L’INIZIO DI UN SOGNO O LA FINE DI UN INCUBO

di Cucciolo

Si svegliò di soprassalto e ricadde immediatamente in un altro sogno. Studiò a fondo i propri comportamenti dall’esterno, rendendosi conto dei suoi difetti. Gli saltò all’occhio quella sua tendenza a tenere il capo basso, a ridere, forse troppo, forse per cose troppo sciocche. Rimase ancora a scrutarsi mentre salutava con un timorosissimo bacio sulla guancia la ragazza che da dentro l’azione gli sarebbe sembrata interessante, ma che da fuori, da spettatore, gli sembrò bellissima. Sia lui che il suo doppio rimasero estasiati alla vista della giovane ragazza dai capelli scuri e lisci e dagli occhi profondi come la notte. Ma mentre laggiù il suo corpo era ancora incantato, immobile, lui si voltò notando con un po’ di tristezza che dei compagni gli parlavano alle spalle, guardandolo in quello stato di immobilità e, voltarono le teste, cambiando espressione quando da laggiù lui se ne accorse. Dopo un po’ di risentimento, tornò ad osservarsi attentamente. Passarono pochi minuti e si ritrovò nella sua aula scolastica, al primo banco, intento a ridere ancora, senza motivi ben precisi, così, tanto per sembrare allegri, per sembrare un po’ ebeti. La sua attenzione ricadde ancora sulla ragazza dagli scuri capelli, intenta a prendere appunti, mentre il professore di letteratura italiana spiegava la poetica di non so quale ciarlatano pederasta. Il suo sguardo attento ma quasi assente, rendeva quegli occhi terribilmente stupendi e ben  presto se ne rese conto anche l’altro, si, quello di giù, quel doppione. Per la seconda volta rimase bloccato nel guardarla, destando le risa sogghignate dei soliti compagni imbecilli, che avevano come unico ruolo, nella loro vita, quello di mostrarsi con prepotente vanto coglioni di prima categoria. Ma lui non si curava di quel brusio inutile che gli scaldava le orecchie, mentre invece dall’alto del suo sogno, l’alter ego si rodeva e si infuriava. Superato quell’attimo di irritazione si ritrovò ben presto all’orario dell’intervallo. Il suo doppio uscì presto dall’aula per prendere una boccata d’aria e raggiunse i compagni che erano già fuori. Ancora una volta si accorse di quel maledettissimo difetto della risata facile ed insensata, quasi patetica. Notò anche che non riusciva ad iniziare un discorso con alcuna ragazza, né tanto meno con la ragazza dagli occhi vellutati come la notte. Niente, nessuna parola con l’altro sesso se non risposte monosillabiche a domande banali. Si ritrovò con un fondo di inadeguatezza mentre dall’alto della sua visione l’altro rimase immobile, quasi spaventato dalla sua stessa difficoltà di socializzare. Ancora una volta l’attenzione unisona dei due ricadde sulla giovane alta e mora. Ogni movimento delicato della ragazza sembrava una lenta danza, e tutto sembrava speciale, ogni parola che usciva dalla sua bocca era un dolce suono che andava dritto al cuore. Anche l’atto di aggiustarsi gli occhiali sul naso appariva angelico. Si ritrovò dopo qualche ora, dopo pranzo ad osservarsi mentre cercava di dire qualcosa di intelligente al telefono, parlando proprio con la bellissima. Si osservò a lungo mentre andava nervosamente avanti e indietro lungo la sua piccola camera, si vide asciugare di continuo le mani sudate nei jeans, sentì uscire dalla sua bocca frasi del tutto imbecilli e scontate. Il suo sogno lo portò, proprio in quell’istante, nella camera da letto dell’angelica visione e lui rimase a lungo, per tutto l’arco della telefonata a guardarla, senza pensare a nulla, senza fare niente, mentre dall’altro capo del filo quell’imbecille del suo doppio si arrovellava il cervello per mettere insieme una frase di senso compiuto. Rimase ad osservarla anche dopo, ancora, per ore ed ore. La guardò mentre toltasi una calza, giocherellava con la stessa col piede delicato, vellutato, sopra il letto. La guardò mentre la sua bocca, i lineamenti del viso, venivano messi a nudo dolcemente dal Clinex, che pian piano toglieva pazientemente il fondotinta e si rese conto di quanto quel viso fosse fragile, candido, puro e di come anche soltanto un massaggio troppo veemente di quella salviettina avrebbe