LA
MORTE AL CENTRO
Sì,
perché quest’ultimo aveva subìto ogni genere di tortura dalla donna, la
porta della gabbia era aperta ma lui restava lì, come un innamorato cieco di
passione.
Fu
il volatile quindi ad accogliere Dario che con il suo bagaglio composto
unicamente da un enorme baule, apriva per la prima volta la porta di casa alle
tre di notte di quel piovoso sabato d’agosto. Un verso, flebile ma nitido,
esprimeva il desiderio dell’animale di veder tornare la sua amata padrona.
Enorme
la delusione nel veder entrare il magro giovane, alto e con i capelli biondi,
folti e spettinati, mentre trascinava il pesante carico all’interno e
precisamente al centro dell’unica stanza presente.
Lo
vide accendere la luce ed aprire il baule lentamente.
Dario
sfregò con soddisfazione le mani e tirò fuori un pupazzo, una specie di
manichino, fatto a sua perfetta immagine e somiglianza. Poi abbraccio’
quest’ultimo stretto al petto e cominciò a piangere. Il merlo ne aveva viste
di cose strane con la vecchia ma questo giovane ne prometteva di altrettante.
La
notte passò veloce e l’uccello aprì gli occhi al mattino, pigramente, con la
sensazione desiderosa di conferma di aver fatto semplicemente uno strano sogno.
Ma
non era così. Dario era lì, con il suo pupazzo. Aveva sistemato quest’ultimo
seduto sopra una vecchia sedia di fronte ad un grande specchio rettangolare. Il
giovane si trovava alle spalle di esso, ammirando con soddisfazione il
fantoccio, un po’ come una madre fa col suo bambino, con la più assoluta
parzialità.
Ad
un tratto, Dario si avvicino al baule, estrasse un megafono e lo sistemò vicino
all’unica finestra. Aprì le ante di questa e fece entrare la luce di quella
strana domenica.
In
particolare, la finestra dava su una specie di cortile interno, chiuso nei suoi
quattro lati da altrettanti affollati palazzi. Il cortile poi, a sua volta,
consisteva nella parte superiore di un garage ed era raggiungibile solo tramite
una scaletta interna.
Era
quindi preda di piccioni affamati di misericordiose molliche, palloni dispettosi
volati fuori campo, stracci ed indumenti rubati dal vento, frammenti di
bottiglie svuotate troppo presto.
Tipico.
Il
merlo continuava ad osservare con avida attenzione il magro coinquilino che ad
un tratto prese in braccio da dietro il fantoccio, sollevandolo per la vita.
Poi
si piazzò davanti alla finestra aperta, prese la rincorsa e lo gettò con forza
fuori.
In
modo fulmineo, Dario raccolse da terra il megafono e nell’attimo esatto in qui
il manichino toccava terra al centro del cortile, emise un grido terrificante ed
opportunamente amplificato:
“AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
La
testa del pupazzo si spaccò e da essa fuoriuscì lentamente del caldo ketchup.
In
un attimo, Dario chiuse di scatto le imposte e si sistemò con cura sulla sedia
dietro di esse, appoggiando gli occhi alla fessura ricavata al centro delle due
tende.
Ad
un tratto, cominciarono ad aprirsi le prime finestre. Maria, una ragazza madre
con un vistoso foulard in testa e la scopa in mano, uscì in terrazzo e gridò
il fatidico: “Oddio mio!!!”
Fu
una reazione a catena ed una rivista di commenti personalizzati:
“Oh
santo cielo!!!” disse Sara, vecchina vedova rubata a Radio San Giuseppe.
“Chiamate
qualcuno!!!” esclamò Elio, giovane studente fuori sede.
“Ehi,
si sente bien ?” azzardò Roberto, insegnante dall’inconfondibile accento
straniero.
“Ma
non lo vede il sangue ? quello se n’è andato !” precisò Alfio, funzionario
delegato dalla vista buona.
“Io
chiamo la croce rossa!” avvertì il dott. Franceschini, autorevole
amministratore di condominio.
“Io
la polizia!” aggiunse la signora Morelli, vicina modello.
“Venite
in casa bambini!” intimò Sandra, riferendosi anche al marito Giulio.
