PARTUM

di Daniela Pesce

Domenica 14 luglio

  Grazie al cielo se ne sono andati tutti, mi liquefaccio dal caldo, non ho sonno, non ho fame e non ho pagato l’abbonamento alla pay tv, la sola cosa che mi resta da fare è una doccia, ammesso che riesca ad entrarci , magari ci provo di traverso appiattendo – si fa per dire naturalmente - la schiena contro il vetro, ma si forse ce la posso fare.

Ho circa quaranta minuti a disposizione prima che il prossimo coltello mi si conficchi tra anca e ombelico e che la contrazione riparta per un minuto o poco più di dolore tipo dente del giudizio con piorrea, pulpite e lieve ascesso.

Ho deciso che essendo estate, periodo in cui, si sa, tutti maledettamente sudiamo, non posso andare in clinica senza lavarmi e magari depilarmi…già depilarmi ma chi ci arriva alle gambe?

Dicono che le puerpere abbiamo una vivida immaginazione, che le poveracce riescano perfino ad immaginare di essere sdraiate e massaggiate da un maestro ayurvedico cubano bello come il sole caraibico mentre assecondano il dolore del travaglio, io questa fantasia la sfrutto in modo utilitaristico e mi riesco a depilare le gambe nonostante la pancia mi impedisca da mesi di vedermi anche solo un ginocchio.

Prendo lo sgabello che uso in cucina per sopperire al mio metroesessanta di altezza e lo metto davanti al box doccia, mi siedo e appoggio una gamba sul piatto mentre l’altra mi serve da puntello per non cadere all’indietro. Inforco la lametta e, con la schiuma da barba di mio marito, mi imbianco il polpaccio…certo che potevo regalargli una spuma meno forte, questo odore di mentolo in travaglio mi deprime.

Ripeto l’operazione con l’altra gamba e i quaranta minuti a disposizione si esauriscono tanto che la contrazione successiva me la faccio passare tra lavandino e bidè, povera figlia mia che madre la aspetta qui fuori.

Depilata e assonnata mi catapulto sul letto e spero di addormentarmi nei successivi quaranta minuti a mia disposizione,  dopo di che, se ci riesco, il mio notorio sonno pesante e obeso mi consentirà di dormire nonostante tutto.

 

Lunedì 15 luglio

È l’alba, piove, ma che dico, diluvia e mio marito dorme, che ne sa lui di contrazioni e di rottura delle acque la sola rottura che conosce è di palle e, in questa circostanza, non mi serve quindi, inutile svegliarlo, meglio trascinarmi in cucina e prendere caffè e brioche in pace.

Trenta minuti tra una coltellata e l’altra, posso fumarmi perfino una sigaretta con buona pace della ginecologa e di mia figlia che, essendo io la sola mamma di cui per il momento dispone, mi perdonerà.

Due ore dopo sveglio mio marito:

tesoro…amore…Gian...SVEGLIAAAAAAAAAA!!!!…la bambina ha deciso di nascere ed ha deciso di farlo entro oggi, fuori piove, io sto male, lei non lo so ma si agita e tu ancora non sei sveglio…insomma alzati santa pazienzaaaaaa…… aaahhh….. uff uff ufff…..respiro.

Alle 10 in punto siamo in clinica.

Tra registrazione e scartoffie varie mi vedo sorpassata da una cinesina che pare abbia, al massimo, un’unghia incarnita per poi invece scoprire che stava in piedi con ben 7 cm di dilatazione. Ma come diavolo fanno loro a soffrire in silenzio, semi sorridenti, calme come il Dalai Lama e serene come un cielo di primavera? Se un giorno si scoprisse che è per via dell’amido di riso farei appello alla FAO senza esitazione.

Alle 11 mi danno la camera doppia con servizi e mi chiedono se preferisco rilassarmi facendo due passi o starmene mollemente a letto. Io mi domando, ma hanno provato loro a starsene tranquille a letto con un dolore tipo “se non mi passa subito, ora, adesso, strillo sino a ingoiarmi le tonsille” e attendere pazienti il proprio turno?

Decido di alzarmi e di uscire accompagnata da mio marito che, nel frattempo, ha esaurito la scheda telefonica per avvisare tutti, inclusa la portinaia, che sta per nascere sua figlia (sua non della portinaia voglio sperare sia chiaro). La portinaia, scoprirò più tardi, andava avvisata in quanto doveva appendere il nastro rosa al portone di ingresso della scala B. 

Fuori il diluvio continua e penso, fra me e me, che sarebbe stato uguale partorire in ottobre avanzato se annegata avrei comunque dovuto finire i miei giorni; ma questi malsani pensieri, mi garantiscono i medici, sono frutto dell’ossitocina che si accumula nel sangue in quelle ore.

Passeggiamo in strada sotto l’acqua e conto…tre…quattro...cinq…ahhhhhh…ufff...ufff…ufff.

Alle 16 mi accorgo che non é l’acqua piovana ad essere risalita lungo le mie gambe, bensì il liquido amniotico ad essere fuoriuscito dal mio pube.

Ci siamo. Mezz’ora dopo chiedo, con l’aria di una martire, di entrare in sala travaglio dove scopro che in realtà al di la di un letto e un macchinario per la tortura non vi è nulla di diverso dalla sala di attesa destinata ai parenti.

Accanto a me una donna, anche lei sdraiata ma non in procinto di dare vita a suo figlio bensì lì in attesa che si liberi un posto letto in una delle camere del reparto.

Inizia il travaglio.

Chiedo a mio marito nell’ordine:

·         di non rispondere più alle chiamate sul cellulare

·         di scusarsi con la vicina di letto per il casino che sto facendo

·         di trovare un catino dove io possa  vomitare in santa pace

·         di farsi andar bene la figlia che sta nascendo poiché un’altra di scorta io non la faccio

Un TIR per fatalità passa in corsia e mi investe, mi duole tutto anche se mi pare di essere fatta solo di pancia, intorno a me persone che trattano allegramente dei fatti propri senza un’ombra di decenza e una cinghia che mi avvolge tipo cintura di sicurezza che credo mi abbiano messo per impedirmi di fuggire.

16.30…doloreeeee

17.00…respiro…..

… perdo il senso della misura e della ragione…

18.30…mi informano che si scende in sala parto

19.00 …spingo…uno

… spingo due….

Il ginecologo mi suggerisce: fai la cacca! Io mi domando cosa mai pretendano da me in quel momento, oltretutto la cacca non mi scappa…

19.05 nasce mia figlia!

Piacere sono la tua mamma le dico e lei in tutta risposta mi apre un solo occhio per decidere lì per lì se le vado bene come mamma o se è meglio chiedere l’immediata sostituzione per risposta errata.

Mi abbandonano in quella stanza gelida, la radio a tutto volume, le voci dei medici e di non so chi che si allontanano, la pancia flaccida e nuda della quale mi vergogno come mai in vita mia.

Poco dopo un pazzo invasato, vestito da medico, in realtà appassionatosi al taglio e cucito dopo aver seguito un corso on line di otto lezioni, inizia a orlarmi la dove potete immaginare senza ritegno.

Il giorno successivo mio padre, venuto dal piemonte per guardare la sua nipotina da dietro il vetro della nurserie, fissa per venti minuti il figlio della cinesina che mi aveva superata all’ingresso fino a che il nonno del piccolo reclama il nipote e mio padre avvilito ammette di aver sbagliato  culla.

Non lo perdonerò mai per quella svista!

 

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