LA MORTE AL CENTRO

di Alessandro Ghebreigziabiher

  Che Dario fosse un tipo particolare lo si capì fin dall’inizio. Arrivò di notte, in un palazzo di Via Hunger, per occupare il monolocale fino ad allora proprietà della vecchia signora Elena, morta sola con la sua pazzia ed il suo merlo, ancora più folle di lei.

Sì, perché quest’ultimo aveva subìto ogni genere di tortura dalla donna, la porta della gabbia era aperta ma lui restava lì, come un innamorato cieco di passione.

Fu il volatile quindi ad accogliere Dario che con il suo bagaglio composto unicamente da un enorme baule, apriva per la prima volta la porta di casa alle tre di notte di quel piovoso sabato d’agosto. Un verso, flebile ma nitido, esprimeva il desiderio dell’animale di veder tornare la sua amata padrona.

Enorme la delusione nel veder entrare il magro giovane, alto e con i capelli biondi, folti e spettinati, mentre trascinava il pesante carico all’interno e precisamente al centro dell’unica stanza presente.

Lo vide accendere la luce ed aprire il baule lentamente.

Dario sfregò con soddisfazione le mani e tirò fuori un pupazzo, una specie di manichino, fatto a sua perfetta immagine e somiglianza. Poi abbraccio’ quest’ultimo stretto al petto e cominciò a piangere. Il merlo ne aveva viste di cose strane con la vecchia ma questo giovane ne prometteva di altrettante.

La notte passò veloce e l’uccello aprì gli occhi al mattino, pigramente, con la sensazione desiderosa di conferma di aver fatto semplicemente uno strano sogno.

Ma non era così. Dario era lì, con il suo pupazzo. Aveva sistemato quest’ultimo seduto sopra una vecchia sedia di fronte ad un grande specchio rettangolare. Il giovane si trovava alle spalle di esso, ammirando con soddisfazione il fantoccio, un po’ come una madre fa col suo bambino, con la più assoluta parzialità.

Ad un tratto, Dario si avvicino al baule, estrasse un megafono e lo sistemò vicino all’unica finestra. Aprì le ante di questa e fece entrare la luce di quella strana domenica.

In particolare, la finestra dava su una specie di cortile interno, chiuso nei suoi quattro lati da altrettanti affollati palazzi. Il cortile poi, a sua volta, consisteva nella parte superiore di un garage ed era raggiungibile solo tramite una scaletta interna.

Era quindi preda di piccioni affamati di misericordiose molliche, palloni dispettosi volati fuori campo, stracci ed indumenti rubati dal vento, frammenti di bottiglie svuotate troppo presto.

Tipico.

Il merlo continuava ad osservare con avida attenzione il magro coinquilino che ad un tratto prese in braccio da dietro il fantoccio, sollevandolo per la vita.

Poi si piazzò davanti alla finestra aperta, prese la rincorsa e lo gettò con forza fuori.

In modo fulmineo, Dario raccolse da terra il megafono e nell’attimo esatto in qui il manichino toccava terra al centro del cortile, emise un grido terrificante ed opportunamente amplificato:

“AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!”

La testa del pupazzo si spaccò e da essa fuoriuscì lentamente del caldo ketchup.

In un attimo, Dario chiuse di scatto le imposte e si sistemò con cura sulla sedia dietro di esse, appoggiando gli occhi alla fessura ricavata al centro delle due tende. 

Ad un tratto, cominciarono ad aprirsi le prime finestre. Maria, una ragazza madre con un vistoso foulard in testa e la scopa in mano, uscì in terrazzo e gridò il fatidico: “Oddio mio!!!”

Fu una reazione a catena ed una rivista di commenti personalizzati:

“Oh santo cielo!!!” disse Sara, vecchina vedova rubata a Radio San Giuseppe.

“Chiamate qualcuno!!!” esclamò Elio, giovane studente fuori sede.

“Ehi, si sente bien ?” azzardò Roberto, insegnante dall’inconfondibile accento straniero.

“Ma non lo vede il sangue ? quello se n’è andato !” precisò Alfio, funzionario delegato dalla vista buona.

“Io chiamo la croce rossa!” avvertì il dott. Franceschini, autorevole amministratore di condominio. 