E
così via, finestra dopo finestra, in poco meno di mezz’ora lo stadio
condominiale era gremito di un pubblico protagonista, inorridito e curioso allo
spasimo.
Dopo
un breve silenzio di circostanza lo spettacolo ebbe inizio:
“Ma
quando arriva l’ambulanza ?” chiese Sara che ormai aveva definitivamente
abbandonato Don Palmizio e le orazioni delle undici.
“Staranno
arrivando, avranno trovato traffico” la tranquillizzò zelante Franceschini.
“Poveraccio, ma chi è ?” chiese Maria che nel frattempo aveva posato la
scopa e si era riassestata i capelli. “Boh!” le rispose con fantasia Alfio.
“Ma da dove s’è buttato ?” chiese con aria investigativa Elio, futuro
ingegnere promesso ai genitori.
“Potreve
essere caduto!” ipotizzò Roberto.
“Seh,
su una buccia di banana!” lo riprese Alfio.
“Non
c’è niente da scherzare mi sembra…” disse Sandra con disappunto mentre
Giulio guardava i cartoni animati con o senza i figli.
Come
inizio era niente male, Dario era entusiasta. Sfregava le mani con soddisfazione
e per la prima volta lanciò uno sguardo al merlo strizzandogli l’occhio sopra
un largo sorriso.
Per
l’uccello fu una vera folgorazione. Per anni la vecchia aveva espresso di
tutto sotto i suoi occhi, e quando dico di tutto, intendo anche ciò che non si
potrebbe per niente al mondo prevedere, ma mai, ripeto mai l’aveva vista
contenta.
La
faccia del giovane, per quanto piena di una strana forma di godimento era il
primo viso umano contento che vedeva nella sua pur breve vita.
E
credetemi, per chi sa bene cosa vuol dire essere soli non c’è niente di più
coinvolgente. Quel sorriso, quegli occhi accesi e vivi, ti entrano dentro e
diventano tuoi come un regalo azzeccato al momento giusto, nella scatola giusta,
con il fiocco intonato al colore della carta e la voglia irrefrenabile di
fermare quell’istante.
E
fu un istante, perché Dario riprese subito a seguire la scena:
“Ma
allora questa ambulanza ? potrebbe essere ancora vivo!”
Gridò
con moderazione la signora Morelli.
“Ma
ha la testa spaccata, non lo vede ?”
precisò
puntualmente Alfio. “Bambini, dentro!!” ordinò nuovamente Sandra.
“Potreve
non gridar così fuerte queste cose, signor ?!” attaccò Roberto.
“Pensa
per te Zorro!” rispose di fioretto Alfio.
In
effetti Roberto con i suoi baffetti e la camicia di velluto nero ricordava un
po’ l’eroe spadaccino, ignaro con quanto successo con la dirimpettaia Maria.
Quest’ultima
avrebbe voluto sostenerlo ma con frenante timidezza si limitò ad un’intensa
occhiataccia verso Alfio.
“Poverino,
dirò una preghiera per lui!” disse Sara che ufficialmente dichiarò deceduto
il presunto malcapitato.
Era
passata ormai circa un’ora e ad onore della solerte forza pubblica devo
temporaneamente cambiare inquadratura.
La
polizia e l’ambulanza erano sì arrivate ma si erano trovate davanti ad un
increscioso inconveniente. Il meccanismo della scaletta interna che portava al
di sopra del garage, prontamente aperto dal proprietario tirato giù dal letto
nella meritata pausa domenicale, si era bloccato.
Si
trattava di parte di un antifurto modernissimo, modello di marca orientale
straricercato, che era il vero vanto del garagista e soprattutto dei suoi
clienti. Con ancora le rate da pagare, dava una sicurezza alle modeste
automobili che lì riposavano gli altrettanto modesti motori, da fare invidia
alle migliori banche della zona.
Il
tenente Nardini della polizia di zona aveva preso in mano la situazione e
prontamente aveva avvertito i vigili del fuoco.
Niente
da fare. Nemmeno la fiamma ossidrica riusciva a scalfire il portello che dava
sulla scaletta.