potuto farle del male, farla soffrire. Rimase lì, anche mentre lei si sfilava gli abiti e la vide nuda, nella sua purezza, la osservò mentre senza nulla addosso si aggirava per casa, sola e mentre l’acqua della doccia le scorreva addosso chiara, e le donava calore, le arrossava le delicatissime gote. La osservò chiudere il rubinetto in un brivido inaspettato di freddo, che le irrigidì i seni e la vide infilarsi con leggiadria nel suo accappatoio bianco. Rimase ancora un po’, la vide togliersi l’accappatoio e, coi capelli bagnati, indossare un vecchio maglione blu, e nient’altro. Non c’era nessuno in quella casa oltre lei e l’aura di lui. E la vide mangiare a piccoli bocconi la sua cena, la vide asciugarsi i capelli, scuri ed intensi, lisci, con bellissimi riflessi castani. Sarebbe rimasto lì per sempre ad osservarla in ogni suo movimento, in ogni sua parola, sarebbe rimasto tutta la notte ad ascoltarla respirare, a vederla girarsi sul fianco, con quel vecchio maglione che pian piano si alzava e la scopriva nuda nel freddo della stanza. Le avrebbe rimboccato le coperte, l’avrebbe difesa da tutto e da tutti, avrebbe dato tutto per la sua salute. E rimase al suo fianco mentre lei scriveva qualcosa sul suo diario ed il suo viso s’incupiva rovinando l’armonia dei suoi lineamenti, la guardò mentre da una pagina del diario sporgeva la foto di un ragazzo, non riusciva a distinguerlo da lì. Le rimase al fianco mentre i suoi occhi lacrimavano per la malinconia di quella sera, piena di solitudine e le fu accanto mentre coprendosi il più possibile col maglione uscì nel balcone per cercare di respirare un po’ d’ aria non viziata dalla depressione che quella foto aveva diffuso tutt’attorno a lei. La guardò negli occhi, mentre lei, toltasi il maglione, allo specchio si osservava il profilo e le forme, sfiorandole con sicura soddisfazione e mentre scioglieva i capelli odorosi e morbidi, che come una cascata le inondavano le candide spalle, piccole e fragili. Rimase tutta la notte lì, accanto al suo letto, senza provar sonno, in una triste estasi, consapevole che quella era soltanto una proiezione e che lui non sarebbe mai potuto essere forma in quella situazione, che non avrebbe mai avuto la possibilità di starle davvero accanto fisicamente, che non avrebbe mai potuto rimboccarle le coperte e rimanere lì, a pochi centimetri da lei, per tutta la notte. Assaporò ogni suo respiro, ogni suo movimento e poi alle prime ore del mattino , nel più assoluto silenzio, si dissolse. Ritornò alla sua visione, al suo doppio che intanto era già sveglio da un pezzo e notò che non si era mai svegliato dopo le sei del mattino, era sempre il primo a svegliarsi. Non gli sembrò poi un difetto, ma di certo era una cosa che lo rendeva in qualche modo diverso dagli altri suoi coetanei, avidi di sonno. Si ritrovò triste, come quando ci si sveglia da un bel sogno e si casca d’improvviso in un incubo chiamato vita. Seguì per tutto il giorno la sua proiezione, notò ancora i soliti difetti, la solita risata cretina e quella strana sensazione di inadeguatezza che lo faceva sentire come un attore debuttante sopra un palco, che per il nervosismo ride in faccia all’emozione della prima rappresentazione teatrale. Come spesso capitava nella vita di lui, l’unica boccata d’aria è un’immagine, una figura, l’unica capace di far dimenticare qualsiasi problema ed ogni preoccupazione. Urgeva fare qualcosa, bisognava parlare con quell’immagine di bellezza e perfezione. E il pomeriggio passò a pensare al modo più falsamente spontaneo per poter rompere il ghiaccio, per poter instaurare un rapporto di reciproca sincerità. Ma niente è mai stato subito, e tanto meno un sentimento così grosso come la fiducia. Sapeva bene che sarebbero passati ancora altri giorni, mesi e forse anni prima di poter, e non era di certo sicuro, confezionare una relazione di completa verità. Non gli interessava più sentirsi dire ciò che lui voleva sentire, aveva bisogno di verità, anche dura verità, ma pur sempre verità, niente più frasi fatte e ipocrite affermazioni di circostanza, che tante volte lo illusero e lo gettarono nello sconforto più totale, al momento dei risultati.

