto come semplice involucro ma come vero e proprio microcosmo, di mantenere il proprio benessere nel tempo…Il monologo proseguì per circa una diecina di minuti.

- Ufffhh – sospirò a fine discorso -

Ci vorrebbero ore e ore per esser più preciso e…….purtroppo non abbiamo tutto questo tempo…. insomma penso che per ora possa bastare… - commentò -….anche se  probabilmente ti sarà tutto più chiaro, solo dopo averlo provato sulla tua pelle…..-

Annuii poco convinto

- Bene… – riprese la parola  – …iniziamo…! -

Senz’altro aggiungere si avvicinò al tappeto, si accovacciò sul mio esile corpo e attaccò con quello che doveva essere il massaggio vero e proprio, prendendo a pigiare con mani e piedi ogni angolo della mia schiena, premendovi fino a provocarmi dolori quasi insopportabili.

- Se ci fosse un qualsiasi problema fammi un cenno….intesi ! – mi avvertì con voce affaticata.

- Si….cioè volevo dire no… va tutto bene….- risposi.

Da quel momento in avanti, il massaggio proseguì con più gentilezza e la mia mente poté finalmente alleggerirsi, riuscendo a trasportarmi altrove. I miei pensieri divennero sempre più disorganizzati e, mentre la luce della stanza sembrava diminuire d’intensità, mi ricordai chissà come di mia madre….La sera prima di coricarsi passava sempre dalla mia stanza; mi rimboccava le coperte, mi baciava le guance carezzandomi dolcemente i capelli, mi fissava per un attimo con gli occhi dolci di chi sapeva amare e, spegnendo l’abat-jour, mi sussurrava all’orecchio la buonanotte.

Spesso mi addormentavo di lì a poco, ma, soprattutto quando mio padre per qualche ragione tardava, capitava che questo rituale non sortisse l’effetto desiderato e ch’io non riuscissi maledettamente a prender sonno. I minuti passavano veloci e l’angoscia prendeva presto il sopravvento. I piedi si ghiacciavano mentre le mani s’intorpidivano sempre di più; in quel bagno di sudore freddo iniziavano le visioni. Ogni oggetto, persino gli spigoli dei mobili , in quella penombra, prendeva la forma  d’esseri orribili in continua mutazione. Avrei potuto correr da mia madre cercando da lei un rifugio sicuro, ma non avrei mai voluto deluderla. D’altro, quindi, non mi rimaneva che d’inabissarmi sotto le soffocanti coperte, chiudere gli occhi aggrappandomi alle lenzuola e, azzerando ogni minimo pensiero, attendere fin quando stremato, non mi fossi addormentato…

- Bene… – irruppe bruscamente Giuliano spostando tutto il suo peso in avanti. Il mio costato prese a schiacciarsi contro il tappeto e la mia faccia modellò con la propria impronta il sottile cuscino su cui poggiava -..andiamo molto bene…- ripeté compiaciuto

Il massaggio poté riprendere da dove s’era interrotto...Fin a quel giorno, nella mia vita ogni cosa sembrava esser bene indirizzata; avevo un lavoro, una casa, dei veri amici, una ragazza di cui ero innamorato e dalle giornate non chiedevo null’altro che di poter combinare assieme queste certezze per arrivare, poi, al giorno successivo con lo stesso identico obiettivo. Potevo in qualche modo confondere tutto questo con semplice misera routine?  Cos’era che pulsava dal profondo facendomi respirare a fatica la notte? Di cosa avevo così paura….? Cosa stavo cercando in realtà….?

Giuliano s’alzò dal mio corpo.

- Hai voglia di ascoltare una strana teoria ?- mi chiese con fare beffardo.

- Dimmi – risposi stupito

- Se sarà destino che le cose vadano in un determinato modo non sarai certo tu a poterle cambiare -

- In che senso?- domandai ancor più perplesso.

- Vedi… - prese una buona boccata d’ossigeno – …la vita di tutti noi è quotidianamente messa alla prova in un contesto talmente ampio come il mondo, che sarebbe impensabile credere che gli elementi non siano già stati ordinati a priori da qualcun altro. Ogni giorno modifichiamo inconsapevolmente l’esistenza dei nostri simili…e..…- disse avvicinando il volto al mio -… se non ci fosse una linea ben precisa da seguire, lo stato d’ogni cosa sarebbe immerso nel caos e nell’anarchia più incontrollata, provocando degli squilibri che non permetterebbero neppure lo scorrer naturale del tempo. E’ come se ognuno di noi custodisse dentro di sé un DNA parallelo a quello che già conosciamo, un’altra mappa genetica che seguiamo inconsciamente giorno dopo giorno in ogni singola scelta lungo tutto il nostro cammino…- sospirò - .. per questo che non m’affannerei nella ricerca di risposte …sarà la vita stessa a dartele…..

…Comunque…  – continuò - …tu sei libero di pensare che queste siano soltanto le follie di un povero vecchio pazzo.. e..- sbuffò -.. francamente non te ne darei nemmeno gran torto.. – sorrise.

Restai senza fiato.

Il discorso non faceva una grinza anche se, oltre a non trovar veri e propri riscontri, l’idea che ci fosse qualcheduno a vegliare sul continuo concatenarsi degli eventi non mi piaceva per nulla. Ma perché dirmi quelle cose?…perché proprio in quel momento?

Chissà, pensai…...

- Bene - enunciò Giuliano come se nulla fosse - ora voltati – disse con aria soddisfatta

Mi girai sul fianco sinistro.

- Rilassati più che ti é possibile…così… molto bene – e così dicendo riprese a pigiare.

Il mio fianco sinistro ....Cosa ne restava dell’idealismo da perseguire ostinatamente, della filosofia dalla quale dipendeva ogni mia scelta…Dopo anni di lotte e di bocconi amari finalmente il social-comunismo era al potere un po’ in tutto il mondo occidentale, ma nessuno sembrava essersene accorto. Lentamente il mondo stava soffocando sotto il terribile peso dell’uomo. Le guerre insanguinavano il pianeta, le foreste ardevano inesorabilmente, le urla dei bambini erano coperte dal rumore delle bombe, ma a nessuno sembrava importare un granché, ognuno faceva i conti in casa propria, come se la sorte della terra fosse questione altrui. D’altra parte il panorama politico mondiale e di conseguenza quello italiano, si presentavano davvero con pochi e pericolosi contenuti: si stringevano alleanze di convenienza (se la matematica non era un’opinione, di quella della gente non fregava  nulla a nessuno) e ognuno esibiva promesse d’ogni sorta accusando gli avversari delle calunnie più infamanti; a noi, accomodati davanti al televisore o nascosti tra i fogli di qualche quotidiano, spettatori di noi stessi, non rimaneva che da scegliere se destra oppure sinistra……..già ma quale sinistra…Che fare dunque… stare immobili ad osservare la vittoria altrui restando dalla parte del vecchio partito o aiutare i progressisti che qualche speranza di vittoria la conservavano ancora pur avendo fallito durante il proprio mandato? Dopo qualche mese ci sarebbero state le elezioni ed io non avevo nessun’idea su chi avrei votato…..