“Io la polizia!” aggiunse la signora Morelli, vicina modello.

 

 

“Venite in casa bambini!” intimò Sandra, riferendosi anche al marito Giulio.

E così via, finestra dopo finestra, in poco meno di mezz’ora lo stadio condominiale era gremito di un pubblico protagonista, inorridito e curioso allo spasimo.

Dopo un breve silenzio di circostanza lo spettacolo ebbe inizio:

“Ma quando arriva l’ambulanza ?” chiese Sara che ormai aveva definitivamente abbandonato Don Palmizio e le orazioni delle undici.

“Staranno arrivando, avranno trovato traffico” la tranquillizzò zelante Franceschini. “Poveraccio, ma chi è ?” chiese Maria che nel frattempo aveva posato la scopa e si era riassestata i capelli. “Boh!” le rispose con fantasia Alfio. “Ma da dove s’è buttato ?” chiese con aria investigativa Elio, futuro ingegnere promesso ai genitori.

Potreve essere caduto!” ipotizzò Roberto.

“Seh, su una buccia di banana!” lo riprese Alfio.

“Non c’è niente da scherzare mi sembra…” disse Sandra con disappunto mentre Giulio guardava i cartoni animati con o senza i figli.

Come inizio era niente male, Dario era entusiasta. Sfregava le mani con soddisfazione e per la prima volta lanciò uno sguardo al merlo strizzandogli l’occhio sopra un largo sorriso.

Per l’uccello fu una vera folgorazione. Per anni la vecchia aveva espresso di tutto sotto i suoi occhi, e quando dico di tutto, intendo anche ciò che non si potrebbe per niente al mondo prevedere, ma mai, ripeto mai l’aveva vista contenta.

La faccia del giovane, per quanto piena di una strana forma di godimento era il primo viso umano contento che vedeva nella sua pur breve vita.

E credetemi, per chi sa bene cosa vuol dire essere soli non c’è niente di più coinvolgente. Quel sorriso, quegli occhi accesi e vivi, ti entrano dentro e diventano tuoi come un regalo azzeccato al momento giusto, nella scatola giusta, con il fiocco intonato al colore della carta e la voglia irrefrenabile di fermare quell’istante.

E fu un istante, perché Dario riprese subito a seguire la scena:

“Ma allora questa ambulanza ? potrebbe essere ancora vivo!”

Gridò con moderazione la signora Morelli.

“Ma ha la testa spaccata, non lo vede ?”

precisò puntualmente Alfio. “Bambini, dentro!!” ordinò nuovamente Sandra.

“Potreve non gridar così fuerte queste cose, signor ?!” attaccò Roberto.

“Pensa per te Zorro!” rispose di fioretto Alfio.

In effetti Roberto con i suoi baffetti e la camicia di velluto nero ricordava un po’ l’eroe spadaccino, ignaro con quanto successo con la dirimpettaia Maria.

Quest’ultima avrebbe voluto sostenerlo ma con frenante timidezza si limitò ad un’intensa occhiataccia verso Alfio.

“Poverino, dirò una preghiera per lui!” disse Sara che ufficialmente dichiarò deceduto il presunto malcapitato.

Era passata ormai circa un’ora e ad onore della solerte forza pubblica devo temporaneamente cambiare inquadratura.

La polizia e l’ambulanza erano sì arrivate ma si erano trovate davanti ad un increscioso inconveniente. Il meccanismo della scaletta interna che portava al di sopra del garage, prontamente aperto dal proprietario tirato giù dal letto nella meritata pausa domenicale, si era bloccato.

Si trattava di parte di un antifurto modernissimo, modello di marca orientale straricercato, che era il vero vanto del garagista e soprattutto dei suoi clienti. Con ancora le rate da pagare, dava una sicurezza alle modeste automobili che lì riposavano gli altrettanto modesti motori, da fare invidia alle migliori banche della zona.

 

 

  Questo paradosso tra difficoltà di furto e mancanza di interesse per esso è la vera medicina per chi cerca di dimenticare il sogno di quello che non potrà mai avere: non ho niente ma quel niente nessuno me lo può toccare…

       Il tenente Nardini della polizia di zona aveva preso in mano la situazione e prontamente aveva avvertito i vigili del fuoco.