SVEGLIO

Si svegliò nel suo letto, tv accesa, silenzio e buio, casa deserta. La televisione non dava alcun programma, se non i soliti filmati delle linee porno. La spense. Uscì in terrazza, si sedette comodo sul tavolino e assaporò l’aria fresca e silenziosa della notte. Prese una sigaretta e l’accese. Fu subito avvolto dal fumo caldo e bianco. La mente era annebbiata, non pensava a nulla, si gustava rilassato la fragranza del tabacco e cercava di riprendere la cognizione del tempo. Ricordava perfettamente ciò che aveva fatto durante il giorno, tutto. Ricordava però anche l’immagine di Lei, e tutta la notte scorsa passata ad osservarla nel suo unico splendore. Sogno? Certamente! Si alzò e fumando si sporse dalla ringhiera ad osservare il silenzio surreale del paesaggio attorno. Riusciva a sentire lo scorrere d’acqua del fiumiciattolo di scarico a qualche centinaio di metri dalla sua casa, vedeva le stelle, tutte chiarissime, sentiva l’odore di terra, dopo una pioggia di primavera. Nessuna soluzione, sveglio e confuso entrò in casa. Erano più o meno le quattro del mattino, decise di tornare a letto a concludere quel sogno o presunto tale, per poter ancora rivedere la ragazza dagli occhi scuri come mai era riuscito a vederla.

Niente da fare, il sonno tardava a tornare, così si alzò e tornò in terrazza, a respirare un po’ d’aria vergine di stress.

LEI

Si sentì mancare, fu solo un istante e tornò a vedersi da fuori, ancora fuori dal suo corpo. Senza troppo stupore si osservò mentre come al solito manteneva il capo basso e a poco a poco cedeva al sonno che pian piano gli massaggiava gli occhi, rilassandoglieli e socchiudendoglieli con dolcezza. Senza rendersene conto era già lontano, vedeva la ragazza dormire, con il suo solito vecchio maglione blu che le scopriva le gambe e la vita, lasciandole nude. Non sentì stimoli, non era eccitato sessualmente, ammirava semplicemente la perfezione di quel corpo che nel sonno si muoveva piano, leggiadro e candido. Era estasiato, completamente distaccato dal proprio corpo, non sapeva neppure cosa stesse facendo, se si era addormentato oppure stava accendendo un’altra sigaretta. Era ancora lì, seduto accanto a Lei. Si alzò e silenziosamente girò per la camera, osservando nell’armadio tutti i vestiti di Lei. Ne riconosceva tanti, tutti quelli che lei indossava a scuola, tante scarpe, riconosceva anche quelle. C’era un po’ di disordine, i vestiti che aveva indossato il giorno prima erano poggiati sopra una sedia, le mutandine bianche ed il reggiseno per terra, sulla scrivania tanti fogli alla rinfusa e libri di scuola, il suo diario con quella foto misteriosa dentro e penne e matite sparse ovunque. Ritornò a sedersi accanto alla ragazza dagli occhi profondi che intanto si era girata sul fianco, proprio dalla parte in cui si era seduto lui e si era rannicchiata, accentuando le forme generose del suo corpo. I piedi si muovevano teneramente, cercando le parti calde del letto ed una mano ogni tanto passava distratta tra i capelli, togliendoli dal viso candido ed appagato.

