LA MATTANZA
di Dania D'Aquino
L’alba livida schiariva sui camion da macello, coi ganci inerti,a portare quarti di bue innocenti fino alle fosse dell’orrore,dove aspettavano i solerti macellai con le pistole ben fornite, chiamando i nomi lentamente, che nessuno si salvi, mi raccomando, aveva detto il generale,scesi con gli occhi abbacinati dalla luce del mattino,annegando nella loro acqua di terrore,legati per le mani tremanti di freddo e messi in fila ad aspettare il loro destino di vitelli sacrificali, cinque per volta per non affaticare gli assassini e poi in ginocchio, la testa china, la canna alla base del collo a regalare una morte indolore, coi motori dei camion accesi perché non odano gli echi delle armi quelli che attendono fuori, poveri diavoli, che cadono invocando muti una preghiera alla pietà per noi tuorli innocenti e per quelli che macellano le carni contorte in una smorfia silenziosa, mentre il sangue riempie le mani,imbratta la roccia semibuia, mischiandosi al tanfo della morte che fatica a contare tra i cadaveri il suo nuovo bottino,cinque ore di mattanza,fredda, meticolosa, coi morti ammucchiati nel lago fetido della nostra anima di dannati,ragionieri implacabili della guerra,cinque in più sono stati contati, ma non è ammesso nessuno sbaglio e allora, cazzo, tenente,si dia da fare, cinque in più o in meno, chi la conta questa massa inerme di polpa indicibile che abbiamo dato in pasto alla gloria del nostro fùrher e così sia,generale, che alla fine del fragore inesorabile non si contino quelli in più,anche se la vecchia con la falce non si può ingannare e lascia che il loro sangue si disperda ad avvertire il mondo del silenzioso massacro.