Il massaggio era finito.

Giuliano mi lasciò apparentemente esanime a terra.

- Stai pur sdraiato finché  non recupererai le forze necessarie ad alzarti - disse sgranchendosi le ossa - vado a cambiarmi.. intesi ? -

Annuii con il capo mentre lo guardavo dirigersi verso la porta. L’odore dell’incenso e una soave sensazione di leggerezza mi convinsero a restar fermo per qualche altro minuto. Mi passarono alla mente tutte le riflessioni confuse tra loro: mia madre, Natalia, il vecchio partito, gli amici, la sinistra europea ….Stavo forse smarrendo anch’io la strada da seguire?

Mi tirai in piedi senza provare alcuna sensazione di sollievo e tutt’a un tratto una vampata di calore mi stordì, facendomi barcollare fin su una sedia lì vicina.

- Bene…- esordì Giuliano rientrando nella stanza - Come andiamo ?- mi domandò.

Risposi con un cenno. Mi rimisi le scarpe e infilai il giubbotto, mentre nel frattempo le luci della palestra si spegnevano una ad una.

- … Che stupido! – pronunciai –… stavo per scordarmi!! -

Lasciai il giusto compenso sul tavolo della scrivania. Quando ci salutammo sull’uscio prendemmo coscienza di quanto la pioggia avesse cominciato a cadere violentemente in un cielo squarciato dal chiarore dei lampi.

- Tieni, Piero – mi disse Giuliano porgendomi un ombrello – non vorrai arrivare a casa tutto bagnato -   

- Grazie – lo guardai con affetto.

Nel raggiungere la macchina sentii il rumore della saracinesca sbattere contro il marciapiede. Sbirciai per l’ultima volta l’insegna prima che si spegnesse, salutai nuovamente e ripartii sparendo nella notte. Quell’ombrello lo conservo tuttora…Giuliano non l’ ho mai più incontrato.

 

Ultimo tango

Mai come quell’anno s’era vista in giro tanta gente per festeggiare il Santo patrono. Anche Natalia ed io passammo l’intero pomeriggio saltellando allegramente tra le vetrine del centro città alla ricerca di un gradito ricordo, finché il brontolio dei nostri stomaci non venne a ricordarci come l’ora di cena fosse scorsa ormai da un pezzo. Spalancammo le porte di casa in compagnia di due enormi pizze fumanti; accendemmo il vecchio camino che immediatamente riscaldò l’ambiente, appoggiammo le pizze in forno per preparare la tavola e…

- Drinnn…..drinnn…- squillò il telefono.

- Sarà la Fra …- disse Natalia

- Pronto? – risposi alzando l’apparecchio.

- Piero? – domandarono dall’altro capo.

- Sì, sono io…- esitai un istante - Angy…. Santo cielo… non t’avevo riconosciuta.. quanti mesi saranno passati?…-  

Angela era una vecchia amica con cui avevo diviso la scrivania qualche anno prima. Non ci sentivamo spesso, anche perché lei nel frattempo si era trasferita in Emilia per lavoro, ma quando uno dei due prendeva l’iniziativa trascinavamo la telefonata anche per ore. Quella sera, però, subito dopo i soliti convenevoli di cortesia, saltammo subito al dunque.

- Vuoi saper chi suona dalle tue parti domani sera?- si zittì.

- Chi ? - domandai perplesso.

- Ma come ? … l’unico…l’inimitabile… El Topo con la sua Redband!! - scandì a chiare lettere.

Me ne meravigliai; era da quando Felipe aveva lasciato il gruppo che non si sentiva più parlar di loro nell’ambiente.

- ..Ci sarai…. vero?.- respirò a fondo.

Esitai un istante.

- …ci vediamo là o cosa?.- proseguì con quel suo dannato accento emiliano.

- Sì…sì…- la zittii – ne vorrei parlare con gli altri ma…sì, vada !!! Non potrei mai perdermeli! – aggiunsi con appena più entusiasmo.

- Wow… sei fantastico!! – si agitò Angela dall’altra parte -….ho la tua parola… ricordalo!..   - sentenziò -… scusa un attimo.. – mi lasciò in attesa.

– …Sì, arrivo.. –  la sentii urlare

–.. Uff… - riprese a conversare  - … ora devo proprio andare…… a domani allora… ti aspetto! Ciao!! –

Replicai al saluto e… “click”…agganciai. Tornando in cucina trovai Natalia già seduta al tavolo con soltanto metà pizza nel piatto. Il suo volto s’era fatto d’una espressione assai severa. 

- Beh, avresti potuto aspettare che arrivassi – affermai infastidito.

- Ummh – verseggiò continuando a masticare – avevo troppa fame…piuttosto.. chi era al telefono?-

- …Angela!. un’amica…lavoravamo assieme ad un progetto… – sospirai - …diceva che domani parte il tour di El Topo, proprio qui, in un locale della zona e… nulla… si chiedeva se ci saremmo andati anche noialtri…-

- Quindi? – m’interrogò con arroganza.

- Cosa ? – ribadii perplesso.

- Si va! Le hai già risposto; anzi andiamo tutti e quattro… magari ci portiamo anche Maya… - esclamò con la bocca impastata di pizza.

- Cos’è questo tono?. Sei completamente ammattita?.. – le ribadii frastornato.

- Ah!!.. Così io sarei impazzita…- si sfogò alzando il tono della discussione – tu prendi un appuntamento senza neppure interpellarci e io sarei pazza; se non ricordo male domani sarebbe dovuto essere il nostro giorno….-

La terza domenica del mese per noi era sacra, come una festività aggiunta; l’avevamo eletta come l’unico irrinunciabile momento in cui poter stare tutti e quattro assieme, senza che null’altro al mondo avesse potuto impedircelo.

- Certo che lo ricordo! – ripresi a discorrere – .. pensavo soltanto che dopo cena….insomma …mi pareva una buona idea e…-

- Va bene ..- m’interruppe con sufficienza – ora mangia se non vuoi ti si bruci tutto quanto -

Non sopportavo quando chicchessia usava quel tono per riprendermi come fossi un giovane scolaretto, tanto più se a farlo era la mia ragazza .. e poi, insomma, io ci sarei andato a quel concerto con o senza di loro…

- Per quel che mi riguarda la pizza può anche bruciare – sbuffai chiudendo con forza l’anta del forno – la fame m’è passata da un pezzo..-

Natalia arrossì di colpo stizzita per quelle mie parole; prese tra i pugni il tovagliolo, s’asciugò la bocca,   si rizzò al in piedi gonfiando il petto fino ad apparire più alta di quanto in realtà non fosse, si coprì di un pesante cappotto viola, avvolse il delicato collo con due giri di una lunga sciarpa di lana e, mantenendo la consueta grazia, senza neppure allungarmi uno sguardo, uscì, lasciandosi rumorosamente la porta alle spalle. Stentavo a riconoscerla; pochi minuti prima m’appariva come la solita ragazza di sempre, poi per una stupida telefonata s’avvelenava d’una incomprensibile gelosia che la costringeva a trattarmi quasi fossi un estraneo. Pur con esigue speranze, aspettai per tutta la sera una sua chiamata, con non pochi rimpianti per aver gettato al vento l’ennesima giornata. Mi fissai davanti al televisore confondendo i miei dubbi con gli sconnessi discorsi che ne uscivano dai vari talk-show che a quell’ora invadevano l’etere, e tra quelle immagini, che a tratti parevano scrutarmi con attenzione, m’addormentai confondendo tra loro realtà e fantasia.