Mattina. I suoi occhi si aprivano piano ed un sorriso le illuminava il viso. Si girò supina sbadigliando e rimase lì, a guardare il soffitto per alcuni secondi, poi si mise seduta e accortasi che il maglione la scopriva completamente nuda, lo sistemò in un momento di dolce pudore. Coprendosi sempre col maglione, uscì nel balcone ed assaporò l’aria di domenica, il sole. Rientrò e si spogliò del tutto, rimase lì, davanti allo specchio, ancora a guardarsi il profilo ed a sfiorarsi i seni, soddisfatta. Con una smorfia da bambina monella, cominciò a saltare per casa, poi sul letto e lui le stava dietro, sorpreso da quell’atteggiamento pieno di libertà, pieno d’intimità, ma sentì ancora l’angoscia di sapersi realmente estraneo a quel momento di completa serenità della ragazza, sapeva di essere soltanto spirito, o qualcosa del genere e che mai il suo corpo avrebbe potuto partecipare alla felicità della ragazza dai capelli scuri come la notte. Lei rimase ancora un po’ sul letto, giocherellando con le coperte, poi si alzò e s’infilò rapidamente sotto la doccia. Ancora una volta l’acqua scendeva a dare calore e colore al corpo candido della ragazza che si massaggiava con calma, e s’insaponava. Dopo la doccia, asciugò i capelli, e tolse l’accappatoio. Indossò un paio di mutandine, mise un abito corto e ragionevolmente trasparente, prese le chiavi di casa ed uscì a fare una passeggiata. Lui si ritrovò improvvisamente accasciato sul tavolino del suo balcone, la sigaretta spenta nel portacenere. Sapore amaro in bocca, si alzò confuso e barcollando andò a prendere un bicchiere d’acqua. Gli si diffuse ben presto tra i pensieri ancora offuscati, un sottile mal di testa, confusione. Rimase in piedi in mezzo alla stanza a fissarsi nel fondo di uno specchio che gli mostrava la barba lunga e gli occhi gonfi, le occhiaie. Si avvicinò alla sua immagine, cercando di studiarla, cercando di capire come fosse arrivata nella camera di Lei, come poteva essersene andata così, senza che lui se ne rendesse conto. Nessuna risposta. Si sentì svuotato, interdetto. Osservava quell’immagine che imitava alla perfezione ogni suo movimento, ma che gli sembrava estranea, traditrice. Provò paura nel guardarsi dritto negli occhi, non si sentiva sicuro di sé. Si staccò dal suo riflesso, stanco di lottare contro quell’ essere ignoto, e si accese un’altra sigaretta.

POMERIGGI ANNOIATI

Si fece presto pomeriggio e lui era appena rientrato a casa. Ancora silenzio fra le mura, ancora quell’immagine distratta sullo specchio in fondo alla stanza. Non fece caso alla figura che faceva il verso ad ogni suo movimento, poi sorrise. Si osservava con la coda dell’occhio, sorridendo e vedendo in fondo a quel rettangolo maledetto una divertente caricatura, un profilo grasso e goffo, molto più del suo, una faccia impanata nella barba, occhi gonfi, non era di certo lui quello. Cambiò stanza, lesse un po’. Niente di coinvolgente in quelle pagine, allora chiuse il libro gettandolo nel disordine della sua camera. Televisione neppure a parlarne, troppi programmi imbecilli, come imbecilli sono tutti i suoi telespettatori. Pensieri? Avrebbe preferito di no, ma alla fine l’immagine della ragazza dagli occhi teporosi, si stagliò prepotente tra i suoi mille grovigli di pensieri. Prese l’occasione per comporre una melodia al pianoforte. Si sedette, scaldò le dita con un arpeggio arioso in “DO maggiore” e cominciò a grattare note sulla tastiera. Non era un granché all’inizio, ma poco a poco dalla cassa armonica del piano cominciò ad uscire una melodia ritmata, piena di sincopi e contrattempi, che lo soddisfò molto. L’immagine di Lei, che si era confusa nel divertimento di quel momento, ricomparve violentemente e un accordo discordante fece sobbalzare lui. Niente da fare, chiuse la tastiera e uscì sul balcone. Rimase poggiato alla ringhiera per un po’ guardando giù. La voglia di tuffarsi, soltanto per sapere cosa si prova era incalzante, ma lui si allontanò di scatto dal bordo e si schiacciò al muro inorridito. Rientrò e accese la sua solita sigaretta.

SPIAGGE DESERTE

Tardo pomeriggio. La giornata era trascorsa sotto un velo di inconscio sgomento, un sole timido e lui decise di uscire ancora. Andò in spiaggia. Il cielo adesso era pesante, livido e da lì a poco avrebbe cominciato a piovere. Rimase sopra uno scoglio ad osservare il triste aborto di quella giornata che si compiva con un luttuoso tramonto grigio, coperto da una cappa di malinconia e nubi. Il mare era mosso, nero e verde. La sagoma del sole s’intravedeva appena sull’orizzonte e la luna era comparsa in anticipo, era lì da almeno due ore. Osservò la sabbia, scura, fredda e ne strinse un po’ tra le dita. Guardò con attenzione ogni granello che gli scivolava via dalla mano e cominciò a piovigginare. L’acqua cadeva decisa, spietata e la sabbia diventava d’improvviso fango, volgare fango che appesantiva i passi di lui. S’ alzò il vento che spazzò foglie e cartacce, lui decise di andare via. Gli occhi grigi, depressione, si fermò a ripararsi sotto ad un portone. Dopo un po’ riprese a camminare, mentre i lampioni si accendevano pian piano e scaldavano un po’ le vie e le piazze infreddolite. Nessuno in strada. Si incamminò verso casa in un silenzio quasi notturno, annaspando sotto la pioggia, quando…