Niente da fare. Nemmeno la fiamma ossidrica riusciva a scalfire il portello che dava sulla scaletta.

Il Capo dei vigili, Giorgione, chiamato così affettuosamente per i suoi abbondanti centodieci chili, distribuiti proporzionalmente in un metro e novantotto centimetri, propose di salire in un appartamento di un palazzo con una finestra che desse sul cortile interno e calarsi con una barella.

La proposta fu accolta con approvazione, anche dall’autista dell’ambulanza, Claudio, che molto emozionato si trovava alla sua prima uscita.

Colpo di scena.

Dalla finestra dell’ospitale signora Morelli, la vista fu terribilmente demoralizzante. I bordi del cortile sovrastante il garage si trovavano a distanze sugli otto-dieci metri dalle mura dei palazzi circostanti. Ma la cosa peggiore è che nel corridoio alla base di esso, come un fossato a protezione di un castello medievale, c’erano inquietanti grovigli di filo spinato, tutto intorno.

Non fu per niente consolante la spiegazione della signora Morelli la quale indicò nel minaccioso groviglio la geniale aggiunta condominiale all’opera somma di protezione delle loro amate utilitarie.        

La situazione si faceva sempre più complicata.

La Morelli, abbandonata la forza pubblica al loro destino e responsabilità, affidandogli come base operativa il proprio ordinato e lustrato tinello, rientrò nella scena principale per aggiornare i compagni d’osservazione.

Uscì in terrazzo fiera, con la soddisfazione di chi sa di avere in serbo una notizia importante. Dopo un’inevitabile pausa di personale appagamento, esclamò: 

“State tranquilli, la polizia è qui da me! Ci sono anche i vigili e i dottori!”

“Alla buon’ ora! E che pensano di fare ?” chiese Franceschini esprimendo tutto il suo senso di responsabilità condominiale.

“Da quanto ho capito, la scaletta del garage è bloccata dall’antifurto nuovo ed i vigili non possono calarsi a causa della grande idea del filo spinato…”

“Signora , lei ha votato come tutti il progetto. C’era quasi l’unanimità.”

Le ricordò Alfio. “Io non ero d’accuerdo e quel quasi sono io!” precisò Roberto.

“Lo credo, non ha la macchina…” ironizzò Elio, il quale ormai aveva dimenticato i difficili esami di Elettronica Casuale II e Termologia Virale IV che aveva deciso di sostenere in un giorno solo all’indomani.

“Va a cavallo, Zorro!” punzecchiò nuovamente Alfio.

“Scusate, un po’ di rispetto per il poveretto!” disse Sara, che ormai aveva assunto il compito di riportare l’attenzione sul supposto cadavere.

“Poveraccio, chissà perché s’è buttato!” disse Maria, che nel frattempo faceva mangiare il figlio col caldo biberon.

“E chi può dirlo. Un’alunna della scuola dove lavoro s’è tagliata le vene al bagno. Era la prima della classe, aveva un motorino nuovo e due genitori splendidi!” disse Sandra.

“Stava troppo bene…” aggiunse Giulio.

“Poverina, morta così giovane!” si affrettò a sentenziare Sara.

“No! Non è morta. Il bidello l’ha salvata in tempo!” corresse Sandra con sollievo di tutti.

“Sarà stata la solita finta. Lo fanno tutti i disperati per attirare attenzione! Ma pochi hanno le palle per farlo davvero!” saltò su Alfio.

“P-perché c-ci vogliono le p-palle per ammazzarsi ?!!! esclamò Maria con forte tensione.

“La vita o la morte è una questione di scelte. Tutto il resto è fortuna o sfortuna.”

Decretò seccamente Alfio.

 

 

  “Ehi, guardate la televisione, stanno parlando del morto!” avvertì Franceschini.

E proprio in quel momento un elicottero della Tv nazionale cominciò a sorvolare il condominio riprendendo la scena in diretta. Fu un momento solenne, che dava il

prestigio e soprattutto la veridicità necessaria agli eventuali racconti più o meno romanzati ad amici e parenti, con il distintivo accenno comprovante: “Credimi, ne ha parlato anche la TV!”