Il
Capo dei vigili, Giorgione, chiamato così affettuosamente per i suoi abbondanti
centodieci chili, distribuiti proporzionalmente in un metro e novantotto
centimetri, propose di salire in un appartamento di un palazzo con una finestra
che desse sul cortile interno e calarsi con una barella.
La
proposta fu accolta con approvazione, anche dall’autista dell’ambulanza,
Claudio, che molto emozionato si trovava alla sua prima uscita.
Colpo
di scena.
Dalla
finestra dell’ospitale signora Morelli, la vista fu terribilmente
demoralizzante. I bordi del cortile sovrastante il garage si trovavano a
distanze sugli otto-dieci metri dalle mura dei palazzi circostanti. Ma la cosa
peggiore è che nel corridoio alla base di esso, come un fossato a protezione di
un castello medievale, c’erano inquietanti grovigli di filo spinato, tutto
intorno.
Non
fu per niente consolante la spiegazione della signora Morelli la quale indicò
nel minaccioso groviglio la geniale aggiunta condominiale all’opera somma di
protezione delle loro amate utilitarie.
La
situazione si faceva sempre più complicata.
La
Morelli, abbandonata la forza pubblica al loro destino e responsabilità,
affidandogli come base operativa il proprio ordinato e lustrato tinello, rientrò
nella scena principale per aggiornare i compagni d’osservazione.
Uscì
in terrazzo fiera, con la soddisfazione di chi sa di avere in serbo una notizia
importante. Dopo un’inevitabile pausa di personale appagamento, esclamò:
“State
tranquilli, la polizia è qui da me! Ci sono anche i vigili e i dottori!”
“Alla
buon’ ora! E che pensano di fare ?” chiese Franceschini esprimendo tutto il
suo senso di responsabilità condominiale.
“Da
quanto ho capito, la scaletta del garage è bloccata dall’antifurto nuovo ed i
vigili non possono calarsi a causa della grande idea del filo spinato…”
“Signora
, lei ha votato come tutti il progetto. C’era quasi l’unanimità.”
Le
ricordò Alfio. “Io non ero d’accuerdo
e quel quasi sono io!” precisò Roberto.
“Lo
credo, non ha la macchina…” ironizzò Elio, il quale ormai aveva dimenticato
i difficili esami di Elettronica Casuale II e Termologia Virale IV che aveva
deciso di sostenere in un giorno solo all’indomani.
“Va
a cavallo, Zorro!” punzecchiò nuovamente Alfio.
“Scusate,
un po’ di rispetto per il poveretto!” disse Sara, che ormai aveva assunto il
compito di riportare l’attenzione sul supposto cadavere.
“Poveraccio,
chissà perché s’è buttato!” disse Maria, che nel frattempo faceva
mangiare il figlio col caldo biberon.
“E
chi può dirlo. Un’alunna della scuola dove lavoro s’è tagliata le vene al
bagno. Era la prima della classe, aveva un motorino nuovo e due genitori
splendidi!” disse Sandra.
“Stava
troppo bene…” aggiunse Giulio.
“Poverina,
morta così giovane!” si affrettò a sentenziare Sara.
“No!
Non è morta. Il bidello l’ha salvata in tempo!” corresse Sandra con
sollievo di tutti.
“Sarà
stata la solita finta. Lo fanno tutti i disperati per attirare attenzione! Ma
pochi hanno le palle per farlo davvero!” saltò su Alfio.
“P-perché
c-ci vogliono le p-palle per ammazzarsi ?!!! esclamò Maria con forte tensione.
“La
vita o la morte è una questione di scelte. Tutto il resto è fortuna o
sfortuna.”
Decretò
seccamente Alfio.
E
proprio in quel momento un elicottero della Tv nazionale cominciò a sorvolare
il condominio riprendendo la scena in diretta. Fu un momento solenne, che dava
il
prestigio
e soprattutto la veridicità necessaria agli eventuali racconti più o meno
romanzati ad amici e parenti, con il distintivo accenno comprovante: “Credimi,
ne ha parlato anche la TV!”
Dario
fu l’unico ad ignorare il vecchio apparecchio alle sue spalle. A che serviva ?
aveva la scena davanti ai suoi occhi, più in diretta che si può e più di ogni
altra cosa era il vero ed unico direttore del palinsesto questa volta, colui che
sa qual è la verità dietro lo schermo.