 

  xxxxxxxxxxxxxxxx   

 

 

La mattina seguente la Fra mi trovò che ancora sonnecchiavo tranquillamente.

 

Aprii gli occhi e vidi il suo cappotto appeso alla parete. Poco dopo percepii con piacere un dolce profumo di croissant caldi invadermi le narici. Trovai subito le forze per alzarmi e la raggiunsi in cucina.

 

Se ne stava placidamente seduta su una vecchia sedia in vimini, col viso e l’aspetto curato come il giorno di festa imponeva.

 

- Ciao Pier!! – mi accolse sorridendo.

 

- Ciao!!! – la salutai guardando l’orologio – Che fai da queste parti? – chiesi piuttosto sorpreso.

 

- Pensavo potesse farti piacere vedermi.. – disse porgendomi un bacio sulla guancia.

 

- Sì…certo.. é che non t’aspettavo… ecco tutto – mi guardai in giro; regnava il consueto disordine.

 

-.. Sei entrata con le chiavi di Natalia? – domandai mentre sistemavo il salotto alla meglio.

 

Francesca annuì fissando gli occhi sulla prima pagina di un quotidiano che le stava accanto.

 

- ..Lei ha preferito rimaner con Maya – aggiunse subito per giustificarne l’assenza.

 

- Già ! – sospirai –… vorrei tanto sapere cosa le sta accadendo ultimamente… – pronunciai amareggiato -… ti ha raccontato di ier sera? –

 

Mi guardò preoccupata.

 

- Sì, non riusciva a dormire, così abbiamo chiacchierato un po’…-

 

- Ti pare sia mai possibile?? – esclamai ad alta voce – Natalia che se la prende per una stupida telefonata!!…-

 

Grrr … Grrrr…. La caffettiera gorgogliava per segnalarci che il caffè era pronto; Francesca lo versò in due tazzine di vetro.

 

- Vedi.. – continuai – .. lei non è così, non lo è mai stata! -

 

- Vorrà dire che avrà un qualche problema …non credi…?-

 

- Può darsi ma…- sospirai - mi piacerebbe capire quale sia… - 

 

Un tiepido raggio di sole penetrò tra le tende.

 

- Uhmm.. – mugugnò – ... non n’abbiamo mai parlato e.. anche se fosse, non sarebbe giusto confidarti le sue perplessità… però…ecco…insomma…credo che dopo un periodo così lungo passato assieme, si possa sentir il bisogno di progettare un qualcosa per il futuro….-

 

- Ma io… – cercai di difendermi approssimativamente.

 

-…Insomma... – mi zittì -..non so se n’avete mai discusso… certo, se io fossi in lei,   m’aspetterei un qualche interesse da parte tua verso l’argomento … - concluse ingurgitando il caffè d’una sorsata.

 

Natalia dunque si sentiva oppressa dai timori che mi costringevano a non far mai parola di progetti futuri o di proposte pseudo-matrimoniali di sorta.

 

Mio Dio, pensai tra me, la vita correva  ed io non me n’ero neppure accorto.

 

Mi passai la mano tra i capelli e finii anch’io il caffè bollente tutto d’un fiato.

 

 

Tlin. Il forno ci segnalò che le brioches avevano terminato la cottura; m’alzai e le appoggiai su due graziosi piattini colorati.

 

 

- Sei proprio unica! – esclamai guardando i croissant  – ma dimmi la verità – aggiunsi assaggiandone uno – Natalia non sa nulla di quest’incontro, vero?… -

 

Francesca prese un dolce, ne strappò delicatamente un pezzo con le dita, lo appoggiò alla bocca e guardandomi con complicità mi sorrise beatamente.

 

 

 

Alle sette della sera, tutto quanto sembrava esser tornato al proprio posto. Francesca, Kristian, Natalia ed io stavamo attorno al tavolo, pronti a degustare l’abbondante cena che le donne di casa avevano preparato. Maya intanto troneggiava, appollaiata sul suo seggiolone, controllando attentamente ciò che le accadeva attorno.

 

Scherzando e  ridendo ad ogni battuta di quel guascone di Kris, incrociai un paio di volte lo sguardo di Natalia che per l’occasione s’era fatto talmente sereno da far apparire le schermaglie della sera precedente soltanto un lontano ricordo.

 

Eravamo nuovamente felici…m’illusi.

 

 

- Dunque…. – esclamai dopo cena battendo la mano sulla coscia dell’amico di sempre – che mi dici del concerto? -

 

- Concerto?….- si agitò - come sarebbe a dire? ..Quale concerto?… –

 

- Non l’hai saputo?…- declamai alzandomi dal sofà -….Stasera suona niente di meno che El Topo! …-

 

- Non mi dire!!…..- sobbalzò tra sé  - …Dove vai, dove vai, uomo del mondo …cerco chi è degno di me….dove vai, dove vai……- Kristian improvvisò un improbabile tango argentino afferrando prepotentemente Natalia che non oppose la minima resistenza.

 

- Che facciamo  ragazze? – domandò fiducioso sul caschet finale  

 

Le ragazze si guardarono tra loro.

 

- Fra  ? – chiese sorridente Natalia.

 

- Certo …andiamo…non mancherei nemmeno per tutto l’oro di questo mondo…o forse….non esageriamo, ecco..-  rispose l’amica

 

Tirai un sospiro di sollievo.

 

- Qui bisogna assolutamente brindare – proposi avvicinandomi al frigorifero; presi due birre, le stappai in onor della serata che si annunciava indimenticabile e baciai la mia amata sulle labbra.

 

- A noialtri!! – dissi alzando la bottiglia verso gli amici – A noi – mi risposero i tre  in coro.

 

Per l’appuntamento con Angela nei miei pensieri non vi fu più posto.

 

                                                                  

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

 

 

 

Fermi all’ennesimo semaforo alzai gli occhi al cielo per ammirare quel fantastico tappeto di stelle che si stendeva su di un cielo buio ma sgombro da nubi.

 

- Dovremmo esserci – affermò Kris.

 

Il  locale si trovava in un paese fuori città; si potevano già vedere le colline che si addossavano fin sugli argini del lago. Dopo quasi un’ora, finalmente, arrivammo a giusta destinazione e una grossa insegna lampeggiante aprì al nostro sguardo le porte della birreria dove si sarebbero esibiti i nostri  beniamini.

 

C’intrufolammo subito all’interno del locale; l’atmosfera era cupa, ma i ragazzi sembravano comunque a proprio agio attorno al bancone che, buon Dio, serviva una delle migliori birre che avessi mai bevuto in tutta la mia vita. Il palco, che occupava un’intera parete, era ancora deserto, ma i fari puntati sugli strumenti illuminati a giorno ne presagivano la voglia d’esplodere.

