POLVERE DI BLUES

di Cucciolo

Si fece una gran risata quando mi sentì suonare, poi con la sua mano gigantesca mi diede una gran pacca sulla spalla:

“E’ un buon inizio ragazzo, hai della stoffa!” mi disse e io scoppiai in un sospiro di sollievo. Tutti gli altri seduti in religioso silenzio dietro ai loro strumenti sembravano condividere il giudizio di Cliff, il quale, intanto, aveva abbracciato la sua chitarra e batteva già il tempo. In un istante la stanza si illuminò di una grande melodia semplice ma struggente e piena di tristezza. La linea di basso si stendeva monotona e rassicurante, il piano sussurrava lunghi arpeggi caldi e malinconici, la batteria frusciava dolcemente un ritmo andante, senza fretta e intanto la chitarra lacrimava dei tristi e languidi assoli. Mi sentì subito preso da questa grande malinconia, mi rendevo conto che Cliff e la sua band erano un mondo a parte nell’universo della musica. Non avevo mai inteso la musica come poesia strumentale, ma soltanto come una fredda e inutile arte. Loro non avevano mai studiato musica eppure dai loro strumenti usciva dolcemente una struggente sincerità e spontaneità. Non apprezzavano quelli che si facevano chiamare “Artisti” , anzi dicevano che gli artisti sono soltanto ciarlatani, ciarlatani tristi. Avevano vissuto la loro infanzia nei quartieri ghetto di Philadelphia. Come i loro padri hanno sofferto la fame e la schiavitù dei bianchi, ed anche se la loro schiavitù non era più accettata dallo Stato americano, continuavano ad essere perseguitati. Non andavano a scuola, ma lavoravano e portavano a casa il pane. Fu proprio in quegli anni che nacque la loro storia di musicisti. Cliff non era certo uno stinco di santo e spesso per campare rubava. Un giorno riuscì a soffiare dalla tasca di un ragazzo un’armonica a bocca. Non aveva idea di come funzionasse un oggetto del genere. In realtà lo aveva rubato perché le rifiniture del piccolo strumento erano in oro. Cliff aveva visto suonare quello strumento e gli piaceva l’idea di poter suonare anche lui. Anche suo padre suonava l’armonica e Cliff ricordava con nostalgia le ninne nanne dolci e ispirate del suo babbo. Non ci mise molto ad imparare le note e a dosare il fiato. Quello era l’inizio della sua vera vita. Era diventato davvero bravo e cominciò a girare in cerca d’altri ragazzi per formare un gruppo come quelli in voga a quel tempo e non senza fatica riuscì a trovare altri tre ragazzi. Nessuno di loro sapeva di musica, e gli strumenti costavano troppo per le loro tasche. Dopo molto tempo però riuscirono a comprare un vecchio piano stile americano, un po’ scordato, ma funzionante, una chitarra elettrica blues, una batteria di bassa marca un po’ rattoppata ed un basso acustico riciclato da un’orchestra di bianchi. Non ci vollero molte prove per sentire già qualche pezzo ben confezionato. Loro non seguivano una partitura ben precisa, ma avevano soltanto uno schema a grandi linee che lasciava molto spazio all’improvvisazione. Forse era questo che rendeva la loro musica così interessante e armoniosa. Non erano davvero niente male e questo li portò dentro ad una sala d’incisione. Il loro disco però non uscì mai in vendita perché a quei tempi si affermava di forza un volgare surrogato della musica nera chiamato swing. Lo swing in realtà apparteneva già ai neri afroamericani, ma la prima incisione fu ad opera di un bianco, che ne modificò radicalmente i caratteri principali. Così Cliff e la sua band furono costretti ad andare via, ma la loro musica continuava ad esistere ed era sempre più liscia e vellutata. Guadagnavano pochissimo con la loro musica, ma quanto basta per poter campare e mantenere a posto i loro strumenti. La loro vita è passata tutta con il accanto, fino ad ora. Il pianista, Ray non stava molto bene ultimamente, anzi era pronto per il “riposo” e io mi trovai lì per caso a suonare quel po’ di blues che avevo imparato da solo tra una lezione di piano e l’altra. Il volto di Cliff, mentre suonava la sua armonica, la chitarra e cantava, era triste e un po’ rassegnata, come del resto tutta la sua vita, ma ogni tanto le sue rughe si curvavano a tessere un sorriso a trentadue denti. Mi guardava mentre la sua voce corrosa dai tanti sigari snocciolava un inglese sgrammaticato. La canzone che stavano suonando si intitolava: POLVERE DI BLUES e il testo tradotto in italiano fa più o meno così:

Non piangere ragazza

se non hai più il pane,

non piangere ragazzo

mentre zappi sotto al sole.

Il vento porterà via

la fame e la stanchezza

e tu ragazzo mio,

amerai la tua ragazza.

 

Non piangere ragazza

se il tuo uomo non tornerà,

non piangere ragazzo

se lei non ti rivedrà.

La cattiveria ha portato via

l’amore e la tua vita,

un uomo ha ucciso un uomo

in una favola finita

 

(RIT) Polvere di blues

a piangere tuo marito

polvere alla polvere

di un amore mai svanito

…E tu ragazza mia

non piangere il tuo Cristo,

lui ha portato dentro te

luce, in questo buio pesto

 

Non piangere ragazza

che tuo figlio ha i suoi stessi occhi,

non cadere nella tristezza

se di suo padre saranno ciechi.

Il tuo uomo ti ha donato

un pizzico di speranza

che tu ora stai crescendo,

o mia povera ragazza

 

(RIT) Polvere di blues

sui tuoi occhi  innamorati,

e tuo figlio sta suonando

sui dolori dei giorni passati.

…E tu ragazza mia

sorridi, non piangere più

il tuo nuovo uomo di casa

suona allegro un vecchio blues…

   Questo testo è chiaramente autobiografico e Cliff sembra sempre emozionarsi al ritornello finale. I suoi occhi ormai miopi sembrano riempirsi di lacrime, ma sul più bello la musica finisce e tra gli applausi puoi vedere il suo viso ancora aperto in un grande sorriso. Soltanto in silenzio, nel suo piccolo camerino puoi vedere cadere dagli occhi di Cliff due lacrime di nostalgia. Ero lì, quando lo ho visto commuoversi. Lui si girò verso di me e mi disse con un sottile sorriso triste: “La musica va oltre ogni male e cattiveria, solo suonando la gente si unisce. Non suonare solo per mostrare la tua bravura, suona per te. Solo esprimendo in modo puro i tuoi sentimenti puoi sentire quanto questo mondo sia sbagliato. Puoi capire veramente quanto questo mondo non sia omogeneo, ma pieno di grumi. Non esiste il colore dell’amore, ma ci sono tante piccole parti incomplete, complementari tra loro: il bianco e il nero, Gesù e Allah, il bene e il male. La musica sincera sarà la tua lente d’ingrandimento e il tuo libro su cui studiare. Solo quando avrai capito veramente perché gli uomini si uccidono a vicenda e cercano di eliminare parte essenziale di se stessi, sarai pronto per raggiungere la tua pensione per sempre e in pace. La musica è dolore, il dolore è blues, queste non sono lacrime, è soltanto polvere di blues…