Era
una sensazione unica per lui, si sentiva come un manovratore di burattini nel
suo miglior spettacolo, come un prestigiatore nel suo trucco più difficile,
meglio, come l’asso nelle tre carte che nessuno riesce mai a trovare perché
l’asso non c’è, sono tre re.
Basta
muoversi velocemente.
Questa
era l’unica e più grande lezione che aveva imparato alla perfezione nella sua
vita: l’importanza di essere rapidi.
Ed
ora era il suo momento.
Suo
e di un povero e solo merlo, che ormai assorbiva come una spugna tutta la
soddisfazione di una vita che non era la propria. Normale per chi passa tutti i
suoi giorni chiuso in una gabbia con un’unica possibilità: osservare il tempo
degli altri.
Eppure,
come ho già detto, la porticina era aperta e l’uccello sarebbe potuto volare
via in qualsiasi attimo.
Ma
restava.
Lì,
con gli occhi bene aperti, condividendo con Dario più che mai in
quell’istante un’esagerata curiosità per il prossimo.
Curiosità
distribuita copiosamente dalle telecamere televisive nelle case di tutto il
paese. Ed in qualunque appartamento la bizzarra notizia arrivasse, si fermava
con le sue solide radici e si piantava nel mezzo del soggiorno o in cucina, con
l’intenzione di restarci finché fosse riuscita nel miracoloso intento di
tenere viva la gente che vive sotto lo stesso tetto. Era forse strano che fosse
la morte a far questo ?
Ma
torniamo alla nostra scena prediletta. Era ormai sera ed immaginiamo di
accomodarci vicino a Dario a guardare e soprattutto ascoltare con lui:
“Giulio,
vieni fuori con i bambini, così ci inquadrano!” disse Sandra che agitandosi
nel seppur piccolo terrazzo tentava di farsi notare dai cameramen
sull’elicottero.
“Ehi!
Invece d’estar là a far lo show, caricateve
il cuerpo!” gridò Roberto, che involontariamente suggeriva la prossima
mossa per i pompieri.
Fu
la signora Morelli ad appropriarsene e pronta a rivendersi la chicca come
propria rientrò in casa velocemente. Entrò in soggiorno e dopo il classico
colpo di tosse per attirare l’attenzione diede il suo consiglio di seconda
mano.
L’idea
fu accolta con entusiasmo e in poco più di un quarto d’ora un secondo
elicottero sovrastava il cortile pronto a calarsi . La TV nazionale riprendeva
tutto fedelmente e tutti i record d’ascolto cominciarono a tremare.
L’elicottero
stava iniziando a calare una scaletta, abbassandosi piano piano.
Dario
proprio in quell’attimo sentì una fitta di dolore al centro del petto. Tutto
stava per finire, il suo gioco si concludeva tropo presto. Ed il merlo soffriva
allo stesso modo, ormai simbioticamente.
Ennesimo
colpo di scena:
Il
dio protettore dei ‘giochi che devono durare finché divertono’ in quel
momento era libero e prontamente intervenne. Un vento formidabile si alzò
violentemente, scuotendo l’elicottero da tutte le parti. Nonostante riuscisse
affannosamente a rimanere in zona era impossibile spostarsi verso il basso o
calare qualsiasi cosa senza schiantarsi sulle pareti dei palazzi.
Per
Dario fu una sensazione elettrizzante. Qualcuno o qualcosa faceva il tifo per
lui.
Oltre
al merlo…
Il
modo di dormire e soprattutto di sognare è veramente ciò che ci distingue
dagli altri. Maria russava cavernosamente. Ebbene sì, era lei a svegliare
Matteo nel pieno del
sonno
col suo concerto nasale. Ma era sempre lei a farlo riaddormentare, con la sua
voce dolce e vellutata come un morbido cuscino di piume. Era una danza, un rito,
un volo tra il letto e la culla e ritorno che si ripeteva incessantemente, con
ali d’amore materno.
Una
cuffietta e la monotona voce di un altrettanto monotono professore
rappresentavano la migliore ninna nanna che Elio riusciva a permettersi. Aveva
letto su internet che se dormivi ascoltando le lezioni esse ti sarebbero entrate
in testa per restarci, come ricordi veri. Ma il dilemma che inconsapevolmente lo
angustiava ogni mattino era il seguente: che fine avrebbero fatto gli altri, di
ricordi ?