 

Persino l’alcool che trangugiammo per ingannare l’attesa non riuscì ad allentare la febbre che scaldava il nostro sangue impazzito.

 

Tutti stavamo solamente aspettando il gran momento e, mentre tra la folla qualcuno cominciava a fischiare, ecco che, accompagnate da un boato liberatorio, le luci si abbassarono fino ad oscurare tutta la sala e la musica, che aveva  tentato per tutto il tempo di quietare l’attesa, sfumò d’incanto.

Un proiettore s’accese d’improvviso dando immagine ad un uomo vestito come un tempo usavano fare i presentatori del circo; l’uomo si chinò di fronte al pubblico, aprì le braccia e, schiarendosi la voce, annunciò:

 

- Signori – rivolgendosi verso destra – e signore – girandosi a sinistra – è mio enorme piacere presentarvi qui stasera, solo per voi, il concerto inaugurale di “El Topo” che, assieme alla sua “Red Band”, coglie l’occasione per ringraziarvi, augurandosi che lo spettacolo sia di vostro gradimento -

 

Abbassò il suo cappellaccio in segno di saluto e si fece da parte dando il là all’ingresso dei musicisti.

Il primo a salire fu il “Maestro”; subito dietro di lui l'incontentabile “Sioux” balzò dritto sul seggiolino della batteria; “Pippo”, che l’accompagnava, attaccò subito a picchiettare nervosamente alle percussioni mentre il leggendario “Mummia” trovava posto sul ciglio del palco. Si presentò al pubblico anche il “Rizo” che, sensibilmente emozionato, ci salutò cercando in noi un po’ di quel coraggio che al momento sembrava mancargli. L’ultimo ad entrare fu “El Topo”; ci sorrise, applaudì guardandosi attorno e, scandendo il tempo senza perderne altro, fece vibrare la sua chitarra cominciando a farci sognare come solo lui sapeva fare.

 

Per noialtri quello non era soltanto il semplice concerto del gruppo che più di tutti amavamo; era come se in quelle ore avessimo dovuto affrontare un lungo viaggio che come itinerario ripercorreva per intero la nostra stessa vita.

 

Bastò un istante, il primo vocalizzo, la prima rullata e tutto ciò che ci soffocava nella quotidianità d’ogni giorno perse di significato, lasciando posto alle emozioni, quelle intense che sapevano carezzare l’animo, tanto rare da ritrovare, quanto capaci di trasportare le nostre menti in un’altra, sconosciuta, paradisiaca dimensione spirituale.

 

Recitavo le canzoni quasi fossero vere e proprie preghiere, sapendo con precisione quel che ognuno di noi stesse provando in ogni attimo, senza alcun bisogno di farne parola.

Guardavo gli amici e vi riflettevo me stesso.

 

Tre ore più tardi dovemmo atterrare da quel dolce sogno; avremmo ballato anche tutta la notte se avessimo potuto….

 

Il leggendario “Sioux” seppellì di colpi la propria anima e con essa le esigue energie…

 

“Mummia” pizzicò con la consueta serietà il vecchio basso…

 

“Pippo” trovò il coraggio di tambureggiare per almeno cinque minuti in solitaria sulle percussioni…

 

“El Topo”, salutandoci con un nobile inchino, chiuse definitivamente la festa.

 

- Grazie Milano!! – urlarono i sei prima d’uscire e le invadenti luci si riaccesero in tutto la loro potenza, spezzando quell’incantesimo che fino ad allora c’era parso esser nient’altro che la pura e semplice realtà.

 

Nell’aria svolazzava solo il fastidioso vociferar dei presenti e nulla appariva più così magico; il bagliore dei riflettori ci fece sembrare più pallidi di quanto in realtà non fossimo, andando a scavare tra le pieghe della pelle del viso, esaltandone anche le  più piccole imperfezioni.

Bastò uno sguardo per intenderci; c’inabissammo sgomitando tra la folla fino a trovare una rapida via d’uscita e tornammo a respirare l’aria fresca che ci attendeva all’esterno.

 

 

 

 

 

- Angela! – esclamai appena fuori trovandomela davanti.

 

- …Ma dove diamine t’eri cacciato? t’ho cercato ovunque….!!! – rispose seccata.

 

Arrossii.

 

Angela cambiò quell’espressione severa soltanto dopo aver cortesemente stretto la mano agli amici, per attaccare, come suo solito, col proprio estenuante monologo.

 

Così facendo ci accompagnò fin davanti all’auto.

 

- Mio Dio!!… – sobbalzò dando una veloce occhiata all’orologio –… non pensavo certo si fosse fatto tanto tardi….e ora…ufff..- sbuffò aggrottando le sopracciglia – …l’ultimo treno sarà partito da un bel pezzo ormai… –

 

Apparì evidente come cercasse riparo da qualcuno di noi e in particolar modo da me.

 

- Fermati a casa mia – le proposi istintivamente – in fondo si tratta solo di una notte – proseguii - …anzi, a dirla tutta, sono solo poche ore… l’appartamento non é un granché …ma .. ha sempre avuto una  soluzione per tutti…-

 

Angela accettò di buon grado senza troppo scomporsi.

 

Natalia, da far suo, s’irrigidì di colpo e appena prima d’accomodarsi in macchina mi gettò una tremenda occhiataccia di sfida.

 

Partimmo alla svelta.

 

La gioia e la spensieratezza assaporate poco prima, cullati beatamente dalle note della  Band, sembravano soltanto un gradito ricordo.

 

Arrivammo a casa mia che erano da poco passate le tre; Angela ed io scendemmo rapidamente dall’auto per far posto alla Nata sul sedile anteriore. Ci salutammo frettolosamente e, senza troppo indugiare, Kristian ripartì, sparendo dietro l’angolo della via; anche il sordo scoppiettio della marmitta bucata venne presto soffocato dal freddo di quella nottata invernale; fu allora che una strana inquietudine mi presagì scenari apocalittici.

 

Salimmo trovando  sicuro rifugio sotto le pesanti coperte di lana.

Io dormii accomodato su di un futon giapponese che tenevo nella piccola camera  degli ospiti.

 

 

 

La notte scorse veloce e la mattina i primi pungenti raggi solari ci svegliarono bonariamente. Aprii le finestre; il cielo ero sgombro da nuvole. Soltanto il solco preciso di una striscia bianca lasciata da un aereo di passaggio, ne interrompeva  l’azzurro terso di cui era dipinto.

 

Mi vestii, riordinai un tantino le mie cose e, dopo una frugale colazione, ci avviammo verso la stazione ferroviaria.

 

La strada a quell’ora scorreva ancora veloce permettendoci di arrivare a destinazione con un buon margine d’anticipo.

 

- Bene… – esclamai accostando al ciglio della strada – …spero che d’ora in poi ti farai sentire più spesso..- scherzai sorridendo.