I RICORDI A VOLTE FANNO RUMORE

…Si ritrovò ancora fuori dal suo corpo, in volo verso la casa della sua visione paradisiaca. Era lì, intenta a scrivere nel suo diario, in lacrime, qualcosa che lui voleva, adesso, ad ogni costo decifrare. Si avvicinò a lei, poggiò le mani nella spalliera della sua sedia ed allungò il collo. Lei, quasi  consapevole della presenza di lui, chiuse violentemente il quadernetto, scoppiando in un pianto sommesso, pieno di singhiozzo. E gli occhi, le lacrime lo fecero annegare, come sotto quella spessa pioggia in cui il corpo di lui forse era ancora immerso. I gemiti di lei erano frecce dritte alla sua schiena, nel singhiozzo non smetteva mai di mordersi le labbra e continuava a togliersi i capelli dal viso contratto e teso come pelle di tamburo. Smise di piovere, se ne accorse e rialzò lentamente le tapparelle della sua camera. Aprì la finestra a far entrare un po’ di fresco. Era già buio ed il cielo e le nuvole erano impastate in una tenebrosa oscurità. Faceva ogni tanto capolino oltre la densa coltre di nubi la luna, gialla, stronza, impicciona. Non riusciva proprio a riprendersi, continuava a contrarsi in colpi di singhiozzo e il petto le sussultava facendole male. Lui era lì, impotente, assente, realmente inesistente. D’improvviso scivolò dentro una spirale di ricordi, di suoni assordanti, di parole dette e mai ricordate, scivolò via senza la forza di fare nulla per sfuggire a quelle immagini, ricordi che gli assordavano il cuore.

UN BAMBINO ALQUANTO CATTIVO

 Era ancora piccolino quando i suoi genitori cominciarono a litigare, a vomitarsi parole pesanti. Lo mandavano a giocare in cortile o lo mandavano dai nonni. Non era ancora cosciente di quanto un rapporto tra due persone potesse essere falso ma durare comunque per anni ed anni, solo per orgoglio e per abitudine. Lui rimaneva lì, soffocato dalle attenzioni della nonna, coperta sulle gambe, che raccontava storie, forse autobiografiche, forse solo favole per farlo stare buono e non disturbare il nonno che cercava di riposare, sul divano, dopo pranzo. Stava lì, ogni tanto provava ad ascoltare e capire le storielle della tenera vecchietta che, per legame di sangue, doveva rispettare. Ma un giorno scoprì sua madre, povera puttanella, con un signore alto, robusto e non capì. “Dov’è papà?” domandava, quel papà che tornava a casa ogni sera ubriaco fradicio e che picchiava la mamma e a volte pure lui, inventando cazzate del tipo: “perché non hai salutato papà, stupido marmocchio cattivo?”. Eppure sentiva qualcosa di unico per suo padre, forse solo voglia di diventare grande e poterlo ammazzare di botte, forse solo odio o paura di essere ancora una volta picchiato a colpi di cintura. La madre usciva spesso con quel tipo sconosciuto e lui rimaneva sempre meno vicino a lei. Rimaneva a casa dei parenti o di amici che compativano e sparlavano alle spalle sua madre, che facevano atti di carità per espiare le fottute della moglie all’insaputa del marito e le notti a puttane e transessuali del marito, famoso imprenditore, di nascosto alla moglie. Ma lui non capiva, non capiva un cazzo, semplicemente cominciava ad imitare quelle bestie degli adulti e veniva puntualmente sgridato, forse perché troppo simile a loro. E cominciò a conoscere le parolacce, a sputare alle persone, a scappare di casa, senza essere neppure capace di chiamare l’ascensore, per uscire. Era diventato “un bambino alquanto cattivo” dicevano tutti, i maestri alle elementari. Poi diventò un “ragazzo difficile”, un “soggetto pieno di scompensi” per i professori delle medie. E la madre? Ogni santo giorno con un uomo diverso, ma lui ormai non ci faceva più caso, ormai era quasi maggiorenne e più figlio di puttana di ogni altra persona. Non era più un bimbo cattivo anche se il suo carattere non era cambiato, era semplicemente diventato uomo. E poi una boccata d’aria: la ragazza dagli occhi di stella. E si sentì bruciare il petto nel vederla piangere, cominciò ad ansimare nel vederla singhiozzare, ma sempre rinchiuso nella sua impotenza di non essere forma, di non essere lì, ma di esserci senza poter intervenire. Rimase ancora davanti la scrivania di Lei, poi con il groppo in gola, si dissolse.

