LA  FENICE

 

 di Giovanna Mulas

 

 

“E allora si riconobbe la presenza della Morte Rossa.

Era venuta come un ladro nella notte.E ad uno ad uno caddero i gavazzatori nelle sale della loro orgia irrorate di sangue, e ciascuno morì nell’atteggiamento disperato in ci era caduto.E la vita dell’orologio d’ebano cessò con quella dell’ultimo dei gaudenti.E le fiamme dei tripodi si estinsero; e la Tenebra e la Rovina e la Morte Rossa stabilirono il loro illimitato dominio su ogni cosa.”.

 

 

La maschera della Morte Rossa,   E. A. POE

 

 

      Incedeva a passi scarni tra i vapori notturni come ombra fra le ombre.E ad ogni passo scostava lentamente quasi avesse timore di trasmettere loro il suo dolore e quella vertigine altalenante ch’era come una marea e lambiva lo scoglio ora piano, ora più forte.Alzò gli occhi alla luna e lo sguardo spento scivolò e cadde sulla morbida superficie d’indaco del mare, sulle increspature avare, potenti;eterne.

-S…sono viva-, bisbigliò in un sibilo che le era estraneo respingendo le lacrime; e sul volto di donna,un tempo bellissimo, si dipinse tra la mappa delle piaghe infette una tragica maschera di sorriso.Alania udì delle voci vicine, molto vicine.Tentò d’acellerare l’andatura e come naufrago traballò in direzione di quelle.

-S…sono viva-, ripetè scostando gli alti fusti di canne col palmo della mano.aparve una radura ed una casupola in mezzo a quella, una vasta coltivazione di mais a corona della casa. Alania scorse una coppia di vecchi, un uomo e una donna, seduti in veranda forse intenti a giocare una partita a carte;almeno così le pareva da quella distanza e dal gonfiore alle palpebre che le ottenebrava la vista.Lo spettro uscì dai cespugli,tentennò verso la casa ed il pastore tedesco dapprima accucciato ai piedi del padrone rizzò le zampe all’erta,odorò il vento e ringhiò,le corse vicino abbaiando.

-Oh, Gesù!-, mormorò il panciuto Howard Lewis masticando tabacco e il boccale di birra rossa rimase sospeso a mezz’aria,gli occhietti rugosi saettarono dalla figura estranea uscita traballante dal canneto come un fantasma alla Regina di Picche al centro della tavola. La donnina seduta di fronte a  lui era bionda  pallida.Di lì ad un mese Carol Vender in Lewis, ex maestra elementare con carriera trentennale alle spalle sarebe morta per un ennesimo attacco al suo “cuore pazzo”, come lo chiamava lei.Ma in quell’istante si limitò a portare la mano alla bocca reprimendo un urlo di autentico orrore.Il marito sputò il tabacco di lato, inghiottì le scale legnose con un’agilità insospettata per la sua mole e camminò lesto incontro alla straniera. Alania accennò un sorriso,gli si rovesciò addosso in un ultimo,estremo,atto di forza.

-aiutatemi-, disse in un soffio, -…qual…cuno deve dire a mio marito che…sono viva-. Le pupille si dilatarono in un chiaroscuro di verde.

E Alania svenne.

 

      -Vorrei parlare con Philiph Stewarton,per cortesia-.

All’altro capo del filo un ticchettare nervoso di biro sulla scrivania,voci confuse in sottofondo e ronzii di computers in funzione.

Il timbro rigidamente femminile subì un guizzo d’insofferenza. –Il signor Stewarton in questo momento è in riunione.E non desidera essere disturbato. Richiami…-

-Dica al signor Stewarton che ho notizie su sua moglie Alania.Gli dica che si tratta di notizie molto importanti, che lei sta bene.-.

Il ticchettìo cessò.

Alania? Pensò Miss Mary Jane,anziana segretaria privata della Stewarton Associated, i migliori colletti bianchi in quel di New York con sedi in Encinitas, San Diego,California e Santa Monica,Los Angeles.

E’ stata data per morta, sono passati quasi tre mesi dall’incidente…dissero ch’era caduta in acqua,che non sapeva nuotare e

-Se questo è uno scherzo  mi pare proprio di pessimo gusto- sbottò Miss Mary Jane, -Mr Stewarton piange ancora oggi la scomparsa di sua moglie e non credo sia conveniente-

-Non m’interessa ciò che crede lei, signora.Ho notizie strettamente personali per il suo capo e se non vuole farmici parlare,poco male. Glielo dica lei.Gli dica: Alania è viva.

Capirà.-.

Alania è viva.

La donna trasecolò affondando nella sua poltroncina girevole di velluto rosso.Dalla cornetta il tuuut-tuuuut  della linea libera.Aggiustò gli occhiali sul naso pronunciato, carezzò distrattamente lo stelo della lampada Liberty di fronte a lei,sulla scrivania dal ripiano di cristallo. Rammentò il sontuoso funerale di Alania, il tripudio di fiori e dediche, l’afa insopportabile di quel pomeriggio di fine dicembre.