 

La ragazza annuì e fece per scendere con apparente fare distratto.

 

- Ancora una cosa però….- disse appoggiando la mano sul mio ginocchio-…grazie..- e nel pronunziare quella parola poggiò le sue carnose labbra alle mie per il più classico dei baci d’addio.

 

In un primo momento sbarrai gli occhi, rimanendo immobile…poi, senza riflettere, le appoggiai il mio braccio attorno al collo e mi cibai per qualche minuto della sua bocca e di quel suo intenso sapore.

 

In quei momenti mi sembrò tutto così chiaro….

 

Senz’altro aggiunger, si staccò dal mio corpo con gentilezza, uscì dall’auto chiudendo con cortesia la portiera, si girò verso la piazza e prese a camminare fino a scomparire per sempre inghiottita dal tunnel che l’avrebbe portata ai treni.

 

Tutto quel che mi circondava perse di significato; il mio esile corpo sembrò diventare ancor più leggero di quanto già non fosse di solito e i rumori della città cominciarono ad affievolirsi sempre di più.

 

Cosa mi stava accadendo ?

 

Fissai il volante, lasciai cadere le spalle gettando fuori tutta l’aria che custodivo nei  polmoni e cercai sommessamente di riordinare le idee…..

 

 

 

Beeep beeep….. il suono del clacson di un furgone che chiedeva avidamente strada mi ridestò di colpo. Mi guardai per un attimo attorno, ogni cosa aveva ripreso a scorrer naturalmente; sbattei gli occhi per sincerarmene una volta di più e, spiando dallo specchietto, alzai la mano in segno di scusa, ingranai la marcia e m’intrufolai, singhiozzando, tra le colonne d’automobili che avevano nel frattempo invaso la via.

 

 

xxxxxxxxxxx

 

 

Era da non molto passato mezzogiorno quando il telefono s’illuminò per ricevere il seguente messaggio:

 

-    Alle quattro in Kollina!! Nata –

 

Giunsi all’appuntamento in perfetto orario.

 

Arrivai, trovando Natalia con lo sguardo perso verso lo scialbo orizzonte, ben acquattata su una vecchia panchina arrugginita dagli anni. Teneva gelosamente la borsetta schiacciata contro la pancia, come a volersi proteggere dal freddo e faceva bruciare tra le dita l’inseparabile sigaretta.

 

Non s’accorse di me finché non le fui a pochi passi.

 

- Nata – la chiamai facendole subito rizzare le orecchie. M'accolse con un tiepido sorriso.

 

I suoi occhi mi sembrarono più lucidi e gonfi del solito, a sostegno dell’idea che avesse passato la notte in bianco; i lineamenti erano talmente tirati da farla apparire addirittura smagrita rispetto alla sera precedente.

 

Ci abbracciammo rimbalzando sul morbido prato inumidito dalla nebbia.

 

Poco più in là, nascosto da una fitta serie di siepi, sostava il caldo letto su cui il nostro amore era fiorito in una gelida notte d’un anno prima.

 

Il silenzio regnò sovrano per alcuni istanti; soltanto il fruscio del vento che accompagnava le foglie caduche nel loro ultimo viaggio a tratti riusciva a spezzarlo.

 

Poi …finalmente… Natalia prese coraggio e, chinato il capo verso terra, mi domandò come  avessi passato la notte. Avrei voluto rider della sua gelosia ma non potei farlo.

 

- Ho dormito sul futon e… -

 

- Lei è partita?- proseguì senza neppur farmi concludere.

 

Capii che non avrebbe avuto alcun senso mentire.

 

- Si….. l’ho accompagnata stamattina all’alba …conoscendola non si farà viva per un bel pezzo….-

 

-  ...Cosa  t’è saltato in mente??…- mi aggredì - farla dormire a casa tua nel nostro letto…-

 

- Nata..- aggiunsi con un filo di voce – …l’ho baciata!-

 

Un momento ci colpì indistintamente

 

-..Come sarebbe……scusa…. – deglutì sgranando gli occhi.

 

-..Prima che partisse..- continuai -….non mi sono  neppure accorto di quel che mi stesse accadendo … s’è avvicinata e non ho potuto fermarla….-

 

-..Stai dicendo d’aver baciato un'altra donna e… - ansimò – tu hai baciato …mio Dio…-

 

Natalia si stese a terra quasi priva di sensi.

 

Avrei potuto inventare qualsiasi cosa per discolparmi e rimuover così quell’affanno che la sconvolgeva …..ma non lo feci…

 

Le decisioni che seguirono a quel disarmante silenzio, furono inevitabili.

 

-…come puoi avermi fatto questo?….- disse scuotendo il capo.

 

Girò il viso lontano dal mio sguardo quasi a non voler mostrare la sofferenza che v’era impressa asciugandosi dalle lacrime.

 

D’improvviso s’accesero gli sparuti lampioni che, mescolandosi tra gli alberi, illuminarono per intero il parco.

 

Natalia, silenziosa, spostò i capelli che le cadevano sulla fronte rivelandosi in tutta la propria grazia.

 

Afferrò le mie mani e si rialzò da terra; le scrollai delicatamente di dosso i fili d’erba che si erano incollati ai suoi abiti e, sfiorandola, le baciai una guancia.

 

- Vai ora …. lasciami sola…- sentenziò.

 

Le passai il dorso della mano sul pallido viso e mi girai prima che lo potesse fare lei; riuscii a far soltanto pochi passi prima di voltarmi a ricercar la sua figura, ma quando ne trovai il coraggio, lei era già scomparsa tra i banchi di quella nebbia che come sempre oscurava la sera.

 

Alle mie spalle potei intravedere soltanto il grande prato dove ancora regnava la vecchia panchina che, imperturbabile, fissava quel grigio tramonto d’autunno, aspettando pazientemente che anche quella gelida notte facesse posto al tiepido sole del mattino.

 

 

 

Sconfitta

 

Non mi sarebbe stato facile, avevo sempre pensato, riuscire a vivere senza quelle anime che fin da bambino mi eran state accanto; per questo la semplicità con cui me ne sbarazzai, lasciò un poco sbigottito anche me.

 

Credendole, a torto, protagoniste di un passato che non m’apparteneva più, per quasi due anni riuscii a confondere illusione e realtà…

 

 

 

Natalia dopo quella sera non mi cercò più, ed io non feci  nulla per ostacolarla nei suoi desideri…

 

Per sfuggire invece agli imbarazzanti rimproveri di Francesca e Kristian, mi servii dell’istinto più bieco; non risposi più a nessuna loro chiamata, nemmeno ai messaggi più supplichevoli e, ancor più vigliaccamente, sbirciando tra le pieghe delle tende che s’affacciavano sul porticato d’ingresso, fingevo di non esserci allorquando li vedevo sotto casa…

 

Così facendo, nel giro di qualche giorno, zittii persino i pur ostinati tentativi di Francesca e potei restar finalmente solo, con quanto tempo volessi per scrutare tra gli angoli di quella vita che fino ad allora non avevo ancora esplorato…

 

Per far questo avevo bisogno di cambiare ogni abitudine che fatalmente associavo a quel modello esistenziale… Abbandonai i centri, le manifeste, i concerti….. mi scordai addirittura del retrogusto amaro della tanto amata birra gelata, sostituendola con i più dolci cocktail serviti in bello stile oltre oceanico da qualche barista del centro città.