Dario fu l’unico ad ignorare il vecchio apparecchio alle sue spalle. A che serviva ? aveva la scena davanti ai suoi occhi, più in diretta che si può e più di ogni altra cosa era il vero ed unico direttore del palinsesto questa volta, colui che sa qual è la verità dietro lo schermo.

Era una sensazione unica per lui, si sentiva come un manovratore di burattini nel suo miglior spettacolo, come un prestigiatore nel suo trucco più difficile, meglio, come l’asso nelle tre carte che nessuno riesce mai a trovare perché l’asso non c’è, sono tre re.

Basta muoversi velocemente.

Questa era l’unica e più grande lezione che aveva imparato alla perfezione nella sua vita: l’importanza di essere rapidi.

Ed ora era il suo momento.

Suo e di un povero e solo merlo, che ormai assorbiva come una spugna tutta la soddisfazione di una vita che non era la propria. Normale per chi passa tutti i suoi giorni chiuso in una gabbia con un’unica possibilità: osservare il tempo degli altri.

Eppure, come ho già detto, la porticina era aperta e l’uccello sarebbe potuto volare via in qualsiasi attimo.

Ma restava.

Lì, con gli occhi bene aperti, condividendo con Dario più che mai in quell’istante un’esagerata curiosità per il prossimo.

Curiosità distribuita copiosamente dalle telecamere televisive nelle case di tutto il paese. Ed in qualunque appartamento la bizzarra notizia arrivasse, si fermava con le sue solide radici e si piantava nel mezzo del soggiorno o in cucina, con l’intenzione di restarci finché fosse riuscita nel miracoloso intento di tenere viva la gente che vive sotto lo stesso tetto. Era forse strano che fosse la morte a far questo ?

  Ma torniamo alla nostra scena prediletta. Era ormai sera ed immaginiamo di accomodarci vicino a Dario a guardare e soprattutto ascoltare con lui:

“Giulio, vieni fuori con i bambini, così ci inquadrano!” disse Sandra che agitandosi nel seppur piccolo terrazzo tentava di farsi notare dai cameramen sull’elicottero.

“Ehi! Invece d’estar là a far lo show, caricateve il cuerpo!” gridò Roberto, che involontariamente suggeriva la prossima mossa per i pompieri.

Fu la signora Morelli ad appropriarsene e pronta a rivendersi la chicca come propria rientrò in casa velocemente. Entrò in soggiorno e dopo il classico colpo di tosse per attirare l’attenzione diede il suo consiglio di seconda mano.

L’idea fu accolta con entusiasmo e in poco più di un quarto d’ora un secondo elicottero sovrastava il cortile pronto a calarsi . La TV nazionale riprendeva tutto fedelmente e tutti i record d’ascolto cominciarono a tremare.

L’elicottero stava iniziando a calare una scaletta, abbassandosi piano piano.

Dario proprio in quell’attimo sentì una fitta di dolore al centro del petto. Tutto stava per finire, il suo gioco si concludeva tropo presto. Ed il merlo soffriva allo stesso modo, ormai simbioticamente.

Ennesimo colpo di scena:

Il dio protettore dei ‘giochi che devono durare finché divertono’ in quel momento era libero e prontamente intervenne. Un vento formidabile si alzò violentemente, scuotendo l’elicottero da tutte le parti. Nonostante riuscisse affannosamente a rimanere in zona era impossibile spostarsi verso il basso o calare qualsiasi cosa senza schiantarsi sulle pareti dei palazzi.

Per Dario fu una sensazione elettrizzante. Qualcuno o qualcosa faceva il tifo per lui.

Oltre al merlo…

 

  La notte arrivò pienamente verso le ventitré chiudendo il nero sipario sul primo atto di questa insolita commedia.

Il modo di dormire e soprattutto di sognare è veramente ciò che ci distingue dagli altri. Maria russava cavernosamente. Ebbene sì, era lei a svegliare Matteo nel pieno del

sonno col suo concerto nasale. Ma era sempre lei a farlo riaddormentare, con la sua voce dolce e vellutata come un morbido cuscino di piume. Era una danza, un rito, un volo tra il letto e la culla e ritorno che si ripeteva incessantemente, con ali d’amore materno.

