PIANO, VOCE E AMORE
di Cucciolo
Il cielo stava già imbrunendo verso una nuova sera di una mezz’estate fina ad allora fresca. Lui era già lì, dietro il palco, pronto a sognare e a far sognare. La gente era accorsa numerosa e lui si sentiva pronto, fremeva, gli tremavano le mani per l’emozione. Non era certo la prima volta che si trovava in quella condizione, ma il solo pensiero che da lì a poco si sarebbe trovato immerso nelle voci unisone del suo pubblico lo eccitava tantissimo. Il suo pianoforte era lì che lo aspettava, nero, da concerto e lui con la coda dell’occhio lo guardava, impaziente di poter dipingere note in quella sera che gli sembrava già magica. Pochi minuti ancora prima di calare le luci e lasciare un sottofondo blu scuro, il suo colore preferito a colorare la sua voce nuda, accompagnata solo dal pianoforte e la chitarra. Lui, da solo sopra il palco contro migliaia di persone, tutti quanti con la voglia di rivivere momenti indimenticabili insieme a lui, piccolo cantastorie di periferia, che racconta gli amori fragili e i dubbi, le domande della vita. L’ultima sigaretta lo separava dall’inizio dello spettacolo e lui se la gustava con impaziente piacere. L’ultima boccata e il mozzicone va giù, sotto il cartellone del palco. Le luci si abbassano, il silenzio cala lentamente e da un cilindro di luce gialla eccolo uscire. Applausi, urla e frasi d’amore a riprendere i testi delle sue canzoni. Raccolse il caldo saluto della sua gente e si sedette con passi veloci e nervosi al suo strumento. Note languide a fare da accompagnamento ad un inaspettato prologo introduttivo in rima, per ringraziare anticipatamente della bella serata e dell’affetto che sentiva addosso ogni volta che saliva su un palco. Finite le parole, la musica si fece più incalzante e la sua voce rauca e liscia allo stesso tempo cominciò a ricamare note stornellate, niente parole, solo vocalizzi. Scaldata la voce, un accordo minore sorprese gli occhi del pubblico, a cercare di capire quale canzone stesse iniziando a cantare. Pochi secondi e le prime parole scoprirono il titolo del brano e il pubblico cominciò subito a cantare con lui, trascinato dal suono pieno e pastoso di quel pianoforte. Lui era lì, seduto, curvo sulla tastiera, le maniche della camicia bianca svoltate a lasciar spazio alle mani che volavano basse sui tasti. Voce e piano a scaldare un’intera notte, fiato e voci a spezzare il silenzio di una serata estiva. Si alzò, prese la bottiglietta di plastica, poggiata sul pianoforte e bevve un piccolo sorso d’acqua. Poi si girò verso la gente e sorrise ampiamente, salutando con la mano, poi si girò ancora e prese la chitarra, comodamente poggiata sul suo sostegno e accese una sigaretta. Fece due tiri e l’incastrò nel manico dello strumento, poi con un volo di dita si immerse in un’altra canzone, più ritmata e meno malinconica. La voce entrò in scena poco dopo e il pubblico ancora rimbombava nella piazza in un solo coro che risuonava nella notte. Lui solo sopra quel palco cantava e cantava, ancora e ancora, la voce si consumava a poco a poco fino alla canzone finale, bassa, monotona senza acuti difficili. Tornò al suo pianoforte, il volto un po’ più cupo, il sudore sulla fronte e le mani che ormai non tremavano più. Attaccò a suonare, completamente immedesimato nel testo della sua canzone…
“Forse era morto senza il tempo di salutare,
forse era morto perché già stanco di soffrire,
forse non era morto per niente,
ma viveva altrove….”
Il pubblico stavolta restava in silenzio, rifletteva sulle parole che piano, strascicate scorrevano nel velluto blu della luce del palco. Lui chiuse la canzone con un accordo minore, triste e il pubblico, rimasto sgomento, attonito applaudì sommessamente, lui alzando per un attimo gli occhi dall’amico pianoforte salutò con una mano, il volto tirato, stanco e pallido. Si alzò piano raccogliendo gli applausi e i cori d’approvazione che timidamente ricominciavano ad animare il silenzio caduto sopra quel palco, poi prese la sua chitarra e uscì di scena.
…dedicato
a tutti coloro che non hanno avuto il coraggio di continuare, di insistere,
perché a volte la rassegnazione è l’unica soluzione, l’unico modo di
alleviare i dolori della vita e dell’amore…
…dedicato
a tutti coloro che amano, che provano un amore non corrisposto, perché non è
facile volere bene e non sentirsi amato, non è facile soffrire o delegare il
proprio amore a qualcun altro, magari sconosciuto, per fingere di essere in pace
con se stessi…
…dedicato
a tutti coloro che sono depressi, che si
sentono abbandonati anche dalle proprie speranze, perché non è facile vivere
all’ombra, non è facile aspettare il proprio posto al sole, su una panchina
sotto la pioggia di febbraio…
…dedicato
a tutti coloro che non hanno speranze, perché le speranze sono illusioni e le
illusioni sono delusioni…
…dedicato
a me, a te, a voi, a tutti, perché uno o tutti, siamo soli, siamo solo puntini
nel cuore degli amici, macchie di bene che sbiadiscono subito e vengono
dimenticate a favore del Dio cattivo del successo…
…dedicato
alla mia malattia, una malattia che si chiama “vita”, una malattia che
smorza a poco a poco il respiro, le parole, fino alle sillabe parole che
riusciranno a scappare dai miei polmoni corrosi da questo morbo, ricorda sempre:
”Ti amo..."