OROSCOPO

Si ritrovò malconcio, uno zigomo sanguinante, disteso accanto a dei cassonetti di immondizie, in un vicolo cieco, buio. Era bagnato fradicio, si muoveva a fatica. Cercò nella tasca posteriore dei suoi pantaloni il portafogli, niente. Gli girava tutto, non si reggeva in piedi e non riusciva ad emettere un suono, un grido di aiuto. Rimase seduto, poggiato al muro, senza riuscire a ricordarsi cosa fosse successo, senza arrivare ad una conclusione. Un mal di testa lancinante gli si insinuava cattivo nelle tempie e gli occhi bruciavano, vedevano tutto sfuocato e deformato. Chiuse gli occhi, si sentì quasi morire, poi si accasciò, disteso su un fianco. Non aveva più neppure la forza di alzare il braccio per vedere che ore fossero e non era neppure sicuro di avere ancora addosso l’orologio. Ricominciò a piovere e lui, a quattro zampe, cercò, barcollando di trovare un posto riparato. Uscì dal vicolo cieco vacillando e trovò un silenzio ed un buio infernali, ma che in quel momento gli sembravano un atto di bontà per la sua testa ed i suoi occhi allucinati. Riuscì in qualche modo a trovare la via di casa e crollò sfinito davanti alla porta. Con un filo di forza alzò un braccio e tastando trovò il buco della serratura, non aveva più neppure le chiavi. Rimase tutta la notte sul pianerottolo di casa, senza la forza di chiamare aiuto. Il giorno dopo, cambiata la serratura, medicato lo zigomo e fasciata una mano malconcia, si ritrovò ancora solo a casa, di pomeriggio, nella noia più scura. Gli occhi gli caddero sul giornale del giorno prima, nell’ultima pagina, quella dell’oroscopo. Scorse col dito sui vari segni zodiacali fino ad arrivare al segno dei gemelli:”…E’ la giornata dell’amore, non lasciatevi sfuggire nessun’occasione, non ve ne pentirete!” Prese il giornale e lo gettò nella spazzatura. Il mal di testa gli stava ormai scemando, ma la confusione aumentava e lui si ritrovava fuori dal tempo, senza capire più cosa gli stesse accadendo. La solita sigaretta gli fumava attorno e lui se ne stava lì, a fissarsi nello specchio in fondo alla stanza, immobile come fosse parte dell’arredamento e si guardava dritto negli occhi, provando un fondo di orrore nel vedere quel volto incerottato e stanco, dopo una notte passata in giro chissà dove a fare chissà cosa e dire chissà quale sciocchezza a chissà chi. La sigaretta continuava a bruciare nastri di fumo e il silenzio si poggiava lento e inesorabile sulle spalle di lui che rimaneva immobile a pensare all’incontro.