 Una cuffietta e la monotona voce di un altrettanto monotono professore rappresentavano la migliore ninna nanna che Elio riusciva a permettersi. Aveva letto su internet che se dormivi ascoltando le lezioni esse ti sarebbero entrate in testa per restarci, come ricordi veri. Ma il dilemma che inconsapevolmente lo angustiava ogni mattino era il seguente: che fine avrebbero fatto gli altri, di ricordi ?

Azenotrasdemofimorfinturici. Era questo l’ultimo tranquillante che aveva deciso di provare Alfio per affrontare l’ansia del tramonto. Ormai era un esperto, un professionista: pareti della camera da letto insonorizzate, rubinetti strafunzionanti e revisionati ogni due mesi, letto ergonomico e stimolante fatto costruire su misura, mascherina per gli occhi in vera pelle di orso in letargo ed infine il vero vanto della sua collezione: pigiama gel regolabile alla temperatura desiderata e con diversi colori da scegliere. Eppure, nonostante tante armi la notte vinceva sempre.

    I tranquillanti di Roberto erano fatti di carta, inchiostro e tanta voglia di uscire dalla propria stanza: ogni notte libri, giornali, lettere, una coperta di parole lo avvolgeva sempre di più, aiutandolo a ricordare. La terra sconfinata, il cielo rosso di un sole sparso su di esso, i bambini correre scalzi , le donne belle senza saperlo e gli uomini con l’onorevole compito di farglielo notare.

Sara aveva una grossa richiesta ogni sera. In cambio tutta la sua fede. Il fatto era che le sue preghiere erano sincere ma lontane dal mondo, quello di fuori. Venivano da dentro, dal vuoto che la paura scava nel tempo, come una fredda caverna. Ed in essa  se guardiamo con attenzione, facendoci luce con una lanterna, in un angolo dove non avremmo mai guardato c’è un piccolo lettino dove stretta nelle sue coperte c’è una bimba che aspetta ansiosa una speciale buonanotte: il bacio di Dio sulla fronte.

Era il sesso il vero sogno di Sandra e Giulio. I bambini finalmente uscivano di scena ed i due, come per incanto, tornavano indietro nel tempo quando ragazzi scoprirono per  la prima volta il piacere di dare la precedenza alla pelle, all’odore, al ritmo dell’istinto, l’unica vera guida nel buio della camera.

Il problema è che dopo ogni notte i sogni finiscono.

Era sempre il sesso il vero sogno di Franceschini. Sì, ma non il suo…

E la televisione, con la sua opera di sostituzione di occasioni mancate, era sicuramente un triste sottofondo del tentativo di addormentare non se stesso ma tutti i desideri persi di vista. Ma una speranza spegneva quell’inutile schermo:

Domani è un altro giorno.

Casa Morelli era intanto diventata il quartier generale della Cia, a capo della quale si era posta la compita padrona dell’appartamento. Dimostrando un notevole impegno civile ma nascondendo il bisogno irrefrenabile di sentirsi importante la donna aveva invitato i rappresentanti dell’ordine a passare la notte da lei. Con orgoglio quindi aveva ceduto la stanza degli ospiti, usata per la prima volta in quell’occasione. E fu proprio questo il dolce pensiero che la signora Morelli abbracciò come un marito adorato: non sono sola stanotte.   

  Ma la notte che più ci interessa è quella di un’insolita coppia di guardoni, Dario ed il merlo. I due si addormentarono quasi contemporaneamente, prima il giovane e poi di riflesso l’uccello ovviamente. E forse non casualmente fecero lo stesso sogno: quello di volare, in alto, verso il cielo, in cerca di quel calore del sole che non riesce mai ad arrivare giù perché non fa in tempo.

Ci sono i raggi normali e ci sono quelli indecisi che quando riescono finalmente a convincersi a lanciarsi sulla terra è ormai calata la notte. Notte da passare in compagnia dei soliti rimpianti e rimorsi ma sognando la speranza di riprovarci il giorno dopo, con un po’ di fortuna. Ora chi di voi non ha mai sognato di volare, come Dario ? ma un merlo…

 

 

  Ci si aspetterebbe che sogni di correre, di andare in macchina o in bicicletta.

No, esso era l’unico uccello al mondo che sognava di volare ma non come un uccello, come un uomo. Cioè con la gioia di chi vola sapendo che non potrà mai farlo.