Una donna molto bella  pensò Miss Mary Jane, e buona. Amava suo marito più di ogni altra cosa al mondo;anche un cieco l’avrebbe capito. Ma lui…

Scacciò i pensieri come si scaccia un insetto molesto. Schiarì la voce, premette un pulsante rosso alla sua destra.

-Mr Stewarton?

Mi duole interromperla, signore. Ho ricevuta una chiamata urgente per lei, strettamente personale. Riguarda sua moglie Alania. Sta bene.-.

Ci fu silenzio.

Un minuto,forse due.

Philiph Stewarton piombò nello studio con aria contrita e l’incarnato di cera, la bocca distorta in un ghigno.

-Che diavolo di scherzo è questo, Jane?- sbraitò, allentando il nodo alla cravatta.

La donna gli porse il memo con l’appunto sibillino: Alania è viva.Capirà.

-Era una voce maschile sulla settantina, profondo accento del sud-, concluse Mary Jane.

E Philiph Stewarton, suo malgrado, capì.

 

      La villa settecentesca era addormentata in picco alla scogliera dove pareva attendere un qualche dito di Dio che la carezzasse. E i gabbiani dondolavano attorno alle cime di mattoni rossi ed edere rampicanti, ai candidi cancelli ferrosi verniciati di fresco, alle erbe ingiallite dal sole e mosse da brezze salmastre. Quella era l’ora in cui Pitt, il maggiordomo londinese, lucidava diligentemente l’intera argenteria di casa Stewarton aiutato da un qualche nuovo e giovane apprendista; Margot la cameriera di origini francesi dopo aver sbrigato le faccende scendeva in paese per le personali compere quotidiane accompagnata da Jacob,l’autista. Si diceva che i due se la intendessero sotto l’ingenua fiducia del marito di lei, Pitt.Ma si diceva soltanto.

Alania, avvolta nell’impermeabile preso ai saldi una settimana prima dalla dolce MrS Lewis; scivolò in casa passando dalle cucine, deserte e silenti.Suo marito Philiph dormiva, la Fenice lo sapeva bene.Lo conosceva troppo bene, la Fenice. Assorbì le scale rischiando di crollare su di una perfetta riproduzione marmorea della Venere di Milo, nuovo pezzo dell’infinita collezione d’arte di Mr Stewarton. Amava le cose belle, Philiph. Dinanzi all’immensa specchiera dell’ottocento siciliano, Alania distolse lo sguardo dall’immagine riflessa. Attraversò un corridoio felpato da due metri di passatoia indiana, tre porte bianche e lucide a destra, due a sinistra.Si arrestò di fronte all’ultima, a manca. La camera da letto del marito. Aprì l’ùscio lentamente e quella, ruffiana, seguì dolce il movimento della mano padrona, lenta,lenta. Odore di muschio e colonia. Buio.Il ritmo regolare di un respiro, sotto le coltri di tiepido cotone. S’accostò al letto, scostò le zanzariere.

-sono tornata, caro- sibilò e col pugnale colpì una, due, tre volte affondando la lama nelle carni con odio puro, alla cieca.

E restò così, senza sapere per quanto, l’arma sanguinante stretta nel pugno ed il fiato mozzo,ansante,roco.

Poi la luce si accese.

E seduto sulla sua poltrona preferita, accanto alla finestra che dava sul mare,Philiph Stewarton sorrise.

Puntò la canna della pistola verso la caricatura di donna e sputò una smorfia di disgusto alla vista del volto deturpato dai morsi dei pescicani.

-Ti aspettavo, Alania-.

Seguì gli occhi di lei sul lenzuolo macchiato di porpora. –Oh,niente di importante- disse, -Una puttanella che mi sono caricato ieri,al matrimonio di Elena Rodgers. La ricordi,cara? Era con noi in barca a Cape Cod, la notte della tua scomparsa. Abbiamo brindato per una settimana di fila, dopo.-

-P…perché?-, farfugliò Alania.

-Sai benissimo perché, cara. Cristo,tu e le tue…maledette romanticherie da ragazzina.Non mi avresti mai consentito il divorzio-.

S’alzò dalla poltrona tenendo la pistola puntata,raggiunse la finestra senza perdere d’occhio la donna un istante, scrutò le onde alte e rabbiose e il loro frangersi sugli scogli con la coda dell’occhio.

-Alania, Alania. Hai cinquant’anni ed io neppure la metà. Hai davvero pensato che potessi amarti? Veramente?Ho una carriera davanti,io. Una vita. E ora ho anche tutto ciò che era tuo.-.

-Bastardo!- ruggì Alania. Prima che l’uomo potesse reagire ci si tuffò addosso, lo spinse indietro. Philiph Stewarton perse l’equilibrio e la pistola cadde sul pavimento,stramazzò sulla finestra, i vetri scricchiolarono sinistri.S’infransero in uno scoppio. Mentre cadeva nel vuoto, Philiph Stewarton notò che il cielo si era fatto plumbeo.Forse,avrebbe piovuto.

La Fenice fissò il corpo curvarsi oltre i vetri, in un attimo mischiarsi ai frammenti e sbattere come un manichino giù;prima su uno scoglio,poi su un altro.

Non parlò.

Non mosse ciglio.

S’inquadrò sulla finestra ergendosi sul davanzale.

Sfidò il cielo e spalancò le ali.