 

Cominciai a frequentare amici di vecchia data, trovati per caso su una consumata agendina scolastica , vivendo più che altro d’istintive simpatie, pronte a disperdersi subito nel già affollato mare dei ricordi.

 

 

Tra tutti, gli unici che lasciarono se non altro una qualche traccia del loro passaggio in quel periodo, furono Gabriele, detto “Il Gas” e Rosalba detta la Rosy.

 

Per il resto ho ben poco da raccontare…..

 

Il Gas, un ragazzotto ben più giovane di me, ebbe il semplice ed esclusivo merito di farmi conoscere il “Kaly Café”, un club in classico stile magrebino che, colorato da mosaici di rara bellezza e da pomposi tendaggi che s’adagiavano morbidamente su raffinati tappeti verosimilmente intarsiati a mano, mi donò rifugio nella maggior parte di quelle fredde serate invernali.        

 

Rosalba la rossa, invece,  pur non avendo grande fascino né altrettanta simpatia, era dotata, a detta di tutti, d’un fiuto fuori dal comune.

 

M’adescò in una delle tante serate trascorse al Kaly coprendomi di quelle piccole attenzioni che da qualche tempo nessuno sapeva più offrirmi; da lì a ciò che  ne seguì, il passo fu davvero breve…

 

Le serate in sua compagnia s’assomigliavano un po’ tutte:

 

Passavo da lei, in Via Panelli 103, verso le nove della sera, appena lucidato da una fresca abbronzatura appena acquistata in qualche centro specializzato; saltellavo fuori dell’auto, suonavo un paio di colpi all’interno quattro, e…. in men che non si potesse dire, ce ne stavamo già comodamente seduti al club a chiacchierare e a rider d’insignificanti pettegolezzi.

 

Solo dopo esserci imbottiti di musica e buon brandy scozzese, fuggivamo nuovamente, aspettando facesse tardi sotto casa, per poi darci appuntamento al giorno successivo.

 

 

La persi di vista dopo meno d'un paio di mesi, appena scoprii d’esser una tra le più divertenti alternative ad un matrimonio in crisi da tempo.

 

 

Tornai, quindi, alla vita di tutti i giorni senza eccessivo rammarico né altrettanti rimpianti, continuando sera dopo sera a cercar conforto tra le mura del Kaly.

 

Visto l’assordante frastuono di bassi e musiche sintetiche, che strizzando i pensieri impedivano di fatto pur improbabili conversazioni, il mio passatempo preferito era quello di osservare attentamente il comportamento dei frequentatori del posto; col tempo imparai a dividerli in tre categorie ben precise:

 

_ “I ballerini”, o presunti tali, capaci d’avvilupparsi in danze d’ogni sorta nel disperato tentativo di farsi notare da qualche illibata donzella.

 

_ “Gli annichiliti”, capaci di sostare anche ore nel mutismo più rassegnato ben accomodati sulle graziosissime poltroncine in alcantara blu che riempivano il salone.

 

- “I banconieri”, che s’accontentavano di bere un paio di tequila o un doppio gin aromatizzato schweppes, ricurvi sul bancone del bar nel tentativo di smaltire sbornie ben peggiori di quelle che avrebbero accompagnato a casa  le disorientate menti a nottata conclusa.

 

Per qualche mese, senz’ombra di dubbio e senza vergogna alcuna, fui un degno rappresentante di quest’ultimo gruppo, fin quando almeno, in un  giorno di maggio, non mi risvegliai da quel delizioso incubo e guardandomi desolatamente attorno aprii decisamente gli occhi alla realtà più mera.

 

 

Fu la volta che rividi Natalia…

 

 

In Italia era giorno d’elezioni, così, quando appena albeggiava sui comignoli delle vecchie case di ringhiera, m’insabbiai nella cabina B del nono seggio della sesta sezione, nella scuola elementare di Via E. Toti.

 

Aprii le schede guardandomi attorno quasi a sincerarmi d’esser solo.

 

Davanti a me si mostrò una lunga fila tra simboli, nomi, coalizioni ognuna nell’ultimo strenuo tentativo di far pendere la mia preferenza sulla propria lista. D’istinto chiusi gli occhi per un istante, respirai e apposi la mia Croce…

 

Votai quella sinistra che si presentava come la più democratica.

 

Piegai i fogli e lasciai cadere le schede nei grossi scatoloni quindi, salutando cortesemente, uscii senza troppa fretta.

 

Guardai la fatiscente scuola appositamente vestita del tricolore per l’occasione, rastrellando tra i cocci di quella quotidianità cui ultimamente ben poco m’interessavo, i motivi di quella scelta politica.

 

 

La città era deserta, quasi addormentata; persino le corse degli autobus sembravan svogliate, come a voler sottolineare il giorno di festa.

 

Camminai a lungo, godendomi quell’insolita pace mattutina, prima che il mio sguardo potesse imbattersi contro uno di quei tanti tram che con quell’allegro tintinnare invadevano la città; lo guardai distrattamente come per chissà quante altre volte avevo fatto.

 

Tutto accadde in un istante….Appoggiato ad una delle tante finestrelle che illuminavano la carrozza del chiaror del giorno, con un'espressione un poco melanconica, assorta da chissà quali nobili pensieri, rividi lo splendido viso di Natalia.  

 

Quell’immagine attraversò per intera la mia anima cogliendola impreparata.

 

 

Il treno fuggì via lontano, seguendo la rotta dettata dalle rotaie incastonate sapientemente tra i caratteristici san pietrini cittadini,  proseguendo fin oltre l’orizzonte.

 

Lei sembrò non accorgersi di nulla.

 

I ricordi d’improvviso si fecero più nitidi, i visi riacquistarono la famigliarità di un tempo e tutto mi tornò ad apparire, come d’incanto, nuovamente chiaro.

 

 

  xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

 

 

 

La stessa sera m’affossai davanti al ventiquattro pollici per conoscere il risultato delle elezioni che da poco si dovevano esser concluse.

 

Eran appena passate le ventitré…

 

- Dovremmo esserci – esclamò trionfante il riccioluto direttore di rete – sono da pochissimi istanti arrivati i primi exit-pole, che ripeto, non sono ancora dati definitivi, ma ci possono fornire precise indicazioni sulle tendenze al voto…- disse aprendo meticolosamente i grossi fascicoli - ….secondo i quali, dunque… sarebbe netta la vittoria del patto di centro destra che otterrebbe la maggioranza assoluta, preannunciando di conseguenza la sconfitta per la sinistra democratica italiana,  ammettendo, e questo sarebbe un dato altrettanto interessante, come unica forza alternativa ai due maggiori schieramenti, soltanto il partito comunista che supererebbe così la fatidica soglia del quattro percento acquisendo importanti seggi nel nuovo parlamento attraverso la quota proporzionale….  …Dunque… – sentenziò il giornalista sistemandosi nervosamente gli occhiali – ..se questi dati dovessero esser confermati dalle prime proiezioni, il paese per la prossima legislatura, per i prossimi cinque anni avrebbe come nuovo presidente del consiglio dei ministri (e successivamente come ministro degli esteri nonché probabile candidato alla presidenza della Repubblica) il candidato premier Silvio Berlusconi.