La luce del mattino arrivò delicatamente, con passi felpati e gli abitanti del condominio non la fecero attendere più di tanto.

Fra una tazza di caffè, una sigaretta o un’affrettata lavata di faccia, tutti i condomini fecero capolino in balcone per verificare l’andamento del dramma.

Il corpo era lì, immobile.

Ed ognuno di loro, chi più o meno sinceramente, riconobbe a se stesso di esserne in parte contento.

Maria intravide Roberto che con la scusa di stendere una camicia curiosava in terrazzo e tentò un approccio: “Ma quando lo vengono a prendere ?”

“Non lo sabe! Hanno detto alla radio che il vento fuerte di questi giorni impedisce all’elicottero de calarse.” rispose Roberto gentilmente.

“Poverino, che brutta morte!” commentò Maria tristemente.

“Già.” Si limitò ad ammettere Roberto.

Ci fu una pausa. Quella dolce attesa, di sguardi falsamente distratti e battiti del cuore fuori tempo. Un tempo sospeso, dilatato e contratto allo stesso…tempo, contraddicendo ogni regola della fisica moderna. E chi rompe queste regole se non l’emozione dei sensi ?

“L’ho v-vista l’altro giorno sul metrò!” azzardò Maria.

“Come ?” rispose Roberto, prendendo tempo.

“L’ho vista sul metrò, leggeva un libro e per poco perdeva la fermata!” riprese lei con più coraggio.

“Ah! Ès vero! Sono sempre distratto dal resto del mundo quando leggo!” ammise Roberto.

“Deve essere un libro molto bello” disse Maria.

“Sì, ma se l’avessi vista l’avrei chiuso.” Aprì le danze Roberto.

Da quell’istante guardarsi per loro non fu più lo stesso.

Ma con soddisfazione di Dario, che ormai si era già ben sintonizzato sul cortile insieme al suo compagno volatile, l’attenzione tornò sul presunto cadavere:

“Ma sta ancora lì ? questo tra un po’ comincerà a puzzare!”

esordì quest’oggi Alfio, con la sua solita classe.

“Bambini, dentro!” riprese puntualmente Sandra che aveva delegato al povero Giulio la spiegazione scientifica della decomposizione cadaverica in termini accessibili, per i figli di nove e sette anni.

“Ehi, riecco l’elicottero!” esclamo Sara, che per prima aveva avvistato il responsabile delle riprese Tv via aerea.

In fatti, in poche ore la notizia aveva fatto il giro del paese. Tutte le reti avevano acchiappato avidamente la ghiotta insolita notizia e chi con diritto, chi no, stavano trasmettendo in diretta le macabre immagini del corpo esanime, con primi piani del ketchup ingannatore.

Ma questo era niente. Nel giro di un’ora le case del condominio furono assediate da giornalisti di tutte le testate possibili: cronaca nera, rosa, quotidiani, mensili, settimanali, giornalieri. La bianca carta stampata aveva bisogno di quel cadavere per riempirsi la bocca ed avere qualcosa da masticare, per poi rigettare sui lettori.

La signora Morelli fu la prima ad aprire la sua porta.

Le fu garantito il primo piano in numerose riviste scandalistiche nonché l’opzione di importanti interviste verità sul piccolo schermo.

A seguire, Sara, che fu contattata dal direttore di Radio San Giuseppe in persona, monsignor Giovanni Guido Maria Diotibenedica. Lo conosceva solo per radio ovviamente e le sembrò un vero miracolo stringere la mano a quella voce, che per l’occasione scendeva sulla terra.

Poi toccò ad Alfio, che aprendo la porta di casa non fece trasparire l’emozione di fronte all’inviato speciale del Profittatore, ‘il giornale di chi sa far fruttare anche l’erba del vicino’, come diceva la pubblicità.

 

 

  Naturalmente, l’argomento dell’intervista fu proprio come guadagnarci dalla vicenda.

Franceschini, con senso del dovere, fu proprio lui stesso a chiamare la Gazzetta del buon amministratore, che con opportuna solerzia mandò sul posto il suo reporter di punta. Questi aveva sentito di tutto nella sua lunga carriera: coppia di pensionati che si erano murati vivi nudi a fare sesso fino allo stremo perché i nipoti volevano impedirglielo in quanto invidiosi.