Azenotrasdemofimorfinturici.
Era questo l’ultimo tranquillante che aveva deciso di provare Alfio per
affrontare l’ansia del tramonto. Ormai era un esperto, un professionista:
pareti della camera da letto insonorizzate, rubinetti strafunzionanti e
revisionati ogni due mesi, letto ergonomico e stimolante fatto costruire su
misura, mascherina per gli occhi in vera pelle di orso in letargo ed infine il
vero vanto della sua collezione: pigiama gel regolabile alla temperatura
desiderata e con diversi colori da scegliere. Eppure, nonostante tante armi la
notte vinceva sempre.
I
tranquillanti di Roberto erano fatti di carta, inchiostro e tanta voglia di
uscire dalla propria stanza: ogni notte libri, giornali, lettere, una coperta di
parole lo avvolgeva sempre di più, aiutandolo a ricordare. La terra sconfinata,
il cielo rosso di un sole sparso su di esso, i bambini correre scalzi , le donne
belle senza saperlo e gli uomini con l’onorevole compito di farglielo notare.
Sara
aveva una grossa richiesta ogni sera. In cambio tutta la sua fede. Il fatto era
che le sue preghiere erano sincere ma lontane dal mondo, quello di fuori.
Venivano da dentro, dal vuoto che la paura scava nel tempo, come una fredda
caverna. Ed in essa
se guardiamo con attenzione, facendoci luce con una lanterna, in un
angolo dove non avremmo mai guardato c’è un piccolo lettino dove stretta
nelle sue coperte c’è una bimba che aspetta ansiosa una speciale buonanotte:
il bacio di Dio sulla fronte.
Era
il sesso il vero sogno di Sandra e Giulio. I bambini finalmente uscivano di
scena ed i due, come per incanto, tornavano indietro nel tempo quando ragazzi
scoprirono per
la prima volta il piacere di dare la precedenza alla pelle, all’odore,
al ritmo dell’istinto, l’unica vera guida nel buio della camera.
Il
problema è che dopo ogni notte i sogni finiscono.
Era
sempre il sesso il vero sogno di Franceschini. Sì, ma non il suo…
E
la televisione, con la sua opera di sostituzione di occasioni mancate, era
sicuramente un triste sottofondo del tentativo di addormentare non se stesso ma
tutti i desideri persi di vista. Ma una speranza spegneva quell’inutile
schermo:
Domani
è un altro giorno.
Casa
Morelli era intanto diventata il quartier generale della Cia, a capo della quale
si era posta la compita padrona dell’appartamento. Dimostrando un notevole
impegno civile ma nascondendo il bisogno irrefrenabile di sentirsi importante la
donna aveva invitato i rappresentanti dell’ordine a passare la notte da lei.
Con orgoglio quindi aveva ceduto la stanza degli ospiti, usata per la prima
volta in quell’occasione. E fu proprio questo il dolce pensiero che la signora
Morelli abbracciò come un marito adorato: non sono sola stanotte.
Ma la notte che più
ci interessa è quella di un’insolita coppia di guardoni, Dario ed il merlo. I
due si addormentarono quasi contemporaneamente, prima il giovane e poi di
riflesso l’uccello ovviamente. E forse non casualmente fecero lo stesso sogno:
quello di volare, in alto, verso il cielo, in cerca di quel calore del sole che
non riesce mai ad arrivare giù perché non fa in tempo.
Ci
sono i raggi normali e ci sono quelli indecisi che quando riescono finalmente a
convincersi a lanciarsi sulla terra è ormai calata la notte. Notte da passare
in compagnia dei soliti rimpianti e rimorsi ma sognando la speranza di
riprovarci il giorno dopo, con un po’ di fortuna. Ora chi di voi non ha mai
sognato di volare, come Dario ? ma un merlo…
No,
esso era l’unico uccello al mondo che sognava di volare ma non come un
uccello, come un uomo. Cioè con la gioia di chi vola sapendo che non potrà mai
farlo.
