di
Daniela Pesce
Ho circa quaranta minuti a
disposizione prima che il prossimo coltello mi si conficchi tra anca e ombelico
e che la contrazione riparta per un minuto o poco più di dolore tipo dente
del giudizio con piorrea, pulpite e lieve ascesso.
Ho deciso che essendo
estate, periodo in cui, si sa, tutti maledettamente sudiamo, non posso andare in
clinica senza lavarmi e magari depilarmi…già depilarmi ma chi ci arriva alle
gambe?
Dicono che le puerpere abbiamo una vivida immaginazione, che le poveracce riescano perfino ad immaginare di essere sdraiate e massaggiate da un maestro ayurvedico cubano bello come il sole caraibico mentre assecondano il dolore del travaglio, io questa fantasia la sfrutto in modo utilitaristico e mi riesco a depilare le gambe nonostante la pancia mi impedisca da mesi di vedermi anche solo un ginocchio.
Prendo lo sgabello che uso
in cucina per sopperire al mio metroesessanta
di altezza e lo metto davanti al box doccia, mi siedo e appoggio una gamba sul
piatto mentre l’altra mi serve da puntello per non cadere all’indietro.
Inforco la lametta e, con la schiuma da barba di mio marito, mi imbianco il
polpaccio…certo che potevo regalargli una spuma meno forte, questo odore di
mentolo in travaglio mi deprime.
Ripeto l’operazione con
l’altra gamba e i quaranta minuti a disposizione si esauriscono tanto che la
contrazione successiva me la faccio passare tra lavandino e bidè, povera figlia
mia che madre la aspetta qui fuori.
Depilata e assonnata mi
catapulto sul letto e spero di addormentarmi nei successivi quaranta minuti a
mia disposizione, dopo di che, se
ci riesco, il mio notorio sonno pesante e obeso mi consentirà di dormire
nonostante tutto.
È l’alba, piove, ma che
dico, diluvia e mio marito dorme, che ne sa lui di contrazioni e di rottura
delle acque la sola rottura che conosce è di palle e, in questa circostanza,
non mi serve quindi, inutile svegliarlo, meglio trascinarmi in cucina e prendere
caffè e brioche in pace.
Trenta minuti tra una
coltellata e l’altra, posso fumarmi perfino una sigaretta con buona pace della
ginecologa e di mia figlia che, essendo io la sola mamma di cui per il momento
dispone, mi perdonerà.
Due ore dopo sveglio mio
marito:
tesoro…amore…Gian...SVEGLIAAAAAAAAAA!!!!…la
bambina ha deciso di nascere ed ha deciso di farlo entro oggi, fuori piove, io
sto male, lei non lo so ma si agita e tu ancora non sei sveglio…insomma alzati
santa pazienzaaaaaa…… aaahhh….. uff uff ufff…..respiro.
Alle 10 in punto siamo in
clinica.
Tra registrazione e
scartoffie varie mi vedo sorpassata da una cinesina che pare abbia, al massimo,
un’unghia incarnita per poi invece scoprire che stava in piedi con ben 7 cm di
dilatazione. Ma come diavolo fanno loro a soffrire in silenzio, semi sorridenti,
calme come il Dalai Lama e serene come un cielo di primavera? Se un giorno si
scoprisse che è per via dell’amido di riso farei appello alla FAO senza
esitazione.
Alle 11 mi danno la camera
doppia con servizi e mi chiedono se preferisco rilassarmi facendo due passi o
starmene mollemente a letto. Io mi domando, ma hanno provato loro a starsene
tranquille a letto con un dolore tipo “se non mi passa subito, ora, adesso,
strillo sino a ingoiarmi le tonsille” e attendere pazienti il proprio turno?
Decido di alzarmi e di
uscire accompagnata da mio marito che, nel frattempo, ha esaurito la scheda
telefonica per avvisare tutti, inclusa la portinaia, che sta per nascere sua
figlia (sua non della portinaia voglio sperare sia chiaro). La portinaia,
scoprirò più tardi, andava avvisata in quanto doveva appendere il nastro rosa
al portone di ingresso della scala B.
Fuori il diluvio continua e
penso, fra me e me, che sarebbe stato uguale partorire in ottobre avanzato se
annegata avrei comunque dovuto finire i miei giorni; ma questi malsani pensieri,
mi garantiscono i medici, sono frutto dell’ossitocina che si accumula nel
sangue in quelle ore.
Passeggiamo in strada sotto
l’acqua e conto…tre…quattro...cinq…ahhhhhh…ufff...ufff…ufff.
Alle 16 mi accorgo che non
é l’acqua piovana ad essere risalita lungo le mie gambe, bensì il liquido
amniotico ad essere fuoriuscito dal mio pube.
Ci siamo. Mezz’ora dopo
chiedo, con l’aria di una martire, di entrare in sala travaglio dove scopro
che in realtà al di la di un letto e un macchinario per la tortura non vi è
nulla di diverso dalla sala di attesa destinata ai parenti.
Accanto a me una donna,
anche lei sdraiata ma non in procinto di dare vita a suo figlio bensì lì in
attesa che si liberi un posto letto in una delle camere del reparto.
Inizia il travaglio.
Chiedo a mio marito
nell’ordine:
·
di non rispondere più alle chiamate
sul cellulare
·
di scusarsi con la vicina di letto per
il casino che sto facendo
·
di trovare un catino dove io possa
vomitare in santa pace
·
di farsi andar bene la figlia che sta
nascendo poiché un’altra di scorta io non la faccio
Un TIR per fatalità passa
in corsia e mi investe, mi duole tutto anche se mi pare di essere fatta solo di
pancia, intorno a me persone che trattano allegramente dei fatti propri senza
un’ombra di decenza e una cinghia che mi avvolge tipo cintura di sicurezza che
credo mi abbiano messo per impedirmi di fuggire.
16.30…doloreeeee
17.00…respiro…..
… perdo il senso della
misura e della ragione…
18.30…mi informano che si
scende in sala parto
19.00 …spingo…uno
… spingo due….
Il ginecologo mi
suggerisce: fai la cacca! Io mi
domando cosa mai pretendano da me in quel momento, oltretutto la cacca non mi
scappa…
19.05 nasce mia figlia!
Piacere
sono la tua mamma
le dico e lei in tutta risposta mi apre un solo occhio per decidere lì per lì
se le vado bene come mamma o se è meglio chiedere l’immediata sostituzione
per risposta errata.
Mi abbandonano in quella
stanza gelida, la radio a tutto volume, le voci dei medici e di non so chi che
si allontanano, la pancia flaccida e nuda della quale mi vergogno come mai in
vita mia.
Poco dopo un pazzo
invasato, vestito da medico, in realtà appassionatosi al taglio e cucito dopo
aver seguito un corso on line di otto lezioni, inizia a orlarmi la dove potete
immaginare senza ritegno.
Il giorno successivo mio
padre, venuto dal piemonte per guardare la sua nipotina da dietro il vetro della
nurserie, fissa per venti minuti il figlio della cinesina che mi aveva superata
all’ingresso fino a che il nonno del piccolo reclama il nipote e mio padre
avvilito ammette di aver sbagliato culla.
Non lo perdonerò mai per
quella svista!