Vicini dispettosi che cominciando col classico cane che morde gatto, erano arrivati a coccodrillo azzanna pitone, passando per tarantola pizzica pipistrello.

Infine ex-pugile e buttafuori in pensione, batterista e pluri-percussionista da camera sordo, di 2 metri e 120 chili, a cui nessuno osava battere le pareti col classico manico di scopa.

Ma questa era proprio la notizia del secolo.

Sandra e Giulio furono veramente fortunati. Mozart, il presentatore del momento, li aveva scelti come la famiglia giusta per la sua trasmissione da ascolti record: “A casa di chi andiamo oggi ?” tutta la troupe dello studio, cinque cameramen, sette costumisti, otto truccatori, tre massaggiatrici, con soddisfazione di Giulio, 15 comparse, nonché controfigura, autista e tre guardie del corpo per Mozart si insediarono nel modesto bilocale al terzo piano. Che gioia se è la tv a venire a guardare noi e non il contrario.

Elio sprangò la porta e non rispose mai al bussare continuo che martellava il suo appartamento. Ogni suonata echeggiava dentro di sé andando inesorabilmente a svegliare il cane impaurito, con la coda nascosta tra le gambe che era la sua paura.

Quella di dover rispondere alla fatidica domanda in diretta nazionale:

“Quanti esami hai fatto ?” o peggio: “Quanti esami ti mancano ?!”

Nessuno suonò alla porta di Roberto. Chissà perché.

Forse perché era lui stesso a scrivere. Infatti, fu inevitabile per lui, prendere il suo blocco, la penna e cominciare a depositare con cura  sui fogli le sue leggerezze.

Sì, ma non sul fantomatico cadavere. Era la più che vera Maria che lo scuoteva, anche se non lo sapeva. Scrisse di montagne innevate, di fiumi impetuosi e di cavalli galoppare senza sella, liberi, inseguendo la terra stessa che sollevavano.

Ma in realtà parlava di lei…

Ed anche la ragazza rimase illesa dall’assalto al testimone, ma fu solo un caso.

Ci fu solo una porta dove ogni giornalista o reporter che si fermasse davanti, rimaneva lì immobile, stava per bussare ma… niente.

Era come se una voce dentro il cuore sussurrasse confidenzialmente:

“Non c’è nessuno…, passa avanti…. ,non c’è nessuno….”

Ed è inutile dire chi fosse al di là di quella porta, no ?

Nel giro di poche ore la notizia del cadavere bloccato al centro del condominio era germogliata come i semi magici di un albero enorme, con migliaia di rami lanciati in una corsa sfrenata in ogni direzione, raggiungendo e unendo tutto il pianeta. Tutte le televisioni del mondo raccontavano l’accaduto, in tutte le lingue e dialetti possibili. Ognuno ebbe il tempo di dare a quel falso morto il valore necessario:

venditori di gadgets proposero il cadaverino  in miniatura che se lo buttavi a terra si spaccava la testolina ed usciva vero sangue umano, un cantautore impegnato casualmente aveva scritto in tempi altamente sospetti una ballata dal titolo “Il morto che

non c’è”, una prestigiosa casa di produzione straniera aveva già comprato i diritti d’autore del romanzo best seller “Morte di un condomino saltatore” per  girare un film di sicuro successo. L’unico problema era che il libro nessuno l’aveva ancora scritto. Ma si sa, al giorno d’oggi i produttori, gli investitori, gli imprenditori, sono quasi come i bambini: giocano col futuro. L’unica differenza è che non è il loro futuro ma quello degli altri…

Una strana sensazione infettò Dario, come un virus silenzioso e impossibile da ignorare, quando si accorse che quasi tutti i suoi personaggi erano rientrati in casa e non ne uscivano più. Chi tra interviste, chi tra foto e telecamere, avevano quasi tutti smesso di ammirare la sua opera. Solo Maria e Roberto ogni tanto si affacciavano per pochi istanti. Ma il motivo era ormai un altro…

 

 

  In ogni modo era successo quello che ormai accade spesso, dovunque avviene qualcosa che ci fa parlare. Sembra che questo non vada così bene ed arriva puntualmente qualcuno ad appropriarsi del fatto, quello che arriva per primo, per ucciderlo in diretta pure se è già morto, come nel nostro caso.