La
luce del mattino arrivò delicatamente, con passi felpati e gli abitanti del
condominio non la fecero attendere più di tanto.
Fra
una tazza di caffè, una sigaretta o un’affrettata lavata di faccia, tutti i
condomini fecero capolino in balcone per verificare l’andamento del dramma.
Il
corpo era lì, immobile.
Ed
ognuno di loro, chi più o meno sinceramente, riconobbe a se stesso di esserne
in parte contento.
Maria
intravide Roberto che con la scusa di stendere una camicia curiosava in terrazzo
e tentò un approccio: “Ma quando lo vengono a prendere ?”
“Non
lo sabe! Hanno detto alla radio che il
vento fuerte di questi giorni
impedisce all’elicottero de calarse.”
rispose Roberto gentilmente.
“Poverino,
che brutta morte!” commentò Maria tristemente.
“Già.”
Si limitò ad ammettere Roberto.
Ci
fu una pausa. Quella dolce attesa, di sguardi falsamente distratti e battiti del
cuore fuori tempo. Un tempo sospeso, dilatato e contratto allo stesso…tempo,
contraddicendo ogni regola della fisica moderna. E chi rompe queste regole se
non l’emozione dei sensi ?
“L’ho
v-vista l’altro giorno sul metrò!” azzardò Maria.
“Come
?” rispose Roberto, prendendo tempo.
“L’ho
vista sul metrò, leggeva un libro e per poco perdeva la fermata!” riprese lei
con più coraggio.
“Ah!
Ès vero! Sono sempre distratto dal
resto del mundo quando leggo!”
ammise Roberto.
“Deve
essere un libro molto bello” disse Maria.
“Sì,
ma se l’avessi vista l’avrei chiuso.” Aprì le danze Roberto.
Da
quell’istante guardarsi per loro non fu più lo stesso.
Ma
con soddisfazione di Dario, che ormai si era già ben sintonizzato sul cortile
insieme al suo compagno volatile, l’attenzione tornò sul presunto cadavere:
“Ma
sta ancora lì ? questo tra un po’ comincerà a puzzare!”
esordì
quest’oggi Alfio, con la sua solita classe.
“Bambini,
dentro!” riprese puntualmente Sandra che aveva delegato al povero Giulio la
spiegazione scientifica della decomposizione cadaverica in termini accessibili,
per i figli di nove e sette anni.
“Ehi,
riecco l’elicottero!” esclamo Sara, che per prima aveva avvistato il
responsabile delle riprese Tv via aerea.
In
fatti, in poche ore la notizia aveva fatto il giro del paese. Tutte le reti
avevano acchiappato avidamente la ghiotta insolita notizia e chi con diritto,
chi no, stavano trasmettendo in diretta le macabre immagini del corpo esanime,
con primi piani del ketchup ingannatore.
Ma
questo era niente. Nel giro di un’ora le case del condominio furono assediate
da giornalisti di tutte le testate possibili: cronaca nera, rosa, quotidiani,
mensili, settimanali, giornalieri. La bianca carta stampata aveva bisogno di
quel cadavere per riempirsi la bocca ed avere qualcosa da masticare, per poi
rigettare sui lettori.
La
signora Morelli fu la prima ad aprire la sua porta.
Le
fu garantito il primo piano in numerose riviste scandalistiche nonché
l’opzione di importanti interviste verità sul piccolo schermo.
A
seguire, Sara, che fu contattata dal direttore di Radio San Giuseppe in persona,
monsignor Giovanni Guido Maria Diotibenedica. Lo conosceva solo per radio
ovviamente e le sembrò un vero miracolo stringere la mano a quella voce, che
per l’occasione scendeva sulla terra.
Poi
toccò ad Alfio, che aprendo la porta di casa non fece trasparire l’emozione
di fronte all’inviato speciale del Profittatore, ‘il giornale di chi sa far
fruttare anche l’erba del vicino’, come diceva la pubblicità.
Franceschini,
con senso del dovere, fu proprio lui stesso a chiamare la Gazzetta del buon
amministratore, che con opportuna solerzia mandò sul posto il suo reporter di
punta. Questi aveva sentito di tutto nella sua lunga carriera: coppia di
pensionati che si erano murati vivi nudi a fare sesso fino allo stremo perché i
nipoti volevano impedirglielo in quanto invidiosi.