L’INCONTRO

Aprì il cassetto e tirò fuori una lametta nuova, la schiuma da barba ed il pennellino. Bagnò il viso massaggiandolo vigorosamente con dell’acqua tiepida e cominciò a riempirsi il viso di schiuma. Il rasoio passava lento e delicato sul profilo di lui e si incurvava dove iniziava il collo e la barba si diradava. L’ acqua scendeva veloce dal rubinetto tutto aperto e il fumo turbinoso svaniva in pochi centimetri di volo. Asciugò il viso togliendo la schiuma residua e con un po’ di carta coprì i taglietti causati da una rasoiata troppo profonda. Massaggiò ancora il viso con un po’ di dopobarba dal profumo intenso e poi  tamponò con un asciugamano. Pettinò con cura i capelli, lunghi, lisci e scuri e si riscoprì ancora una volta a fissarsi nello specchio del bagno, ma con un po’ di auto compiacimento, la faccia liscia, gli occhi vispi, i capelli ben pettinati e la ferita sullo zigomo che ormai non si vedeva quasi più. Si sorrise un po’, cercando un’espressione che non fosse troppo sorridente, ma neppure troppo depressa. Non poteva negare di essere teso, non era di certo normale studiare a tavolino le espressioni e le parole da dire. Man mano che il momento si avvicinava il suo cuore batteva sempre di più, trascinandolo in un’ansia tutto sommato piacevole, ma senza sicurezza alcuna, non sapeva, non immaginava come l’incontro avrebbe potuto svolgersi né cosa sarebbe potuto accadere tra i due. Rimase un attimo a godersi ancora un po’ questa sensazione di solletico dei sensi, poi uscì dal bagno e corse a vestirsi. Aprì l’armadio che si presentò ai suoi occhi in uno stato di disordine totale ma, con movimenti sicuri, prese subito un paio di jeans chiari, stretti che indossò subito. Quei pantaloni mettevano in risalto i muscoli vigorosi delle sue gambe, sottolineandone le forme. Il suo corpo magro ma possente, trovò rifugio in una camicia grigio scuro che cadeva dolcemente a coprirgli la vita. Tornò a guardarsi allo specchio e vide un’immagine che gli piacque molto, la sua immagine finalmente non sovrappeso e non depressa. Si guardava con soddisfazione ad imitare i modi di Lei e con soddisfazione si sfiorava il profilo, tirava per bene i jeans a sottolineare le forme dei muscoli e stirava la camicia sugli addominali per scoprirli ben in forma. Adesso parlava alla sua figura riflessa raccontandogli del suo appuntamento e rassicurandolo che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Non ne era per niente sicuro, ma si sentiva come osservato e gli piacque pensare che fosse lo spirito di Lei ad osservarlo, come era successo a lui e si divertiva ad atteggiarsi a divo e a fare discorsi con tanto di risposte immaginarie. L’ora era vicina, lui decise di uscire da casa un po’ prima per non rischiare di arrivare tardi. Uscì in strada, barcollò e si sentì sdoppiare, si, ancora una volta. Si ritrovò a guardarsi ancora da fuori, ma questa volta con un senso di violenta invidia nei confronti del suo corpo che, così ben vestito, si avviava dalla sua Lei. Lo seguì, gli stette dietro senza lasciargli tregua mentre lui forse neppure sapeva di essere seguito da se stesso e arrivarono in un parco con un lungo viale, largo, che portava verso il tramonto. Il sole era però ancora alto e il suo corpo si sedette su una panchina ad aspettare Lei, mentre l’altro stava lì vicino, colto da una crisi di gelosia. Doveva a tutti i costi riuscire a rientrare nel suo corpo, doveva vivere quel momento che da tanto tempo ormai aspettava. Passarono dieci minuti e la figura di lei apparve dal fondo del viale, seguita dal sole che, rosso l’accompagnava verso il corpo di lui. Si alzo dalla panchina e rimase immobile a guardarla, in un’estasi paradisiaca. Lei arrivò, lo salutò con un affettuoso bacio sulla guancia e gli sorrise. Lui, dall’esterno, osservava esterrefatto la bellezza di quella figura e non poteva fare niente per farle vedere che lui era lì, che stava aspettando, che era pronto per parlarle, per amarla. Era vestita con un abito nero, leggero e semplice, ma bellissimo a contatto col suo corpo chiaro e delicato. Lei si sedette e i due rimasero un po’ in silenzio ad osservare il tramonto, le nuvole rosa e le prime stelle distratte che si vedevano alte in quel cielo che ad ogni minuto si imbruniva vestendosi di una dolce ombra ristoratrice. Parlarono per ore ed ore, senza cenare, si confidarono tanti piccoli segreti e ad ogni parola di lui corrispondeva un dolcissimo sorriso di lei. Dall’esterno lui non poteva minimamente intervenire, ma osservava in una terribile tristezza i lineamenti di lei tessere dei sorrisi che da sempre lui sognava di vedere in prima persona, ma ancora una volta lui non era forma e non poteva godere di quella visione unica al mondo. E osservava i due parlare e scambiarsi sguardi d’intesa, guardava Lei aggiustarsi con pudore la gonna corta e leggera e togliersi i capelli dal viso con la mano. In un dolore lancinante, si dissolse.