Dario non riusciva ad accettarlo. Aveva sognato il momento vissuto ore prima. Quel sentirsi un direttore d’orchestra che dirige non strumenti musicali ma un coro di emozioni e sentimenti travestiti da parole. Sì, era proprio questo che aveva provato ed è proprio questo che immaginava provasse il creatore, ogni giorno, ogni attimo della vita del mondo.

Ma più che mai ora capiva Dio e provava pietà per lui.

Perché, anche se con un paragone estremamente irriverente, anche lui aveva creato qualcosa per unire delle persone, per far loro accorgersi che c’è qualcuno dietro ogni parete della loro casa. Solo che in poco tempo quel qualcosa era diventato di tutti, di tutto il mondo tranne che suo…

Così, avvenne nella sua mente quello che vorremmo non accada mai. Quel momento terribile che ci porta naturalmente ed inesorabilmente ad una conclusione, ad un’unica, ultima mossa.

Come un re isolato in una angolo in una partita a scacchi, come una vergine innamorata nella notte giusta, come un condannato a morte davanti al prete.

Doveva riprendersi il morto. Lo spettacolo doveva andare avanti e c’era un solo modo. Ad un tratto si alzò in piedi, spalancò la finestra ed emise col megafono un nuovo grido, ancora più terrificante: AAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHH!!!!

Ripeté il grido più volte finché una dopo l’altra le finestre del condominio si riaprirono di nuovo. Sara, Alfio, la signora Morelli, Sandra e Giulio, Franceschini, Roberto, Maria, tutti erano di nuovo fuori. E con loro giornalisti e reporters, l’elicottero della TV e grazie ad esso tutto il mondo collegato in diretta  ma con l’obiettivo non più sul cadavere ma su quel giovane in pedi sul parapetto del suo terrazzo. Fu un vero canto del cigno. Dario assaporò quell’istante con avidità e subito dopo diede al pubblico ciò che secondo lui si aspettava: si lanciò nel vuoto, stavolta senza urlo.

Il mondo che guardava rimase col fiato sospeso mentre l’uomo cadde al centro del cortile.

Ci fu un silenzio interminabile dove i pensieri più disparati si mescolavano tra loro. Un nuovo fatto era davanti agli occhi. La corsa stava per ripartire quando qualcosa di veramente interessante ed unico accadde. Nessuno se ne accorse perché le cose più importanti accadono sempre così, di nascosto, in silenzio. E solo per caso qualcuno le nota: un merlo, un piccolo merlo che non aveva mai volato, che non aveva mai oltrepassato la porta aperta della sua gabbia si spinse fuori da essa. Fu un breve tragitto, uno sbattere nervoso di piccole ali arrugginite. Quanto bastò all’uccello per uscire dalla finestra e gettarsi abbandonato sul cortile.

Fu un tonfo lieve, delicato, mortale.

E mentre il treno delle interviste, i programmi e le vendite soprattutto ripartiva ci fu un ennesimo colpo di scena, l’ultimo. Il secondo cadavere non era …cadavere.

La mano destra si muoveva, prontamente inquadrata dai più veloci cameramen.

La sinistra, una gamba, l’altra e Dario era in piedi, con svariate fratture ma vivo.

Stordito e dolorante guardò alla sua sinistra il pupazzo e oltre questo il merlo inanimato. Il dolore che gli attraversò il cuore cancellò in un attimo le sofferenze della caduta. Nessuno doveva morire veramente nel suo spettacolo, forse lui stesso, ma nessun altro. E tantomeno l’unico al mondo che l’aveva veramente capito.

Sotto gli occhi esterrefatti di milioni di persone Dario avanzò barcollando, con sorpresa e stupore generale calpestò e spiaccicò definitivamente una testa di gomma piena di ketchup andato a male e raccolse da terra l’uccello.

Si accasciò, se lo strinse al petto e cominciò a piangere, chiudendo definitivamente il sipario.

   Nessuno capì quello che era successo. Nessuno seppe perché il giovane l’aveva fatto. E nessuno riuscì a dargli mai un senso.       

   E forse, fu meglio così.