Vicini
dispettosi che cominciando col classico cane che morde gatto, erano arrivati a
coccodrillo azzanna pitone, passando per tarantola pizzica pipistrello.
Infine
ex-pugile e buttafuori in pensione, batterista e pluri-percussionista da camera
sordo, di 2 metri e 120 chili, a cui nessuno osava battere le pareti col
classico manico di scopa.
Ma
questa era proprio la notizia del secolo.
Sandra
e Giulio furono veramente fortunati. Mozart, il presentatore del momento, li
aveva scelti come la famiglia giusta per la sua trasmissione da ascolti record:
“A casa di chi andiamo oggi ?” tutta la troupe dello studio, cinque
cameramen, sette costumisti, otto truccatori, tre massaggiatrici, con
soddisfazione di Giulio, 15 comparse, nonché controfigura, autista e tre
guardie del corpo per Mozart si insediarono nel modesto bilocale al terzo piano.
Che gioia se è la tv a venire a guardare noi e non il contrario.
Elio
sprangò la porta e non rispose mai al bussare continuo che martellava il suo
appartamento. Ogni suonata echeggiava dentro di sé andando inesorabilmente a
svegliare il cane impaurito, con la coda nascosta tra le gambe che era la sua
paura.
Quella
di dover rispondere alla fatidica domanda in diretta nazionale:
“Quanti
esami hai fatto ?” o peggio: “Quanti esami ti mancano ?!”
Nessuno
suonò alla porta di Roberto. Chissà perché.
Forse
perché era lui stesso a scrivere. Infatti, fu inevitabile per lui, prendere il
suo blocco, la penna e cominciare a depositare con cura sui
fogli le sue leggerezze.
Sì,
ma non sul fantomatico cadavere. Era la più che vera Maria che lo scuoteva,
anche se non lo sapeva. Scrisse di montagne innevate, di fiumi impetuosi e di
cavalli galoppare senza sella, liberi, inseguendo la terra stessa che
sollevavano.
Ma
in realtà parlava di lei…
Ed
anche la ragazza rimase illesa dall’assalto al testimone, ma fu solo un caso.
Ci
fu solo una porta dove ogni giornalista o reporter che si fermasse davanti,
rimaneva lì immobile, stava per bussare ma… niente.
Era
come se una voce dentro il cuore sussurrasse confidenzialmente:
“Non
c’è nessuno…, passa avanti…. ,non c’è nessuno….”
Ed
è inutile dire chi fosse al di là di quella porta, no ?
Nel
giro di poche ore la notizia del cadavere bloccato al centro del condominio era
germogliata come i semi magici di un albero enorme, con migliaia di rami
lanciati in una corsa sfrenata in ogni direzione, raggiungendo e unendo tutto il
pianeta. Tutte le televisioni del mondo raccontavano l’accaduto, in tutte le
lingue e dialetti possibili. Ognuno ebbe il tempo di dare a quel falso morto il
valore necessario:
venditori
di gadgets proposero il cadaverino
in miniatura che se lo buttavi a terra si spaccava la testolina ed usciva
vero sangue umano, un cantautore impegnato casualmente aveva scritto in tempi
altamente sospetti una ballata dal titolo “Il morto che
non
c’è”, una prestigiosa casa di produzione straniera aveva già comprato i
diritti d’autore del romanzo best seller “Morte di un condomino saltatore”
per girare
un film di sicuro successo. L’unico problema era che il libro nessuno
l’aveva ancora scritto. Ma si sa, al giorno d’oggi i produttori, gli
investitori, gli imprenditori, sono quasi come i bambini: giocano col futuro.
L’unica differenza è che non è il loro futuro ma quello degli altri…
Una
strana sensazione infettò Dario, come un virus silenzioso e impossibile da
ignorare, quando si accorse che quasi tutti i suoi personaggi erano rientrati in
casa e non ne uscivano più. Chi tra interviste, chi tra foto e telecamere,
avevano quasi tutti smesso di ammirare la sua opera. Solo Maria e Roberto ogni
tanto si affacciavano per pochi istanti. Ma il motivo era ormai un altro…
Dario
non riusciva ad accettarlo. Aveva sognato il momento vissuto ore prima. Quel
sentirsi un direttore d’orchestra che dirige non strumenti musicali ma un coro
di emozioni e sentimenti travestiti da parole. Sì, era proprio questo che aveva
provato ed è proprio questo che immaginava provasse il creatore, ogni giorno,
ogni attimo della vita del mondo.