 

Spensi la televisione.

 

…..Avevamo perso e, anche se poteva sembrar incredibile, il principale artefice della sconfitta quella sera pareva esser proprio un saggio compagno che, fiero delle proprie radici e della tradizione italiana del vecchio partito, se ne stava davanti alle telecamere declamando la definitiva sconfitta di quel modello di sinistra democratica sepolta dai propri errori e bisognosa di una nuova anima ben diversa da quella che l’aveva guidata fin ad allora.

 

Aveva vinto chi stipulando un contratto tra sé e sé, era riuscito a convincere mezza Italia che i comunisti, i repubblicani, i socialisti, gli ambientalisti e i cattolici altro non fossero che dei burocrati ambigui, dalle ideologie retrograde e pericolose, contagiati, e di conseguenza contagiosi, da una sorta di follia collettiva che avrebbe in breve tempo portato il paese alla rovina.

 

Ma il vero colpo da maestro, la stoccata vincente di una campagna pubblicitaria ben riuscita, fu quella di saper persuadere persino i leader progressisti, che un po’ comunisti lo erano ancora, di quanto il vecchio partito potesse esser un  pericolo per i valori democratici del paese e soprattutto sconveniente ai fini puramente elettorali, convincendoli ad isolare quel saggio compagno colpevole, a detta di tutti, di voler continuamente combattere contro innocui  mulini a vento.

 

…La sinistra… già che fine aveva fatto….

 

A simbolo di quell’accozzaglia di partiti, che boccheggiavano attorno alla presunta area progressista fu presa, e non a caso, la pianta dell’ulivo, quasi a rievocar il periodo pasquale e la resurrezione.

 

Era incredibile vederne i leader commentarne dapprima l’estrema unzione, per poi il giorno successivo decantarne l’improvvisa rinascita senza più un paio di comunisti e troppe spiegazioni al seguito.

 

Questo pressappoco fu lo scenario politico che portò in quella primavera l’Italia intera alle urne, interrogando l’elettorato di sinistra su di un quesito che non aveva precedenti alcuni.

 

Non rimaneva che da scegliere se restare aggrappati ai propri ideali e a quelli del vecchio partito o, nel tentativo di sconfiggere l’ascesa della destra, ripiegare sui progressisti pur con tutte le loro contraddizioni.

 

Chi come me si adeguò votando per quella politicamente corretta “area democratica”, pur sapendo quanto quella falce e quel martello dipinti sopra uno scintillante mantello rosso non presagissero catastrofi naturali o apocalissi sovietiche di sorta, ma che al contrario proponessero l’unica valida alternativa per una società in piena crisi d’identità, scivolò in un madornale errore politico e sociologico.

 

Se difatti quel dì in pochi compresero quella che pareva esser soltanto l’orgogliosa scelta di un vecchio e nostalgico partito di sinistra, il tempo come sempre dipanò le ombre, rendendo chiaro a tutti come certi passaggi fossero obbligati per chi ostinatamente, ricercava quei tesori sommersi nell’animo dell’uomo.

…ma questo, a dir la verità, il saggio compagno che guidava quel partito lo aveva sempre saputo e aveva cercato di spiegarlo nelle sue continue apparizioni nei salotti televisivi.

 

 

In quei giorni, una nuova coscienza si stava affacciando al mondo….

 

Lentamente su tutto il pianeta, un’energia in cui non trovavano più posto le intese sottoscritte presupponendo al proprio tornaconto e i sospetti reciprochi, si propose per riunire l’umanità sotto un’unica bandiera: quella della Pace.

 

Volontari, preti, operai, impiegati, disoccupati, professori, studenti, suore, anarchici, musicisti, comunisti… parevano disinteressarsi delle vesta che indossavano e sembravano pronti, gli uni al fianco degli altri, a cambiare quel sistema che vedeva molti soccombere a vantaggio di pochi e che trovava nella guerra l’unica prepotente arma di dominio.

 

Ben presto si cominciò a parlare dei NO GLOBAL.

 

Ad ogni manifesta, ad ogni girotondo la gente sembrava trarre nuova forza e le idee fiorivano d’incanto per la spontanea preparazione di nuovi incontri, per nuove proteste; era tornata la voglia di stare assieme; era tornata la voglia di far politica.

 

Da Seattle a Praga, da Genova contro quel modo d’inteder la globalizzazione, a Roma contro ogni forma di discriminazione; dal 16 aprile per il lavoro, al 25 per la libertà; dal primo maggio per i diritti, al 15 settembre per la protesta anti-governativa e cosi via.

 

Quello che si cercava di sommergere come semplice vandalismo insurrezionale era sempre più una protesta planetaria di un movimento libero e indipendente che portava nel proprio seno la pietra filosofale per saper reggere il peso di una politica globale finalmente più equa e più solidale.  

 

 

 

Quel che feci io ebbe ben poca importanza.

 

 

Non andai a Genova, me ne mancò il coraggio.

 

Soffrii, certo, per quelle ingiustizie legalizzate, quelle gratuite violenze seguite dalla programmatica manipolazione informativa e per questo non potei più star in accondiscendente silenzio; ne sarei stato complice.

 

Non lo potei fare per chi credeva o aveva creduto in un mondo migliore; per la Nata, la Fra, Maya e Kris; per Carlo, ragazzo dal nome sfortunato; per mio padre e mia madre; per Jack che tanto m’aveva fatto sognare e non da ultimo e semplicemente… per me stesso che ero tornato a vivere.

 

 

 

 

 

Due anni, pensai, non sapevo come ma erano passati due lunghi, lunghissimi anni.

 

 

I ricordi e quelle fotografie erano le uniche cose ad essermi rimaste.

 

 

Alzai gli occhi verso il soffitto, s’erano fatti pesanti. I pensieri si mescolarono presto tra loro e i muscoli si rilassarono accompagnando le palpebre ad accostarsi l’una all’altra.

 

M’addormentai serenamente nel mio letto; erano le quattro del mattino e un pizzico di luna splendeva ancora alta nel cielo.

 

 

 

L’epilogo

 

8 dicembre 2002

 

Don, don, don, don, don, don, don, don, don, don, don, don.

 

I rintocchi del campanile e i flebili raggi del sole della mattinata già inoltrata, mi svegliarono di colpo.

 

Le fotografie giacevano sorridenti sul letto e la confusione che fece seguito a quel brusco risveglio si dipanò in pochi minuti; aprii le finestre e mi vestii.

 

La vista del cielo plumbeo, come del resto era consuetudine stagionale, né mi sorprese né m’aiutò a recuperare le energie bruciate in quelle ore di ricordi. Chiusi le persiane e m’accontentai della tiepida luce del lampadario che immediatamente rischiarò il soggiorno.