NOTTE

..E si ritrovò ancora una volta a casa, stanco. Era notte, non sapeva di preciso cosa fosse successo dopo l’incontro, ma era confuso, diviso tra un senso di felice leggerezza e un’invidia ossessionata. Si guardò allo specchio, cominciò a graffiarsi il viso con le unghie, preso da un attacco di isteria, si gettò a terra, rantolando in mezzo al bagno e singhiozzando, urlando a squarciagola di essere un ladro, di essersi rubato l’amore e continuava a graffiarsi…Esaurite le forze si rialzò lentamente e barcollando andò verso la cucina. Zoppicava, il viso era tutto arrossato ma non tagliato, lo sguardo era stravolto. Il panico lo aveva colpito, non sapeva cosa fare, si sentì esplodere dentro tanta rabbia, tanto odio che cercava in ogni modo di controllare, di reprimere. Mentre stava per ricominciare a delirare, lo squillo continuo e deciso del telefono lo sorprese nel suo terrificante silenzio.

TELEFONATA

Era Lei al telefono e lui subito si calmò, poi in un attimo si sentì mancare e si rivide ancora da fuori, mentre la sua aura viaggiava libera verso la casa di Lei. Si ritrovò lì in un momento, a guardare come al solito l’immagine di Lei, col suo abbigliamento casalingo ed un sorriso pieno di sollievo e felicità, come dopo una confessione sussurrata timidamente tra i denti. Si sentì morire, non sapeva perché Lei fosse così solare, ma sospettava già il peggio, disperandosi silenziosamente. Lei parlava serenamente al telefono con il corpo di lui e sorrideva, fremeva ad ogni parola detta da lui. L’altro cominciò a girare nervosamente nella camera di Lei, pensando a cosa potesse fare e a perché non riusciva a rientrare più nel suo corpo. Lo sguardo gli cadde distrattamente sul diario della ragazza dagli occhi grandi come il mondo, aperto sulla pagina della misteriosa foto. Si avvicinò precipitosamente e con grande orrore, con grande disperazione distinse in quell’immagine il suo volto sorridente, mentre guardava chissà dove. Non poteva rimanere lì, doveva ad ogni costo rientrare nel suo corpo, mentre lei continuava a parlare al telefono. Lui si dissolse dalla camera di Lei e si materializzò a casa sua. Il suo corpo aveva già riattaccato il telefono e con espressione assente ma felice stava preparandosi per andare a dormire. Si risvegliò con il suono della sveglia alle 6:30 e in pochi minuti si preparò per andare a scuola. Niente di strano, era rientrato in pieno possesso del suo corpo e si sentiva finalmente felice, condividendo il sentimento della sua parte terrena.

LA FINE DI UN SOGNO O L’INIZIO DI UN INCUBO

Come al solito, nella stradina che portava all’interno del parcheggio della scuola, c’erano tanti ragazzi assonnati che scambiavano due parole per superare il sonno di cui erano avidi. Lui si fece largo a suon di clacson e posteggiò lo scooter in fondo al vialetto. Lei apparve presto, vestita di bianco, con i capelli scuri sciolti a colorirle la carnagione candida. La gonna leggera disegnava morbide pieghe che mostravano l’ombra della sua inguine. Gli occhi erano pieni di gioia, ma anche di domande, interrogativi che non volevano più risposte, ma realtà. E si avvicinava con passo leggero e svelto verso di lui che per un attimo si sentì mancare e l’attimo dopo aveva già cacciato via da sé la sua anima. Ancora una volta si ritrovò sbalzato via, ad osservare il suo corpo che aspettava Lei con le braccia aperte. Lui indossava una camicia di jeans chiara sbottonata e sotto una maglietta rossa stretta, a sottolineare discretamente i muscoli vigorosi. Dall’esterno l’altro guardava senza dire niente, guardava i suoi compagni che non ridevano più, che non lo prendevano più in giro, ma avevano solo parole avvelenate dall’invidia e nient’altro di costruttivo. I due si baciarono in un alito di vento tiepido, abbracciati dolcemente, sul muretto all’ingresso della scuola mentre l’altro era lì, bloccato, disperato. Prima di entrare, il suo ex corpo si girò verso di lui quasi potesse vederlo, e gli fece un occhiolino diabolico. Fece pochi passi poi, sempre con Lei al fianco si voltò ancora verso di lui e lo lasciò per sempre fuori dalla sua vita con un sorriso sadico, pieno di cattiveria. L’altro rimase immobile, pietrificato, castello di sabbia in balia del vento…

…La fine di un sogno o forse l’inizio di un incubo…vita…