MARGHERITA

 

di Dania D'Aquino

 

Era sera: le luci della città penetravano tenui e tremolanti all’interno della camera da letto.

 

Era in ansia Margherita: aspettava qualcuno, una persona che tardava ad arrivare.

 

Era ancora lì, alla finestra: come tutte le sere, a sorbire lentamente una tazza di camomilla, da sola.

 

Era la solitudine, la sua unica compagna: da una vita intera non aveva altro che se stessa. Eppure, non era brutta, Margherita, anche se la sua bellezza stava inesorabilmente sfiorendo tra le maglie della mezza età di vergine immolata alla causa dell’onestà.

 

Era una piccolo-borghese: così era stata educata nella casa austera del padre, impiegato statale “tuttodunpezzo” e della madre, grigia casalinga dalle velleità soffocate;La rigidità dei princìpi “per bene”  avevano impedito a Margherita di rincorrere i suoi sogni d’amore e lei si era negata, sempre,alle avventure ansimanti di passione e agli arditi misteri di un futuro incerto.

 

Era stata razionale: niente amore, niente matrimonio e ora, si ritrovava a vagare nel mare infinito della sua frustrazione, mendicando scampoli d’attenzione attraverso la “Piccola Posta” di cui era assidua fruitrice.

 

Era seduta adesso: davanti allo specchio della toeletta, si ravviava i capelli neri acconciati in morbide onde, come voleva la moda. Stette un po’ a rimirarsi, con l’espressione di continua stupefazione che le segnava i tratti di fanciulla inviolata e pudicamente, passò del rossetto sulle sue labbra carnose, infine accese la radio delle “Musiche della sera” e la canzone “Tua” di Jula De Palma, aleggiò sfrontata nella stanza.

 

Era la prima volta che qualcuno le rispondeva: alla “Piccola Posta”, aveva mandato decine di lettere firmandosi “Speranza in attesa”, descrivendosi come una ”signorina di sani principi in attesa dell’uomo giusto, buono e onesto, che voglia condividere le gioie e le responsabilità di un’unione improntata sulla stima e il rispetto reciproco”. Non compariva la parola”amore”, perché le sembrava troppo sfacciata. Dopo mesi d’inutile attesa,Margherita aveva deciso di ridurre le sue “pretese” di “uomo giusto,buono e onesto” e si limitò a ricercare “un uomo”; In seguito si trasformò in una  disperata richiesta di “una persona che voglia condividere un’amicizia improntata sulla stima , il rispetto eccetera eccetera eccetera…”

 

Era così cominciata una relazione epistolare:Un uomo che si firmava “giovane deluso”, le aveva inviato una lettera di struggente sensibilità , traboccante di illusioni tradite ed amori perduti, che accesero nel  suo cuore, la piccola fiammella di chi condivide un destino avverso e solitario.

 

Era consapevole Margherita: quell’uomo si rivolgeva a lei come una sorella (Per non dire “una zia”) a cui confidare il tormento del suo animo colmo d’amarezza, ma a lei non importava. Le lettere che riceveva, erano conservate con cura devota nel fondo di un cassetto del trumeau, avvolte in un nastro di raso blu, ognuna frutto di attesa amorosa, di convinta speranza che un giorno il latore di quell’insieme di pensieri profondi e parole d’amore, le avrebbe rivolte a lei, unica degna destinataria.

 

Era continuata così, per un po’: poi il silenzio nella disperazione più cupa, paventando un incontro improvviso di Lui con qualche procace prodotto dell’era postbellica del rock’n’roll e dei juke box. Margherita si tormentava nell’incertezza, negando l’ormai intollerabile pensiero che fosse di nuovo sola con le sue sconfitte, che avesse coltivato amorevolmente il fallimento.

 

Era stata una lunga tortura: circa sei settimane, poi Lui,riapparve a scavarle il cuore con più dolce ferocia, non svelandole mai nulla dei suoi sentimenti per lei, ,negandole l’identità di quell’amore nascosto nei suoi pensieri,rendendolo clandestino al suo cuore,costringendolo a mimetizzarsi nelle fredde parole di cortesia che lei gli scriveva, mentre avrebbe voluto gridarlo al mondo intero.

 

Era la fine: la vita le sfuggiva,rendendola una patetica zitella,che si dilettava a tenere in vita un grottesco amore non ricambiato. Ma un giorno, uno dei tanti del suo lago di supplizi, Lui le propose l’improponibile:incontrarsi in privato per dividere con la carne dei corpi, l’unione delle loro affinità.

 

Era questo che voleva? La sua mente le diceva “No!Non sta bene! Lui vuole prendere tutto per farne un suo trastullo!” Ma il suo corpo, il suo cuore, ogni fibra della sua anima devastata dall’amore mai concesso le urlava di “Sì, Sì qualunque sia il costo!”.

 

Era per questo, che adesso aspettava: per concedere ai brandelli della sua esistenza da reclusa, un’ultima occasione di conoscere la vita. Il campanello suonò vibrando; Margherita navigando nell’inquietudine, aprì la porta.

 

Era l’uomo che amava: nella spietatezza dei suoi vent’anni, Margherita si sentì un vecchio, inutile scarto della vita, ma lui le sorrise, sereno e sicuro e, appena entrato, le sfiorò la mano bianca di sposa mancata ed annegò lo sguardo d’amante nei suoi occhi turbati.

 

Era sola con lui: parlarono per un poco,cercando di riconoscersi nelle frasi scritte in mille lettere, dove si erano sciolte le loro anime solitarie.  Lui, all’improvviso le prese il viso tra le mani e le baciò gli occhi, poi la fronte, infine le sue labbra carnose si persero tra quelle di Lui.

 

Era tutto così travolgente: i loro corpi galleggiavano nella penombra satura di passione. Lui stringeva Margherita, percorrendola con mani da burattinaio del suo destino, suggendone gli umori verginali e mescolandoli ai suoi di predatore solitario. Uno strano languore assalì Margherita in quell’insieme d’insana unione di corpi e fusione d’anime; alzò lo sguardo verso l’artefice della sua gioia, in tempo per cristallizzarsi in agonizzante stupore.

 

Era in un cortile: riversa sulla terra grassa, in attesa di renderla fertile col suo corpo di innocente corruzione,con le sue lettere, gelosamente serbate nel nastro blu, accanto alla buca scavata da Lui, “Margherita, fiore del mio giardino! Come Rosa, Iris, Ortensia e le altre”. Abbrancata alla speranza di un amore impossibile,violata in nome suo, per poi rinascere, profumato compenso della terra, che lentamente ricopriva le sue membra sottili e la sua faccia appagata nell’ oblìo della morte.