 

Versai la consueta razione di latte nella ciotola di Lucrezia, che già da un po’ strofinava con dolcezza il morbido pelo sulle mie gambe e cominciai a riordinare la stanza.

 

Non avevo per nulla fame.

 

Iniziai, con cura, a riporre le fotografie nella piccola scatola d’alluminio, allineandole per bene una all’altra, in quel che presumevo esser il giusto ordine cronologico….

 

Per quel che ne seguì dopo, mi trovo spesso ancora oggi a ringraziare Dio nelle mie preghiere più nascoste.

 

- Al diavolo – esclamai d’un tratto preso non so neppur io da qual impeto rigettando di nuovo tutto quanto all’aria; avevo perso già fin troppo tempo, pensai arraffando la giacca che penzolava dalle pendici dell’attaccapanni.

 

Balzai velocemente tra una rampa di scale ed un'altra e in un batter di ciglia raggiunsi la strada.

 

La giornata non sembrava poi così buia come mi s’era presentata soltanto pochi istanti prima. Mi guardai attorno: la vita procedeva nella sua più naturale lentezza.

 

Il signor Watchtown fumando la solita sottile sigaretta, ascoltava pazientemente la moglie che lo rimproverava per il ritardo della sera precedente; la signora Trasere stendeva i panni profumati di bucato fresco, mentre il Melloni rientrava dal turno in caserma, per la gioia dei quattro figli….

 

Non esitai un sol istante e presi a correre come quando da bambino all’uscita di scuola amavo fare per raggiungere il più in fretta che potessi mia madre.

 

Più correvo e più desideravo d’andar veloce; il cuore iniziò presto a pulsare all’impazzata e il respiro si fece sempre più affannoso nel tentativo di portar la maggior quantità  d’ossigeno fin nei polmoni. La bocca s’era fatta completamente asciutta e il volto bagnato, sembrava pronto ad esplodere in un momento coll’altro.

 

I movimenti s’erano fatti così sconnessi che non potei far nulla per evitare di scontrarmi con un gruppo di giovani che senza troppa fretta uscivano da messa; me ne scusai e continuai per la mia strada.

 

Presto sarei arrivato….

 

Dal fondo del lungo viale alberato che incrociava la basilica, potei già intravedere il balcone ricamato da eleganti vasi di tulipani e gerani di cui Francesca andava tanto fiera.

 

Presi un’abbondante boccata d’aria fresca, mi asciugai la fronte passandovi il braccio inumidito e, guardandomi alle spalle, ripresi a camminare.

 

Una giovane coppia di novelli sposi sembrò darmi il benvenuto nella palazzina reggendomi il portone d’ingresso. Entrai timoroso.

 

Salii le scale con gli occhi fissi sui gradini che sporgevano uno sull’altro; ne contai trentatré prima di arrivare di fronte alla grande porta…sotto l’occhiello dipinto su  una chiara pietra smaltata trovai scritto a chiare lettere: CASA DI FRANCESCA E MAYA.

 

La cosa mi mise di buonumore.

 

Drinn…. suonai  coraggiosamente…. le pulsazioni ripresero ad  accelerare.

 

 

- Natalia stavi aspettando qualcuno? – udii risuonar gentilmente dall’interno.

 

Clock clock… con due decisi giri di chiave la porta di casa si aprì presentandomi a Francesca.

 

Era splendida come sempre.

 

- Pier… - esclamò trattenendo il respiro… e ancor prima che potessi aggiunger parola mi trovai le sue braccia dolcemente aggrovigliate attorno al collo.

 

- Mi mancavate troppo… – le bisbigliai all’orecchio che si tese  incredulo.

 

Incuriosita da tutto quel trambusto, Natalia affacciò il tenero muso oltre l’ingresso, e per mia meraviglia, rividi quegli stessi occhi che temevo d’aver perduto per sempre….

 

- Nata…-

 

- Ciao !! – disse abbassando il capo.

 

Francesca si fece da parte.

 

Furono pochi ma intensi secondi in cui cercammo di trasmigrare l’uno nell’altro quell’amore nascosto di cui i nostri cuori tracimavano da mesi.

 

Il tempo per l’ennesima volta sembrò poter attendere…..

 

 

 

- Piero.. bé… che succede, non si usa più salutar gli amici – reclamò Kristian dal fondo della cucina.

 

- Dai..- proseguì - non pensarci troppo…entra…!!!-

 

Davanti a me si aprì il lungo corridoio

 

 

 

- Tu sei Pier ? – m’interrogò d’un tratto una sottile voce.

 

Abbassai di riflesso lo sguardo e v’incontrai quello di Maya che mi veniva incontro con un piccolo omaggio…era una vecchia  istantanea dove noi due regnavamo stretti l’un l’altro sullo sfondo d’un meraviglioso vigneto d’uva nera.

 

L’accettai di buon grado e m’accovacciai per ringraziarla; era bellissima.

 

- La mamma e la zia mi parlano di te…- mi disse -.. io sono la piccola Maya..-

 

- So bene chi sei.. ti conosco …- le dissi porgendole una bambola di pezza che giaceva lì a terra.

 

- Ti piace? … Me l’ha regalata la zia .. – continuò trattenendola gelosamente tra le mani.

 

- È stupenda… sul serio.. poi credo che un po’ ti somigli e… –  ancor prima che potessi terminare fuggì in cucina nascondendosi tra le gambe di Kris.

 

- Entra… – m’invitò Francesca – …comincia a far freddo.. – disse stringendo tra loro le braccia.

 

Non esitai.

 

La casa non era per nulla cambiata, tutto pareva esser uguale a come l’avevo lasciato.

 

Anche se la televisione rumoreggiava ad alto volume non mi parve affatto fastidiosa.

 

- Siedi…sistemati qui vicino…ne abbiamo di cose da raccontarci..- mi disse Kristian

 

- Già – risposi con scarsa convinzione mentre Natalia aggiungeva un posto in più alla tavola..   

 

Incrociai per un attimo lo sguardo attento della Fra…..ci guardava con fierezza.

 

Era la terza domenica del mese.

 

 

 

 

 

 

Le chiacchiere e le risa uscirono di nuovo spumeggianti, spontanee proprio come un tempo lontano, e tutto quanto m’apparve d’incanto più leggero, più lento… 

 

Fu stupendo riassaporare il prezioso gusto d’aver confusi tra loro mille pensieri ad affollare la mente.

 

Cos’era la vita…. quali erano le risposte giuste e quali quelle sbagliate…. quale peso si doveva dare al tempo che scorreva via…chi ero io realmente….

 

A queste e ad altre domande non riuscii a dar risposta né quella sera né mai; soltanto una cosa sapevo con certezza… nulla e nessuno mi avrebbe mai più diviso da quelle splendide anime….  

 

Tutto quanto da quel giorno riprese il giusto corso, niente parve esser più fuori posto, ed io…. finalmente….. potei ricominciare a vivere proprio da dove, chissà poi perché,  avevo deciso di smettere…