Ma
più che mai ora capiva Dio e provava pietà per lui.
Perché,
anche se con un paragone estremamente irriverente, anche lui aveva creato
qualcosa per unire delle persone, per far loro accorgersi che c’è qualcuno
dietro ogni parete della loro casa. Solo che in poco tempo quel qualcosa era
diventato di tutti, di tutto il mondo tranne che suo…
Così,
avvenne nella sua mente quello che vorremmo non accada mai. Quel momento
terribile che ci porta naturalmente ed inesorabilmente ad una conclusione, ad
un’unica, ultima mossa.
Come
un re isolato in una angolo in una partita a scacchi, come una vergine
innamorata nella notte giusta, come un condannato a morte davanti al prete.
Doveva
riprendersi il morto. Lo spettacolo doveva andare avanti e c’era un solo modo.
Ad un tratto si alzò in piedi, spalancò la finestra ed emise col megafono un
nuovo grido, ancora più terrificante:
AAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHH!!!!
Ripeté
il grido più volte finché una dopo l’altra le finestre del condominio si
riaprirono di nuovo. Sara, Alfio, la signora Morelli, Sandra e Giulio,
Franceschini, Roberto, Maria, tutti erano di nuovo fuori. E con loro giornalisti
e reporters, l’elicottero della TV e grazie ad esso tutto il mondo collegato
in diretta ma
con l’obiettivo non più sul cadavere ma su quel giovane in pedi sul parapetto
del suo terrazzo. Fu un vero canto del cigno. Dario assaporò quell’istante
con avidità e subito dopo diede al pubblico ciò che secondo lui si aspettava:
si lanciò nel vuoto, stavolta senza urlo.
Il
mondo che guardava rimase col fiato sospeso mentre l’uomo cadde al centro del
cortile.
Ci
fu un silenzio interminabile dove i pensieri più disparati si mescolavano tra
loro. Un nuovo fatto era davanti agli occhi. La corsa stava per ripartire quando
qualcosa di veramente interessante ed unico accadde. Nessuno se ne accorse perché
le cose più importanti accadono sempre così, di nascosto, in silenzio. E solo
per caso qualcuno le nota: un merlo, un piccolo merlo che non aveva mai volato,
che non aveva mai oltrepassato la porta aperta della sua gabbia si spinse fuori
da essa. Fu un breve tragitto, uno sbattere nervoso di piccole ali arrugginite.
Quanto bastò all’uccello per uscire dalla finestra e gettarsi abbandonato sul
cortile.
Fu
un tonfo lieve, delicato, mortale.
E
mentre il treno delle interviste, i programmi e le vendite soprattutto ripartiva
ci fu un ennesimo colpo di scena, l’ultimo. Il secondo cadavere non era
…cadavere.
La
mano destra si muoveva, prontamente inquadrata dai più veloci cameramen.
La
sinistra, una gamba, l’altra e Dario era in piedi, con svariate fratture ma
vivo.
Stordito
e dolorante guardò alla sua sinistra il pupazzo e oltre questo il merlo
inanimato. Il dolore che gli attraversò il cuore cancellò in un attimo le
sofferenze della caduta. Nessuno doveva morire veramente nel suo spettacolo,
forse lui stesso, ma nessun altro. E tantomeno l’unico al mondo che l’aveva
veramente capito.
Sotto
gli occhi esterrefatti di milioni di persone Dario avanzò barcollando, con
sorpresa e stupore generale calpestò e spiaccicò definitivamente una testa di
gomma piena di ketchup andato a male e raccolse da terra l’uccello.
Si
accasciò, se lo strinse al petto e cominciò a piangere, chiudendo
definitivamente il sipario.
Nessuno
capì quello che era successo. Nessuno seppe perché il giovane l’aveva fatto.
E nessuno riuscì a dargli mai un senso.
E forse, fu meglio
così.